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  1. ARES III

    Misteriosa scatola in pietra

    Scavi nel sotterraneo. Trovano una scatola di pietra con 9 scomparti. Studiano il contesto. A cosa poteva servire. Ipotesi? Nella foto: la strada terrazzata della città di Davide, la scatola e gli archeologi.@ Foto di Emil Algam, Autorità per le Antichità Un’enigmatica e rara scatola di pietra del periodo del Secondo Tempio, scoperta negli scavi dell’Autorità per le Antichità nella Città di David, è esposta al pubblico per la prima volta, in queste ore, al Museo di Israele Il contenitore a nove scomparti risale a circa 2.000 anni fa. Il manufatto, insolito nella sua progettazione, è stato scoperto negli scavi dell’Autorità per le Antichità nella Città di David nel Parco Nazionale attorno alle mura della Vecchia Gerusalemme, finanziati dall’Associazione Elad e in collaborazione con il Ministero del Patrimonio. “La scatola – dice l’autorità israeliana per l’antichità – è di forma quadrata, misura 30×30 cm ed è realizzata in pietra calcarea tenera (Kirton) lavorata da uno scultore. E’ divisa in nove celle quadrate, simili per dimensioni e volume. I lati dell’oggetto, scoperto negli scavi lungo la strada a gradini della città A David in uno strato di rovine della fine del periodo del Secondo Tempio, anneriti, e sembra essere stato bruciato durante gli eventi della Grande Rivolta che portarono alla distruzione di Gerusalemme. Il vaso a nove scomparti fu scoperto tra i resti di un edificio che sorgeva accanto alla strada a gradini e che veniva utilizzato come negozio”. I ricercatori ipotizzano che il contenitore fosse utilizzato per attività commerciali e per la presentazione di merci in quantità piccole e misurate. Forse contenevano droghe e spezie? Secondo i responsabili degli scavi, il dottor Yuval Baruch e Ari Levy dell’Autorità per le Antichità, “negli scavi della strada terrazzata, dove è stato scoperto il vassoio, sono stati rinvenuti anche molti altri oggetti che testimoniano la vivace attività commerciale. Sono stati rinvenuti, tra l’altro, recipienti per la conservazione di vasellame e vetreria, impianti di produzione mobili e fissi, attrezzature per cucinare, strumenti per misurare i volumi, monete e numerosi pesi in pietra, di vario valore, a testimonianza dell’attività commerciale di un vivace mercato urbano che operava lungo la strada. La strada, che era la strada principale della città 2000 anni fa, era utilizzata dai pellegrini e collegava la Piscina di Shiloh al Monte del Tempio. Sembra, quindi, che anche il vaso con le celle sia legato all’attività commerciale che si svolgeva sulla strada.” Il sistema economico e commerciale che operava a Gerusalemme durante il periodo del Secondo Tempio era di natura simile a quello esistente nelle altre città del mondo romano. Era un’economia basata sulla produzione locale di beni di consumo e sulla loro vendita nei mercati, insieme all’importazione di altri prodotti, alcuni anche esotici. Nel frattempo, c’erano anche aspetti particolari del commercio a Gerusalemme, che veniva condotta come città del tempio. Molti aspetti della vita quotidiana e del commercio erano condotti alla luce del tempio, e ciò si esprime, in particolare, nell’estrema severità degli abitanti della città e della Francia sulle leggi di impurità e purezza. Per questo è stato addirittura istituito il detto “una violazione della purezza in Israele”. Tra i reperti archeologici distinti che rappresentano il fenomeno, spiccano gli strumenti in pietra, migliaia dei quali furono scoperti negli scavi in tutta la città antica e nei suoi dintorni. Le ragioni per utilizzare strumenti fatti di pietra sono halachiche e affondano le loro radici nel riconoscimento halachico che la pietra, a differenza degli strumenti fatti di argilla e metallo, non riceve impurità. Per questo motivo è stato possibile addirittura utilizzare gli strumenti di pietra nel tempo e ciclicamente. Sembra, quindi, che la scatola di pietra con le celle della Città di Davide sia anche legata in un modo o nell’altro alla peculiare economia di Gerusalemme, quella che veniva condotta all’ombra del tempio e sotto la stretta osservanza delle leggi di impurità e purezza. Per questo motivo può anche essere considerato un distinto reperto di Gerusalemme. Lo dicono Levy e il dottor Baruch. Ma a cosa serviva lo strumento con le cavità cubiche? Frammenti di un oggetto simile furono scoperti circa 50 anni fa dall’archeologo Nachman Avigad negli scavi del quartiere ebraico, e furono da lui scherzosamente chiamati “ciotola di cracker“. Questo soprannome “si attacca” all’oggetto e da allora viene utilizzato anche da alcuni ricercatori che si occupano dell’argomento. Da allora sono stati rinvenuti altri frammenti di questo tipo di vaso, tutti a Gerusalemme, e soprattutto negli scavi della Città di David, ma quello recentemente scoperto è l’unico esemplare completo conosciuto nella ricerca archeologica. Eppure, in questa fase della ricerca, la risposta all’enigma del manufatto e del suo utilizzo rimane ancora senza risposta. ** Secondo Dodi Mbaruch, curatore senior della Divisione Archeologica del Museo di Israele , “La scatola è stata trovata rotta in molti pezzi con parti mancanti. I frammenti sono stati trasferiti al Laboratorio di Conservazione degli Artifatti del Museo di Israele, dove sono stati conservati e restaurati da Victor Uziel -. I nostri laboratori di conservazione, sanno ricevere reperti frantumati direttamente dal territorio e portarli dalla “modalità scavo alla modalità esposizione”.Abbiamo collocato la scatola nella nostra esposizione permanente, insieme ad un gruppo dei reperti spettacolari provenienti dalle lussuose case di Gerusalemme risalenti alla fine del Secondo Tempio – arazzi colorati, lampadari e magnifici vasi di gres e metallo – siete invitati a venire a vederli”. https://stilearte.it/scavi-nel-sotterraneo-trovano-una-scatola-di-pietra-con-9-scomparti-studiano-il-contesto-a-cosa-poteva-servire-ipotesi/
  2. gpittini

    Quel che resta di Baldovino 3°

    DE GREGE EPICURI Ho un amico in Francia che riesce a convincermi agli scambi più assurdi; questa volta, credo proprio di essermi fatto buggerare. Ma..il Regno di Gerusalemme...i regni crociati...come si fa a resistere? Pesa 0,35 g. e le manca un bel pezzettino. Si tratterebbe di un obolo, classificato Metcalf 165 e Schl. (= Schlumberger?) III, 24. Sarebbe raro. Questo Regno di Gerusaleme durò dal 1099 al 1162, questa moneta dovrebbe collocarsi intorno al 1150. Questo Baldovino III (sempre notizie dell'amico) appartiene alla dinastia dei Gatinais-Anjou, e regnò dal 1143 al 1162. Da un lato una croce ("croix pattée") e la scritta (+D)E IE(RU)SALEM. Dall'altro lato, l'immagine che potrebbe essere più interessante, e che però si vede male: la Torre "detta di Davide". Io riesco a vedere tre rettangoli, abbastanza ravvicinati, di cui uno grande e due piccoli. La scritta circolare, che si vede poco, recita: RE(X) BAL(DINU)S. Per caso, qualcuno riesce a trovare l'immagine di una bella moneta?
  3. Gerusalemme: scoperte nuove tracce paleocristiane al Santo Sepolcro Missione archeologica dell'Università "La Sapienza" di Roma porta alla luce nuovi manufatti e tratti di muratura mai visti prima La basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme I lavori di scavo nell'area immediatamente antistante l'Edicola nel complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove si ritiene sia stato sepolto Gesù, hanno portato alla luce tracciati paleocristiani, nuovi manufatti e tratti di muratura mai visti prima. Le ricerche sono state condotte sotto la guida della professoressa Francesca Romana Stasolla del Dipartimento di Scienze dell'Antichità dell'Università "La Sapienza" di Roma nell'ambito del programma di restauro del pavimento della basilica. Lo scavo, spiega un comunicato della Custodia di Terra Santa, ha consentito di rivenire l'articolazione paleocristiana della sistemazione dell'Edicola, alla quale si accedeva tramite due gradini in marmo bianco. Davanti ad essa, si estendeva una pavimentazione in lastre litiche, della quale si sono rinvenute le tracce nella malta di preparazione; di esse è ora possibile ricostruire le misure e l'andamento. La pavimentazione proseguiva per circa 6 metri verso est, fino a congiungersi con un piano di grandi blocchi litici bianchi, ben lisciati, disposti con andamento nord-sud. Questa sistemazione rappresenta l'aspetto finale della Rotonda alla fine del IV secolo, come viene datato dal ripostiglio monetale rivenuto al di sotto della preparazione pavimentale in lastre litiche e che ha come ultime emissioni le monete dell'imperatore Valente (364-378). Il rinvenimento di tratti di muratura anteriori la fine del IV secolo conferma la presenza di forme di organizzazione della Rotonda nel corso del secolo, ancora da ricostruire nella loro interezza. Sono inoltre emersi i resti della base della balaustra della recinzione liturgica cinquecentesca, rimasta in uso fino ai rifacimenti ottocenteschi. https://www.avvenire.it/agora/pagine/gerusalemme-scoperte-nuove-tracce-paleocristiane-nella-basilica-del-santo-sepolcro Gerusalemme: così si visitava il Sepolcro di Gesù nel IV secolo Il restauro in corso del pavimento della basilica del Santo Sepolcro ha permesso di effettuare nuovi rilievi archeologici che confermano quanto questo luogo fosse già frequentato in era paleocristiana e la precisione delle descrizioni lasciate dalla pellegrina Egeria. Gerusalemme (AsiaNews) – Nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme il restauro in corso del pavimento è l’occasione per condurre ulteriori scavi in questo luogo fondamentale per la storia del cristianesimo. La Custodia di Terra Santa ha diffuso ieri una nota e alcune immagini sull’attività archeologica svolta nell’area immediatamente antistante l’Edicola del sepolcro di Gesù, che per 7 giorni e 7 notti nel mese di giugno è stata chiusa propria per effettuare questi lavori. Lo scavo - condotto dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma La Sapienza diretto da Francesca Romana Stasolla - ha consentito di comprendere come era sistemata quest’area nel IV secolo dopo Cristo. All’Edicola del sepolcro, nella Rotonda fatta costruire dall’imperatore Costantino, si accedeva tramite due gradini in marmo bianco (nella foto). Davanti ad essa, si estendeva una pavimentazione in lastre litiche, che proseguiva per circa 6 m verso est, verso l’area dove si trovavano il triportico costruito intorno alla roccia del Calvario e la grande basilica. Che la sistemazione venuta alla luce con gli scavi rappresenti l’aspetto finale della Rotonda alla fine del IV secolo, è confermato da uno scrigno di monete emesse dall’imperatore Valente (364-378), sepolto sotto il pavimento come era usanza fare allora in occasione di opere importanti. E questa datazione è rilevante: è una conferma, infatti, dell’attendibilità del racconto tramandato da Egeria, la pellegrina romana che pochi anni dopo nel suo Itinerarium descrisse il viaggio da lei compiuto nel Luoghi Santi. Tra gli altri ritrovamenti interessanti di questo scavo appena concluso c’è anche un frammento di rivestimento parietale, con ogni probabilità proveniente proprio dall’Edicola del sepolcro: è ricco infatti di graffiti lasciati dai pellegrini in varie lingue, fra le quali il greco, il latino, l’armeno. Si presuma risalga al XVIII secolo, dal momento che all’Ottocento risale la sistemazione attuale. Infine rilievi interessanti sono emersi anche dalla rimozione del pavimento interno alla tomba: “In sezione - scrivono gli archeologi - è visibile una precedente pavimentazione marmorea di età medievale, quindi la lavorazione della roccia stessa, con tracce di frequentazione intensa che l’hanno resa estremamente liscia”. Un dato che conferma come il Santo sepolcro fosse molto venerato già nei primi secoli. È stata inoltre “rintracciata e documentata parte del fondo di una camera funeraria analoga a quelli rinvenuti nella porzione nord della Rotonda, riempita e sistemata per favorire la frequentazione da parte dei pellegrini fin dal periodo paleocristiano”. La tomba di Gesù, dunque, in origine si trovava accanto ad altre in un quello che non avrebbe mai potuto diventare un luogo di culto in un contesto ebraico.
  4. ARES III

    I monili d’oro di Monte Scopus

    Israele: esposti per la prima volta dopo 50 anni i monili d’oro di Monte Scopus In occasione della 48esimo Congresso Archeologico organizzato dall’Israel Antiquities Authority, assieme all’Israel Exploration Society e alla Israel Archaeological Association, per la prima volta dal 1971 – quando furono scoperti – sono stati esposti i monili d’oro provenienti da una tomba del Monte Scopus, a nord-est di Gerusalemme. Si tratta di un’occasione davvero unica: studiati per più di 50 anni dopo il loro rinvenimento, avvenuto per mano di una missione archeologica guidata da Yael Adler per il Dipartimento di Antichità israeliano, finalmente i gioielli possono raccontare al grande pubblico la storia di chi li indossava. Infatti, nell’ambito del progetto “Publication of Past Excavations Project”, diretto dal Dott. Ayelet Dayan, dal Dott. Ayelet Gruber e dal Dott. Yuval Baruch del Israel Antiquities Authority, gli studiosi hanno potuto pubblicare la storia di questi monili. Orecchini d’oro, una forcina per capelli, un ciondolo d’oro e perline d’oro, perle di corniola e di vetro provengono dalla sepoltura di una giovane donna e portano il simbolo di Luna, divinità romana: questo dettaglio fa pensare che i gioielli fossero portati per tutto il corso della vita della fanciulla, per poi accompagnarla anche durante la morte. Gli orecchini provenienti dal corredo funebre della giovane fanciulla, ph. Emil Aladjem Non deve stupire che a Gerusalemme – o Aelia Capitolina in età romana -, nella tarda antichità, si trovasse il culto di Luna: infatti, dopo il I secolo d.C., molte persone provenienti da diverse parti dell’Impero si stabilirono nella colonia, portando con sé culti e tradizioni, tra cui appunto quello di Luna, molto apprezzato dalle giovani ragazze. Inoltre, questo corredo sembrerebbe simile ad un altro gruppo di gioielli rinvenuto nel 1975 dagli scavi sul Monte degli Ulivi diretto dal Prof. Vassilios Tzaferis per conto del Dipartimento delle Antichità. Comprendeva orecchini d’oro, una collana con ciondolo a forma di luna e una forcina d’oro, si trattava forse di una moda seguita dalle ragazze di élite elevata che accompagnava il più profondo culto della dea lunare. Collana con ciondolo dal corredo funebre, ph. Emil Alajdem Dettaglio del ciondolo, ph. Emil Aladjem https://mediterraneoantico.it/articoli/archeologia-classica/israele-esposti-per-la-prima-volta-dopo-50-anni-i-monili-doro-di-monte-scopus/
  5. Salve a tutti, trovai questa moneta 40 anni fa circa nella villa Comunale di Chieti, durante una delle innumerevoli scorribande di noi amici ricercatori. L'ho fatta visionare ad un mio amico esperto di araldica e di storia e ha azzardato l'ipotesi che possa trattarsi di una moneta risalente all'epoca della Prima crociata (1096 -1099 ) o lustri seguenti (Re Baldovino). Alla mia domanda su che correlazione potesse esserci tra i crociati e Chieti, lui mi ha detto che i crociati usavano anche i porti pugliesi per andare in Terrasanta. Chieti non è tanto distante dalla Puglia, quindi potrebbe essere plausibile una simile teoria. Moneta persa da un cavaliere templare di Chieti. Tra l'altro ho trovato una citazione su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Cavalieri_templari (allego foto delle righe interessate) nel quale sembra che ci fossero numerosi crociati a Chieti. Comunque mi piacerebbe tanto se qualcuno di voi potesse dirmi qualcosa di più su questa moneta o smentire anche questa ipotesi, qualsiasi cosa!!! La moneta come vedete è molto compromessa sul lato fronte e completamente distrutta sul retro. Grazie.
  6. Salve a tutti. Quest’oggi volevo approfondire un tema storico, forse ultimamente messo un po’ da parte, che riguarda molto da vicino la politica espansionistica di Carlo I d’Angiò (1282 – 1285, come Re di Napoli). Carlo I era di stirpe reale: era infatti figlio del Re di Francia Luigi VIII, mentre suo fratello sarà il futuro San Luigi IX. I suoi rapporti con l’Oriente erano già molto vivi ancor prima di arrivare ad impossessarsi della corona napoletana: nel 1248, infatti, Carlo, con i titoli di Conte d’Angiò, del Maine, di Provenza e Forcalquier, accompagnò suo fratello, il Re Luigi IX, durante la Settima Crociata, in Egitto, governato all’epoca dalla dinastia araba degli Ayyubidi. Questi ultimi, nel 1245, l’anno prima che Carlo fosse elevato a Conte d’Angiò, avevano conquistato Gerusalemme con i suoi luoghi santi, all’epoca ancora oggetto di numerose contese tra mondo cristiano e mondo musulmano. Il loro potere, poi, si era esteso anche in Egitto, costituendo un serio pericolo per le potenze europee che si affacciavano sul Mediterraneo. Inoltre, questa occasione offriva un ottimo pretesto per ritornare in Oriente e ritagliarsi dei possedimenti personali da assoggettare a dinastie cosiddette franche. Dopo un breve scalo a Cipro, tappa obbligatoria per le flotte che dall’Europa si dirigevano in Oriente, Carlo raggiunse l’Egitto nel 1249, partecipando alla vittoriosa conquista di Damietta. Nel febbraio del 1250, però, fu protagonista, insieme al fratello Luigi e ad altri membri della famiglia reale francese, della disastrosa disfatta di Mansura, a seguito della quale sia Luigi IX che Carlo stesso furono annoverati tra i prigionieri dei musulmani, diventando così molto più preziosi per i nemici di ogni possibile bottino di guerra. Infatti, dopo una breve prigionia, sia il Re di Francia che suo fratello Carlo d’Angiò furono rilasciati dietro pagamento di un pesante riscatto. Carlo decise che la sua avventura crociata nei territori dell’Outremer poteva dirsi conclusa: nel 1251 fece ritorno in Francia, anche a seguito di alcune rivolte che si stavano sviluppando nei suoi territori. Negli anni seguenti, Carlo si dedicò agli sviluppi politici della Francia e degli altri Stati limitrofi, intromettendosi in varie questioni ereditarie da cui uscì spesso con il raggiungimento di un proprio tornaconto personale. Non trascorse però molto tempo che Carlo fu invischiato negli affari italiani: nel 1261 era stato eletto al soglio pontificio Papa Urbano IV che era di origini francesi. La situazione politica in Italia non era delle migliori: Manfredi di Svevia, Re di Sicilia, ambiva a conquistare l’Italia intera, il che equivaleva ad una minaccia seria e preoccupante per il pontefice, il quale tentò di ingraziarsi il sovrano svevo intraprendendo la via diplomatica che, ahimè, non portò a nulla di concreto. Così, Urbano IV reagì pesantemente scomunicando Manfredi, il che comportava la perdita di ogni diritto sul trono di Sicilia. Il Regno dell’Italia Meridionale, per antiche norme di diritto feudale, ritornava nelle mani del Papa che ne disponeva al meglio. In questo caso, Urbano decise di affidarne la corona a Carlo d’Angiò, forse con lo scopo di favorire la casata reale della sua terra d’origine. Mentre Carlo si recava a Roma per essere insignito del titolo di Senatore, Urbano IV morì di lì a poco nel 1264. Gli successe Clemente IV che continuò la politica anti-sveva del suo predecessore: egli accolse Carlo con il suo seguito nel 1265 e lo incoronò a Roma Re di Sicilia. Manfredi, intanto si organizzò per l’imminente scontro, poiché non aveva nessuna intenzione di rinunciare ai suoi diritti sul trono siciliano, nonostante fosse ormai ufficialmente decaduto. Da questo momento in avanti, è risaputo cosa avvenne e come Carlo conquistò la corona dell’Italia Meridionale: il suo esercito, forte di quasi 30.000 uomini provenienti dalla Francia, supportato dai Baroni che si erano ribellati a Manfredi, sbaragliò le forze sveve sul fiume Calore nei pressi di Benevento. Era il 26 febbraio 1266 il giorno esatto in cui lo Stato più esteso della penisola italiana assistette all’ultimo bagliore della gloriosa casata sveva e, nello stesso istante, all’ascesa di un nuovo padrone, la cui discendenza, tra bene e male, contribuì allo sviluppo della parte continentale del Regno impegnandosi con uno sforzo senza precedenti. Fu proprio con Carlo I che Napoli fu scelta come capitale del Regno, soprattutto dopo che, con la rivolta dei Vespri Siciliani, la parte insulare dei suoi nuovi possedimenti si era ribellata, scacciando i Francesi visti come despoti votati al sopruso. Ed in effetti la politica di Carlo I, ancor prima di diventare Re, era stata sempre molto dura e, a tratti, dispotica: nel riorganizzare l’assetto amministrativo del Regno appena conquistato con le armi, il sovrano angioino tolse molte delle antiche prerogative alla nobiltà locale per affidarle invece a membri più o meno illustri provenienti da altre parti d’Italia e d’Europa, favorendo con un occhio di riguardo i mercanti ed i banchieri toscani. Il Regno non fu però pacificato del tutto prima del 1268, anno in cui Carlo sconfisse a Tagliacozzo le ultime truppe rimaste fedeli agli Hohenstaufen nella persona di Corradino, nipote di Manfredi. Con la sconfitta e la decapitazione di Corradino a Napoli, Carlo d’Angiò divenne ancor più ferreo nel suo governo: portò alla rovina molti nobili locali per poi sostituirli con i più fedeli tra i Baroni francesi. Gli Svevi, poi, a differenza degli Angioini, avevano sempre mantenuto ottime relazioni pacifiche con gli Arabi, il che aveva scatenato l’ira di più di un pontefice. Con l’avvento di Carlo I a Napoli le cose cambiarono e fu in questo momento che il Nostro, dopo aver assicurato la stabilità nei suoi nuovi territori, pose rinnovata curiosità verso l’Oriente. Luigi IX, nonostante l’esito estremamente negativo registrato alla fine della Settima Crociata, spinto dalle sue convinzioni religiose e da una fedeltà al Papa quasi fanatica, era già pronto ad intraprendere quella spedizione, questa volta contro la Tunisi del califfo al-Mustansir, che sarebbe passata alla storia come Ottava Crociata. Ed anche questa volta il buon Carlo vi partecipò: i motivi della sua partecipazione, poco entusiasta a causa forse della prigionia subita verso la metà del XIII secolo in Egitto, si devono probabilmente ricercare nel fatto che, da Tunisi, al-Mustansir, vecchio alleato di Manfredi e quindi nemico del nuovo Re Carlo, poteva tenere sotto scacco sia la Sicilia che il Regno di Napoli. Carlo era quindi molto più pragmatico di suo fratello e riuscì a intravedere ottime opportunità per il suo Regno accodandosi alla farsa della Crociata. Infatti, morto nel 1270 Luigi IX per una violenta forma di dissenteria, Carlo, come parente più prossimo, assunse il comando della Crociata che si trasformò più in una guerra personale: alla fine, in quello stesso anno, il sovrano Angioino stipulò un nuovo trattato con il califfo e, ottenuti i rimborsi delle indennità di guerra da parte del nemico, rientrò in Sicilia quello stesso anno. Ma i progetti che più attanagliavano la mente di Carlo I si manifestarono già prima dell’Ottava Crociata. Alleandosi con l’Imperatore latino di Costantinopoli Baldovino II, ormai in esilio, attraverso un’oculata politica matrimoniale (fece infatti sposare sua figlia Beatrice con il figlio di Baldovino nonché suo successore, Filippo di Courtenay), l’Angioino mirava alla conquista graduale del trono costantinopolitano. Questa sua sete di conquiste dovette sfogarsi al di là dei confini nazionali, poiché in Italia non poteva unificare gli altri territori della penisola, rischiando altrimenti di incorrere nell’ira del Papa, rischiando di fare la stessa fine dello scomunicato Manfredi. I regni orientali, invece, facevano ancora gola ai sovrani occidentali, poiché ancora floridi e ricchi, nonostante l’epoca d’oro delle Crociate era finita da un po’. Alla riconquista latina di Costantinopoli e del suo ricco Impero volle partecipare anche il Principe d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin, il quale diede in sposa sua figlia ed erede Isabella al figlio di Carlo, Filippo. Questi divenne Principe d’Acaia a partire dal 1278, quando Guglielmo II morì e Isabella entrò in possesso dei territori paterni come prevedevano gli accordi. Da questo momento in poi, l’Acaia spetterà di diritto agli Angioini. Un primo passo, quindi, per l’espansione angioina in Oriente era già stato compiuto. Attraverso questa politica matrimoniale, Carlo I poteva muovere i fili del potere anche all’estero, senza però essere coinvolto in prima persona, mantenendo apparentemente il controllo del solo Regno di Napoli, di cui era sovrano titolare. Nonostante la conquista di Costantinopoli sembrava per Carlo a un passo dalla realizzazione, i suoi piani furono bloccati a causa dell’alleanza religiosa che Michele VIII Paleologo, Imperatore di Bisanzio, strinse con il nuovo Papa Gregorio X, il che portò ad un arresto temporaneo della campagna intrapresa da Carlo I contro i Bizantini. La situazione precipitò con lo scoppio dei Vespri Siciliani del 1282 che costrinsero il sovrano ad abbandonare l’Albania e a tornare in Sicilia per sedare la rivolta. Mentre era ancora in corso la progettata conquista di Costantinopoli, Carlo non mancò di andare oltre Bisanzio e di mirare ancora più lontano, ovvero alla stessa capitale di quello che era stato il Regno latino omonimo più importante creato dopo la fine della Prima Crociata nel 1099: Gerusalemme. Dopo la morte di Corradino, nel 1268, che era titolare del Regno di Gerusalemme, i diritti al trono di un Regno che era solo l’ombra di quello che era stato in passato furono contesi da varie casate occidentali, tra questi la spuntò alla fine quella dei Lusignano di Cipro. Alla fine del XIII secolo, quando ormai la riscossa musulmana aveva portato all’annientamento uno dopo l’altro di tutti gli Stati che i Crociati avevano fondato in Outremer, il titolo di Re di Gerusalemme, ridotto ad una pura formalità, era stato rivendicato però anche da altre famiglie. Tra queste spiccava la dinastia dei Principi di Antiochia nella persona di Maria, figlia di Boemondo VI, ultimo Principe effettivo di questo Stato crociato. Ella vantava diritti dinastici sul trono di Gerusalemme: infatti, per via paterna, era discendente del Re Baldovino II, in quanto la figlia di questi, Alice, aveva sposato Boemondo II d’Antiochia, antenato in linea diretta di suo padre. Suo nipote, Ugo III di Lusignano, riuscì però ad impadronirsi del titolo, lasciando a mani vuote Maria d’Antiochia, la quale, nel 1277, vedendosi sconfitta, vendette i suoi diritti sul trono gerosolimitano proprio all’ambizioso Carlo I d’Angiò. Da questa acquisizione non furono ricavati però nuovi territori in Oriente per la Corona angioina: molte città costiere che erano sopravvissute agli attacchi dei musulmani avevano giurato fedeltà ad Ugo III. Un tentativo fu comunque intrapreso da Re Carlo per far valere i suoi diritti appena comprati: nel giugno di quello stesso anno 1277 una flotta siciliana comandata da Ruggero Sanseverino approdò nel porto di San Giovanni d’Acri, ultima fortezza rimasta in mani cristiane lungo la costa siro-palestinese (cadrà poi solo nel 1291), chiedendo udienza al comandante della piazzaforte, il Gran Maestro dell’Ordine cavalleresco degli Ospitalieri. Ruggero, con abili mosse diplomatiche, riuscì alla fine di una lunga trattativa a convincere l’Ordine che controllava la città a riconoscere Carlo come legittimo Re di Gerusalemme. Questo fu l’unico successo registrato dall’Angioino a seguito dell’acquisizione del titolo orientale. Proprio per rendere esplicito tale traguardo, nello stemma araldico degli Angioini di Napoli figurò la croce potenziata di Gerusalemme (fig. 1). Fig. 1: Arme di Carlo I d'Angiò dopo il 1277. Di Heralder - Own work, elements by Sodacan & Katepanomegas, CC BY-SA 3.0. Un evento così importante per la storia degli Angioini sovrani di Napoli non poteva non essere commemorato anche con un’apposita serie monetale. In politica economica, almeno in Sicilia e nelle zecche minori dell’Italia Meridionale continentale, Carlo I seguì senza particolari modifiche il sistema monetario svevo, continuando a curare, nel caso di nostro interesse, l’emissione di denari in mistura (che in realtà erano ridotti ad una lega di rame quasi puro). La serie, che ora vedremo, si compone di soli due nominali: il doppio denaro, molto raro, ed il denaro. Entrambi i nominali furono coniati a Messina nel 1278, quindi pochi anni prima della rivolta dei Vespri Siciliani e l’anno successivo all’acquisto del titolo gerosolimitano da Maria d’Antiochia. Forse, prima di rendere la cosa ufficiale, Carlo attese il buon esito della spedizione di Ruggero a San Giovanni d’Acri per assicurarsi che almeno una tra le più importanti città latine d’Oriente l’avesse riconosciuto come sovrano. Questa serie che celebra l’investitura del Re a sovrano titolare di Gerusalemme è una delle poche, se non l’unica, nel vasto panorama dei denari angioini, che si può datare con precisione ed attribuire ad una zecca. Nello stesso anno 1278, Carlo I, su modello di quanto già fatto in Francia da suo fratello Luigi IX, con una riforma monetaria, chiuse tutte le altre zecche regnicole e impose la coniazione del circolante nella sola capitale Napoli. 1. D/ + KAROL • IERVSALEM Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in doppio circolo perlinato. R/ + ET • SICILIE • REX Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in doppio circolo perlinato. SPAHR 1976, p. 236, n° 55 (illustrato alla tav. XXVIII). Doppio denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr: 1,33 g. – 19 mm.). Rarità: RR – RRR. Fig. 2. Fig. 2. Doppio denaro dal peso di un grammo. Ex Artemide XLVI, lotto 548. 2. D/ + KAROL • IERVSALEM Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in circolo perlinato. R/ + ET • SICILIE • REX Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in circolo perlinato. SPAHR 1976, p. 236, n° 56. Denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr: 0,60 g. – 16 mm.). Rarità: C. Fig. 3. Fig. 3. Denaro dal peso di 0,96 g. Ex Artemide XLVI, lotto 549. Letture consigliate per approfondire: · BENIGNO Francesco - GIARRIZZO Giuseppe, Storia della Sicilia, vol. 3, ed. Laterza, Roma-Bari, 1999. · FROUSSARD Giovanni Battista, Osservazioni sulla Storia ed intorno a Pietro Giannone ed a Carlo I d’Angiò, Ducale Tipografia Bertini, Lucca, 1833. · LÉONARD Émile G., Les Angevins de Naples, Presses Universitaires de France, Paris, 1954. · SPHAR Rodolfo, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582 – 1282), Zurich – Graz, 1976. · TRAMONTANA Salvatore, Il Mezzogiorno medievale, Carocci, Roma, 2000. P.S.: Perdonate il tedio e buona lettura!
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