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Un affascinante tarì napoletano per Filippo III di Spagna.


Risposte migliori

Salve a tutti.

Con questa discussione volevo oggi focalizzare la vostra attenzione su una rarissima tipologia monetaria coniata a Napoli nei primi anni del regno di Filippo III d'Asburgo (1598-1621). Senza frapporre ulteriori indugi, passiamo alle descrizioni.

 

1.      D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI.  Busto radiato, corazzato e drappeggiato volto a sinistra. Sotto, una croce tra due globetti.

R/ MARGARI + AVSTR + CONIVXIT  Busti dei sovrani Filippo III e Margherita d’Austria affrontati, posti su due cornucopie intrecciate. Tra di loro, nel campo, una corona reale. Sotto, 16..

·         M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9 (fig. 1).

·         Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1099 (tav. VIII del catalogo di vendita) – fig. 2.

·         G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, p. 22, n° 3 (tav. I, n° 3, proveniente dalla Coll. Catemario con un peso di 5,92 g.) – fig. 3 e 3 bis.

·         A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 183, n° 23 (rarità: R4). 

tarì 2.JPG

Fig. 1.

Immagine tratta da Pannuti-Riccio, p. 140.

 

sambon.JPG

Fig. 2.

Immagine tratta dal catalogo di vendita della Collezione Sambon del 1897, tav. VIII.

 

bovi.JPG

Fig. 3.

Immagine tratta dall'articolo di G. Bovi del 1967 in BCNN, tav. I (ex Coll. Catemario).

 

d.jpg   r.jpg

Fig. 3 bis.

In questa immagine sembra che la moneta ritratta sia la stessa già appartenuta alla Coll. Catemario pubblicata dal Bovi e qui riportata in fig. 3. 

 

2.      D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI.  Busto simile al numero precedente. Dietro il busto, sigla comunemente interpretata come G.

R/ Del tutto simile al numero precedente.

·         M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9a. 

·         Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1100.

·         G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, manca.

·         A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 184, n° 24 (rarità: R4).

·         CNI XX, p. 178, n° 27 (esemplare della Coll. Sambon). 

Al momento, l’unico pezzo conosciuto di questa varietà fu esitato nell’asta Varesi XXXIII  Utriusque Siciliae del 30 maggio 2000, p. 63, lotto n° 316 (fig. 4). Il medesimo esemplare, prima di approdare in questa recente asta, era appartenuto a Giulio Sambon e dalla sua ditta fu  venduto nel catalogo della sua collezione a Milano nel 1897. Successivamente, si registrò un altro passaggio in asta Ratto del 5 maggio 1959 (lotto n° 353), per concludere poi in asta Varesi.

 

tar'.JPG

Fig. 4.

Immagine tratta dal catalogo d'asta Varesi Utriusque Siciliae.

 

Come si evince dal titolo, questa interessantissima moneta napoletana dal valore di un tarì (ovvero due carlini), oltre alla rarità e all’importanza numismatica, riveste anche un rilevante significato storico, espresso attraverso l’iconografia del rovescio. Il diritto non rileva nulla di eccezionalmente importante, fatto salvo per la sigla G dietro il busto della variante qui descritta al n° 2, ma che avremo modo di approfondire di qui a breve. Volevo quindi soffermarmi in particolare sul rovescio. La legenda è già di per sé molto eloquente, ricordando il matrimonio tra Filippo III e Margherita d’Austria. Quest’ultima (1584 – 1611) era figlia dell’Arciduca d’Austria Carlo II di Stiria (1540 – 1590) e nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Ferdinando I (1556 – 1564). Non era certo di bell’aspetto: i ritratti dell’epoca ce ne tramandando un’immagine caratterizzata dal celebre prognatismo asburgico, tuttavia era di carattere mite, molto religiosa (alcuni l’hanno definita addirittura bigotta) e tutt’altro disinteressata agli affari politici e alle celebrazioni di corte. Nel 1599 sposò il Re Filippo III per procura, portando alla Corona spagnola una dote di 100.000 ducati, e di lì a poco intraprese il viaggio verso la penisola iberica, dove la sua unione regale doveva essere confermata nella capitale Madrid. Durante il suo viaggio verso la Spagna, il corteo austriaco fece tappa a Milano dove, per celebrare la sosta della nuova Regina spagnola, fu inaugurata, nell’allora Palazzo Ducale, la prima sala cittadina predisposta all’esecuzione dell’opera, il cosiddetto Salone Margherita. Alla corte spagnola, Margherita divenne una donna molto potente: ella era affezionata al consorte, così come anche lui esprimeva un sincero sentimento nei suoi confronti, ma non disdegnava l’intromissione, quando era necessario, negli affari di Stato. Il legame tra i due regnanti è ben illustrato su questa moneta: l’unione matrimoniale è simboleggiata dalle cornucopie che s’intrecciano. Questo simbolismo di pace, amicizia e concordia era già stato adoperato nel mondo classico su alcune monete romane sorprendentemente simili, nell’iconografia, a quella in oggetto (fig. 5 e 6, per fare alcuni esempi). Non escludo che l’incisore che curò l’esecuzione dei conii di rovescio per questi tarì napoletani non abbia preso spunto diretto da una di queste due monete romane, forse presenti nelle raccolte reali partenopee già messe insieme dall’epoca aragonese per volere di Re Alfonso il Magnanimo.

 

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Fig. 5.

Sesterzio coniato a Roma a nome di Druso, figlio dell'Imperatore Tiberio, intorno al 22 - 23 d.C. Le due teste che sormontano le cornucopie sono quelle dei nipoti di Tiberio e figli dello stesso Druso: Tiberio Gemello e Germanico Gemello. RIC I, n° 42 (under Tiberius). Ex NAC 51, lotto 171.

 

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Fig. 6.

Sesterzio dell'Imperatore Antonino Pio coniato a Roma intorno al 149 d.C. I due bambini le cui teste sono poste sopra le cornucopie sono T. Elio Antonino e T. Aurelio Antonino, i due figli del futuro Imperatore Marco Aurelio e di sua moglie Faustina II, nati proprio nel 149 d.C. RIC III, n° 857. Ex CNG Triton VIII, lotto n° 1142.  

 

La Regina dimostrò molto peso nella scelta dei ministri e dei cortigiani che circondavano il sovrano, decretando la caduta di quelli a lei sfavorevoli ed incentivando l’ascesa di coloro che si rivelavano  fedeli non solo alla Spagna, ma anche all’Austria, suo Paese d’origine. Era lei, infatti, che spesso decideva che poteva avere contatti con il Re e chi invece veniva escluso da questo rapporto privilegiato. Filippo, dal canto suo, era felice, non senza una punta di opportunismo, di condividere con la moglie i pesi della politica, sia interna che estera. La politica filo-austriaca di Filippo III si intensificò a partire dal 1600, quando, sotto l’influsso della zia Maria Imperatrice del Sacro Romano Impero, figlia di Carlo V, e della figlia di lei, monaca, il Re iniziò ad appoggiare finanziariamente la fazione cattolica attraverso l’Arciduca Ferdinando II d’Asburgo, futuro Imperatore (1619 – 1637) in quella che passerà alla storia come Guerra dei Trent’anni. Alla morte di Margherita, il 3 ottobre del 1611, Filippo, profondamente addolorato per la perdita, non si risposò più.

Riprendendo il discorso sul tarì in questione, esso fu coniato a Napoli nell’anno 1600, come dimostra anche la dicitura del numerale 16.. espresso sotto le due cornucopie al rovescio. Ad un anno di distanza, quindi, dal matrimonio tra i sovrani che si era tenuto solo l’anno precedente. Secondo un’ipotesi, sicuramente attendibile, avanzata dal Sambon in occasione della vendita della sua collezione nel 1897, a proposito di queste monete, esse vennero battute per una visita che i Re di Spagna avevano progettato a Napoli proprio per quell’anno, ma che non si realizzò mai. Questi tarì dovevano quindi essere gettati al popolo durante la cavalcata dei Re in visita alla città. In previsione di un simile evento, il nuovo Viceré Fernando Ruiz de Castro Conte di Lemos, insediatosi a Napoli nell’ottobre del 1599 con la moglie Catalina de Zùniga ed il figlio Pedro Fernàndez che gli succederà poi nella medesima carica, ordinò, oltre alla coniazione di queste monete, anche la costruzione di un nuovo palazzo (l’odierno Palazzo Reale in Piazza Plebiscito) per ospitare il Re in visita con la consorte. A seguito dell’annullamento del viaggio reale a Napoli, la costruzione della nuova residenza continuò, mentre molti dei tarì di questo tipo già coniati vennero ritirati dalla circolazione e rifusi per recuperare il metallo in Zecca. In circolazione ne rimasero pochissimi, come ad esempio l’unico esemplare noto descritto qui al n° 2, che risulta anche tosato e che quindi testimonia una discreta quanto movimentata attività di circolazione. Questo provvedimento potrebbe spiegare anche l’eccellente livello di rarità raggiunto ad oggi da questi particolari tarì: partiamo dicendo che solo un esiguo numero di esemplari sfuggì al ritiro ed alla fusione e, per quelli che restarono in circolazione, non tutti sono pervenuti fino ai nostri giorni, il che porta ad abbassare drasticamente il numero di pezzi sopravvissuti alle vicissitudini storiche e quotidiane intercorse in un così lungo arco temporale. Da un primo confronto dei conii dei diversi esemplari qui illustrati, risulta facile notare come per il rovescio fossero stati preparati meno conii rispetto al diritto: le somiglianze tra i conii di rovescio, infatti, sono più strette e calzanti rispetto a quelle dei conii di diritto (in alcuni casi sembra sia stato usato proprio lo stesso conio, ma è difficile giudicare anche a causa della conservazione dei pezzi), il che fa presupporre che furono preparati più conii di diritto, ma, a confronto, pochi, se non pochissimi, di rovescio. Passiamo ora, finalmente, a parlare della sigla G che compare dietro il busto al diritto dell’esemplare n° 2, come già detto, conosciuto, al momento, solo in quest’unico pezzo. Nel periodo in cui furono coniati questi tarì, ovvero nell’anno 1600, nella Zecca partenopea lavorava Giovanni Antonio Fasulo come Maestro di Zecca. Costui, un banchiere di origini napoletane, aveva già ricoperto questa carica a partire dal 1594, sotto Filippo II, continuando a mantenerla anche sotto Filippo III fino al 6 settembre del 1611. Egli siglava le monete con le proprie iniziali: IAF, seguendo una dizione latina “Joannes (o Johannes) Antonius”, e GF, ovvero “Giovanni Fasulo” seguendo invece una dizione volgare, possiamo dire, se vogliamo, in termini più recenti, italiana. Entrambe le sigle sono espresse in monogramma. Nello stesso periodo, come Maestro di Prova, lavorava, accanto al Fasulo, Gaspare Giuno (o Juno), attivo già dal 1591 e risultante in carica fino al 6 giugno 1609. Egli siglava le monete con la lettera G o con GI in monogramma. Ora, nei testi, come ad esempio il CNI XX, viene riportato in merito a questo tarì con sigla, che la lettera G indicherebbe il Maestro di Prova Gaspare Giuno, ipotesi, questa, che è ancora tutt’oggi prevalente nel pensare comune quando si parla di tale moneta. Io, però, ho dei dubbi al riguardo: il solo Maestro di Prova, che, a differenza del Maestro di Zecca non aveva la responsabilità dell’intera attività monetale e non sempre era tenuto a siglare le monete a differenza, invece, del suo superiore, avrebbe potuto apporre la propria inziale omettendo, invece, quella del Maestro di Zecca? In realtà, a livello amministrativo, era quest’ultimo che rispondeva della qualità del lavoro in Zecca e dei prodotti monetari che vi uscivano, non il Maestro di Prova. Dunque, è più credibile che la sigla G non appartenga in realtà a Gaspare Giuno, come creduto finora, ma sia in realtà quella del Maestro di Zecca, ovvero di Giovanni Antonio Fasulo, responsabile della Zecca e, quindi, anche della coniazione di questo tarì commemorativo. Ne deriva che la sigla non può essere letta semplicemente come G, ma come GF (anche secondo criteri stilistici), il monogramma di Giovanni Antonio Fasulo, così come avviene ad esempio in altri nominali napoletani dello stesso periodo dove si ritrovano sullo stesso tondello le sigle GF e G (cfr. il carlino coevo con aquila e legenda di rovescio EGO + IN + FIDE del tipo Pannuti – Riccio, n° 16a). Anche se ci fosse stata la seconda sigla di Gaspare Giuno, essa sarebbe apparsa, probabilmente, sotto il busto del sovrano (come, ad esempio, nel tipo Pannuti-Riccio, n° 9 sotto il busto vi era una croce tra due globetti), come nel predetto carlino, in una parte della moneta che risulta purtroppo tosata. Infatti, non compare nessun’altra sigla nei campi, così come non possiamo immaginare che, in una coniazione ufficiale, appaia solo la sigla del Maestro di Prova, mentre viene omessa (per quale ragione plausibile poi?) quella più importante del Maestro di Zecca che garantiva, appunto, la bontà della moneta. In conclusione, secondo la mia opinione, la sigla che fino ad oggi si è malamente letta come G andrebbe letta per quello che in realtà è, cioè il monogramma GF del Maestro di Zecca dell’epoca. Ipotizzando la presenza della sigla G di Giuno, essa si sarebbe trovata sotto il busto, una parte della moneta purtroppo ad oggi perduta. Tale teoria sarebbe confermata se uscisse un secondo esemplare con la sigla dietro il busto ma con la parte sottostante non tosata. Per le sigle ho fatto molto affidamento su quanto pubblicato da P. Magliocca in Maestri di Zecca, di  Prova ed Incisori della Zecca napoletana dal 1278 al 1734, Formia 2013.        

Ma ora lascio la parola a tutti coloro che vorranno intervenire con le proprie impressioni, commenti ed ipotesi: spero che anche questa discussione possa suscitare il vostro interesse.

Modificato da Caio Ottavio
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@Caio Ottavio

Ciao Raffaele.....ti faccio i miei complimenti per lo scritto, davvero molto scorrevole e ben dettagliato....finalmente ho riscoperto che non sono il solo che studia queste monete .... Da subito ho capito che non avevi letto ciò che tempo fa (2012) scrissi in questa discussione.....dal post 130/131 a seguire....qualche volta dagli una letta ... è un bel pozzo di notizie inedite...che dovrebbero cambiare qualcosa nella monetazione vicereale.

Comunque...in gamba...ci sei arrivato da solo.

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Grazie articolo molto interessante e ben scritto. Mi interessa soprattutto il discorso sulle sigle. Ti pongo una domanda ma perché la G deve per forza essere in monogramma?  poi hai mai sentirò parlare di un tre cinquine tipo 1 con solo G ? Io ne ho viste due. Come le spieghi? 

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Grazie a tutti per l'attenzione che mi avete gentilmente concesso: la trattazione di questa moneta mi premeva già da un po' di tempo e alla fine ho deciso di parlarne qui con voi.

@Rex Neap stavo per taggarti. :D Il periodo del Vicereame mi ha sempre attirato, anche se non mi sono mai avventurato con disquisizioni troppo approfondite o innovative. Qualche volta, quando trovo una moneta su cui organizzare un discorso, magari faccio qualche ricerca e provo a mettere insieme qualcosa. Hai perfettamente ragione quando dici che non ero a conoscenza della discussione che mi hai segnalato perché è effettivamente così, non la conoscevo. Però ho recuperato e me la sto leggendo un po' al giorno. Ho notato che siamo arrivati alla stessa conclusione sulla sigla presunta G dietro il busto al diritto di questo tarì: a questo punto credo che le nostre ipotesi in merito inizino a consolidarsi. Grazie per l'attenzione.

Ringrazio anche @Fabrizio Proietti per il suo commento. Sarò felice di risponderti sul discorso sigle e sulle domande che poni, o almeno ci provo. Di per sé, se consideriamo questa sigla come lettera G allora non siamo dinanzi ad un monogramma. Quest'ultimo, per definizione, è un carattere che scaturisce dall'unione di due o più lettere (o, in certi casi, anche parole). La singola lettera non forma quindi monogramma. Il monogramma serve soprattutto per contrassegnare qualcosa: in questo caso la presunta G indica la "paternità" tecnico-amministrativa dell'opera, ovvero della moneta. Oltre alla lettera G ho parlato di monogramma perché molti ufficiali di Zecca siglavano all'epoca le monete con la propria iniziale (e quindi lettera singola), oppure, con una certa frequenza, anche con monogrammi. Nel 1600, cioè l'anno in cui fu coniato questo tarì, come ho già detto, a Napoli era Maestro di Zecca, cioè responsabile dell'istituto in sé e dell'attività che vi si svolgeva, Giovanni Antonio Fasulo, mentre Maestro di Prova, suo sottoposto, era Gaspare Giuno. Giovanni Antonio Fasulo, come ho detto sopra, siglava le proprie monete in due modi diversi, ma sempre adoperando un monogramma: IAF usando la dizione latina e GF usando quella italiana. Gaspare Giuno, invece, siglava le monete con la sola iniziale G. Ora, mi sono trovato d'accordo con l'ipotesi di @Rex Neap che la sigla dietro la testa è il monogramma GF del Fasulo e non solo la G di Giuno per diversi motivi che vado ad elencare: 1) La cronologia: nel 1600, Maestro di Zecca era solo e soltanto il Fasulo: nessun altro poteva siglare le monete al suo posto (diverso è il discorso delle monete con assenza di sigle: in questi casi non abbiamo nessuna lettera, né del Maestro di Zecca, né di nessun altro funzionario di Zecca. Al limite possiamo considerare la croce posta sotto il busto). 2) Lo stile delle lettere: se confrontiamo questa presunta G con altre sigle del Fasulo espresse in GF su altre monete napoletane coeve notiamo che la G è "tagliata" al centro da un tratto verticale più grande e uno orizzontale più piccolo, cioè la F. La F fatta in questo modo si fa a sovrascrivere in parte alla G (è questo il concetto fondamentale della definizione di monogramma), generando a volte, negli esemplari meno leggibili, delle perplessità sull'interpretazione della sigla stessa. Ebbene, ho riscontrato anche qui il trattino orizzontale della F. 3) In quella posizione, cioè dietro al busto, nel campo, poteva comparire solo (ma non esclusivamente) la sigla del Maestro di Zecca; come ho già detto, se si fosse trattato della sigla del Maestro di Prova non sarebbe stata isolata lì dove doveva trovarsi quella del suo superiore. Ma, come avviene nell'esempio del carlino P.R. 16a (dello stesso anno del nostro tarì), la sigla del Maestro di Prova Giuno si trova sotto il busto, mentre quella del Maestro di Zecca è dietro la testa. E poi, mi chiedo, che senso aveva far apporre la sigla del Giuno da solo al posto di quella del Fasulo che ne aveva tutti i diritti? La cosa non mi torna per niente. Quindi, da qui sono scaturite le mie osservazioni e, poi, le conclusioni. Venendo alle tre cinquine che citi, ti riferisci a quelle con scettro di questo tipo: http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-FIII/21? L'unica tipologia che ha tra le sigle la G è la W-FIII/21-3. Allora, in questo caso non ci sono particolari dubbi sulla lettura: IAF come già ho accennato è la sigla del Maestro di Zecca Giovanni Antonio Fasulo in dizione latina, mentre la G a cui ti riferisci è la sigla del Maestro di Prova Francesco Antonio Giuno (dal 6 giugno 1609 al 1617). In questo caso, lo stile non fa pensare che la G intersechi altre lettere e quindi nessun monogramma che la coinvolga. Ergo, sigla del Maestro di Prova. Nel nostro caso, invece, la G interseca la F. Poi, ci sono tutte le altre ragioni esposte finora che supportano la conclusione a cui sono giunto. Spero di aver risposto in modo adeguato ai tuoi quesiti, in modo da farti meglio comprendere l'analisi effettuata in torno a questo tarì e all'aspetto sigle.     

Modificato da Caio Ottavio
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1 ora fa, morellino dice:

Non vorrei sbagliare ma probabilmente la "tre cinquine di primo tipo" ,a cui fa riferimento@Fabrizio Proietti ,sono quelle con la croce sul R .

Grazie @morellino per il commento: sinceramente, seguendo le sigle, questo tipo di tre cinquine è posteriore rispetto a quello con scettro. Comunque, anche per le tre cinquine con croce al rovescio le sigle sono FC/C (Pannuti-Riccio, p. 143, n° 21), non G. A questo punto servirebbero delle immagini per capire a cosa si riferisce di preciso @Fabrizio Proietti: discutere così, senza un fondamento o punto di riferimento, non credo sia molto costruttivo, anche perché si potrebbe dire tutto e niente...vediamo se riusciamo ad argomentare un po'.

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Ciao@Caio Ottavio:
Il D'Andrea/Andreani lo considera come primo tipo,probabilmente seguendo la cronologia del Cagiati ed indica le sigle IAF e C.
Ci tengo a precisare che la mia "esperienza" in merito è minima, essendomi avvicinato a questa monetazione da poche settimane e,sicuramente farò molti errori..

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14 hours ago, Caio Ottavio said:

Grazie a tutti per l'attenzione che mi avete gentilmente concesso: la trattazione di questa moneta mi premeva già da un po' di tempo e alla fine ho deciso di parlarne qui con voi.

@Rex Neap stavo per taggarti. :D Il periodo del Vicereame mi ha sempre attirato, anche se non mi sono mai avventurato con disquisizioni troppo approfondite o innovative. Qualche volta, quando trovo una moneta su cui organizzare un discorso, magari faccio qualche ricerca e provo a mettere insieme qualcosa. Hai perfettamente ragione quando dici che non ero a conoscenza della discussione che mi hai segnalato perché è effettivamente così, non la conoscevo. Però ho recuperato e me la sto leggendo un po' al giorno. Ho notato che siamo arrivati alla stessa conclusione sulla sigla presunta G dietro il busto al diritto di questo tarì: a questo punto credo che le nostre ipotesi in merito inizino a consolidarsi. Grazie per l'attenzione.

Ringrazio anche @Fabrizio Proietti per il suo commento. Sarò felice di risponderti sul discorso sigle e sulle domande che poni, o almeno ci provo. Di per sé, se consideriamo questa sigla come lettera G allora non siamo dinanzi ad un monogramma. Quest'ultimo, per definizione, è un carattere che scaturisce dall'unione di due o più lettere (o, in certi casi, anche parole). La singola lettera non forma quindi monogramma. Il monogramma serve soprattutto per contrassegnare qualcosa: in questo caso la presunta G indica la "paternità" tecnico-amministrativa dell'opera, ovvero della moneta. Oltre alla lettera G ho parlato di monogramma perché molti ufficiali di Zecca siglavano all'epoca le monete con la propria iniziale (e quindi lettera singola), oppure, con una certa frequenza, anche con monogrammi. Nel 1600, cioè l'anno in cui fu coniato questo tarì, come ho già detto, a Napoli era Maestro di Zecca, cioè responsabile dell'istituto in sé e dell'attività che vi si svolgeva, Giovanni Antonio Fasulo, mentre Maestro di Prova, suo sottoposto, era Gaspare Giuno. Giovanni Antonio Fasulo, come ho detto sopra, siglava le proprie monete in due modi diversi, ma sempre adoperando un monogramma: IAF usando la dizione latina e GF usando quella italiana. Gaspare Giuno, invece, siglava le monete con la sola iniziale G. Ora, mi sono trovato d'accordo con l'ipotesi di @Rex Neap che la sigla dietro la testa è il monogramma GF del Fasulo e non solo la G di Giuno per diversi motivi che vado ad elencare: 1) La cronologia: nel 1600, Maestro di Zecca era solo e soltanto il Fasulo: nessun altro poteva siglare le monete al suo posto (diverso è il discorso delle monete con assenza di sigle: in questi casi non abbiamo nessuna lettera, né del Maestro di Zecca, né di nessun altro funzionario di Zecca. Al limite possiamo considerare la croce posta sotto il busto). 2) Lo stile delle lettere: se confrontiamo questa presunta G con altre sigle del Fasulo espresse in GF su altre monete napoletane coeve notiamo che la G è "tagliata" al centro da un tratto verticale più grande e uno orizzontale più piccolo, cioè la F. La F fatta in questo modo si fa a sovrascrivere in parte alla G (è questo il concetto fondamentale della definizione di monogramma), generando a volte, negli esemplari meno leggibili, delle perplessità sull'interpretazione della sigla stessa. Ebbene, ho riscontrato anche qui il trattino orizzontale della F. 3) In quella posizione, cioè dietro al busto, nel campo, poteva comparire solo (ma non esclusivamente) la sigla del Maestro di Zecca; come ho già detto, se si fosse trattato della sigla del Maestro di Prova non sarebbe stata isolata lì dove doveva trovarsi quella del suo superiore. Ma, come avviene nell'esempio del carlino P.R. 16a (dello stesso anno del nostro tarì), la sigla del Maestro di Prova Giuno si trova sotto il busto, mentre quella del Maestro di Zecca è dietro la testa. E poi, mi chiedo, che senso aveva far apporre la sigla del Giuno da solo al posto di quella del Fasulo che ne aveva tutti i diritti? La cosa non mi torna per niente. Quindi, da qui sono scaturite le mie osservazioni e, poi, le conclusioni. Venendo alle tre cinquine che citi, ti riferisci a quelle con scettro di questo tipo: http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-FIII/21? L'unica tipologia che ha tra le sigle la G è la W-FIII/21-3. Allora, in questo caso non ci sono particolari dubbi sulla lettura: IAF come già ho accennato è la sigla del Maestro di Zecca Giovanni Antonio Fasulo in dizione latina, mentre la G a cui ti riferisci è la sigla del Maestro di Prova Francesco Antonio Giuno (dal 6 giugno 1609 al 1617). In questo caso, lo stile non fa pensare che la G intersechi altre lettere e quindi nessun monogramma che la coinvolga. Ergo, sigla del Maestro di Prova. Nel nostro caso, invece, la G interseca la F. Poi, ci sono tutte le altre ragioni esposte finora che supportano la conclusione a cui sono giunto. Spero di aver risposto in modo adeguato ai tuoi quesiti, in modo da farti meglio comprendere l'analisi effettuata in torno a questo tarì e all'aspetto sigle.     

Grazie per la gentilissima risposta molto dettagliata. Effettivamente io faccio riferimento alle tre cinquine con scettro. Personalmente ne ho trovata una senza IAF ma solo G. ora provo a mandarti una foto. Inoltre chiedendo in giro ne è saltata un'altra fuori. in ogni caso in nessuna delle due si riscontra tosatura basandosi sul peso. 

 

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Grazie @Fabrizio Proietti per questo particolare: la G si vede bene e dall'altro lato c'è un globetto. Se il peso è pieno possiamo dire con una certa sicurezza che non vi è stata tosatura. Ora è più comprensibile il discorso. Potresti mettere le foto di entrambi i lati per intero? Grazie ancora.

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1 minuto fa, Fabrizio Proietti dice:

Ti mando le foto appena torno a casa. Si il peso è pieno da manuale.

Certo, appena puoi ce le mostri, così possiamo capire meglio il discorso sigle su questo 3 cinquine.

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Grazie per le foto @Fabrizio Proietti. Effettivamente, si ha l'impressione che ci sia solo la lettera G, mentre non si vede la solita IAF per il Maestro di Zecca che si doveva trovate dall'altra parte del fiocco: qui invece vedo un globetto. Mi sembra che sia passata un'altra moneta simile, ma più malmessa nella zona delle sigle in quest'asta: https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=708&lot=1284

Ex CNG 96, lotto 1284: ITALY, Napoli (Regno). Filippo III di Spagna. 1598-1621. AR 3 Cinquine (17mm, 2.00 g, 12h). Napoli (Naples) mint. Struck 1598-1621. PHIL/III (apostrophe stop) D G R/HISP in three lines within wreath / Crowned scepter, entwined with olive branch and grain ears; PAX ET VBER TAS in two lines across fields; all within laurel wreath. Cf. CNI XX 449 (for type); Pannuti-Riccio 20; MIR 212. VF, toned.  Ex Archer M. Huntington Collection (HSA 1001.1.26690).

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Modificato da Caio Ottavio
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@Rex Neap tu cosa ne pensi? Non posso fare a meno di ricordare un tuo articolo dedicato a questa tipologia di Filippo III apparso sulla rivista digitale OMNI n° 10 del luglio di quest'anno. Forse la sua lettura gioverebbe.

Non vorrei però che si andasse fuori tema: vorrei rammentare che avevo iniziato la discussione sul tarì con le cornucopie, non sulle tre cinquine. Una piccola divagazione ci può stare, stiamo pur sempre ragionando su delle sigle pertinenti, però preferirei fosse rapida e che poi si ritornasse a parlare della moneta inizialmente in oggetto.

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2 minuti fa, Fabrizio Proietti dice:

Mi dispiace per la divagazione. Del tarì con cornucopia conosco davvero poco mi ritiro dalla discussione e leggo volentieri. 

No, non preoccuparti, non intendevo dire che la divagazione non è stata pertinente o non era consentita: anzi, portiamo avanti il discorso su queste sigle, che comunque sono collegate con il tarì, poi magari invece delle tre cinquine torniamo a parlare della moneta iniziale, per ritornare in tema. Anche perché sono due tipologie differenti coniate in due anni diversi. Quindi, continua pure a seguire come stavi facendo. ^_^

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Ciao Raffaele...e anche a Fabrizio....e a tutti; per me quello di dx....è il globetto che compone il fogliame.....e la sigle del mastro è un pò più sotto.

L'ipotesi della G è sempre quella: è la sigla del mastro di prova, se c'è quella ci deve essere anche quella del mastro di zecca...che poi qui non si vede è un altro conto. 

P.S. mi sembra di aver già risposto all'ipotesi, su questo ritaglio di moneta......in altri lidi....!!

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Ciao Pietro, grazie per la puntuale risposta: mi premeva avere un tuo parere in merito. In effetti, sembra strano che ci sia solo la G del Maestro di Prova, il discorso non torna per i motivi già esposti nei miei precedenti messaggi. Ho avuto poi modo di leggere sia il tuo articolo (ti faccio i miei complimenti perché l'ho trovato davvero molto interessante), che ho citato sopra, sia alcune discussioni su questo nominale e sulle sue sigle che ho trovato in giro, pure qui sul Forum. Anche io credo che il globetto faccia parte del fogliame della corona, perché ve ne sono altri identici disposti tra le foglie. Quindi, spero che il quesito di @Fabrizio Proietti abbia trovato una giusta spiegazione anche e soprattutto grazie a questo tuo ultimo intervento. :) 

Modificato da Caio Ottavio
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Bellissima discussione..complimenti  a tutti i partecipanti..riguardo le 3 cinquine..a me sembra chiaro che vi sia un'unica lettera la G e non essendo  tosata, è  evidente  la mancanza della sigla del fasulo.bravissimo @fabrizio proietti per l'occhio al momento  dell'acquisto. ..saluti eliodoro 

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7 ore fa, eliodoro dice:

Bellissima discussione..complimenti  a tutti i partecipanti..riguardo le 3 cinquine..a me sembra chiaro che vi sia un'unica lettera la G e non essendo  tosata, è  evidente  la mancanza della sigla del fasulo.bravissimo @fabrizio proietti per l'occhio al momento  dell'acquisto. ..saluti eliodoro 

Grazie @eliodoro per l'intervento. Per le tre cinquine, è giusto concludere che è visibile solo la lettera G del Maestro di Prova Giuno, mentre dall'altro lato, all'altezza della corona, non è visibile la sigla IAF e non perché la moneta sia stata tosata. L'ipotesi espressa da @Rex Neap per spiegare tale mancanza mi sembra convincente: se c'è la G ci doveva essere anche IAF è semplicemente stata messa più in basso, quindi non allineata con la G vicino alla corona. Può essere accaduto, quindi, che sia andata fuori tondello e non sia più visibile. D'altronde, il caso di @Fabrizio Proietti non è l'unico noto, com'è emerso da questa discussione. Resta comunque una moneta bella e particolare, sicuramente un ottimo acquisto partendo già dal fatto che non presenta tosature ed è quindi integra.

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