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IGNORED

Tessera per la teriaca


pozleo

Risposte migliori

Supporter
1 ora fa, Spicier dice:

Anche secondo me è un 'unicum', ma, allo stato attuale delle cose, non mi sentirei di includerlo nel "teatro della teriaca", sembrerebbe più un orpello voluto da un singolo speziale, sempre che sia effettivamente riconducibile alla teriaca.

Nell'interpretazione dello Spada, che confessa di non avere "pezze giustificative" a riguardo, passi il parallelismo veleno-serpente (serpente che assume di volta in volta valenze positive o negative a seconda degli ambiti) ma  vedo un po' forzato l'accostamento aquila-malattia. Aquila che assume sempre valenze positive -da Giove in giù-.

Senza contare che il serpente, le vipera, nella teriaca ha funzione, potremmo dire, di drug carrier cioè di "veicolo" che per affinità guida la teriaca stessa verso il veleno nascosto all'interno del corpo.

In questo caso l'aquila sarebbe il veleno, ma la vedo sempre dura da giustificare.

L'aquila potrebbe essere un rapace qualsiasi che ha attaccato la vipera.

Si ritiene che Andromaco si risolse a introdurre la carne di vipera nella ricetta base del Mitridato non certo come veicolo del farmaco, ma allo scopo di migliorarne le proprietà alessifarmache rendendolo un antidoto capace di intervenire in tutti i casi di morsicatura da animali velenosi.

L’impiego specifico della vipera sembra essere in relazione a una sconfitta della flotta navale romana a opera di Annibale che, per sopraffare il nemico, fece gettare sulle navi vasi contenenti vipere usati come arma letale. Così, quando i generali romani chiesero a Nerone di far cercare un antidoto e l’imperatore si rivolse al suo medico di fiducia, questi fece leva sulla convinzione degli antichi che la natura avesse in sé tutte le risposte alle urgenze che assillavano gli uomini, e che per ogni veleno di origine naturale esistesse un antidoto naturale. La vipera costituiva di ciò uno degli esempi più eclatanti: si riteneva infatti un tempo che nella vipera il veleno fosse contenuto in tutto il corpo e che dunque la vipera per poter sopravvivere, avesse in sé l’antidoto al suo stesso veleno. Per questo motivo nella prescrizione della preparazione dei trochisci di vipera (ingrediente principale della Theriaca Magna di Andromaco), si raccomandava prima di tutto di porre le vipere vive in un pentolone caldo e di bacchettarle per eccitarle in modo da scacciare il veleno all’estremità del corpo, quindi di tagliarne la testa e la coda in modo da asportare le zone che avevano accolto il veleno stesso mantenendo solo l’antidoto.

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Volevo segnalare questo tappo sigillo in rete (Diameter: 42 mm; Height: 9 mm; Weight: 23,8 g; Material: Pewter) della spezieria Alla Testa d’oro, con la scritta TERIACA·F·ALLA·TESTA·D’ORO·IN·VENET.

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Nel sec. XVII il peltro poteva contenere fino al 15% di piombo accanto allo stagno, il componente principale della lega. Quelle zone color marroncino in superficie sono probabilmente dovute a prodotti di ossidazione atmosferica del piombo (es. carbonato di piombo), come ne ho trovati con l'analisi a raggi X su coperchi di piombo della teriaca dei Gesuiti.

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Sì, se ne sono scritte di tutti i colori.

Per Bartolomeo Maranta, Della Theriaca e del Mitridato, Venezia, Olmi, 1572, (che in realtà è farina del sacco di Ferrante Imperato, il principale speziale  napoletano esperto di teriaca e possessore di uno dei primi "musei/Wunderkammer" insieme a Francesco Calzolari, e autore del primo testo descrivente una Wunderkamer nel 1599, se non erro, vado a memoria), uno dei più autorevoli testi sulla teriaca, la funzione della vipera è proprio quella di drug carrier (similia similibus curantur per cui la vipera velenosa sapeva per affinità scovare il veleno all'interno del corpo e verso questo trasportava il resto della teriaca che andava a neutralizzarlo).

Andromaco sostituisce lo scincus, rettile diffuso in Medio Oriente e difficile da reperire con la più comune vipera per questioni pratiche, poi ci si è un po' ricamato su.

Resta il fatto che Spada fa molta confusione, mette insieme tante cose che con la teriaca non c'entrano nulla e questo mi fa dubitare molto sul bastone in questione. Di cui, tra l'altro non c'è alcun riferimento in nessun altro testo antico o moderno, almeno a quanto mi risulta.

Sulla simbologia aquila-serpente, esiste una casistica anche numerosa, anche a livello monetario -e qui dovreste essere molto più ferrati di me- ma, per quanto ne so, i buoni sono sempre le aquile e i cattivi i serpenti.

Fino a prova contraria non credo al bastone della teriaca :-)

 

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11 minuti fa, apollonia dice:

Volevo segnalare questo tappo sigillo in rete (Diameter: 42 mm; Height: 9 mm; Weight: 23,8 g; Material: Pewter) della spezieria Alla Testa d’oro, con la scritta TERIACA·F·ALLA·TESTA·D’ORO·IN·VENET.

 

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Nel sec. XVII il peltro poteva contenere fino al 15% di piombo accanto allo stagno, il componente principale della lega. Quelle zone color marroncino in superficie sono probabilmente dovute a prodotti di ossidazione atmosferica del piombo (es. carbonato di piombo), come ne ho trovati con l'analisi a raggi X su coperchi di piombo della teriaca dei Gesuiti.

 

 

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Ciao!

negli ultimi 10 gg. ne ho visti in vendita più d'uno su eBay tedesco; uno con un valore di partenza di €. 1,00 e almeno altri due con un prezzo fisso ....

Periodo fecondo?!

saluti

luciano

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Supporter

Il principio basilare di Andromaco della rielaborazione del Mitridato aggiungendovi la carne di vipera era quello dell’assuefazione: il veleno è antidoto a sé stesso, cioè, come dicono gli omeopati, ‘similia similibus curentur’. Mitridate assumeva giornalmente piccole dosi di veleni d’ogni tipo, inducendo la produzione di anticorpi che ‘allenavano’ in un certo senso il suo organismo, rendendolo in grado di debellare eventuali dosi maggiori di veleni che raggiungevano la circolazione sistemica in seguito a un avvelenamento ‘serio’.

Andromaco, secondo le credenze dell’epoca che un animale velenoso doveva possedere all’interno del corpo anche l’antidoto, trattava le vipere in modo da allontanare il veleno e isolare il contravveleno che poi utilizzava sotto forma di trocisci viperini nella preparazione della teriaca.

L’aspetto del ‘simile sia curato dal simile’ spiega perché la teriaca di Andromaco, con la vipera che produce un veleno di tipo emotossico a differenza del cobra che produce una tossina neurotossica, non poteva agire da antiveleno nelle morsicature da cobra.

Che la carne di vipera presente nell’elettuario assunto per os potesse fungere da veicolo di trasporto dei principi attivi nel sangue è pura fantasia, per non dire fantascienza. Con buona pace del Maranta.

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Ahahahaha, anche che la vipera, essendo velenosa, doveva contenere al suo interno l'antidoto e che privata di testa e coda e messa nei trocisci poteva, una volta assunta, contrastare altri veleni che dovessero essere stati in qualche modo assunti dal "paziente" è pura fantasia, per non dire fantascienza. Con buona pace di Andromaco ;-) .

Tra le due versioni, entrambe assurde, preferisco di gran lunga quella del Maranta perché introduce un concetto, il "drug carrier", che è modernissimo. Siamo agli anticorpi monoclonali, all'interazione recettoriale, al tentativo di riuscire a portare in modo mirato l'antiblastico solo alle singole cellule neoplastiche; e il fatto di aver pensato una cosa del genere nel 1572 è straordinario.

La teriaca è un assurdo terapeutico, ha solo il primato di essere il farmaco più longevo del mondo.

E lo stesso si può dire per la mumia, il bezoar, il corno di unicorno, il sangue, o il cranio, o il grasso umano, l'olio di scorpioni del Mattioli, l'elettuario di gemme di Mesue, praticamente tutti i rimedi che seguono la teoria della signatura, e via di seguito, ossa di cuore di cervo, corna di alce, zoccoli di cervo, testicoli di iena, sterco, mestruo, cerotto di rame con mercurio...

Nessun preparato terapeutico "costruito" secondo i precetti della terapia umorale poteva funzionare, se non per caso, perché era il sistema teorico stesso che era sbagliato. 

La storia dei farmaci antichi è un bel giochino ma, perlopiù, filosofico; è affascinante entrare in quella "forma mentale" e guardare il mondo con quegli occhi. E' interessantissimo seguire il progresso della "scienza" partendo dagli errori della stessa.

Gli errori sono molto importanti, a volte più delle cose giuste, e ci rivelano moltissime cose anche su noi stessi: è possibile che alcune, poche, molte delle nostre certezze di oggi si riveleranno errori domani, non bisogna mai perdere di vista questa cosa, è fondamentale.

Anche il metodo scientifico prevede la continua verifica dei dati già acquisiti alla luce di nuove scoperte.

La biblioteca semiologica, curiosa, lunatica, magica e pneumatica di Umberto Eco conteneva (e contiene ancora, immagino) quasi solo opere sull'errore umano: aveva Copernico e non Galileo, per capirsi, e questo perché sosteneva che si capisce di più dell'uomo dai suoi errori che dai suoi successi.

Mettersi a disquisire se aveva ragione Andromaco o Maranta è un no sense.

A meno che non lo si faccia per gioco :-)

 

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Nessuno sostiene che la vipera veicolasse l’elettuario assunto per os nel sangue.

Nè Andromaco né Maranta avevano alcuna nozione di circolazione sanguigna, che è un concetto alquanto più tardo.

La scoperta della circolazione sanguigna è infatti attribuita a William Harvey che, nel 1628, pubblica il De motu cordis. Anche se  il suo lavoro è preceduto da osservazioni di altri autori.

Probabilmente il primo che intuisce qualcosa in merito alla sola circolazione polmonare è Michele Serveto, che inserisce le sue osservazioni in un testo prevalentemente religioso, la Christianismi restitutio, in circolazione manoscritta dal 1546 e poi pubblicata nel 1552; qualcosa di simile intuiscono anche il Vesalio, il Cesalpino, e in maniera assai più precisa Realdo Colombo, e siamo nel 1559. Resta il fatto che il concetto diventa di pubblico dominio, almeno delle menti più illuminate, intorno alla metà del Seicento.

Maranta ha un concetto molto più “fumoso” della “fabrica del corpo humano”, crede che il veleno penetrato nell’organismo si nasconda in qualche anfratto dello stesso, in attesa di tendere un agguato alla “forza vitale” allo “spirito animale”, ecc. dell’organismo stesso e che la vipera per affinità, avendo “consuetudine col veleno” sia in grado di capire dove il veleno stesso si nasconda all’interno dell’organismo. La vipera ha così la capacità di scovare velocemente il veleno, non dando allo stesso il tempo per compiere il suo “agguato” mortale. Una volta trovato ci penseranno gli altri componenti della teriaca a neutralizzarlo. La vipera rende la teriaca più veloce e più mirata nella sua azione.

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Torno su un altro punto che mi ha convinto poco della faccenda teriaca (anche a costo di passare per "guastafeste", ma una indagine storica dovrebbe basarsi su dati certi o per lo meno sull'incrocio di tutta una serie di evidenze che possano ricostruire quello che purtroppo è andato perduto), e cioè quella delle tessere in bronzo.

Dian dice solo che "Nel nostro civico Museo si conservano delle tessere (specie di medaglie in bronzo del Cinquecento) che PARE fossero designate per ricognizione a quelle autorità, magistrature, od invitati che presenziavano alla confezione della triaca" e poi che ha fatto indagini anche col direttore del museo, cav. Bertoldi, ma che, sostanzialmente, non sono venuti a capo di nulla, salvo identificare lo stemma riportato su una di queste con quello della spezieria allo Struzzo. Probabilmente errando anche in questo, come è stato già analizzato in questo Forum.

Non ho visto il Voltolina ma dalle riproduzioni che avete allegato mi sembra di capire che descriva alcune di queste tessere e che attribuisca lo stemma riprodotto non alla farmacia teriacante ma alla famiglia, all'autorità cui era destinata; nel caso di cui sopra, lo struzzo diventa una cicogna e non è più riferita alla spezieria allo struzzo ma a Giovanni Cicogna. Ma non mi pare aggiunga altre notizie.

Tutto ciò lo avete già discusso nei post precedenti, se può far comodo vado anche a recuperarli e citarli, ma non vorrei appesantire troppo.

A me la storia, dicevo, non convince troppo.

Innanzitutto cosa lega queste tessere alla teriaca? Solo il "pare" del Dian? O il fatto che su una appaia la scritta "FINA"?

La cerimonia era pubblica, e avveniva sulla pubblica piazza. Non vedo necessità di "inviti" per presenziare alla stessa. Oltretutto era una specie di "sagra" una "festa popolare": canti, balli, si mangiava e si beveva; e si produceva un gran polverone. Non so se fosse il genere di spettacolo cui presenziasse volentieri un nobile. E parimenti le autorità preposte all'osservazione che la preparazione avvenisse correttamente (fante di sanità, magistrati veteri, medici e speziali incaricati dai rispettivi collegi) non avrebbero necessitato di un invito.

Se fossero state "emesse" dalla spezieria teriacante avrebbero dovuto riportare l'insegna di questa, ma così sembra non essere.

Possibile che la spezieria le emettesse ad personam? (per Giovanni Cicogna, come vorrebbe il Voltolina?) Ma allora perché esistono in multipli con le stesse iniziali e la stessa data? Erano un numero di posti assegnati al Cicogna?

E, a parte questo, non so bene come funzioni l'emissione di medaglie, ma se fosse solo un "biglietto di ingresso" perché non utilizzarlo cartaceo, se serve solo quel giorno lì ne ho d'avanzo. Fondo in bronzo una cosa che deve durare e se deve durare dovrebbe celebrare chi la fonde, quindi la spezieria. E torniamo al discorso di prima.

Poi, passi quella che riporta la data 6 maggio 1581, maggio è una data plausibile per la preparazione della teriaca (in realtà si preparava anche in altri periodi dell'anno, ad es. settembre, ma nei periodi d'oro la si preparava 2/3 volte all'anno e maggio era probabilmente il periodo migliore) ma quella con scritto 1555-1560 che senso ha?

Non so se qualcun altro abbia fatto questo genere di ragionamenti, magari trovando qualche risposta plausibile, magari provandoci si trova il bandolo della matassa. Per ora la vedo una faccenda alquanto intricata.

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Supporter
Il 15/3/2017 at 22:28, Spicier dice:

.......E lo stesso si può dire per la mumia, il bezoar, il corno di unicorno, il sangue, o il cranio, o il grasso umano, l'olio di scorpioni del Mattioli, l'elettuario di gemme di Mesue, praticamente tutti i rimedi che seguono la teoria della signatura, e via di seguito, ossa di cuore di cervo, corna di alce, zoccoli di cervo, testicoli di iena, sterco, mestruo, cerotto di rame con mercurio...

 

Buona serata

Oggi lo sappiamo .... allora no e ci credevano e davano una valenza ad alcuni ingredienti, tale che questi venivano usati per le applicazioni più disparate e che oggi fanno sorridere.

Essendo questo un forum di numismatica, giusto evidenziare quanto ad essa correlato e riallacciandomi alla tua precedente, posso dirti che anche nella zecca di Venezia, nel procedimento di coppellazione fatto per saggiare l'argento, si procedeva come segue

Per saggiare un’oncia d’argento, così come per effettuarne la raffinazione si dovevano impiegare quattro once di piombo che venivano per prime fatte fondere nella coppella. Era questa uno speciale crogiuolo fragile e poroso che probabilmente poteva essere usato per un’unica operazione ed era realizzato da una miscela di cenere filtrata e ricotta su carboni e poi successivamente impastata con ossa ed acqua.

Effettuato lo stampo a forma di coppa, veniva fatto essiccare e successivamente l’interno veniva rivestito con cenere di ossa di cervo o capretto misto a borace e smeriglio d’Alessandria, così da impedire all’argento di incrostarsi al suo interno durante le operazioni di fusione.

Perché di cervo o capretto e non di manzo piuttosto che di maiale? Non lo so .... forse avevano sperimentato che queste erano migliori, ma forse c'erano motivazioni che andavano ben oltre comprovate leggi fisiche/chimiche.

In ogni caso il risultato era ottimo, tanto da consentirgli di ottenere una raffinazione del metallo molto prossima al 99%

saluti

luciano 

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Supporter
4 ore fa, Spicier dice:

Non ho visto il Voltolina ma dalle riproduzioni che avete allegato mi sembra di capire che descriva alcune di queste tessere e che attribuisca lo stemma riprodotto non alla farmacia teriacante ma alla famiglia, all'autorità cui era destinata; nel caso di cui sopra, lo struzzo diventa una cicogna e non è più riferita alla spezieria allo struzzo ma a Giovanni Cicogna. Ma non mi pare aggiunga altre notizie.

Posso dirti che il Voltolina non attribuisce queste tessere alla famiglia Cicogna, in quanto compare il loro stemma gentilizio, ma specificatamente a Giovanni Cicogna, poiché speziale.

Si può dedurre che Giovanni Cicogna, in quanto speziale, avesse a che fare con la Teriaca poiché la sua attività glielo consentiva? Non lo so, però potrebbe essere che fosse uno degli operatori che la preparavano, pur se il prodotto veniva poi marchiato con il nome di una tal spezieria; oppure era semplicemente il proprietario di una spezieria; oppure nel periodo che compare sulle tessere aveva presieduto qualche magistratura che aveva a che fare con il preparato, oppure chissà per quale altro motivo.....

Certamente non fungeva da biglietto; io credo che dovesse avere funzioni differenti, forse un gadget che il Cicogna aveva fatto fare per darlo agli amici od ai migliori clienti.

Potrebbe essere che il Cicogna avesse prepagato la teriaca alla spezieria e con la consegna della tessera, al latore, veniva consegnata una confezione più grossa o più piccola a seconda delle dimensioni della tessera. Il Voltolina ne riporta 2 di differenti dimensioni. Quindi una regalia da dare a qualcuno.

Tutte ipotesi, caro "Spicier" e il condizionale è d'obbligo, ma per un nobile, a Venezia, fare coniare tessere e gettoni era l'unico modo per darsi "lustro", giacché nella Serenissima erano aborriti i titoli nobiliari e tutti i nobili, che non avessero cariche di governo da richiamare, erano indistintamente chiamati con il prefisso "ser" o "illustrissimo".

saluti

luciano

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2 ore fa, 417sonia dice:

Buona serata

Oggi lo sappiamo .... allora no e ci credevano e davano una valenza ad alcuni ingredienti, tale che questi venivano usati per le applicazioni più disparate e che oggi fanno sorridere.

Essendo questo un forum di numismatica, giusto evidenziare quanto ad essa correlato e riallacciandomi alla tua precedente, posso dirti che anche nella zecca di Venezia, nel procedimento di coppellazione fatto per saggiare l'argento, si procedeva come segue

Per saggiare un’oncia d’argento, così come per effettuarne la raffinazione si dovevano impiegare quattro once di piombo che venivano per prime fatte fondere nella coppella. Era questa uno speciale crogiuolo fragile e poroso che probabilmente poteva essere usato per un’unica operazione ed era realizzato da una miscela di cenere filtrata e ricotta su carboni e poi successivamente impastata con ossa ed acqua.

Effettuato lo stampo a forma di coppa, veniva fatto essiccare e successivamente l’interno veniva rivestito con cenere di ossa di cervo o capretto misto a borace e smeriglio d’Alessandria, così da impedire all’argento di incrostarsi al suo interno durante le operazioni di fusione.

Perché di cervo o capretto e non di manzo piuttosto che di maiale? Non lo so .... forse avevano sperimentato che queste erano migliori, ma forse c'erano motivazioni che andavano ben oltre comprovate leggi fisiche/chimiche.

In ogni caso il risultato era ottimo, tanto da consentirgli di ottenere una raffinazione del metallo molto prossima al 99%

saluti

luciano 

Buonasera,

nel caso dei "farmaci" invece il risultato era scadente.

Tanto è vero che quando si guariva lo si faceva nonostante l'intervento del medico e dello speziale. La maggior parte dei rimedi erano inutili o, quando andava bene, blandi palliativi ma non pochi erano pericolosissimi e assai peggiorativi dal punto di vista della prognosi del paziente.

Per cui sarei abbastanza tranquillo che a giustificarne l'uso non c'erano "saperi antichi" che oggi abbiamo perso. 

Dal punto di vista farmaceutico quasi tutto quello che ha un senso è stato scoperto/sintetizzato negli ultimi due secoli e se si pensa che la penicillina è del 1929, con poche eccezioni, restringerei il campo a meno di un secolo. 

Avendo coscienza di ciò, da un punto di vista filosofico/culturale è un campo interessantissimo.

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1 ora fa, 417sonia dice:

Posso dirti che il Voltolina non attribuisce queste tessere alla famiglia Cicogna, in quanto compare il loro stemma gentilizio, ma specificatamente a Giovanni Cicogna, poiché speziale.

Si può dedurre che Giovanni Cicogna, in quanto speziale, avesse a che fare con la Teriaca poiché la sua attività glielo consentiva? Non lo so, però potrebbe essere che fosse uno degli operatori che la preparavano, pur se il prodotto veniva poi marchiato con il nome di una tal spezieria; oppure era semplicemente il proprietario di una spezieria; oppure nel periodo che compare sulle tessere aveva presieduto qualche magistratura che aveva a che fare con il preparato, oppure chissà per quale altro motivo.....

Certamente non fungeva da biglietto; io credo che dovesse avere funzioni differenti, forse un gadget che il Cicogna aveva fatto fare per darlo agli amici od ai migliori clienti.

Potrebbe essere che il Cicogna avesse prepagato la teriaca alla spezieria e con la consegna della tessera, al latore, veniva consegnata una confezione più grossa o più piccola a seconda delle dimensioni della tessera. Il Voltolina ne riporta 2 di differenti dimensioni. Quindi una regalia da dare a qualcuno.

Tutte ipotesi, caro "Spicier" e il condizionale è d'obbligo, ma per un nobile, a Venezia, fare coniare tessere e gettoni era l'unico modo per darsi "lustro", giacché nella Serenissima erano aborriti i titoli nobiliari e tutti i nobili, che non avessero cariche di governo da richiamare, erano indistintamente chiamati con il prefisso "ser" o "illustrissimo".

saluti

luciano

Anche qui è tutto abbastanza fumoso, l'unico Cicogna speziale sembrerebbe tale Marco, ma siamo nel Trecento.

E le altre tessere? Mi paiono alquanto difficili da mettere in relazione a spezierie teriacanti.

E quanto costava "coniare" queste tessere? Poteva avere un senso solo per utilizzarle come "buono d'acquisto?

E le date? 1555 1560 cosa voleva dire, che avevi 5 anni per spenderle? Mah

Resto assai perplesso

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Buongiorno,

sostanzialmente due sono le cose che mi lasciano perplesso: la prima la "necessità" di coniare un manufatto in bronzo per qualsivoglia delle funzioni che, secondo Dian, PARE  avessero; e la seconda, ancora più importante, che non siano riconducibili in maniera netta né alla teriaca né, soprattutto, alla spezieria teriacante da cui erano state prodotte o a cui erano comunque riferibili.

L'insegna per la spezieria era importantissima, era il brand, il valore aggiunto. Tanto è vero che era possibile il commercio delle insegne anche avulse dall'azienda cui si riferivano. Era possibile cedere a terzi il proprio "logo", la propria "marca", la propria insegna, anche senza cedere la spezieria cui era collegata. L'insegna era in qualche misura più importante della spezieria stessa.

L'insegna appare sui foglietti volanti illustrativi della teriaca, sui contenitori della teriaca, sia quelli in vendita sia quelli depositati come campione di riferimento; compare sul foglio che veniva compilato da ogni speziale con la lista degli ingredienti usati e il giorno in cui la teriaca veniva preparata; compare perfino sui componenti della teriaca già in precedenza allestiti, quali i fasci di vipere.

In altre parole compare su tutto quello che con la preparazione dell'elettuario aveva a che fare.

Possibile che non comparisse su un oggetto del genere, fuso in bronzo con l'evidente intento che si conservasse il più a lungo possibile?

 

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Buona giornata

il tappino presente nella prossima asta Artemide, è uno spettacolo!

https://www.artemideaste.com/auction/view/506/742

saluti

luciano

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Supporter

Salve

Rispondo agli amici numismatici ‘triacanti’ che mi hanno chiesto le basi scientifiche del mitridatismo, termine con il quale oggi si intende in medicina una particolare forma di resistenza acquisita a veleni introdotti a dosi dapprima minime e poi progressivamente crescenti per via orale, come fece ai tempi Mitridate VI dal quale il fenomeno ha preso nome. Il significato biologico è che una sostanza somministrata anche a dosi minime per lungo tempo all'organismo, finisce per provocare delle reazioni di adattamento che si oppongono ai suoi effetti, farmacologici o tossicologici che siano, per dosi sempre più elevate. Premesso che una sostanza assunta per via orale deve essere assorbita e raggiungere la circolazione sistemica per svolgere la propria azione e che l’assorbimento ha luogo prevalentemente nel tratto intestinale, uno dei meccanismi di adattamento e di difesa dell’organismo è la diminuzione dell’assorbimento intestinale della sostanza tossica. Altri meccanismi sono l’aumento della quantità di enzimi catabolici del sistema microsomiale epatico che inattivano il veleno trasformandolo in metaboliti inattivi non tossici e l’aumento dell’eliminazione, per esempio renale, della sostanza tossica passata nel sangue.

Oggi i farmacologi preferirebbero forse definire il fenomeno con il termine di desensibilizzazione o tolleranza, fermo restando che il significato biologico è però quello del mitico mitridatismo.

Si noti per inciso che un tipico caso analogo è quello dell’arsenico, in quanto nelle persone che ne fanno uso prolungato si stabilisce una colite cronica (colite arsenicale) che ostacola l’assorbimento proteggendo in questo modo l’organismo. Tuttavia l’arsenico mantiene la sua tossicità se introdotto per altra via, a dimostrazione dell’assenza di fenomeni immunitari nella difesa dall’avvelenamento da arsenico.

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C'è da dire che quella di Mitridate è in buona sostanza una leggenda. 

Veleni e sostanze tossiche sono potenzialmente in numero infinito (anche gli alimenti o i farmaci, a dosi eccessive, diventano  veleni) per cui, anche qualora il discorso fosse sempre valido, occorrerebbe assumere una infinità di sostanze per garantirsi l'immunità da tutto. Che poi, più che immunità sarebbe solo una minore suscettibilità, la necessità di dosi maggiori perché il veleno compia il suo effetto.

In effetti, poi, non sono molte le sostanze che rispondono a questo tipo di trattamento.

Una molto comune è l'alcol etilico che viene metabolizzato da un'alcol deidrogenasi substrato indotta, nel senso che se nell'organismo è presente spesso etanolo, magari in grandi quantità, l'organismo comincia a produrre alcol deidrogenasi in quantità maggiore. Motivo per cui un forte bevitore "regge" l'alcol molto meglio di una persona di eguali caratteristiche che sia astemio.

La desensibilizzazione funziona bene con alcuni allergeni e possiamo vedere delle analogie col meccanismo dell'immunizzazione indotta da vaccini. Con la vaccinazione si introducono nell'organismo virus o batteri in qualche modo inattivati o, sempre più spesso, solo delle frazioni di questi, le frazioni che contengono i recettori responsabili dell'interazione col sistema immunitario della persona vaccinata.

Il sistema immunitario del vaccinato impara così a difendersi da un microrganismo privato delle sue armi aggressive.

Una volta imparato questo sistema di difesa, sarà poi in grado di reagire ad una attacco vero e proprio dell'agente patogeno, impedendo alla persona di ammalarsi o comunque portando ad una patologia molto meno aggressiva e di più breve risoluzione.

Nel caso dei veleni veri e propri invece una somministrazione continua a piccole dosi non protegge da un avvelenamento acuto ma determina un avvelenamento cronico. Il caso tipico è il "Cappellaio Matto" di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tutti i cappellai, un tempo erano "matti" perché trattavano il feltro dei cappelli con vapori di mercurio e quindi soffrivano di una intossicazione, di un avvelenamento cronico da mercurio che, tra le altre cose, determina lesioni a livello del sistema nervoso.

Altri esempi possono essere il saturnismo e tutta una serie di patologie professionali che in passato, per scarse conoscenze e soprattutto per una ridotta sensibilità nei confronti della problematica, erano assai comuni

 

 

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Supporter

Risalve

Segnalo agli stessi amici numismatici ‘triacanti’ che mi han chiesto le basi scientifiche del mitridatismo qual è l’opinione della prof. Luigia Favalli, docente di Farmacologia Applicata della Facoltà di Farmacia presso l’Università di Pavia.

 

MITRIDATISMO: il mito e la scienza

Oggi i farmacologi preferirebbero forse definire il fenomeno con il termine di desensibilizzazione o tolleranza. Il significato biologico è però quello del mitico mitridatismo: una sostanza somministrata, anche a dosi minime, per lungo tempo all'organismo finisce per provocare delle reazioni di adattamento che si oppongono ai suoi effetti, farmacologici o tossicologici che siano, per dosi sempre più elevate.

Tali meccanismi di adattamento, ormai ben chiariti scientificamente, si rifanno fondamentalmente a tre schemi possibili. Il primo si basa sulle capacità di metabolizzazione degli xenobiotici da parte del sistema microsomiale epatico. Si sa che molti farmaci sono in grado di produrre induzione enzimatica, cioè aumento della quantità di enzimi catabolici presenti in questi organuli. E di conseguenza produrre un potenziamento dei processi di inattivazione e eliminazione di quantità sempre più rilevanti del farmaco stesso o di altre sostanze analoghe. Ciò è reso possibile proprio dal fatto che il sistema degli isoenzimi microsomiali è piuttosto aspecifico e facilmente adattabile alle necessità di detossificazione generale dell'organismo di fronte alle varie sostanze nocive.

Più sofisticate le possibilità di adattamento funzionale o cellulare, che possono coinvolgere modificazioni degli equilibri biochimici o persino della stessa struttura molecolare di membrana delle diverse cellule sottoposte a continua sollecitazione da parte di farmaci o tossine. Gli studi più recenti nel campo della biologia molecolare hanno dimostrato come i siti di legame delle sostanze farmacologicamente attive (veleni compresi) non rappresentino delle entità fisse e immodificabili, m a possano subire anche sensibili variazioni di numero ed affinità. Cosa che finisce per lo più a condizionarne in senso negativo gli effetti.

Particolarmente "intrigante" potrebbe risultare per il farmacologo sperimentale lo studio delle varie ricette del Mitridatum reperibili nei testi degli antichi maestri: per verificarne luci e ombre, verità e fantasie sul loro mitico potere.

A riguardo è interessante ricordare come negli anni '40 il Prof. Mascherpa, Farmacologo di questa Università, abbia riprodotto sulla guida di antichi ricettari numerose preparazioni farmaceutiche, controllandone poi l'attività "…con le tecniche delle moderne indagini biologiche" al fine di appurare la veridicità delle loro vantate azioni terapeutiche. In molti casi il Prof. Mascherpa documentò interessanti conclusioni sperimentali. Ad esempio: alla Cinoglossa contenuta in una ricetta di Mesué compete realmente una valida azione sul respiro; la Salvia del "vino salviato" è in grado di esercitare un effetto sedativo; le pillole purgative di Galeno aumentano realmente la peristalsi intestinale. E così via dall'antico al moderno.

- Da P. Mascherpa, Ricette di antichi rimedi sotto il controllo della tecnica farmacologica moderna. L'Illustrazione del Medico. 1941 - XIX.

 

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Buongiorno a tutti, temo si sia tanto off topic e che ormai la questione tenda ad assumere i connotati di una diatriba , per cui questo sarà il mio ultimo intervento, poi mi taccio :-) .

La prof.ssa Favalli dice, ovviamente, tutte cose corrette, ci mancherebbe, ma cose che non sono assolutamente in contrasto con quanto ho detto io.

Il meccanismo in questione è noto e scientificamente provato però, come scrivevo sopra:

a. funziona con alcune sostanze e non con altre;

b. può dar luogo a tossicità cronica

c. è praticamente inapplicabile (almeno per i fini perseguiti da Mitridate), e anzi spesso risulta più un problema che un'opportunità.

E' un problema, ad esempio che alcune cellule neoplastiche "imparino" ad inattivare o anche solo ad espellere alcuni farmaci antitumorali che facciamo loro arrivare, perché in questo modo terapie che all'inizio risultano molto promettenti perdono poi gradualmente di efficacia; oppure, è noto il fenomeno di assuefazione agli oppiacei, per cui persone in trattamento per un problema di dolore cronico si vedono costrette a ricorrere a dosi sempre maggiori di farmaco per ottenere gli stessi risultati in termini di controllo del dolore, con aggravio di effetti collaterali e costi.

Mentre non mi risulta ci siano indizi che i servizi segreti somministrino ai propri agenti quotidianamente arsenico, warfarin,cianuro, stricnina, tetradotossina, polonio, e che magari iniettino loro curari e mix di veleni di serpente, ragni, ecc., in aggiunta a "suffumigi" di iprite, Zyklon B e monossido di carbonio per tutelarli in missione.

Poi se si vuole credere che Mitridate fosse veramente immune a tutti i veleni e che la teriaca sia un farmaco eccezionale, nessun problema. A me qualche dubbio rimane.

Nessuno, o almeno io no, sostiene che tutti i farmaci "antichi" siano inefficaci.

Un purgante antrachinonico era efficace ai tempi di Galeno, ai tempi delle "Pillole di Santa Fosca" come oggi (magari abbiamo eliminato scammonea e gialappa perché troppo drastiche, ma frangula, cassia e senna vanno benissimo),

così come la cicuta funzionava ai tempi di Socrate come oggi.

E magari ci ammazzano gli agenti di cui sopra proprio con quella, sarebbe un peccato dopo tutto quello che gli avevamo dato per proteggerli :-)

 

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Buon pomeriggio

Per gli amici numismatici ‘triacanti’ interessati alla composizione del mitridato, questa è la ricetta tramandata da Avicenna.

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Notare la presenza di un componente di origine animale, il Castoreo, costituito dalle ghiandole sebacee presenti nella cavità inguinale dei castori (maschi e femmine) che secernono un liquido oleoso, utile peri dolori colici ed uterini e come lassativo.

La tradizione popolare voleva si trattasse dei testicoli del castoro. Tale ingrediente assunse sicuramente significati esoterici e magici in età medioevale, come si può notare da questo scritto ritrovato in un bestiario medioevale:

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Dal mitridato alla teriaca di Andromaco il Vecchio (54 d. C.).

Andromaco il Vecchio, medico personale di Claudio Nerone, volle aggiungere al mitridato la carne di vipera al fine di esaltare la sua valenza di antidoto contro i veleni di natura esogena ed endogena, motivando la sua decisione con l’entimema: “… se la vipera riesce a sopportare il suo stesso veleno, è evidente che la sua carne possiede il giusto antidoto …”.

I componenti della teriaca di Andromaco sono elencati in tabella.

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Da questo momento il mitridato venne chiamato teriaca, e di essa s’interessò con convinzione al tempo di Marco Aurelio il medico latino Galeno di Pergamo (129 d. C.) che studiò prima nella sua patria, in Grecia, per poi giungere a Roma dove svolse un’intensa e proficua attività di medico pratico e di scrittore. Le sue opere giunte fino a noi consistono in 102 scritti di cui 19 dubbi, e 15 commentari.

I libri che riguardano da vicino l’argomento sono " Degli antidoti I e II" e "Della Teriaca”.  Galeno suddivise gli antidoti in tre gruppi principali: (a) quelli che potevano servire contro il morso degli animali velenosi; (b) quelli contro i veleni somministrati per bocca; (c) quelli contro le indisposizioni in senso lato.

“Teriaca” era il nome dato al gruppo di antidoti contro il morso di animali velenosi, composti prevalentemente da vegetali, da sostanze animali e talvolta da minerali, mentre vino e miele costituivano gli eccipienti, cioè i veicoli delle altre componenti, ai quali era deputata anche un'azione energetica e stimolante.

Da notare che il termine ‘teriaca’ era già in uso prima della scoperta del mitridato, precisamente negli ambienti medici di Alessandria d’Egitto nel IV-III secolo a. C. Una delle teriache più antiche è quella utilizzata da Antioco III il Grande re di Siria dal 224/223 al 187 a. C., che, come Plinio ci trascrive nell’Historia Naturalis, era utilizzata contro i morsi di tutti gli animali velenosi eccettuato il cobra. La composizione si trova scolpita in versi su una lapide all’ingresso del tempio di Asclepio nell’isola di Cos, dove era usanza incidere nel bronzo degli arredi o nel marmo la ricetta dei rimedi di utilità generale perché tutti potessero usufruirne.

Dall’originale funzione di contravveleno, le indicazioni erano progressivamente aumentate fino a comprendere la cura di varie malattie come l’epilessia, la peste, le pleuriti, ecc. Inoltre, alla fine del 1500, era diventata convinzione diffusa che l’antidoto rafforzasse il cuore e il suo spirito, liberasse i corpi dai malefici, ridonasse l'appetito, sanasse le emicranie antiche, curasse le vertigini e la sordità, risvegliasse la sessualità, controllasse la pazzia e infine preservasse il corpo dall'infezioni quali la lebbra e la peste.

Ma la teriaca era veramente un farmaco prodigioso oppure una bufala colossale? Una risposta si può trovare nell’articolo di S. Signorelli et al. pubblicato su Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111.

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