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Punzi F. La zecca di Lecce. 1461 - 1501


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Cenni storici

Prima di parlare della zecca di Lecce si rendono indispensabili alcuni cenni storici sulla figura del principe cui per primo va ricondotta la paternità della zecca cittadina : Giovanni Antonio Del Balzo Orsini conosciuto anche come Giannantonio, figlio di Raimondo Del Balzo Orsini e di Maria d’Enghien (che alla morte del marito divenne regina di Napoli sposando re Ladislao).

Fu Principe di Taranto, Duca di Bari, Conte di Lecce, Acerra, Soleto e Conversano dal 1406, Signore di Altamura, nonché Conte di Matera dal 1433 e di Ugento dal 1453. Non a caso in una relazione inviata da Napoli, regnando Alfonso I il Magnanimo, si indicava Giovanni Antonio al primo posto tra i signori feudali del regno.

Padrone di 400 castelli, 70 città vescovili e 30 città arcivescovili egli poteva viaggiare da Taranto a Salerno senza uscire dai propri domini :” Lo principo da Taranto è signore da per sé in lo Reame de più de quatrocento castelle. E comenzia il suo dominio da la porta del merchà de Napoli lunzi oto milya a uno locho se chiama la terra de Marignano e dura per XV zornade per fina in capo de Leucha; e chi lo chiama lo Sacho de terra de Otranto e dura per melya quattrocento e più. E li ve sono quante terre principale e grande oltra le castelle preditte et primo Tarrantina, dove è lo archiopisco, Vrindige, Lezza, Convertino, Otranto, Nardò, Mathera, Gallipoli, Insula de mare, Oyra, Miragna, Astone, Altamura, Minervino, Santo Pietro in Gallatina, Massafra, La terza, Castelanetha, Le gratalye, Ociento, Cassalnovo, Pallignano, Ascoli de Capitaniato, Rutilyano, Conversano, Gravina, La Cerra, Marignano, Chaliffri. Item lo principo anteditto de Taranto ha sotto di sé pillyato tutto lo ducato de Barri, da poi la morte de messer Jacopuzzo Caldora”.

Pertanto con una tale consistenza patrimoniale, paragonabile a quella della stessa corona, il Principe poteva condizionare non solo la politica del regno ma, come vedremo, anche la successione al trono.

Già precocemente egli venne coinvolto nelle lotte dinastiche per la successione al trono di Napoli. Nel 1421, la regina Giovanna II (sorella del precedente re Ladislao) aveva adottato come figlio ed erede Alfonso V re d’Aragona, quale REGINE DEFENSOR.

Appena 2 anni dopo, scontenta dell’atteggiamento di Alfonso che intendeva esercitare anzitempo il potere regale, revocava l’adozione e disponeva nel proprio testamento che alla sua morte la corona passasse a Renato d’Angiò Valois Provenza (II casa d’Angiò)

Denaro di Giovanna II d’Angiò ed Alfonso I d’Aragona (REGINE DEFENSOR)

. Alla morte della regina (2 febbraio 1435) Alfonso, partendo dal suo regno di Sicilia, cercò di riprendersi con le armi il regno di Napoli. anche in considerazione del fatto che il pretendente angioino era prigioniero del duca di Borgogna che gli rivendicava il ducato di Lorena.

Inizialmente Alfonso andò incontro alla sconfitta navale di Ponza da parte di una flotta genovese inviata dal duca di Milano Filippo Maria Visconti e fu fatto prigioniero insieme a Giovanni Antonio. Conseguentemente Isabella di Lorena, moglie di Renato, poteva raggiungere Napoli dove, ricevuta con tutti gli onori, governò come reggente per quasi 3 anni. Renato, riuscito a riscattarsi dal Borgogna, giunse a Napoli solo nel maggio 1438. Ma già 3 anni dopo Alfonso assediava la città partenopea, conquistandola il 2 giugno 1442.

Renato si trovò così costretto a ritornare in Provenza quello stesso anno e , sebbene conservasse il titolo di re di Napoli, non ne recuperò mai il potere effettivo e restò pretendente fino alla sua morte (1480).

Il 26 febbraio 1443 Alfonso fece il suo ingresso trionfale a Napoli, e risuscitando, da buon umanista, il corteo dei trionfatori antichi vi entrò su un carro dorato.

Giovanni Antonio, Gran Connestabile del regno, che aveva contribuito in maniera determinante al successo dell’aragonese e alla sua ascesa al trono, desiderava condividere gli onori del vincitore e pretendeva pertanto di sfilare dietro al carro trionfale accanto al re e non avanti al carro, fra i baroni sottomessi con la forza dal sovrano. Tale arroganza indispettì il sovrano che diede ordine al maestro di cerimonia di far sfilare tutti i baroni dietro al carro trionfale, esattamente come si trova rappresentato nei marmi del monumentale ingresso di Castelnuovo

Ingresso trionfale di Alfonso il magnanimo a Napoli: arco inferiore del portale di ingresso a Castelnuovo

Fu allora che si incrinò la solidità della coesione tra gli interessi del barone più potente del regno e quelli della corona. Fu allora, dopo la vittoria, che “il re cominciò a conoscere che il principe era un altro re “, ponendo i presupposti della reciproca diffidenza che da quel momento avrebbe caratterizzato i rapporti tra feudatario e sovrano.

Tuttavia per la stabilità politica del regno s’imponeva, con urgenza, la necessità di assicurare a Ferrante, figlio bastardo ed erede designato di Alfonso a Napoli, il consenso della feudalità regnicola. Tale obiettivo poteva essere raggiunto solo attraverso un alleanza matrimoniale con il suo più influente esponente, il principe di Taranto che, in assenza di figli legittimi dal suo matrimonio con Anna Colonna ( nipote di papa Martino V), aveva nominato erede del principato la nipote Isabella Chiaromonte, figlia di sua sorella Caterina.

Dopo le nozze tra Isabella e Ferrante (1445) sia il papa che i baroni riuniti nel Parlamento del regno accettano di riconoscere la successione del figlio naturale.

Dopo la morte di re Alfonso ( 28 giugno 1458) Ferrante (Ferdinando I), successore designato

Coronato di Ferrante I d’Aragona (rovescio) con scena dell’incoronazione di Barletta

Sebbene invii prontamente segnali di pace ai pur sempre riottosi baroni, assicurandoli di voler governare “ con l’amore di lor signori “, i nemici di sempre si rifanno vivi ed in particolare i cugini aragonesi di Spagna ( con pretese di successione in luogo di “el bastardo”), i pretendenti angioini e molti baroni filoangioini del regno.

Nuova molla alla sollevazione dei baroni (I congiura : 1459-1463) è la discesa in Italia (ottobre 1459) di Giovanni d’Angiò, figlio di re Renato e sedicente duca di Calabria.

Giovanni d’Angiò

Il principe di Taranto, grande assente alla cerimonia di Barletta, inizialmente assume posizioni ambigue e contraddittorie, ponendosi ora come interlocutore privilegiato del re, ai cui ambasciatori si dichiara suddito fedele, ora come sostenitore del pretendente angioino (Angiò-Valois-Provenza), non dimentico che i Del Balzo (De Baux) sono pur essi di origine provenzale.

In pratica egli confina nell’ambito delle ipotesi non remote la possibilità di una propria aspirazione al trono di Napoli o almeno ad una iniziale reggenza come riporta il Nunziante (“lo Reame vivente esso principe lui lo habia ad regere et governare pro suo arbitrio voluntatis, cum protestate de togliere et de donare a chi meglio glie parerà “).

Ma ben presto Giovanni Antonio appare evidentemente l’unico alleato su cui il pretendente angioino possa contare concretamente e diventa l’anima della rivolta, traendo dalla sua parte i potentissimi baroni filoangioini tra cui Marino Marzano, duca di Sessa e principe di Rossano, il secondo barone più potente del regno e cognato del re.

Il 7 luglio 1460 le forze riunite del principe di Taranto e del pretendente angioino sconfiggono le truppe di Ferrante alla foce del Sarno, ma il 18 agosto 1463 con la battaglia di Troia i legittimisti aragonesi, con l’aiuto determinante dell’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg, mettono definitivamente in rotta le forze confederate ribelli. Il 21 settembre 1463 Giovanni Antonio, con il preciso obiettivo di conservare cariche, privilegi e domini, chiede ed ottiene di riconciliarsi con il re a patto di privare del suo sostegno il pretendente Giovanni, tornato in Provenza.

A tal proposito va notato che questa tendenza a giocare la partita su più di un tavolo coinvolgeva un po’ tutti i personaggi interessati, re compreso, all’epoca della I congiura dei baroni ed avrebbe raggiunto l’acme all’epoca della II congiura dei baroni.

Morte di Giovanni Antonio de Balzo Orsini:

Così scrive il De Simone: “Dopo il ritorno di re Giovanni in Francia, Giovanni Antonio chiese la pace e mentre si trovava in Altamura gli furono inviati Antonello Petrucci ed il cardinale Rovarella per comporla nel mentre, si disse, nel campo del re si tramava la morte del potente feudatario. Della congiura facevano parte: Paolo Tricarico, Antonio D’Ayello, Antonio Guidano da Galatina, Giacomo Protonobilissimo, Gaspare Petrarolo (il cui congiunto Gabriele era rinchiuso nella Torre del Parco). Giunti in Altamura trovarono il Principe con febbri malariche e così diffidente da minacciarli di morte. Allora il Guidano e l’Ayello, sicuri della ricompensa reale, entrarono di notte nella stanza da letto e lo strangolarono (15 novembre 1463 ). Il partito aragonese sostenne che fosse morto per cause naturali, ma i premi e gli onori che toccarono ai congiurati rivelarono chiaramente le intenzioni del re. Il suo corpo, secondo le disposizioni testamentarie, fu trasportato in Galatina, accompagnato dai vescovi di Otranto, Gallipoli, Castro ed Ugento e tumulato in abito da frate nella chiesa di S. Caterina, sacrario della famiglia.

Dopo la morte provvidenziale di Giovanni Antonio il re, guardandosi bene dal rispettare le volontà testamentarie del defunto e della vedova Anna Colonna, si precipitò a Lecce nel dicembre 1463 ed incamerò nel demanio regio il principato di Taranto, la contea di Lecce e le ricchezze della famiglia (ammontanti ad oltre un milione di ducati) nella qualità di marito di Isabella Chiaromonte e deliberatamente ignorando i diritti di successione spettanti ad Anghilberto del Balzo, marito di Maria Conquesta, figlia illegittima di Giovanni Antonio.

E per porre la parola fine a quello che aveva rappresentato “ uno stato dentro lo stato “ re Ferrante disintegrò il sistema di alleanze e parentele del principe.

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continua. ......................

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La zecca di Lecce al servizio del principe

Secondo il De Simone (1883), poi ripreso dal Palumbo (1910), la regina Maria d’Enghien, una volta rimasta vedova di re Ladislao, ritornò a Lecce dopo la parentesi napoletana, abitando alternativamente alla Torre di Belloluogo

e al palazzo comitale cittadino, provvisto quest’ultimo di ampie sale cosparse di stucchi ed oro. Nel 1435 , dopo che con il consenso del figlio e con atto del notaio Memo di Taranto ebbe venduto lo splendido edificio alla famiglia Guarino, andò probabilmente ad abitare nel più sicuro castello di città, “anche allora ben munito di molte camere e d’una vecchia torre fatta edificare, dicesi, dai Brienne. Si aggiunge che ivi era custodito il gran tesoro di Raimondello e di Giov. Antonio, e vi era situata anche la zecca”.

Ma, da un punto di vista strettamente cronologico, la prima notizia sulla presenza di un’officina monetaria nella città di Lecce si deve al letterato leccese Iacopo Antonio Ferrari (1507-1587) che in un passo dell’Apologia paradossica della città di Lecce descrive gli anni del principato di Giovanni Antonio, un “ principe assoluto “ che governa “ tenendo amicizia, ed occulte intelligenze “ con i “ potentati d’Italia “ ….e batte “ in Lecce pubblicamente moneta di oro e di argento “.

Successivamente Giulio Cesare Infantino (1581 – 1636), autore della Lecce Sacra fa riferimento ad una residenza extraurbana del principe indicata quale sede di zecca: “Uscendo dalla porta di San Biagio per una dritta e ampia strada” , si scorge un “ dilettevole Parco, oltre una bellissima e famosissima Torre” congiunta ad altri edifici, “fabbriche fatte fare per sua abitazione da Gio. Antonio del Balzo Ursino” ed “ in queste abitazioni facea egli battere pubblicamente moneta d’argento e d’oro, il cui pensiero dette a Gasparo de Argenteris suo molto confidente, il quale fè anche protomastro de’ pesi, e di misure, il qual’ufficio questi d’Argenteris han posseduto fin’a questi ultimi tempi nostri“. Nel 1871 il Maggiulli scriveva però “ L’Infantino che ci ha tramandato questa notizia non spiega se il del Balzo Orsini coniò moneta per propria autorità o per concessione del d’Angiò”. Infatti l’Infantino, pur indicando l’ubicazione e richiamando le competenze direttive della suddetta zecca, non menziona alcun privilegio o concessione regia, relativi al conio di moneta, verosimilmente accordati al principe di Taranto dai sovrani di Napoli.

Giuseppe Maria Fusco fu il primo a descrivere e pubblicare, nel 1846, il carlino d’argento di Renato d’Angiò, contrassegnato dalla lettera L sormontata da un giglio “ la quale non altro potette denotare, tranne la iniziale del cognome del maestro di zecca di quell’età”.

Di diverso avviso invece fu Giovanni Vincenzo Fusco il quale, prendendo in esame due monete d’argento d’età successiva (una a nome di Ferdinando II , l’altra a nome di Federico III d’Aragona), contrassegnate da LICI nell’esergo, unitamente ai cavalli di rame (coniati a nome di Ferdinando I) con sigla L, attribuì tale iniziale non al cognome di un eventuale maestro di zecca, ma alla città di Lecce (“ LICI”), luogo di provenienza e quindi di conio delle monete.

Il Maggiulli (1871), constatata la totale assenza di prove documentarie comprovanti la concessione di un privilegio sovrano, fu indotto a ritenere che fosse stato Renato d’Angiò a concedere “ il privilegio a Lecce di tener zecca, dalla quale uscì quel distinto nummo in argento che si nominò carlino”. Quindi egli fu il primo ad ipotizzare che la lettera L potesse fare riferimento alla

zecca di Lecce.

Le ragioni storiche che portarono all’inaugurazione della zecca di Lecce si possono ricondurre alla nota data del 7 luglio 1460 quando, come abbiamo già visto, le forze riunite di Giovanni Antonio e di Giovanni di Lorena sconfissero Ferrante alla foce del Sarno. Successivamente a tale evento, per onorare le spese di guerra, ma non del tutto scevro da ambizione personale (nel giugno 1460 l’ambasciatore milanese Da Trezzo scriveva al suo signore : “El re m’ha dicto chel Principe de Taranto se vole fare signore de questo Reame”) il principe di Taranto cominciò a coniare, a nome di re Renato d’Angiò, carlini (o gigliati) con la croce di Lorena o doppia croce d’Angiò, oggi rarissimi, che mostrano al dritto una lettera L sormontata da un giglio angioino.

Zecca di Lecce: Carlino del principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsini, a nome di Renato D’Angiò pretendente (1461)

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A. Sambon, riprendendo le tesi del Maggiulli ed avvalendosi della lettera del Da Trezzo, rinvenuta dal Nunziante nell’Archivio di Milano (Archivio Storico Napoletano,1898), confermava l’attribuzione a Lecce del carlino con la sigla L avvalorando altresì l’ipotesi della sede della zecca nel castello di città.

Si riporta di seguito il brano (anno 1463) : “In questo castello de Lici so trovati, tra ducati d’oro et alfonsini, ducati novantatre milia, item in carlini vechij circha ducati trentasei milia et in carlini novi, che faceva battere el dicto Principe de Taranto, circa ducati quindicimilia”.

Il principe di Taranto aveva a disposizione risorse per la coniazione anche grazie alla sua flotta che,
seppure costituita da imbarcazioni di modesto tonnellaggio, importava dai mercati orientali anche argento, in particolare dalla Dalmazia.

Nelle cedole della Tesoreria Aragonese dell’anno 1462, che ci aiutano a datare i carlini, troviamo spesso menzione di mala moneta del principe di Taranto e del duca Giovanni d’Angiò che anche l’Infantino appella “ mali carlini “ riportando la denominazione che il popolo leccese attribuì loro in relazione alla bassa qualità della lega d’argento:

-Cedola 40, fol. 5 (24 settembre 1462) :Item hebi de la guardaroba del S.R… ducati cento ad ragione de deice carlini lo ducato, tucti in carlini, tra li quali nce foro ducati quactro de mala moneta, tra carlini aragonesi bactuti, carlini del principe di Taranto novi et del duca Johanni.

-Cedola 40, fol. 8…Et tra tucta la dicta summa nec foro carlini trentatre non boni, cioè carlini de ragonesi bactuti, carlini novi del principe de Taranto e del cugno del duca Johanni (Sambon 1916, p.224, Cedola 40, fol 5 e fol. 8, 1462; Dell’Erba 1932-35].

In proposito va precisato che nelle stesse cedole aragonesi si fa sempre distinzione tra i mali carlini del principe di Taranto e quelli del cugno del duca Johannj e le 2 emissioni sono assai diverse nel tipo: il carlino coniato a Lecce per ordine del Principe di Taranto presenta al diritto il re in trono con la sigla L sormontata da un giglio alla sua destra ed al rovescio la croce duplicata di Lorena accantonata da gigli ( che inevitabilmente richiama il carlino coniato da Renato d’ Angiò per Napoli con croce duplicata di Lorena non accantonata da gigli, con un peso oscillante fra gr.2,88 e gr. 3,20 (Museo di Lione, Museo Civico di Marsiglia, Collez. Sambon); il carlino del duca Giovanni, coniato per suo ordine a Sulmona, sempre a nome del padre Renato (1460-1461), presenta al diritto il re in trono con SMPE in cartella ed al rovescio le armi inquartate di Lorena, Bar, Gerusalemme, Napoli ed Ungheria, con un peso oscillante fra gr. 3,25 (collez. Marignoli, poi collez. Reale) e gr. 3,55 (collez.Brambilla).

Zecca di Sulmona: Carlino del duca Giovanni D’Angiò, pretendente a nome del padre Renato (1460-61)
Le legende sono sovrapponibili nei 2 esemplari, tuttavia il Sambon riporta per il carlino di Lecce 2 varianti di legenda: D/ RENATUS D G R SI HIER – R/ HONOR R IVDICIV DILIGIT (l’onore del re ama l’esercizio della giustizia) (collez. Sambon) e D/ RENATUS D G R SI ET IER – R/HONOR R IVDICIVM DILIGI (collez. Gnecchi).
Oltre ai carlini, tra il 1461 e il 1462, il principe di Taranto fece coniare anche tornesi di bassa lega [sambon 1913], prodotti massivamente per pagare le milizie del duca d’Angiò e che erano verosimilmente contraffazioni dei denari tornesi della zecca di Chiarenza, a somiglianza dei denari tornesi coevi attribuiti a Campobasso ma anche a Tocco di Casauria (Pescara), Isernia, San Severo, Lucera, Barletta.
Nell’Archivio di Stato di Napoli, Sezione Finanza, si conserva il libro, redatto presso gli uffici della zecca di Lecce e limitato ad un solo anno indizionale (1462), intitolato Quaternus sicle tornensium fabricatorum tempore officii notarii Gabrielis thesaurarii alme Urbis Lici, che rappresenta l’unica fonte in grado di confermare l’esistenza ed il funzionamento di un’officina monetaria in età orsiniana , in assenza ( o scomparsa) di prove documentarie comprovanti uno specifico riconoscimento sovrano per l’istituzione di una zecca cittadina.
Se però esso si offre come un campione fondamentale ricchissimo di informazioni sul piano tecnico ( funzionamento della zecca, approvvigionamento della materia prima, direzione amministrativa, rispettive figure istituzionali) tace invece del tutto sulla concessione di conio, sui contratti o eventuali privilegi riconosciuti a zecchieri o monetieri..
Nel Quaterno si fa riferimento a tornesi che in Lecce il principe Giovanni Antonio Orsini Del
Balzo continuò a fare coniare anche dopo l’accordo con re Ferdinando
(21 settembre 1462) e sino alla sua morte.
Se è però vero che in merito a queste monete il Da Trezzo in data 13 aprile 1462 scriveva al duca di Milano : “…niuno li ha voluti ,maxime che vole dare mala moneta, cioè tornesi novi” ed in data 24 luglio 1462 scriveva ancora “ ..le terre del Duca di Melfi hanno cominciato ad refutare li tornesi novi…… et che la gente d’arme stanno de mala voglia per la tristezza de dicta moneta” è tuttavia possibile che a Lecce si siano coniati (dopo il suddetto accordo con il re e forse per suo stesso diretto intervento) tornesi di puro rame allo scopo di riparare al discredito in cui queste monete erano cadute. [G.V. Fusco 1846- C.Prota 1913]. Quali siano i tornesi di bassa lega (tornesi falsi di cui parla il Sambon) o i tornesi di puro rame (di cui hanno trattato prima G.V. Fusco e poi il Prota) non ci è dato sapere, sia per la mancanza di esemplari che di ulteriori necessarie informazioni..
Proprio il Prota ci segnala il nome del tesoriere Gabriele Sensariso che
aveva la responsabilità di consegnare ai credenzieri, “ in castro Lici”, i materiali destinati alla fusione, lavorazione e realizzazione delle monete: M°CCCC°LXIJ. Quaterno de spese et pagamenti fatti in la cecca de leze, dove si batte la moneta de rame in l’anno de la X.ma Ind. Del m. cccc.lxij pernotaro Gabriele Sensariso prin.le Thesaurario del comitatu de leze per contro el quale se fa el
consimile quaterni pelli credentiri deputati per la principale corte in detta
cecca e notario Antonio de Ripalto.
G.V.Fusco (1846) riporta i pagamenti fatti da Gabriele Sensariso ad alcuni
mercanti (di Trani, Gallipoli, Valona e Corfù) per l’acquisto di rame nei mesi
di settembre e di ottobre 1462. Il rame acquistato in quel periodo ascese ad un totale di 1262 libre; il metallo in parte era nuovo, acquistato al prezzo di grana dieci la libra, in parte riciclato da oggetti
diversi, come caldaie, acquistato ad un prezzo oscillante fra grana sei e mezzo e grana sei.
Prota esaminando il quaderno già preso in esame da Giovan Vincenzo Fusco poté fornire le seguenti ulteriori informazioni: la zecca di cui era tesoriere il notaio Gabriele Sensariso era controllata da don Giovanni Delo arcidiacono di Lecce (pagamento fatto ditto Thesaurario ad
dommo Johanne delo archidiacono di Lize soprastante di detta cecca per suo salario ad rasone di unze seij per anno); ‘credenziero’ della zecca era il notaio Luigi Perrone (pagamento fatto per detto thesaurario ad notar Loijsio Perrone credentieri deputato in detta cecca per suo salario ad rasone di unce cinque per anno) e ‘credenzieri dei conti’ erano i notai Angelo Galasso, Francesco e Angelo Marenati (pagamento fatto per detto thesaurario ad notar Angelo Galasso, notar Francesco et Angelo Marenatij credentieri nostro hunti ad aver de uncie quatuor per anni).
Il numero di tornesi battuti in quei dodici mesi fu stabilito in ragione di
4.335.261 pezzi per i quali si adoperarono “sedici conii fatti e temperati dal Maestro Antonio Valente di Lecce”.
...................... continua .................

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La zecca di Lecce al servizio del re

Alla zecca di Lecce devono essere attribuiti anche alcuni mezzi carlini (o ‘armellini’) con indicazione della officina monetaria in esergo (LICI) sul rovescio, a nome di Ferdinando I (che istituì l’ordine equestre dell’armellino nel 1463- fig. 14-), Ferdinando II e Federico III d’Aragona

[CNI XVIII, p. 279; MEC 14, pp. 377-8, 392, 394, 396].

Dalla Cronaca di Notar Giacomo abbiamo notizie specifiche sugli ‘armellini’ di Federico d’Aragona: «A dì 2 de augusto 1497 de mercoridì fo emanato banno per Joyanna da parte del Signore Regente per ordinacione dela Maesta del Signore Re che le armelline facte in Leze se dovessero pigliare per ciascheuno a grana cinque l’una» [Fusco G.V. 1846].

Dopo il 1497 non si hanno altre notizie sulla zecca.

Possiamo dunque così riassumere i NOMINALI EMESSI:

a nome di Renato d’Angiò (dopo il 1460) :

- in argento, carlino (o gigliato) con croce duplicata di Lorena o doppia croce d’Angiò;

- in mistura, denari tornesi (di cui a tutt’oggi non esistono esemplari noti).

a nome di Ferdinando I d’Aragona (dopo il 1463):

- in argento armellino con rosetta nel campo al rovescio .[CNI XVIII, p. 279, n. 1].

(per dovere di cronaca dobbiamo citare un presunto esemplare unico di coronato dell’angelo con busto di Ferrante al diritto ed Arcangelo Michele al rovescio con sigla LICI in esergo (di stile rozzo); [riportato da:A. D’Andrea e C.Andreani in: Le monete medioevali di Puglia,Media Ed., pag.210] .

a nome di Ferdinando II d’Aragona (1495-96):

-in argento, armellino con F nel campo al rovescio [CNI XVIII, p. 279, nn. 1-3].

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a nome di Federico III d’Aragona (1496-1501) :

-in argento, armellino con F nel campo al rovescio (coniato fino al 1497 ?) [CNI XVIII, pp. 279-280, nn. 1-2].

Alcuni cavalli di rame con lettera L in esergo sono stati erroneamente attributi a Lecce (G.M.Fusco, 1846) ma la lettera potrebbe essere iniziale del nome di uno zecchiere (Liparolo ?) per Napoli [Cagiati 1913-1916, pp. 190-191].
Secondo Maggiulli [1871, pp. 128-129] alcuni documenti potrebbero far
riferimento anche ad una coniazione di ‘corone d’oro’ in Lecce al tempo di Carlo VIII
re di Francia..

Il Maggiulli supporta tale notizia riprendendo dal Coniger la seguente frase : «in eodem jorno
(27 maggio 1495) venne la nova in Lecce al Signor Duca (Giliberto di Bransui
vicere della Provincia e conte di Matera) che Otranto avia alciate le landiere
e che lo castello se tenea per el re de Francia, el detto duca fe’ cento fanti
di Lecce e donò una corona per uno e vinti some di grano»
e dalla Cronaca di
Notar Giacomo la seguente «A di 20 decto (Gennaro 1497) in dì de Sancto
Sebastiano de venerdì fò nova in Napoli come illustre signore don Cesaro de
Aragonia havea preso Taranto; et che lo magnifico pyerantonio follario de
Napoli regio percettore [sic] della predicta maestà personalmente era dintro lo
castello con quactro milia Corone et per condurre li francise ad imbarcare in
Brindesi» (le dette ‘corone’ di oro valevano «octo carlini et sey grana»).

La stessa notizia, come già detto, riporta l’Infantino :”…in queste abitazioni facea egli battere pubblicamente moneta d’argento e d’oro…”
Ma tale attribuzione a Lecce sembra altamente improbabile.

SEDE DELLA ZECCA

Al tempo del principe Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, e precisamente nel periodo compreso tra il 1460 ed il 1463, la zecca (che abitualmente aveva un‘ubicazione centrale – foro, palazzo di governo, piazza del mercato – allo scopo di attirare più facilmente il metallo dei mercanti di passaggio) fu invece posta direttamente nell’abitazione del principe che, come abbiamo già ricordato prima, secondo una corrente di pensiero (Infantino 1634) era nella torre del Parco , solida costruzione che egli aveva iniziato a far costruire nel 1419, ancora giovanissimo, mentre secondo un’altra corrente di pensiero (De Simone 1883, Sambon 1998, Palumbo 1910) era nel castello di città (in castro Licii). Le 2 sedi coincidevano in ogni caso con il centro del potere signorile.

Anche le annotazioni contenute nel Quaterno lasciano immaginare che l’ufficio di conio fosse ospitato in castro Licii.

La sola testimonianza dell’Infantino (smentita anche dalla Cabella Demani del 1472 che descrive il locum nominato lo Parco senza far menzione alcuna della zecca ) ci riporta alla Torre del Parco,

La costruzione della torre

ripartita in una zona pubblica (il Parco di fuori) destinata a fiere e mercati, che si estendeva fuori delle mura urbane immediatamente oltre porta San Biagio, ed un’altra zona (il Parco di dentro) rappresentata da una cittadella recintata comprendente la torre o Turris prati magni (luogo di delizie e sede della zecca..), sale et camera reale .

Per conciliare dati così difformi si può ipotizzare che la zecca di Lecce , nei circa 50 anni di attività, fosse dislocata contemporaneamente in 2 edifici differenti: il castello adibito ad attività contabili, tesoreria ed approvvigionamento di materie prime e la Torre del Parco adibita a laboratorio ed officina monetaria vera e propria; oppure che trovasse spazio, in tempi diversi, sia nei locali del castello sia in quelli della Torre del Parco.

E’ difficile stabilire cosa accadde alla zecca di Lecce dopo il novembre 1463 (assassinio del principe di Taranto); l’assenza di documenti lascia il campo alle sole congetture.

E’ verosimile che la zecca cittadina, una volta passata sotto il diretto controllo del re di Napoli, abbia avuto sede nel castello di Lecce, nella cui “torre mastra” o Mastio era stato depositato il famoso tesoro del principe fino al momento della sua morte e della successiva requisizione reale ( è nel dicembre 1463 che re Ferrante visita il castello e la torre del Parco ove “ ebbe stanza qualche giorno”) .

Per dovere di cronaca va pure riportata un’insistente tradizione popolare, peraltro ripresa da M.Paone, che pone la sede della zecca nelle adiacenze del palazzo comitale di Maria d’Enghien, presso l’odierna piazzetta Pellegrino (un tempo denominata piazza della Zecca !) ove si affaccia il più antico palazzo di Lecce (palazzo Vernazza – Castromediano).

BIBLIOGRAFIA:
Cagiati M. 1912, La zecca di Lecce, «Apulia» (Martina Franca).

Dell’Erba L. 1933, La riforma monetaria angioina e il suo sviluppo storico nel reame di Napoli, pp. 5-66.
De Simone L. G. 1874, Lecce e i suoi monumenti descritti ed illustrati, I , La Città, Lecce.

De Simone L.G., 1876, Archivio di documenti intorno la storia di Terra d’Otranto, Lecce.

De Simone L.G. 1883, Gli studi storici in terra d’Otranto del signor Ermanno Aar, in Archivio storico italiano, IX , p.211.

Fiorelli G. 1846, Dichiarazione di alcune monete battute nel reame di Napoli, p 190.”Annali di Numismatica”.

Fusco G.M. 1846, Monete inedite. Di alcune monete spettanti ai re di Napoli e Sicilia, in “Annali di Numismatica pubblicati da G.Fiorelli”, Roma, pp.90-96.
Fusco G. V. 1846, Notizie intorno alla zecca di Lecce, in «Annali di Numismatica pubblicati da G.Fiorelli», Roma , pp.190-200.pp. 190- 200.
Grierson P. e Travaini L. – Medieval European Coinage. Italy (III) 14, Cambridge 1998.

Infantino G. C. 1634, Lecce Sacra ove si tratta delle vere Origini, e Fondazioni di tutte le Chiese, Monasteri, Cappelle, Spedali, ed altri luoghi sacri della Città di Lecce, Bologna, 1973 (Rist. anastatica), pp. 213-214, ed editore Pietro Michele 1634.
La porta A. 1977, Introduzione a I.A. Ferrari, Apologia paradossica della Città di Lecce, pp. IX-XXXV.

Maggiulli L. 1871, Monografia numismatica della provincia di Terra d’Otranto,
Lecce. (ristampa anastatica Sala Bolognese, 1977).

Palumbo P. 1910, Storia di Lecce, Ristampa della I Edizione, Galatina, Congedo Editore, 1992,

Paone M. 1978, Palazzi di Lecce. Galatina, Congedo Editore

Petracca L,2009, La zecca di Lecce negli anni della signoria orsiniana in “I domini del Principe di Taranto in età orsiniana”. Lecce, Congedo Editore.

Prota C. 1913, Sulla zecca di Lecce, «Supplemento … Cagiati», 3, nn. 11-12,
pp. 37-38.
Sambon A.1913 b,” I tornesi falsi di Ferdinando I d’Aragona coniati a Napoli, a Barletta,a Gaeta, a Cosenza, a Lecce, a Capua et a Isernia” in Supplemento…Cagiati III, 5 – 7 (1913), 15 – 21.

Fine

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Ottimo lavoro

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Ringrazio tutti per l'attenzione ed in particolare il nostro amico Franco Punzi .........è lui che dobbiamo ringraziare per la concessione, Punzi è l'autore di questo rarissimo e dettagliato articolo reperito nel mio archivio, il mio lavoro è stato quello di rielaborarlo e renderlo consultabile on line in questa sezione. Per dovere di cronaca faccio poi notare che lo stesso studio è riportato, sebbene con qualche piccola modifica, nell'opera di due volumi della Travaini, alla voce "Lecce".

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  • 3 mesi dopo...

Ringrazio tutti per l'attenzione ed in particolare il nostro amico Franco Punzi .........è lui che dobbiamo ringraziare per la concessione, Punzi è l'autore di questo rarissimo e dettagliato articolo reperito nel mio archivio, il mio lavoro è stato quello di rielaborarlo e renderlo consultabile on line in questa sezione. Per dovere di cronaca faccio poi notare che lo stesso studio è riportato, sebbene con qualche piccola modifica, nell'opera di due volumi della Travaini, alla voce "Lecce".

wow meraviglioso studio , e' disponibile un PDF?

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Non so dirti ma l'autore il dott. Franco Punzi sarà lieto di rispondere direttamente. ..... sempre che gli sia permesso. Sollecito a tal proposito @@Reficul e @@incuso per sistemare alcuni problemi di connessione al forum. Punzi mi ha appena contattato per dirmi che il suo nick @@soavemente non riesce a connettersi al forum Lamoneta.it. Vorrebbe intervenire ed interagire con noi sulla zecca di Lecce e su altro ma non riesce. Prego gli amministratori di intervenire. Grazie mille.

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Digli di contattarmi tramite email indicando le problematiche che sta riscontrando.

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Digli di contattarmi tramite email indicando le problematiche che sta riscontrando.

Ciao Gabriele a dire il vero mi ha contattato già due volte per dirmi che ti ha inviato diverse email ma non ha ricevuto alcuna risposta. Molto probabilmente ti sarà sfuggita, lo stesso problema me l'ha segnalato l'utente @ che dice di averti contattato ma di non aver ricevuto alcuna risposta. Ti invio in MP i loro indirizzi email, potrebbe anche essere che tu abbia la casella di posta elettronica piena. Ciao e grazie per l'interessamento. :good:

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  • 4 mesi dopo...

Mi era sfuggita questa discussione. Mi sono permesso di raccogliere 

la discussione in un unico file pdf. 

 

Grazie per le informazioni.

 

 

attachicon.gifLA ZECCA DI LECCE.pdf

 

Da oggi in poi è molto più semplice la ricerca, se clicchi sul tag celeste PUGLIA (celeste come il mare del salento ....  :rofl: ) è possibile raggruppare tutte le discussioni inerenti le zecche pugliesi dal medioevo al 1500 circa. 

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