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Carlo I d’Angiò Re di Napoli e le sue mire espansionistiche in Oriente.


Risposte migliori

13 ore fa, Caio Ottavio dice:

Salve a tutti.

Quest’oggi volevo approfondire un tema storico, forse ultimamente messo un po’ da parte, che riguarda molto da vicino la politica espansionistica di Carlo I d’Angiò (1282 – 1285, come Re di Napoli).  Carlo I era di stirpe reale: era infatti figlio del Re di Francia Luigi VIII, mentre suo fratello sarà il futuro San Luigi IX. I suoi rapporti con l’Oriente erano già molto vivi ancor prima di arrivare ad impossessarsi della corona napoletana: nel 1248, infatti, Carlo, con i titoli di Conte d’Angiò, del Maine, di Provenza e Forcalquier, accompagnò suo fratello, il Re Luigi IX, durante la Settima Crociata, in Egitto, governato all’epoca dalla dinastia araba degli Ayyubidi. Questi ultimi, nel 1245, l’anno prima che Carlo fosse elevato a Conte d’Angiò, avevano conquistato Gerusalemme con i suoi luoghi santi, all’epoca ancora oggetto di numerose contese tra mondo cristiano e mondo musulmano. Il loro potere, poi, si era esteso anche in Egitto, costituendo un serio pericolo per le potenze europee che si affacciavano sul Mediterraneo. Inoltre, questa occasione offriva un ottimo pretesto per ritornare in Oriente e ritagliarsi dei possedimenti personali da assoggettare a dinastie cosiddette franche. Dopo un breve scalo a Cipro, tappa obbligatoria per le flotte che dall’Europa si dirigevano in Oriente, Carlo raggiunse l’Egitto nel 1249, partecipando alla vittoriosa conquista di Damietta. Nel febbraio del 1250, però, fu protagonista, insieme al fratello Luigi e ad altri membri della famiglia reale francese, della disastrosa disfatta di Mansura, a seguito della quale sia Luigi IX che Carlo stesso furono annoverati tra i prigionieri dei musulmani, diventando così molto più preziosi per i nemici di ogni possibile bottino di guerra. Infatti, dopo una breve prigionia, sia il Re di Francia che suo fratello Carlo d’Angiò furono rilasciati dietro pagamento di un pesante riscatto. Carlo decise che la sua avventura crociata nei territori dell’Outremer poteva dirsi conclusa: nel 1251 fece ritorno in Francia, anche a seguito di alcune rivolte che si stavano sviluppando nei suoi territori. Negli anni seguenti, Carlo si dedicò agli sviluppi politici della Francia e degli altri Stati limitrofi, intromettendosi in varie questioni ereditarie da cui uscì spesso con il raggiungimento di un proprio tornaconto personale. Non trascorse però molto tempo che Carlo fu invischiato negli affari italiani: nel 1261 era stato eletto al soglio pontificio Papa Urbano IV che era di origini francesi. La situazione politica in Italia non era delle migliori: Manfredi di Svevia, Re di Sicilia, ambiva a conquistare l’Italia intera, il che equivaleva ad una minaccia seria e preoccupante per il pontefice, il quale tentò di ingraziarsi il sovrano svevo intraprendendo la via diplomatica che, ahimè, non portò a nulla di concreto. Così, Urbano IV reagì pesantemente scomunicando Manfredi, il che comportava la perdita di ogni diritto sul trono di Sicilia. Il Regno dell’Italia Meridionale, per antiche norme di diritto feudale, ritornava nelle mani del Papa che ne disponeva al meglio. In questo caso, Urbano decise di affidarne la corona a Carlo d’Angiò, forse con lo scopo  di favorire la casata reale della sua terra d’origine. Mentre Carlo si recava a Roma per essere insignito del titolo di Senatore, Urbano IV morì di lì a poco nel 1264. Gli successe Clemente IV che continuò la politica anti-sveva del suo predecessore: egli accolse Carlo con il suo seguito nel 1265 e lo incoronò a Roma Re di Sicilia. Manfredi, intanto si organizzò per l’imminente scontro, poiché non aveva nessuna intenzione di rinunciare ai suoi diritti sul trono siciliano, nonostante fosse ormai ufficialmente decaduto. Da questo momento in avanti, è risaputo cosa avvenne e come Carlo conquistò la corona dell’Italia Meridionale: il suo esercito, forte di quasi 30.000 uomini provenienti dalla Francia, supportato dai Baroni che si erano ribellati a Manfredi, sbaragliò le forze sveve sul fiume Calore nei pressi di Benevento. Era il 26 febbraio 1266 il giorno esatto in cui lo Stato più esteso della penisola italiana assistette all’ultimo bagliore della gloriosa casata sveva e, nello stesso istante, all’ascesa di un nuovo padrone, la cui discendenza, tra bene e male, contribuì allo sviluppo della parte continentale del Regno impegnandosi con uno sforzo senza precedenti. Fu proprio con Carlo I che Napoli fu scelta come capitale del Regno, soprattutto dopo che, con la rivolta dei Vespri Siciliani, la parte insulare dei suoi nuovi possedimenti si era ribellata, scacciando i Francesi visti come despoti votati al sopruso.  Ed in effetti la politica di Carlo I, ancor prima di diventare Re, era stata sempre molto dura e, a tratti, dispotica: nel riorganizzare l’assetto amministrativo del Regno appena conquistato con le armi, il sovrano angioino tolse molte delle antiche prerogative alla nobiltà locale per affidarle invece a membri più o meno illustri provenienti da altre parti d’Italia e d’Europa, favorendo con un occhio di riguardo i mercanti ed i banchieri toscani. Il Regno non fu però pacificato del tutto prima del 1268, anno in cui Carlo sconfisse a Tagliacozzo le ultime truppe rimaste fedeli agli Hohenstaufen nella persona di Corradino, nipote di Manfredi. Con la sconfitta e la decapitazione di Corradino a Napoli, Carlo d’Angiò divenne ancor più ferreo nel suo governo: portò alla rovina molti nobili locali per poi sostituirli con i più fedeli tra i Baroni francesi. Gli Svevi, poi, a differenza degli Angioini, avevano sempre mantenuto ottime relazioni pacifiche con gli Arabi, il che aveva scatenato l’ira di più di un pontefice. Con l’avvento di Carlo I a Napoli le cose cambiarono e fu in questo momento che il Nostro, dopo aver assicurato la stabilità nei suoi nuovi territori, pose rinnovata curiosità verso l’Oriente. Luigi IX, nonostante l’esito estremamente negativo registrato alla fine della Settima Crociata, spinto dalle sue convinzioni religiose e da una fedeltà al Papa quasi fanatica, era già pronto ad intraprendere quella spedizione, questa volta contro la Tunisi del califfo al-Mustansir, che sarebbe passata alla storia come Ottava Crociata. Ed anche questa volta il buon Carlo vi partecipò: i motivi della sua partecipazione, poco entusiasta a causa forse della prigionia subita verso la metà del XIII secolo in Egitto, si devono probabilmente ricercare nel fatto che, da Tunisi, al-Mustansir, vecchio alleato di Manfredi e quindi nemico del nuovo Re Carlo, poteva tenere sotto scacco sia la Sicilia che il Regno di Napoli. Carlo era quindi molto più pragmatico di suo fratello e riuscì a intravedere ottime opportunità per il suo Regno accodandosi alla farsa della Crociata. Infatti, morto nel 1270 Luigi IX per una violenta forma di dissenteria, Carlo, come parente più prossimo, assunse il comando della Crociata che si trasformò più in una guerra personale: alla fine, in quello stesso anno, il sovrano Angioino stipulò un nuovo trattato con il califfo e, ottenuti i rimborsi delle indennità di guerra da parte del nemico, rientrò in Sicilia quello stesso anno. Ma i progetti che più attanagliavano la mente di Carlo I si manifestarono già prima dell’Ottava Crociata. Alleandosi con l’Imperatore latino di Costantinopoli Baldovino II, ormai in esilio, attraverso un’oculata politica matrimoniale (fece infatti sposare sua figlia Beatrice con il figlio di Baldovino nonché suo successore, Filippo di Courtenay), l’Angioino mirava alla conquista graduale del trono costantinopolitano. Questa sua sete di conquiste dovette sfogarsi al di là dei confini nazionali, poiché in Italia non poteva unificare gli altri territori della penisola, rischiando altrimenti di incorrere nell’ira del Papa, rischiando di fare la stessa fine dello scomunicato Manfredi. I regni orientali, invece, facevano ancora gola ai sovrani occidentali, poiché ancora floridi e ricchi, nonostante l’epoca d’oro delle Crociate era finita da un po’. Alla riconquista latina di Costantinopoli e del suo ricco Impero volle partecipare anche il Principe d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin, il quale diede in sposa sua figlia ed erede Isabella al figlio di Carlo, Filippo. Questi  divenne Principe d’Acaia a partire dal 1278, quando Guglielmo II morì e Isabella entrò in possesso dei territori paterni come prevedevano gli accordi. Da questo momento in poi, l’Acaia spetterà di diritto agli Angioini. Un primo passo, quindi, per l’espansione angioina in Oriente era già stato compiuto. Attraverso questa politica matrimoniale, Carlo I poteva muovere i fili del potere anche all’estero, senza però essere coinvolto in prima persona, mantenendo apparentemente il controllo del solo Regno di Napoli, di cui era sovrano titolare. Nonostante la conquista di Costantinopoli sembrava per Carlo a un passo dalla realizzazione, i suoi piani furono bloccati a causa dell’alleanza religiosa che Michele VIII Paleologo, Imperatore di Bisanzio, strinse con il nuovo Papa Gregorio X, il che portò ad un arresto temporaneo della campagna intrapresa da Carlo I contro i Bizantini. La situazione precipitò con lo scoppio dei Vespri Siciliani del 1282 che costrinsero il sovrano ad abbandonare l’Albania e a tornare in Sicilia per sedare la rivolta. Mentre era ancora in corso la progettata conquista di Costantinopoli, Carlo non mancò di andare oltre Bisanzio e di mirare ancora più lontano, ovvero alla stessa capitale di quello che era stato il Regno latino omonimo più importante creato dopo la fine della Prima Crociata nel 1099: Gerusalemme. Dopo la morte di Corradino, nel 1268, che era titolare del Regno di Gerusalemme, i diritti al trono di un Regno che era solo l’ombra di quello che era stato in passato furono contesi da varie casate occidentali, tra questi la spuntò alla fine quella dei Lusignano di Cipro. Alla fine del XIII secolo, quando ormai la riscossa musulmana aveva portato all’annientamento uno dopo l’altro di tutti gli Stati che i Crociati avevano fondato in Outremer, il titolo di Re di Gerusalemme, ridotto ad una pura formalità, era stato rivendicato però anche da altre famiglie. Tra queste spiccava la dinastia dei Principi di Antiochia nella persona di Maria, figlia di Boemondo VI, ultimo Principe effettivo di questo Stato crociato. Ella vantava diritti dinastici sul trono di Gerusalemme: infatti, per via paterna, era discendente del Re Baldovino II, in quanto la figlia di questi, Alice, aveva sposato Boemondo II d’Antiochia, antenato in linea diretta di suo padre. Suo nipote, Ugo III di Lusignano, riuscì però ad impadronirsi del titolo, lasciando a mani vuote Maria d’Antiochia, la quale, nel 1277, vedendosi sconfitta, vendette i suoi diritti sul trono gerosolimitano proprio all’ambizioso Carlo I d’Angiò. Da questa acquisizione non furono ricavati però nuovi territori in Oriente per la Corona angioina: molte città costiere che erano sopravvissute agli attacchi dei musulmani avevano giurato fedeltà ad Ugo III. Un tentativo fu comunque intrapreso da Re Carlo per far valere i suoi diritti appena comprati: nel giugno di quello stesso anno 1277 una flotta siciliana comandata da Ruggero Sanseverino approdò nel porto di San Giovanni d’Acri, ultima fortezza rimasta in mani cristiane lungo la costa siro-palestinese (cadrà poi solo nel 1291), chiedendo udienza al comandante della piazzaforte, il Gran Maestro dell’Ordine cavalleresco degli Ospitalieri. Ruggero, con abili mosse diplomatiche, riuscì alla fine di una lunga trattativa a convincere l’Ordine che controllava la città a riconoscere Carlo come legittimo Re di Gerusalemme. Questo fu l’unico successo registrato dall’Angioino a seguito dell’acquisizione del titolo orientale. Proprio per rendere esplicito tale traguardo, nello stemma araldico degli Angioini di Napoli figurò la croce potenziata di Gerusalemme (fig. 1).

411px-Arms_of_Anjou-Jerusalem.svg.png

Fig. 1: Arme di Carlo I d'Angiò dopo il 1277. Di Heralder - Own work, elements by Sodacan & Katepanomegas, CC BY-SA 3.0.

Un evento così importante per la storia degli Angioini sovrani di Napoli non poteva non essere commemorato anche con un’apposita serie monetale. In politica economica, almeno in Sicilia e nelle zecche minori dell’Italia Meridionale continentale, Carlo I seguì senza particolari modifiche il sistema monetario svevo, continuando a curare, nel caso di nostro interesse, l’emissione di denari in mistura (che in realtà erano ridotti ad una lega di rame quasi puro). La serie, che ora vedremo, si compone di soli due nominali: il doppio denaro, molto raro, ed il denaro. Entrambi i nominali furono coniati a Messina nel 1278, quindi pochi anni prima della rivolta dei Vespri Siciliani e l’anno successivo all’acquisto del titolo gerosolimitano da Maria d’Antiochia. Forse, prima di rendere la cosa ufficiale, Carlo attese il buon esito della spedizione di Ruggero a San Giovanni d’Acri per assicurarsi che almeno una tra le più importanti città latine d’Oriente l’avesse riconosciuto come sovrano. Questa serie che celebra l’investitura del Re a sovrano titolare di Gerusalemme è una delle poche, se non l’unica, nel vasto panorama dei denari angioini, che si può datare con precisione ed attribuire ad una zecca. Nello stesso anno 1278, Carlo I, su modello di quanto già fatto in Francia da suo fratello Luigi IX, con una riforma monetaria, chiuse tutte le altre zecche regnicole e impose la coniazione del circolante nella sola capitale Napoli.

 

1.       D/ + KAROL • IERVSALEM

Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in doppio circolo perlinato.

R/ + ET • SICILIE • REX

Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in doppio circolo perlinato.

SPAHR  1976, p. 236, n° 55 (illustrato alla tav. XXVIII).

Doppio denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr:  1,33 g. – 19 mm.).

Rarità: RR – RRR.

Fig. 2.

 

doppio denaro dir.JPG doppio denaro rov.JPG

Fig. 2.

Doppio denaro dal peso di un grammo. Ex Artemide XLVI, lotto 548.

 

2.       D/ + KAROL • IERVSALEM

Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in circolo perlinato.

R/ + ET • SICILIE • REX

Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in circolo perlinato.

SPAHR  1976, p. 236, n° 56.

Denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr: 0,60 g. – 16 mm.).

Rarità: C.

Fig. 3.

 

denaro rov.JPG denaro dir.JPG

Fig. 3.

Denaro dal peso di 0,96 g. Ex Artemide XLVI, lotto 549.

 

 

Letture consigliate per approfondire:

·        BENIGNO Francesco - GIARRIZZO Giuseppe, Storia della Sicilia, vol. 3, ed. Laterza, Roma-Bari, 1999.

·         FROUSSARD Giovanni Battista, Osservazioni sulla Storia ed intorno a Pietro Giannone ed a Carlo I d’Angiò, Ducale Tipografia Bertini, Lucca, 1833.

·         LÉONARD Émile G., Les Angevins de Naples, Presses Universitaires de France, Paris,  1954.

·         SPHAR Rodolfo, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582 – 1282), Zurich – Graz, 1976.

·         TRAMONTANA Salvatore, Il Mezzogiorno medievale, Carocci, Roma, 2000.

 

 

 

P.S.: Perdonate il tedio e buona lettura! ^_^

Ciao a tutti, mi complimento con Raffaele per il post, come al solito, ottimamente scritto. Riassumendo, se politicamemte, Carlo d'Angiò è stato un reazionario, numimsmaticamente è stato un innovatore..due punti che  posto alla vosta attenzione:

- il passaggio, con Carlo, da un sistema bimettalico ad uno trimetallico;

- l'introduzione, nel 1278, del carlino, denominazione fortunata che durerà quasi 6 secoli, o saluto d'oro e d'argento..

Con l'aiuto, poi,degli amici @adolfos e 

@anto R, valenti studiosi ed autori di ottimi articoli, si potrebbe estendere la discussione alla monetazione senatoriale di Carlo I d'angio' e sui  meravigliosi grossi...saluti Eliodoro

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@eliodoro

Ciao Elio! Tutto bene?

Spesso e volentieri si sottovaluta la presenza angioina nel territorio comunale romano e in particolare i senatorati urbani di Carlo I. E' un errore.

Per Carlo l il titolo di Senatore, massima carica politica di Roma, è un ulteriore trampolino di lancio verso le mire espansionistiche che hanno caratterizzato storicamente il suo personaggio. Anche a Roma la sua politica monetaria ha lasciato tracce indelebili.

Cari saluti

 

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Salve.

Grazie a tutti per l'attenzione che date a questo argomento. Il personaggio di Carlo I d'Angiò ha sempre avuto un certo fascino: nonostante i suoi modi di governo siano stati abbastanza discutibili (lo testimoniano sia le prime ribellioni nei suoi territori francesi, sia, qualche tempo dopo, l'insurrezione dei Vespri Siciliani), il fatto che abbia lasciato tracce di sé e del suo vissuto in molte parti d'Europa, fino poi a spingersi nei contesi territori del Medio Oriente, l'hanno reso un sovrano poliedrico e pieno di risorse. I rapporti di Carlo I con Roma, citati da @Adolfos, per esempio, così come i suoi legami con Gerusalemme e Costantinopoli bizantina, sono aspetti che meritano di tanto in tanto un approfondimento sia numismatico che storico, poiché spesso si tende a racchiudere in un "compartimento stagno" la figura di questo sovrano su una direttrice Francia - Napoli - Sicilia, mentre storicamente andrebbe considerata a tutto tondo, dato che il suo potere si estese su molti lidi del Mediterraneo. E la numismatica, in questi casi, non può essere che d'aiuto, sia nell'analizzare il suo posto a Roma come Senatore, sia nella contesa dei dominii orientali, prima bizantini e poi crociati. Le tracce numismatiche, in quest'ultimo caso, sono più deboli, perché, come si evince dalla discussione, la serie monetale che Carlo I fece battere a Messina fu tra le poche a ricordare l'evento dell'assunzione del titolo di Re di Gerusalemme ad essere realizzata in una zecca dell'Italia Meridionale.

Passando ora a chiarire qualche spunto numismatico lasciatoci da @Eliodoro, preciso che, in Francia, il Re Luigi IX effettuò una riforma monetaria nel 1262 atta ad unificare il circolante nel suo Regno, con il fine ultimo di mettervi ordine e di accentrare il potere economico della moneta nelle mani del sovrano, eliminando le coniazioni delle cosiddette zecche minori. Carlo I, nel suo nuovo dominio nel Mezzogiorno, fece la stessa cosa, ma gradualmente. Inizialmente, infatti, per stabilizzare il Regno martoriato dalla guerra con gli Svevi, non modificò nulla del sistema monetario svevo preesistente, altrimenti avrebbe apportato altri danni all'economia locale. Egli attese il 1278 per agire anche in senso monetario perché volle prima assicurare il suo potere su basi salde: anche la sua riforma tese ad eliminare il circolante minuto delle zecche minori regnicole, costituito soprattutto dai celebri denari di mistura, di qualità scadente nella maggior parte dei casi. Quegli stessi denari che erano stati nei secoli precedenti il motore della media e piccola economia sveva nel Regno di Sicilia. Il sistema allora vigente si basava sul denaro e sul tarì, con i rispettivi multipli. L'introduzione di un nominale in argento di buona lega, il saluto d'argento, appunto, che deve il suo nome di "carlino" proprio alla riforma di Carlo I, si inquadra nel suo progetto di accentrare il potere economico sotto un più diretto controllo regio, stabilendo che la Zecca napoletana fosse l'unica ufficiale in tutto il Regno. Sicuramente da qui potremmo iniziare a discutere della riforma angioina a Napoli e, quindi, dell'inizio della monetazione dell'omonimo Regno.

Per approfondire il discorso della monetazione aurea di Carlo I prima del 1278 consiglio un buon articolo a firma di A. Morello, La monetazione d'oro di Carlo I d'Angiò Re di Sicilia e di Napoli prima della riforma (1266-1278), in Monete Antiche n° 26, anno 2006, pp. 23-30.

Modificato da Caio Ottavio
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Qualche accenno alla riforma di Carlo I d’Angiò posso riassumerlo con quanto segue.

La riforma del 1278 aveva come intento particolare quello di togliere dalla circolazione gli obsoleti nominali svevi, compresi quelli angioini coniati su modello svevo, e sostituirli con nuove monete che avessero un’identità propria con una lega migliore. La riforma fu applicata sia all’oro che all’argento, ma su quest’ultimo metallo si intensificarono gli sforzi di Carlo I, perché nelle sue visioni erano le monete d’argento, i carlini, che avrebbero soppiantato i denari in mistura. Il 15 febbraio 1278 la zecca di Barletta fu trasferita per intero a Napoli, nel Castel dell’Ovo, dove continuò ad operare sotto la direzione del fiorentino Francesco Formica (un caso pratico, questo, della preferenza di Carlo verso i toscani per le attività economiche a cui ho fatto riferimento nel mio post sopra). Altro materiale per la coniazione arrivò, insieme al personale, dalla zecca di Messina. I carlini, sia d’oro che d’argento (avevano anche dei sottomultipli, i mezzi carlini, ad oggi molto rari), devono il loro nome proprio al Re Carlo I che ne volle la realizzazione. La denominazione popolare di “saluto” fu poi affibbiata a queste monete per via della rappresentazione, al rovescio, dell’annuncio dell’Arcangelo Gabriele a Maria, circondata dalla formula di saluto (appunto!) evangelico AVE GRACIA PLENA DOMINVS TECVM. Le monete d’oro definite in questo modo dovevano competere con gli esemplari aurei di Firenze o Venezia e le altre monete che circolavano in Italia, superando il sistema monetario “a peso” dei tarì siciliani, ormai obsoleto. La lega delle nuove monete d’oro era più o meno in linea con i vecchi augustali federiciani, sia per la qualità che per la quantità di metallo prezioso. Il saluto d’oro, però, non soppiantò immediatamente i nominali d’oro svevi come l’augustale e il tarì: da un documento del 1279 si evince come la loro circolazione fosse comunque permessa, accanto alle nuove monete caroline. Dagli stessi documenti si ricava poi che il Re voleva arginare il flusso di moneta aurea straniera nel Regno di Napoli al fine di rendere più forte la nuova valuta, ma non vi riuscì per il semplice fatto che la qualità dei fiorini fiorentini, o di altre monete simili, era molto apprezzata nei mercati del Meridione d’Italia. Ma, come abbiamo detto, la riforma di Carlo I si concentrò soprattutto sull’argento: i nuovi carlini furono coniati in questo metallo con una qualità piuttosto alta, avendo la lega composta da argento quasi puro. Il carlino d’argento doveva sostituire nella circolazione i denari di mistura, coniati fino al 1278, con un rapporto di cambio di mezzo tarì per ogni carlino. Sia in questo periodo, come poi nei successivi, anche dopo la dominazione degli Angioini, il carlino costituirà la base della monetazione napoletana e dei territori da essa dipendenti, fino alla caduta dei Borbone.

Mi piace pensare a questo dibattito come una discussione "trasversale", proprio perché tocca vari episodi storici e varie monetazioni, non solo quella napoletana. In fin dei conti, anche Carlo I era un personaggio dalle mire "trasversali" che andavano da una parte all'altra del Mediterraneo.

Modificato da Caio Ottavio
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Bellissima discussione, non credo si possa "ridurre" lo studio della monetazione di Carlo ad un'area circoscritta. Idem per quanto riguarda gli aspetti storici legati a doppio filo all'aspetto numismatico.

Adolfo dice bene quando sostiene che la presenza angioina a Roma è sottovalutata. Non dimentichiamo che gli intrecci ed intrighi politici tra francese e papi sono notevoli, poi di mezzo ci si mettono anche vicari, baroni... L'avventura di Carlo come senatore romano è singolare, un esempio fra i tanti: la carica senatoriale ai tempi era vitalizia ma gli accordi presi con Urbano IV stabilivano che Carlo avrebbe smesso di ricoprire l'incarico al momento dell'effettiva presa del Regno. I senatorati di Carlo furono ben tre (1265 - 1266, 1268 - 1278 e 1281 - 1284) e la monetazione dell'Urbe non restò certo immutata in queste decadi.

Proprio durante il secondo senatorato a Roma venne introdotto il grosso rinforzato, una moneta che in pratica ricalcava le caratteristiche metrologiche del grosso tornese del fratellone :rolleyes: Luigi. E' molto interessante che proprio nel 1278, dopo cioè che a Roma era stato introdotto il rinforzato, la riforma di Carlo nel Regno di Napoli prevedesse l'introduzione di un nominale più leggero del buono ed accettatissimo tornese.

A dopo per altre considerazioni ;)

Un caro saluto,

Antonio

 

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Restando invece in tema di emissioni del Regno di Sicilia e Napoli, vorrei ricordare l'esistenza di emissioni di denari coniate nelle zecche di Brindisi/Messina e riportanti il titolo regale di Gerusalemme. Mi riferisco alle emissioni Giuliani-Fabrizi 59a (CNI 49), Giuliani-Fabrizi 62a (CNI 68-71) e Giuliani-Fabrizi 63 (CNI 41). Tutte queste emissioni sono databili al 1279 o agli anni immediatamente successivi. Notiamo, come già anticipato dalla "serie" (anche se io nei doppi denari poco ci credo, per me erano emissioni di presentazione) proposta in apertura di discussione, la scomparsa del mezzo denaro; probabilmente la situazione economica e soprattutto lo svilimento della moneta nera non ne rendevano più necessaria la coniazione. Secondo me quest'ultimo fatto va tenuto in grande considerazione dato che coincide (non a caso) con la comparsa della moneta grossa d'argento, evidentemente più comoda per l'entità delle transazioni del tempo.

 

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Che dire, grazie a tutti per questa bellissima partecipazione: ne sono davvero molto contento! Volevo ringraziare anche @anto R per i suoi utilissimi interventi: li ho seguiti con molto interesse e piacere. Se vuoi, giusto per arricchire ulteriormente il discorso, potresti riportare anche le descrizioni delle monete di Brindisi/Messina da te citate. Mi premeva precisare, però, che dopo il 1277 tutti i documenti attestanti il nome del sovrano, quindi anche le monete, riportarono questo titolo: dopo un po' divenne la norma e, per di più, ereditario se pensiamo che anche i Borbone lo adoperarono. Volevo quindi porgere particolare attenzione a quelle emissioni di Carlo I battute nell'imminenza dell'assunzione di questo titolo, perché successivamente, su tutte le altre serie, divenne una consuetudine conclamata, tant'è che sulle due monete da me postate in apertura il titolo si trova scritto per esteso (IERVSALEM) e non variamente abbreviato, come nel caso della monetazione post 1278 (comprese le serie elencate da Antonio che, quindi, non sono commemorative, ma ordinarie). Una differenza epigrafica simile va segnalata: la serie da me proposta in apertura è commemorativa dell'assunzione del titolo di Re di Gerusalemme, le altre successive, invece, non hanno lo stesso valore celebrativo.   

Sull'esistenza o meno del doppio denaro ci sarebbe da aprire una discussione a parte. Secondo me, si parla di doppio denaro facendo riferimento soprattutto al peso. Faccio un esempio generico, utilizzando i dati forniti dallo Spahr e citati sopra: se un denaro pesava in media 0,60 g. e poi ci ritroviamo una moneta con iconografie simili ma con un peso profondamente diverso pari a 1,33 g., cioè circa il doppio del semplice denaro (0,60 x 2 = 1,20), viene spontaneo differenziare le due tipologie in base a questa caratteristica e quindi parlare di doppio denaro. Può essere anche una classificazione convenzionale, di comodo, ma se si considerano le basi ponderali non è poi totalmente campata in aria come ipotesi.    

Modificato da Caio Ottavio
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Perfetto Raffaele, d'accordo con tutti i commenti alle varie emissioni :good: (per il discorso dei doppi denari invece non proprio, comunque la discussione dedicata c'è già, semmai andiamo avanti in quella)

Inizio con il tipo GF 49a:

APUL.jpg

D\ + KA DEI GRA REX IE SICL' - Croce gigliata con globetti nei quarti.

R\ + DVC AP ET PRIC CAPE - globetto | [AP]VL | giglio.

 

Immagine presa dal catalogo Ranieri 4, lotto 675, stesso esemplare illustrato sul Giuliani - Fabrizi.

Modificato da anto R
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Riguardo la riforma monetaria, riprendendo Giuliani e Fabrizi, venne fatta al fine di favorire il commercio estero..

Il Saluto d'oro, nel Regno di Sicilia, era scambiato alla pari con l'augustale svevo, il reale, il doppio dinar e, dopo la guerra dei Vespri, con il pierreale.

Era  di 4:5 il rapporto con il fiorino, il ducato veneziano ed il genovino.

La scelta della scena dell'Annunciazione viene spiegata con la profonda devozione che Carlo aveva per  la MAdonna, fino a configurare un possibile ex voto.

Ciò si innesta in un discorso anche politico, Se Federico II e gli Svevi appoggiavano la frazione ghibellina; Carlo I era un sostenitore dei guelfi.

 

Aggiungiamo un pò di foto:

Grosso senatoriale, g. 4,06

2438825.s.jpg

Saluto d'argento, g. 3,16. g.

3086883.m.jpg

 

Modificato da eliodoro
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Per il tipo GF 62a possiamo trovare un'immagine sul CNI, vol. XVIII, tav. XI, n° 27; in rete non ho trovato immagini di esemplari con la variante che ci serve leggibile.

Ad ogni modo, ecco la descrizione:

D\ + DVC AP ET PRINC CAP - K sormontata da omega e attraversata da asta con globo all'estremità.

R\ + K DEI GRA REX IER SIC - croce patente  con globetti alle estremità, attraversata da aste globate.

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Il tipo GF 63 lo possiamo trovare illustrato nel MEC 14 (tav. 34, nn. 654 - 655).

D\ + K DEI GRA REX IER SIC - croce patente accantonata da gigli.

R\ + DVC APVL PRC CAP - giglio con globetti ai lati e sotto la base.

 

Bene @eliodoro è evidente quindi la marcata discontinuità con la politica dei predecessori, discontinuità che si riflette anche in campo monetario.

 

Modificato da anto R
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9 minuti fa, anto R dice:

Il tipo GF 63 lo possiamo trovare illustrato nel MEC 14 (tav. 34, nn. 654 - 655).

D\ + K DEI GRA REX IER SIC - croce patente accantonata da gigli.

R\ + DVC APVL PRC CAP - giglio con globetti ai lati e sotto la base.

 

Bene @eliodoro è evidente quindi la marcata discontinuità con la politica dei predecessori, discontinuità che si riflette anche in campo monetario.

 

Ecco il GF 63, anch'esso attualmente in asta, g.1,00

548R.jpg

548D.jpg

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3 minuti fa, anto R dice:

@eliodoro se la classificazione è data dalla Casa d'asta allora è errata, è il GF 66 (stesso esemplare proposto da Raffaele nel post di apertura) tipo con legenda lunga KAROL IERVSALEM.

No e' mia.. GF 65..sorry..

Se la medalea  o mezzo denaro era previsto...del doppio denaro, mi sembra che le fonti non ne parlino..

Modificato da eliodoro
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Fa niente, almeno così la vediamo bella grande ;)

Tornando al discorso sulla religiosità di Carlo, ricordiamo come l'Angiò fu l'unico personaggio a portare nei confini italici la pratica del tocco dei malati. Si dice infatti che in quel di Lucca Carlo tocco le piaghe di diversi malati, imitando così il rito di guarigione proprio dei "re taumaturghi" francesi ed inglesi. Era pur sempre di stirpe reale, quindi qualcosa di miracoloso il suo tocco avrà pur avuto :rolleyes: Poi il fratello Luigi era in odore di santità, quindi...

 

 

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Ottimi approfondimenti, ringrazio @anto R ed @Eliodoro sia per i commenti che per le belle immagini postate. Alla fine sembra comunque palese la differenza tra le emissioni commemorative messinesi con il titolo di Re di Gerusalemme indicato per esteso e le altre serie ordinarie, come ho avuto già modo di precisare sopra. Chi ha altro da aggiungere, ben venga: seguo il discorso con vero piacere. Grazie per la vostra partecipazione e per gli splendidi spunti di riflessione che ci offrite.     

Modificato da Caio Ottavio
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Trovo il tempo per scrivere altre due righe in questa bella discussione.

Abbiamo visto come le importanti riforme monetarie di Carlo abbiano trasformato in maniera significativa la moneta dei Regni (Sicilia prima, Napoli poi) da un punto di vista iconografico, di quantità di emissione di particolari nominali o con la creazione di un nuovo sistema. A Roma invece i cambiamenti sono meno radicali, addirittura durante il suo primo senatorato l'Angiò appone il suo nome solamente sulla moneta grossa, lasciando un generico SENATVS P Q R sul diritto dei provisini. Abbiamo però innovazioni da un punto di vista di stile epigrafico, le lettere iniziano in alcuni casi ad assumere forme per così dire protogotiche :rolleyes:. Successivamente, durante il secondo senatorato, avremo la chiara comparsa del nome di Carlo sulla faccia con la croce impressa nel campo mentre il SENATVS sarà relegato al lato col pettine. Le vere innovazioni arrivano a Roma sulla moneta argentea, con la creazione sempre durante il secondo senatorato del già citato infortiatus, e soprattutto (già a partire dalle emissioni "leggere" del primo senatorato) dall'apposizione dello stemma degli Angiò sulla moneta. Carlo introduce quindi l'uso dell'apposizione dell'elemento araldico sulla moneta della Roma comunale; tra l'altro lo stemma è sempre posto sopra al leone comunicando tutta l'aggressività espansionistica angioina: non dimentichiamo che il leone era simbolo del popolo romano, avere sopra lo scudetto coi gigli prima e un solo giglio poi era un messaggio non di poco conto.

Dopo queste brevi riflessioni lascio la parola ad altri, un caro saluto a tutti,

Antonio

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Ciao Antonio, grazie per questo tuo nuovo, ammirevole contributo. Hai gettato uno sguardo veloce ma efficace sulla monetazione senatoriale romana di Carlo I d'Angiò con risvolti che magari non sono noti a chi non ha familiarità con questo tipo di monetazione. Se ne ricava che l'irruenza e l'aggressività governativa di Re Carlo, in unione con la sua sete d'espansione territoriale e politica, trovarono terreno fertile nei messaggi circolanti sulle monete attraverso la loro oculata scelta iconografica. Inoltre, a quanto sembra, la sua fermezza e risoluzione risultano evidenti anche nelle esperienze romane, ben prima quindi di prendere la corona dei Regni di Napoli e Sicilia.

Modificato da Caio Ottavio
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Mi piacerebbe aprire anche un discorso iconografico relativamente alla produzione monetaria del Regno.

Abbiamo visto sopra come Carlo sia stato un pioniere dell'introduzione dell'elemento araldico sulla moneta romana; allo stesso modo mi sembra che anche le monete regnicole vedano con l'Angiò una nuova fase di trasformazioni stilistiche ed iconografiche. I gigli, in tutte le fantasie e combinazioni possibili, dominano spesso e volentieri la moneta; ovviamente vi son anche impianti iconografici riportanti in campo titolature o il nome del sovrano in svariate abbreviazioni (K, KA, KAR...). La varietà dei tipi rispetto alle emissioni di moneta spicciola capitolina (anche se per il provisino romano il "tipo" era sempre quello al pettine cambiavano i segni identificativi ai lati della S) è con ogni probabilità dovuta alle distribuzioni annuali di nuovo numerale, che necessitava quindi un rinnovamento più o meno significativo dei caratteri estrinseci della moneta.

Mi aspettavo più partecipazione in questa discussione, gli argomenti proposti sono molto interessanti ed i campi d'indagine potenzialmente infiniti...

Buon pomeriggio,

Antonio

Modificato da anto R
errore battitura
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Ciao Antonio, sentiti pure libero di proporre tutti i contributi che vuoi in questa discussione, a patto, logicamente, che siano coerenti con il discorso che stiamo affrontando, anche se "trasversale". ;) Ugualmente sulle sue monete napoletane Carlo I appose con costanza il proprio emblema araldico, il giglio di Francia, dando vita a diverse combinazioni iconografiche che, poi, tenderanno a fissarsi in quello che sarà il primo stemma "nazionale" del Regno di Napoli. Ad esempio, ci sono numerose varianti dei simboli che circondano lo scudo bipartito con gli emblemi di Angiò e di Gerusalemme sul diritto dei saluti d'oro di zecca partenopea. Più semplice, invece, lo stesso scudo bipartito che compare sui saluti d'argento. I sovrani delle dinastie che seguiranno quella Angioina al governo del Regno non elimineranno le tracce araldiche dei predecessori, anzi, in molti casi le assimileranno alle proprie.  

Il discorso si offre a molteplici interpretazioni. Non voglio andare oltre, così da lasciare la parola anche agli altri interessati: io mi sto impegnando affinché questa discussione non si trasformi in una chiacchierata tra pochi, se non pochissimi, partecipanti, altrimenti andrebbe gradualmente a perdere tutto il suo potenziale. Vediamo come si sviluppa la cosa: gli spunti ci sono...

Modificato da Caio Ottavio
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  • 2 settimane dopo...

Credo che i simboletti posizionati intorno allo scudo bipartito nel saluto d'oro, non presenti invece su quello d'argento,servissero  a scopo cautelativo contro le contraffazioni, evitando così che un saluto d'argento potesse essere per così dire dorato e spacciato come un carlino tutto ď oro. 

post-11314-0-87164700-1451744308_thumb.jpg

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9 ore fa, Devant81 dice:

Credo che i simboletti posizionati intorno allo scudo bipartito nel saluto d'oro, non presenti invece su quello d'argento,servissero  a scopo cautelativo contro le contraffazioni, evitando così che un saluto d'argento potesse essere per così dire dorato e spacciato come un carlino tutto ď oro. 

post-11314-0-87164700-1451744308_thumb.jpg

Oltre a questa  vi è  una differenza sostanziale  nel diametro fra la moneta aurea e quella argentea. Differenza documentata nell'ordine di battitura. Infatti va tenuto conto che tra saluto d'oro e saluto d'argento vi fosse differenza di dimensione tale da farli difficilmente confondere. Invece tale differenza si va ad assottigliare con il paragone tra il saluto d'oro ed il mezzo saluto d'argento. Ecco perché  nell'ordine di battitura si stabiliva  che il diametro del mezzo saluto d'argento doveva essere  minore di quello del saluto d'oro ma maggiore di quello del mezzo saluto d'oro.

Modificato da A. Cronauer
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