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Domanda stupida sulla monetazione imitativa...


Druso Galerio

Risposte migliori

Apro questa discussione per chiedere lumi ai più esperti sul tema. (penso ad esempio @@Illyricum65 e @@grigioviola)

 

Da quel che ho capito, in diversi periodi e in diverse aree dentro e fuori i confini dell'impero, hanno operato diversi "fabbricanti" di monetazione imitativa, di diverso livello: da falsari veri e propri che puntavano a spacciare le proprie monete come vere, a imitatori barbarici e non che hanno prodotto tondelli a volte solo vagamente rassomiglianti ai modelli originali.

 

La domanda che mi pongo riguarda sopratutto questi ultimi casi, e scusatemi se vi risulterà sciocca, ma... a che pro? In determinati periodi di crisi - penso all'avanzato III secolo per esempio - quando già la monetazione ufficiale aveva ormai un contenuto di metallo prezioso quasi inesistente ed aveva un valore fiduciario, che senso aveva produrre monete che erano palesemente non ufficiali (quindi prive appunto di valore fiduciario) e di metallo senza valore? chi le avrebbe accettate?

Ovviamente un motivo, o meglio più di uno, c'è sicuramente, viste le vaste aree di diffusione di queste monete...Ma se la loro circolazione poteva avere un senso magari oltre confine, dove comunque arrivava anche denaro ufficiale, mi chiedo appunto chi fra i cittadini dell'impero potesse avere interesse ad accettare monete simili quando già il governo emetteva divisionali di valore praticamente nullo.

Magari tesaurizzavano la moneta "buona", ma rimanendo con quella imitativa in tasca, come la spendevano?

Modificato da Druso Galerio
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La risposta più rapida e semplice è la carenza di circolante e la necessità di disporre di moneta per i pagamenti. Ora sono al cel più tardi approfondisco

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Questa infatti e' la motivazione che ho trovato piu' spesso indicata, ma che mi pare illogica: chi, in tempi di crisi scambierebbe capitale in cambio di moneta palesemente nn ufficiale e priva di valore intrinseco, sapendo che probabilmente lo stato nn l'accettera' come pagamento e che altri privati magari l'accetteranno, ma attribuendole in valore inferiore?

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Mancando moneta corrente ufficiale ma permanendo al contempo la necessità di disporne tra le fasce medio basse della popolazione, ecco la convenienza del produrre moneta imitativa: con la medesima quantità di fino e/o di lega anziché produrre un antoniniano se ne producevano quattro, la convenienza c'era per chi le realizzava.

Il popolo aveva necessità di moneta e probabilmente il grosso delle emissioni ufficiali era appannaggio di soldati e ricchi commercianti. C'era quindi un duplice flusso: uno che prevedeva in massima parte imitativa e uno moneta di zecca.

Questi due flussi però in qualche maniera dovevano coesistere e avevano indubbi punti di contatto. Io, personalmente, ritengo che non potessero per logicità di aspetto e composizione, essere scambiati 1:1.

A mio avviso in questo sistema, le imitative si dovevano porre come una moneta divisionale minuta.

Modificato da grigioviola
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Sta scritto nel Talmud: "Le domande non sono mai stupide, ma spesso lo sono le risposte."

Anche le domande più banali possono essere da stimolo per rivedere e, perché no, stravolgere risposte scontate o apparentemente consolidate.

Il talmud dice il vero

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Mancando moneta corrente ufficiale ma permanendo al contempo la necessità di disporne tra le fasce medio basse della popolazione, ecco la convenienza del produrre moneta imitativa: con la medesima quantità di fino e/o di lega anziché produrre un antoniniano se ne producevano quattro, la convenienza c'era per chi le realizzava.

Il popolo aveva necessità di moneta e probabilmente il grosso delle emissioni ufficiali era appannaggio di soldati e ricchi commercianti. C'era quindi un duplice flusso: uno che prevedeva in massima parte imitativa e uno moneta di zecca.

Questi due flussi però in qualche maniera dovevano coesistere e avevano indubbi punti di contatto. Io, personalmente, ritengo che non potessero per logicità di aspetto e composizione, essere scambiati 1:1.

A mio avviso in questo sistema, le imitative si dovevano porre come una moneta divisionale minuta.

 

Quindi possiamo ipotizzare che esistessero individui che operavano compravendite con i due tipi di monete a seconda del "canale" cui si rivolgevano.

Però mi chiedo quali potessero essere i possibili punti di contatto fra i due flussi, perchè credo fosse raro che qualcuno accettasse grosse quantità di divisionale - anche ufficiale - di metallo comune in cambio di monetazione in metallo pregiato, figuriamoci con delle divisionali imitative.

 

Secondo me la diffusione delle imitative, in un ambito economico in cui il semplice baratto poteva risultare più conveniente, e in cui anche lo Stato preferiva essere pagato in beni e servizi piuttosto che moneta anche ufficiale, è da motivarsi più con delle concause di tipo "politico" più che meramente economiche.

La circolazione di moneta di emergenza di valore puramente fiduciario locale può andar bene in un ambiente ristretto: un singolo centro, un insieme isolato di Villae o qualcosa di simile, o magari nelle relazione di questi centri con popolazioni esterne al Limes che però non erano certo dei selvaggi.

In regione estese, come pure sono quelle da cui - di fatto - le imitative provengono, ancora non me lo spiego.

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E questa domanda di banale non ha proprio nulla!

Prendiamo le lupette Vrbs Roma, per fare un esempio che conosco bene.

Tra le imitative (è in discussione se siano coniate nel nord della Gallia o in Britannia) vi sino i seguenti casi:

1) disegni e legende imitative

2) disegno originale al dritto, imitativo al rovescio, con legende imitative

3) disegno imitativo al dritto, originale al rovescio, con legende imitative

4) disegni originali con legende imitative

 

L'unica spiegazione è che in determinati momenti coloro che coniavano queste monete ottenessero dalla zecca i punzoni con i disegni originali (uno oppure la coppia) e con questi facessero i conii.

Erano trafugati? Erano consegnati in modo autorizzato?

 

Si tenga presente che in epoca costantiniana nelle zecche galliche, ma suppongo anche in altre, era stata industrializzata la produzione dei conii, i quali venivano fatti in ferro dolce, quindi con un punzone in qualche materiale duro (acciao?, bronzo?) venivano punzonati i disegni e infine i signatores, con punzoni con lettere mobili, punzonavano le legende. Infine il conio veniva indurito superficialmente (suppongo mediante cementazione in cassetta).

Ecco che, pertanto, esistevano dei punzoni con i disegni della lupa, dei gemelli da punzonare sotto la lupa, e del busto di Roma elmata.

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DE GREGE EPICURI

@@Druso Galerio: hai sostanzialmente ragione quando dici che la monetazione imitativa era soprattutto locale (anche se poi, in ogni caso, le monete un po' viaggiavano). Le imitative di cui noi qui ci occupiamo sono tutte e solo di rame; per le imitative in metallo nobile (es. denari repubblicani imitati) il discorso sarebbe molto diverso. Quello che tu hai in mente, e che ti suscita giustamente molte perplessità, è un impero romano ben ordinato, pacifico e mediamente ben funzionante. Ma dal 250 d.C. circa in poi le cose andavano ben diversamente. In certi periodi, la zecca di Roma aveva ben altro a cui pensare, che coniare grandi quantità di antoniniani da mandare in Gallia, Britannia ed Africa. A volte magari cercava di farlo, ma i sacchi di monete non arrivavano a destinazione, intercettati dagli Alamanni o altri che facevano scorrerie. Tieni conto che almeno dal 260 la Gallia era quasi tutta perduta per l'Impero, ed aveva un suo proprio regnante (Postumo e successori), con tutte le conseguenze anche economiche, monetarie ecc. Per non pochi anni, Postumo coniò monete di livello buono od ottimo, molto meglio di quelle coniate a Roma, Milano o Siscia. Poi però in molte zone della Gallia mancò il piccolo numerario, e dovettero arrangiarsi. Aggiungerei che non tutte le imitative hanno un peso particolarmente basso, alcune hanno peso normale o quasi normale.

Modificato da gpittini
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....In certi periodi, la zecca di Roma aveva ben altro a cui pensare, che coniare grandi quantità di antoniniani da mandare in Gallia, Britannia ed Africa. A volte magari cercava di farlo, ma i sacchi di monete non arrivavano a destinazione, intercettati dagli Alamanni o altri che facevano scorrerie....

Totalmente d'accordo. Sono convinto che in determinate aree geografiche e periodi la produzione di moneta imitativa fosse tollerata o addirittura incoraggiata, per esempio, prestando i punzoni con i disegni per la fabbricazione dei conii: magari di una sola faccia, affinché poi fosse evidente quale moneta era legittima e quale imitativa

Modificato da antvwaIa
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DE GREGE EPICURI

@@Druso Galerio: hai sostanzialmente ragione quando dici che la monetazione imitativa era soprattutto locale (anche se poi, in ogni caso, le monete un po' viaggiavano). Le imitative di cui noi qui ci occupiamo sono tutte e solo di rame; per le imitative in metallo nobile (es. denari repubblicani imitati) il discorso sarebbe molto diverso. Quello che tu hai in mente, e che ti suscita giustamente molte perplessità, è un impero romano ben ordinato, pacifico e mediamente ben funzionante. Ma dal 250 d.C. circa in poi le cose andavano ben diversamente. In certi periodi, la zecca di Roma aveva ben altro a cui pensare, che coniare grandi quantità di antoniniani da mandare in Gallia, Britannia ed Africa. A volte magari cercava di farlo, ma i sacchi di monete non arrivavano a destinazione, intercettati dagli Alamanni o altri che facevano scorrerie. Tieni conto che almeno dal 260 la Gallia era quasi tutta perduta per l'Impero, ed aveva un suo proprio regnante (Postumo e successori), con tutte le conseguenze anche economiche, monetarie ecc. Per non pochi anni, Postumo coniò monete di livello buono od ottimo, molto meglio di quelle coniate a Roma, Milano o Siscia. Poi però in molte zone della Gallia mancò il piccolo numerario, e dovettero arrangiarsi. Aggiungerei che non tutte le imitative hanno un peso particolarmente basso, alcune hanno peso normale o quasi normale.

 

Allora bisogna immaginare ampie aree dove la monetazione ufficiale in circolazione era diventata quasi ininfluente in termini quantitativi, perchè tesaurizzata o dispersa, e sopratutto una condizione di permanente isolamento che rendesse nullo o ininfluente l'afflusso di denaro dall'esterno.

 

Certo mi chiedo comunque cosa spingesse il ceto inferiore, impoverito da decenni di invasioni e usurpazioni varie, ad accettare almeno da un certo periodo in poi pezzi di metallo privi di valore intrinseco e fiduciario come le svariate imitazioni dei Tetrici o di Claudio. Avrebbero potuto, per assurdo, scambiarsi conchiglie o meglio ancora barattare, visto che tanto non potevano pagarci nulla che provenisse dalle zone "esterne" o le tasse.

 

O la situazione non era così cupa come lo immaginiamo, e quindi denaro di qualità ne circolava anche in periodi in cui non crediamo fosse così, oppure, secondo me, in certe zone lo Stato non solo tollerava, ma accettava anche pagamenti con conii irregolari.

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La moneta veniva scambiata alla stregua di una merce: la moneta imitativa serviva perfettamente ai suoi scopi, purché fosse "venduta" ad un giusto prezzo.

Lo Stato, che comunque alla moneta aggiugeva un plus di valore (e quindi aveva sempre un certo grado di fiduciarietà), non poteva tollerare la concorrenza di moneta imitativa quando era in grado lui stesso di assicurare il rifornimento del mercato: ma quando non era in grado di farlo, allora la presenza di circolante imitativo non era un danno per lo Stato ed era un benefizio per l'economia locale.

Stiamo comunque parlando di un volume di emisssioni che poteva esser quantitativamente significativo in un'area limitato di territorio di frontiera, ma che nell'insieme della monetazione enea del periodo era tuttavia trascurabil e quindi tollerabile

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Ciao,

Apro questa discussione per chiedere lumi ai più esperti sul tema. (penso ad esempio @@Illyricum65 e @@grigioviola)

 

Da quel che ho capito, in diversi periodi e in diverse aree dentro e fuori i confini dell'impero, hanno operato diversi "fabbricanti" di monetazione imitativa, di diverso livello: da falsari veri e propri che puntavano a spacciare le proprie monete come vere, a imitatori barbarici e non che hanno prodotto tondelli a volte solo vagamente rassomiglianti ai modelli originali.

 

La domanda che mi pongo riguarda sopratutto questi ultimi casi, e scusatemi se vi risulterà sciocca, ma... a che pro? In determinati periodi di crisi - penso all'avanzato III secolo per esempio - quando già la monetazione ufficiale aveva ormai un contenuto di metallo prezioso quasi inesistente ed aveva un valore fiduciario, che senso aveva produrre monete che erano palesemente non ufficiali (quindi prive appunto di valore fiduciario) e di metallo senza valore? chi le avrebbe accettate?

Ovviamente un motivo, o meglio più di uno, c'è sicuramente, viste le vaste aree di diffusione di queste monete...Ma se la loro circolazione poteva avere un senso magari oltre confine, dove comunque arrivava anche denaro ufficiale, mi chiedo appunto chi fra i cittadini dell'impero potesse avere interesse ad accettare monete simili quando già il governo emetteva divisionali di valore praticamente nullo.

Magari tesaurizzavano la moneta "buona", ma rimanendo con quella imitativa in tasca, come la spendevano?

la domanda che poni è tutt’altro che stupida. Anche perché se potessi dare una risposta certa e definitiva mi assegnerebbero quantomeno una laurea ad honorem.. :D . Ero ripromesso di rispondere, poi il Talmut (saggio testo) mi ha bloccato ancor più.

"Le domande non sono mai stupide, ma spesso lo sono le risposte."

Speriamo bene e di risultare contributivi: il tema è molto complesso e di difficile interpretazione. Attorno alle “non ufficiali” si è creato tutto un calderone dove troviamo:

  • Denari suberati
  • Produzioni ausiliarie
  • Produzioni locali
  • Falsificazioni locali

Direi che il fattore comune è la scarsità di flusso monetale, come ha correttamente già detto @@grigioviola.

  • i denari suberati hanno vari periodi di fabbricazione, partendo dal periodo repubblicano sino a quello pienamente imperiale. Non sempre le motivazioni possono essere valide per tutti i periodi.  Probabilmente in qualche dinamica simile a quella dei suberati possono rientrare i Denari-limes in bronzo, che possono però rientrare nella logica della scarsità monetale e quindi nelle dinamiche del “gruppone” di cui al punto seguente

 

  • nel Primo Impero alcune di quelle che normalmente vengono descritte come “monete barbariche” sono in realtà frutto di emissioni prodotte da zecche militari: alludo al I secolo d.C. e faccio riferimento ad esempio agli assi claudiani tipo “Minerva” (sottopeso e con vari gradi di degradazione) prodotti ausiliari dalle zecche ispaniche e galliche. In altre aree abbiamo esempio di produzioni locali fuse (a memoria, cito Carnuntum  e l’area pannonica) o coniate (presenza di matrici rinvenute a Vindonissa) sempre derivate da produzioni di zecche militari. Tollerate perché divenute “monete di necessità” in ambienti a scarsa circolazione monetale. Personalmente non escludo che questa metodica sia rimasta in auge per molto tempo. Si tratta di una tradizione che deriva dal periodo repubblicano quando il Comandante dell’esercito aveva deroga all’emissione di monete per il pagamento del salario delle truppe. In seguito tale poter spettava probabilmente al Legatus Augusti. I rifornimenti monetali potevano essere difficili durante una campagna bellica e il mancato pagamento degli stipendi avrebbe potuto portare ad ammutinamenti da parte della truppa. O anche al fenomeno della “corruzione” da parte del nemico. Si poteva ovviare dando alle milizie parte del bottino in caso di conquista. Ma quando questa non avveniva? Ma cerchiamo di restare nel tema iniziale…

 

  • Falsificazioni locali … e tra queste possiamo inserire i “radiati barbarici”. Chi li produceva? Che utilizzo avevano? Sicuramente subentravano in aree soggette a scarsa circolazione monetale, sennò non avrebbero avuto alcun valore. In Britannia, nelle aree galliche del nord, in quelle del limes renano, cronicamente afflitte da questo problema. L’area danubiana probabilmente godette dell’istituzione di zecche ufficiali (Viminacium prima di tutte poi quelle di Siscia e Sirmium). Ma nelle aree rurali di certe provincie il problema sussisteva. E per ovviare al problema si crearono dei “simulacri” della moneta ufficiale che aveva valore a livello locale. In questo quadro inseriamo un altro elemento: i minimi. Come poteva essere che delle produzioni così piccole ed evidentemente non ufficiali venissero accettate? Taluni propongono valessero in base al peso e non ad un valore attribuito al singolo esemplare. Ma allora dovremmo trovare nelle aree rurali hoards pieni di monete imitative e minimi: perché non è così? Una risposta è che spesso le imitative non vengono discriminate nei depositi monetali. Ma laddove lo sono, segnalate come “irregolari” – vedi il Braithwell Hoard, alla fine un classico deposito monetale della seconda metà del III secolo di un area abbastanza “rurale”- vi sono 54 su 1332 note. Pari al 4%. E non vi sono rappresentati minimi. Comunque presenti in un sito che ha dato minimi radiati conservati al Doncaster Museum. Come la mettiamo? Potrebbe essere che veniva tesaurizzata la moneta “buona” salvo qualche imitativa che magari scappava nell’insieme della raccolta? Potrebbe essere… la moneta ufficiale aveva valore nelle aree cittadine. Se ti recavi al mercato cittadino dovevi pagare in moneta ufficiale.  Idem le tasse, se non chiedevano direttamente l’Annona sotto forma di prodotto. E comunque anche le imitative giravano per l’Impero, magari nelle saccocce dei soldati e dei commercianti che si spostavano da un’area all’altra. E se lo facevano vuol dire che erano tollerate.

Concordo con grigioviola quando ipotizza che la moneta imitativa potesse avere un valore di “frazione” rispetto all’antoniniano ufficiale.

 

Un ultimo spunto: perché un barbaro avrebbe dovuto prendersi la briga di creare una moneta falsa? Per guadagnarci su qualcosa è la risposta evidente. Ma se andiamo al Primo Impero che utilità avrebbe avuto con alcuni assi (o al limite sesterzi) falsi? Se la moneta fosse stata accettata cosa ci avrebbe guadagnato ? Una pagnotta? Una brocca di vino? Avrebbe raggirato un commerciante esperto ed avezzo a manipolare monete nei suoi scambi? No, non erano i cosiddetti “barbari” a creare le cosiddette “barbariche”… erano cittadini dello stesso Impero… ;)

 

Ciao

Illyricum

:)

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Per capire il quadro di complessità che vi è nel mondo delle imitative del III secolo di area gallica (cd impero gallico), vi presento questa serie di monete "ordinate" in base al loro (presunto) grado/livello di ufficialità (dall'ufficiale al massimo grado di degenerazione del tipo).

Gli esempi sono provenienti dalla mia piccola collezione (tutti provenienti da commercianti professionisti con le relative pezze giustificative e, nel caso di moneta da hoard, con tanto di licenza d'esportazione).

Nell'esporvi queste monete ho dato per scontato che la prima sia una produzione ufficiale, ma vista l'ulteriore complessità che affligge questa specifica serie monetale (DIVO CLAVDIO), non metto la mano sul fuoco che si tratti di un prodotto della zecca di Roma (diciamo che ci sono elevate possibilità che lo sia, un buon 98%).

 

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Claudio II (serie DIVO CLAVDIO)

Zecca di Roma

2,90 grammi - 18 mm

D/ Testa radiata a destra; legenda con lettere a distanza irregolare: “DIVO CLAV […]”. 

R/ Aquila in piedi con testa a destra; legenda: “[…] ECRATIO”. 

 

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Claudio II (serie DIVO CLAVDIO)

Imitativo, area gallica.

1,25 grammi - 17 m

(Ex Hollingbourne Hoard, GB)

D/ Busto radiato a dx; legenda parzialmente fuori tondello: “DIVO CLAV[DIO]”.

R/ Aquila stante a sinistra con testa volta a destra; legenda usurata e parzialmente fuori tondello: “[C]ONSECRATI[O]”.

 

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Tetrico II (ibrido con serie DIVO CLAVDIO)

Imitativo, area gallica.

3 grammi - 14 mm

D/ Busto radiato a dx; legenda incoerente usurata e parzialmente fuori tondello: “[…]TP[…]O[…]”.

R/ Altare stilizzato con fiamma centrale a forma di “H”; legenda incoerente usurata e parzialmente fuori tondello: “[...]E[…]I[…]”.

 

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Tetrico I/II (?) (ibrido con serie DIVO CLAVDIO?)

Imitativo, area gallica.

0,27 grammi - 7 mm

D\ Testa radiata e barbuta(?)

R\ Altare stilizzato(?)

 

Il soldato, commerciante, contadino o cittadino romano che si trovava in mano queste quattro monete diciamo verso il 274-275 d.C., nelle campagne circostanti Augusta Treverorum o fuori Londinium, come le spendeva? E se passeggiava per il mercato di Colonia Agrippinia, poteva dire di avere quattro antoniniani di pari valore?

E' un dato di fatto che questi pezzi circolassero assieme e che, quindi, fossero spendibili. Ma come? Verso chi? In quali contesti? E soprattutto, in che rapporto?

 

No, la domanda posta a monte di tutta questa discussione, non è affatto banale!

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A questo punto credo che, contrariamente a quelle che erano le intenzioni di chi produceve certe monete, la coniazione di denaro imitativo non abbia fatto altro che aumentare la depressione economica delle aree dove avveniva.

Quando qualunque pezzo di metallo vile, anche solo vagamente coniato, viene usato come moneta, e addirittura valutato a peso, ecco che la riserva di valore che la moneta stessa dovrebbe rappresentare finisce per ritornare dritta alla sua origine....un qualunque pezzo di metallo vile, la cui inflazione - indipendentemente da un presunto e probabilmente non più esistente in certi casi valore nominale - è grandissima.

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Si, ma bisogna vedere come veniva valutato il peso.

Il pagamento "a peso" delle imitative rapportato alle ufficiali creava di fatto un valore associato o associabile a queste ultime anche perché, se pagamento a peso vi era, questo era presumibilmante legato a determinate transazioni in particolari contesti. Per gli scambi quotidiani non penso si ricorresse costantemente alla pesatura della moneta. Ergo il radiato imitativo doveva per forza essere inserito in una scala di valore... A tre? Ufficiale-imitativo-imit.minimo?

La faccenda si complica infatti ci non il discorso dei minimi. Io sono dell'avvviso che potrebbe essere utile analizzare le leghe dei minimi e rapportarle chimicamente alle leghe degli imitativi di dimensioni "ordinarie" se non altro per capire in che rapporti stavano tra loro queste due tipologie di monete non ufficiali

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Leggendo i precedenti post...mi pare convincente l'ipotesi che, in zone di scarsità di monetazione ufficiale, le imitative valessero a peso per le transazioni...

 

Qui, Eliodoro, tocchi un tema dibattutissimo, anche in questo stesso forum con un'appassionante discussione prematuramente conclusa (http://www.lamoneta.it/topic/41664-rame-a-peso-nel-basso-impero/?hl=%2Bnummi+%2Bpagamento+%2Bpeso#entry454838) ma della quale a suo tempo feci un "copia e incolla" che conservai quale sacra reliqua.

Lungi da me l'intenzione di dare una risposta al tema, mi limito solamente a dare una mia idea personale: nelle piccole transazioni quotidiane i nummi valevano "a numero", indipendentemente dal loro peso; nelle transazioni di maggiore valore, valevano "a peso", venendo collocati in sacchetti (folles) che venivano sigillati dopo aver contrassegnato ciascun sacchetto con il peso corrispondente, o, più esattamente, con il loro valore in unità di conto.

C'è un papiro della fine del IV secolo trovato a Fayyum nel qaule si riferisce di un pagamento erariale effettuato fisicamente con circa 2 milioni di nummi! Mi sembra ridicolo immaginare che un funzionario si mettesse a contarli! Esso poteva essere stato effettuato solamente con folles, cioè con nummi previamente persati e "confezionati" in lotti.

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In realtà, l'ipotesi del valore dell'imitativa soltanto da un punto di vista numerico è, del pari convincente. In entrambi i casi, l'antoniniano imitativo non aveva alcun valore ufficiale e/o fiduciario, ciò potrebbe spiegare sia la notevole variazione di peso, sia il progressivo scadimento della coniazione

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