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Le monete da 50 e 100 lire in oro di VEII e Umberto I


Mr. Coin

Risposte migliori

Salve a tutti. Vorrei conoscere il motivo della coniazione di tirature così esigue di monete da 50 e 100 lire in oro dei sovrani citati, tra l'Unità d'Italia e la fine dell'800. Quale ne era lo scopo, a fronte di milioni di monete in oro da 20 lire che erano il taglio aureo normalmente utilizzato? Non appare poter essere la circolazione. Erano, comunque, richiedibili al valore facciale? O vennero cedute a prezzi maggiori? Grazie mille

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Misteri della numismatica. 

i medesimi tagli emessi in altri paesi dell'unione latina sono comuni, vedi ad esempio Francia. Ma anche i pezzi da 5 sterline inglesi o 20 dollari americani sono tipologicamente comuni e in alcuni casi sono monete di borsa.  

Inoltre i 100 lire di Carlo Alberto nel regno di Sardegna erano stati coniate in quantità tali da rendere tali monete comuni. 

le poche monete da 50 e 100 lire coniante in Italia avevano ovviamente corso legale e non potevano, di regola, essere vendute a prezzo maggiorato, anche se non si può escludere a priori che questo sia avvenuto, vista l'esiguitá delle coniazioni. 

Sicuramente in Italia a partite dal 1880 si scelse di virare velocemente verso la cartamoneta, tant'è che le banconote da 50 e 100 lire sono "relativamente" comuni. 

dal 1861 al 1880 erano comunque ancora in corso i pezzi da 100 lire di Carlo Alberto (non ricordo quando venero demotizzati i pezzi da 80 lire di Carlo Felice) che però non potevano essere sufficienti per una nazione divenuta molto più grande.

A me viene da pensare che in quel frangente si cercò di stimolare già da allora l'attività degli istituti bancari in un paese che cercava di industrualizzarsi, ma vi sarà altro che non conosco. 

Modificato da azaad
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Il 5/4/2018 alle 16:41, Mr. Coin dice:

Salve a tutti. Vorrei conoscere il motivo della coniazione di tirature così esigue di monete da 50 e 100 lire in oro dei sovrani citati, tra l'Unità d'Italia e la fine dell'800. Quale ne era lo scopo, a fronte di milioni di monete in oro da 20 lire che erano il taglio aureo normalmente utilizzato? Non appare poter essere la circolazione. Erano, comunque, richiedibili al valore facciale? O vennero cedute a prezzi maggiori? Grazie mille

Tutte le coniazioni auree battute a nome di V.E. II e Umberto I erano conseguenti alle richieste che privati, enti, banche o anche amministrazioni dello Stato rivolgevano alle Zecche del Regno autorizzate all'emissioni auree.

Di norma, i richiedenti le monete auree fornivano alla zecca anche il metallo, pagando all'Officina monetaria i diritti di affinazione del metallo fornito (quando questo aveva un titolo inferiore a quello legale) e i diritti di coniazione.

Le tirature di queste monete dipendono pertanto dalle richieste che le zecche hanno ricevuto, non essendoci mai stata per la monetazione aurea dell'epoca una tiratura legata a contingenti prestabiliti.   

Saluti.

M.

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Il Friday, April 06, 2018 alle 17:20, bizerba62 dice:

Tutte le coniazioni auree battute a nome di V.E. II e Umberto I erano conseguenti alle richieste che privati, enti, banche o anche amministrazioni dello Stato rivolgevano alle Zecche del Regno autorizzate all'emissioni auree.

Di norma, i richiedenti le monete auree fornivano alla zecca anche il metallo, pagando all'Officina monetaria i diritti di affinazione del metallo fornito (quando questo aveva un titolo inferiore a quello legale) e i diritti di coniazione.

Le tirature di queste monete dipendono pertanto dalle richieste che le zecche hanno ricevuto, non essendoci mai stata per la monetazione aurea dell'epoca una tiratura legata a contingenti prestabiliti.   

Saluti.

M.

Grazie mille. Appare molto evidente che il taglio aureo preferito in modo schiacciante da tali enti fosse quello da 20 lire, emesso in diversi milioni di esemplari, ed in alternativa quello da 10 lire. Mi viene spontanea la domanda se, presentando cinque zecchini da 20 lire presso la banca d'Italia, era possibile richiedere il cambio con uno scudo d'oro da 100 lire, moneta che - dopo svariati decenni - avrebbe raggiunto un valore numismatico enorme. Lo stesso dicasi, ovviamente per il cambio di due zecchini da 20 ed uno da 10 con una moneta da 50. 

Un'altra curiosità che ho riguarda le modalità di distribuzione delle prime 20 lire d'oro di Vittorio Emanuele III, la cui tiratura è notoriamente piccola, e sembra pure abbastanza noto ed accettato che gli scudi e zecchini dei sovrani precedenti continuarono a circolare anche nei primi anni del '900, forse anche fino alla Grande Guerra, salvo poi abbandonare definitivamente le monete d'oro per la circolazione in favore delle sempre più utilizzate banconote, ma proseguendo con le emissioni in oro riservate ai collezionisti. Anche le 20 lire aquila sabauda erano richiedibili in banca? E le 100 lire oro, sempre aquila sabauda? Grazie mille

Max

Modificato da Mr. Coin
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1 ora fa, Mr. Coin dice:

Mi viene spontanea la domanda se, presentando cinque zecchini da 20 lire presso la banca d'Italia, era possibile richiedere il cambio con uno scudo d'oro da 100 lire, moneta che - dopo svariati decenni - avrebbe raggiunto un valore numismatico enorme. Lo stesso dicasi, ovviamente per il cambio di due zecchini da 20 ed uno da 10 con una moneta da 50. 

Ciao,

Solo per amore di "nomenclatura numismatica": le monete da 20 lire si definiscono "marenghi" e non zecchini.

Con "scudo", durante il Regno d'Italia ci si riferisce alla moneta d'argento (non d'oro) da 5 Lire. I nominali aurei da 100 lire non assumono mai il nome di "scudi".

Quanto alla possibilità di chiedere il cambio, non alla "Banca d'Italia", ma alla zecca, di cinque marenghi contro una moneta da 100 Lire (oltre il pagamento, in questo caso, dei soli diritti di coniazione) l'operazione era certamente fattibile.

Il fatto che dopo svariati anni il pezzo da 100 Lire (o da 50 Lire) di V.E. II sia divenuto estremamente raro, assumendo un enorme valore numismatico, è una conseguenza che, all'epoca, pochi (evidentemente) avevano preso in considerazione.   

D'altronde, se le coniazioni di queste monete fossero state più numerose, oggi la loro rarità ed il loro valore numismatico sarebbero stati probabilmente inferiori.

1 ora fa, Mr. Coin dice:

Anche le 20 lire aquila sabauda erano richiedibili in banca? E le 100 lire oro, sempre aquila sabauda?

Non n banca ma in zecca.

Il solo canale per ottenerle, oltre ovviamente al canale commerciale/antiquario, era appunto di richiederle alla zecca di Roma con le modalità già ricordate nel precedente post (consegna dell'oro, pagamento dei diritti di affinazione, se dovuti, e pagamento dei diritti di coniazione).

Saluti.

M.

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Il Tuesday, April 10, 2018 alle 13:31, bizerba62 dice:

Ciao,

Solo per amore di "nomenclatura numismatica": le monete da 20 lire si definiscono "marenghi" e non zecchini.

Con "scudo", durante il Regno d'Italia ci si riferisce alla moneta d'argento (non d'oro) da 5 Lire. I nominali aurei da 100 lire non assumono mai il nome di "scudi".

Quanto alla possibilità di chiedere il cambio, non alla "Banca d'Italia", ma alla zecca, di cinque marenghi contro una moneta da 100 Lire (oltre il pagamento, in questo caso, dei soli diritti di coniazione) l'operazione era certamente fattibile.

Il fatto che dopo svariati anni il pezzo da 100 Lire (o da 50 Lire) di V.E. II sia divenuto estremamente raro, assumendo un enorme valore numismatico, è una conseguenza che, all'epoca, pochi (evidentemente) avevano preso in considerazione.   

D'altronde, se le coniazioni di queste monete fossero state più numerose, oggi la loro rarità ed il loro valore numismatico sarebbero stati probabilmente inferiori.

Non n banca ma in zecca.

Il solo canale per ottenerle, oltre ovviamente al canale commerciale/antiquario, era appunto di richiederle alla zecca di Roma con le modalità già ricordate nel precedente post (consegna dell'oro, pagamento dei diritti di affinazione, se dovuti, e pagamento dei diritti di coniazione).

Saluti.

M.

Grazie. Effettivamente, però, anche quando sono passati al valore di lire 20 gli scudi d'argento hanno mantenuto, approssimativamente, le dimensioni e il peso, e le 100 lire in oro erano pure assai simili in dimensioni. Mi pare di capire però che il termine "scudo", ripreso dalla quotidianità, sia da riferire solo alle monete da 5 lire in argento di  grosso modulo. Sugli zecchini, mi rendo conto che in numismatica vengono chiamati marenghi, ma parlando di vita quotidiana dell'epoca mi pare che il nome di zecchini fosse comune.

Per quantoriguarda le modalità di reperimento delle monete in oro ed argento particolari, non metto in dubbio l'esclusività della zecca come fonte di approvvigionamento, però mi sembra quantomeno strano che le banche (quella d'Italia specialmente) non facessero da tramite. Altrimenti sarebbe occorso recarsi personalmente a Roma nella sede della zecca, con i vecchi marenghi e/o scudi. Mi piacerebbe anche sapere se qualche quantitativo seppur minimo sia finito anche come resto o pagamento di tesoreria, e magari abbia anche circolato, oppure se non c'era proprio questa possibilità.

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7 ore fa, Mr. Coin dice:

Effettivamente, però, anche quando sono passati al valore di lire 20 gli scudi d'argento hanno mantenuto, approssimativamente, le dimensioni e il peso, e le 100 lire in oro erano pure assai simili in dimensioni. Mi pare di capire però che il termine "scudo", ripreso dalla quotidianità, sia da riferire solo alle monete da 5 lire in argento di  grosso modulo.

Ciao.

Il termine "scudo" è riferito ad una moneta ben precisa e cioè al pezzo argenteo da 5 lire del peso di grammi 25 e al titolo di 900/1000; tale termine non è ripreso dalla quotidianità, ma compare anche in molti documenti ufficiali del Regno d'Italia.

L'estensione del termine a monete con caratteristiche di peso e titolo diverse, è frutto di generalizzazioni improprie (di queste imprecisioni numismatiche ne è piena la stessa carta stampata generalista; tanto per dirne una, all'indomani dell'emissione della moneta da 500 lire caravelle in argento 835/1000, ci fu un giornalista di un autorevole quotidiano nazionale che parlò dell'emissione del "nuovo scudo italiano"...:shok:).

7 ore fa, Mr. Coin dice:

Sugli zecchini, mi rendo conto che in numismatica vengono chiamati marenghi, ma parlando di vita quotidiana dell'epoca mi pare che il nome di zecchini fosse comune.

Francamente, confesso di non aver mai letto da nessuna parte il termine "zecchini" per indicare i marenghi del Regno d'Italia.

Probabilmente, Ti riferisci ad un uso assolutamente generico, con il quale - a questo punto - potevano definirsi non i soli marenghi ma qualunque moneta d'oro.

Perché, se proprio dovessimo trovare una moneta d'oro assimilabile allo "zecchino", mi verrebbe da pensare più che al marengo, al mezzo marengo.

8 ore fa, Mr. Coin dice:

Per quanto riguarda le modalità di reperimento delle monete in oro ed argento particolari, non metto in dubbio l'esclusività della zecca come fonte di approvvigionamento, però mi sembra quantomeno strano che le banche (quella d'Italia specialmente) non facessero da tramite. Altrimenti sarebbe occorso recarsi personalmente a Roma nella sede della zecca, con i vecchi marenghi e/o scudi. Mi piacerebbe anche sapere se qualche quantitativo seppur minimo sia finito anche come resto o pagamento di tesoreria, e magari abbia anche circolato, oppure se non c'era proprio questa possibilità.

Per quanto riportano i regolamenti delle zecche del Regno d'Italia (sicuramente almeno fino alla fine del XIX secolo), l'approvvigionamento della monetazione aurea avveniva solo in zecca contro la fornitura di paste (o monete) auree; potevano anche essere richieste, previa fornitura di paste (o monete) argentee, anche monete d'argento, ma in questo caso l'unica tipologia che la zecca era autorizzata al consegnare era quella dello "scudo", mentre era vietato somministrare al richiedente monetazione divisionaria. 

Le operazioni di controllo delle paste (e/o delle monete) conferite per ottenere nuova moneta, potevano avvenire esclusivamente in zecca, non essendo le Banche autorizzate a trattare lo scambio materiali preziosi/nuove monete.

Anche quando il servizio di monetazione, che si esercitava nelle zecche, fu svolto in appalto non dalla Banca d'Italia (che non esisteva ancora) ma dalla Banca Nazionale (già Banca Nazionale degli Stati sardi), vi era sempre un controllo "incrociato" del materiale conferito (peso e titolo) da parte di funzionari statali addetti alla zecca e dell'Appaltatore, controllo che avveniva obbligatoriamente nei laboratori della zecca. 

Che poi ci potessero essere degli "Agenti-Commissionari", che per conto di privati, Banche, Enti o dello stesso Governo, potessero curare le fasi della consegna dei materiali preziosi (in zecca) ed il ritiro delle nuove monete, questo non lo escludo....ma che tutte le operazioni di controllo e pesatura si dovessero svolgere in zecca, e non altrove, lo confermano i suddetti regolamenti.  

Non potendo, per motivi di tempo e di spazio, pubblicare tutta la documentazione di supporto, mi limito ad allegare una pagina con alcuni articoli che riguardano l'attività dell'Appaltatore del servizio di zecca, in relazione a ciò di cui stiamo parlando; articoli tratti dal Regolamento della zecca di Milano, approvato con Regio decreto n. 5601 del 27.3.1870.

Si notino, in particolare, gli artt. 55, 56, 59.

Saluti.

M.

Regolamento_zecca.pdf

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Leggendo pubblicazioni scritte nel Ducato di Modena (area di mio interesse), anche in periodo post-napoleonico, si trovano riferimenti agli zecchini (specie parlando di compensi a professionisti, in particolare medici e avvocati) e ai filippi, che sicuramente circolavano molto poco nell'800. Mi sono fatto l'idea che fossero una specie di unità di conto virtuale, che poi veniva «convertita» nelle monete effettivamente circolanti in base alle tariffe pubblicate dalle autorità. Solo negli ultimi anni del Ducato (quindi a metà del secolo) si fanno più frequenti i riferimenti a monete reali quali «papette» (20 baiocchi), «bavare» (Talleri del Lombardo-Veneto), «napoleoni d'oro» (marenghi) e «svanziche» (20 kreuzer).

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3 ore fa, Viribus Unitis dice:

Leggendo pubblicazioni scritte nel Ducato di Modena (area di mio interesse), anche in periodo post-napoleonico, si trovano riferimenti agli zecchini (specie parlando di compensi a professionisti, in particolare medici e avvocati) e ai filippi, che sicuramente circolavano molto poco nell'800. Mi sono fatto l'idea che fossero una specie di unità di conto virtuale, che poi veniva «convertita» nelle monete effettivamente circolanti in base alle tariffe pubblicate dalle autorità. Solo negli ultimi anni del Ducato (quindi a metà del secolo) si fanno più frequenti i riferimenti a monete reali quali «papette» (20 baiocchi), «bavare» (Talleri del Lombardo-Veneto), «napoleoni d'oro» (marenghi) e «svanziche» (20 kreuzer).

Ciao.

In questo documento che posto di seguito, tratto da una pubblicazione del 1805 dal titolo "Itinerario Italiano che contiene la descrizione dei viaggi per le strade più frequentate" (reperita su Google Books):

2ztgi08.jpg

 

si riporta il valore di cambio delle monete modenesi con alcune valute di Stati confinanti.

Come si vede, è indicato che uno zecchino romano era pari a 30 lire modenesi.

Potrebbe essere che, per somme elevate, non potendo esprimersi negli atti il valore con valuta locale aurea corrente (poichè non più coniata), si facesse ricorso all'uso di indicare gli importi in zecchini romani o veneziani o fiorentini?

Per quanto riguarda i "Filippi" (di Lombardia), non citati però nella guida dell'itinerario, potrebbe essere lo stesso discorso.

Ciò farebbe pensare che nel Ducato circolavano e venivano quindi correntemente utilizzati parallelamente alla monetazione ducale, anche specie monetarie degli Stati vicini, tanto da essere impiegate e citate negli atti per le transazioni di una certa importanza.

Saluti.

M.

 

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Annoierei i lettori e sarei anche OT se parlassi della circolazione monetaria a Modena tra il Congresso di Vienna ed il 1859, materia su cui ho letto (credo) quasi tutto il pochissimo che è stato scritto, e per la quale occorrerebbe aprire il capitolo della Lira abusiva che ha complicato molto le tariffe e dato materia per i «causidici» dell'epoca. Concordo comunque sulle tue osservazioni.

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28 minuti fa, Viribus Unitis dice:

Annoierei i lettori e sarei anche OT se parlassi della circolazione monetaria a Modena tra il Congresso di Vienna ed il 1859, materia su cui ho letto (credo) quasi tutto il pochissimo che è stato scritto, e per la quale occorrerebbe aprire il capitolo della Lira abusiva che ha complicato molto le tariffe e dato materia per i «causidici» dell'epoca. Concordo comunque sulle tue osservazioni.

Bh, se Ti può essere di stimolo....a me non annoierebbe affatto.:)

DovresTi però aprire una discussione ad hoc.

M.

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Il Thursday, April 19, 2018 alle 10:45, Viribus Unitis dice:

Leggendo pubblicazioni scritte nel Ducato di Modena (area di mio interesse), anche in periodo post-napoleonico, si trovano riferimenti agli zecchini (specie parlando di compensi a professionisti, in particolare medici e avvocati) e ai filippi, che sicuramente circolavano molto poco nell'800. Mi sono fatto l'idea che fossero una specie di unità di conto virtuale, che poi veniva «convertita» nelle monete effettivamente circolanti in base alle tariffe pubblicate dalle autorità. Solo negli ultimi anni del Ducato (quindi a metà del secolo) si fanno più frequenti i riferimenti a monete reali quali «papette» (20 baiocchi), «bavare» (Talleri del Lombardo-Veneto), «napoleoni d'oro» (marenghi) e «svanziche» (20 kreuzer).

In realtà anche nel romanzo di Pinocchio (1883) si fa riferimento alle famose monete donategli da Mangiafuoco da seminare nel Campo dei Miracoli, chiamate alternativamente "monete d'oro" e "zecchini". Pinocchio paga "uno zecchino" la cena all'osteria del Gambero Rosso, dove il Gatto e la Volpe divorano tutto quel che riescono. Il fatto che i tagli da 5 e 10 lire in oro fossero molto meno comuni di quelli da 20, fa propendere più per i marenghi, sebbene non con certezza, ovviamente. Naturale poi che il termine "zecchino" sia estensibile a tutte le monete in oro di non grande modulo, e che nei diversi stati preunitari indicasse monete differenti. Ma non credo che la gente comune chiamasse all'epoca le monete da 20 lire "marenghi". Più verosimilmente chiamava "scudi" quelle da 5 lire in argento, mentre è  noto che quelle da 5 centesimi venivano chiamate "soldi" (1 soldo=20 lire).

Non mi è comunque chiaro, tornando alla domanda iniziale, il motivo per il quale i privati avrebbero dovuto fornire l'oro per ottenere i tagli da 50 e 100 lire. C'erano collezionisti ai quali la zecca aveva comunicato questa possibilità? Grazie

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17 ore fa, Mr. Coin dice:

In realtà anche nel romanzo di Pinocchio (1883) si fa riferimento alle famose monete donategli da Mangiafuoco da seminare nel Campo dei Miracoli, chiamate alternativamente "monete d'oro" e "zecchini". Pinocchio paga "uno zecchino" la cena all'osteria del Gambero Rosso, dove il Gatto e la Volpe divorano tutto quel che riescono. Il fatto che i tagli da 5 e 10 lire in oro fossero molto meno comuni di quelli da 20, fa propendere più per i marenghi, sebbene non con certezza, ovviamente. Naturale poi che il termine "zecchino" sia estensibile a tutte le monete in oro di non grande modulo, e che nei diversi stati preunitari indicasse monete differenti. Ma non credo che la gente comune chiamasse all'epoca le monete da 20 lire "marenghi". Più verosimilmente chiamava "scudi" quelle da 5 lire in argento, mentre è  noto che quelle da 5 centesimi venivano chiamate "soldi" (1 soldo=20 lire).

Non mi è comunque chiaro, tornando alla domanda iniziale, il motivo per il quale i privati avrebbero dovuto fornire l'oro per ottenere i tagli da 50 e 100 lire. C'erano collezionisti ai quali la zecca aveva comunicato questa possibilità? Grazie

Ciao.

Non saprei, francamente, quale attinenza numismatica attribuire al termine "zecchini" utilizzato dall'autore di "Pinocchio", che peraltro è un romanzo di fantasia per bambini e dunque impiega una terminologia adeguata allo scopo.  

Personalmente propenderei più per considerarla un'accezione puramente letteraria e slegata dal riferimento ad una vera e propria tipologia monetale.

Se posso aggiungere una considerazione più generale, la monetazione aurea del Regno d'Italia è appannaggio di una ristretta élite economica ed è pressoché inarrivabile per la "gente comune", a cui è abbastanza alieno persino lo stesso massimale argenteo da 5 lire (scudo)..

Ricercare una definizione con cui la moneta aurea (o anche solo le 20 lire "marengo") veniva chiamata dal popolo nella "quotidianità", mi sembra abbastanza inutile, dal momento che il suddetto "popolo" non ne aveva proprio alcun contatto.

Da un censimento del 1881 e quindi nel contesto temporale in cui Collodi scrive "Pinocchio", nel Regno d'Italia il tasso medio di analfabetismo della popolazione sfiora il 70%:

http://www.bibliolab.it/scuola/analfabeti_italia.htm

Tale condizione non solo impedisce a più di 2/3 della popolazione del Regno di poter leggere lo stesso "Pinocchio" ma è sintomatica di una situazione che vede versare la gran parte della popolazione italiana in una condizione economica di estrema indigenza, se non di pura sussistenza.

D'altro canto, la ristretta élite di popolazione che aveva invece accesso alla monetazione aurea era anche sufficientemente "colta" ed alfabetizzata per non dover ricorrere a terminologie improprie o generiche per definire la monetazione aurea.

Per quanto riguarda i termini "marengo", "mezzo marengo" o "doppio marengo", essi dovevano essere (o dovevano essere stati) piuttosto ricorrenti tra gli italiani dell'epoca che ebbero la fortuna di maneggiare monete d'oro, similmente a quanto avveniva in Francia con il termine "napoleone"  ("mezzo napoleone" e doppio napoleone), con cui si indicavano rispettivamente il pezzo da 20 franchi, 10 franchi e quello da 40 franchi).

Come è noto, il nominale da 40 lire era stato abbandonato già molto prima della nascita del Regno d'Italia.

".....mentre è  noto che quelle da 5 centesimi venivano chiamate "soldi" (1 soldo=20 lire)."

Si, il pezzo da 5 centesimi era chiamato anche "soldo"; però il rapporto che hai indicato è errato: Erano 20 soldi che formavano una lira.

"Non mi è comunque chiaro, tornando alla domanda iniziale, il motivo per il quale i privati avrebbero dovuto fornire l'oro per ottenere i tagli da 50 e 100 lire. C'erano collezionisti ai quali la zecca aveva comunicato questa possibilità? "

 Come già detto, l'unico modo per reperire nuova moneta aurea era quello di richiederla in zecca, fornendo il metallo e pagando i relativi diritti,

Questa modalità era prevista dalla legge per tutti, (privati non collezionisti, collezionisti, enti, banche e per lo stesso Governo) e non c'era quindi necessità di avvertire il pubblico.

La fornitura del metallo prezioso era necessaria per ottenere qualunque nominale aureo che al momento della richiesta poteva essere coniato e non solo per richiedere i pezzi da 50 e 100 lire.

Saluti.

Michele

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  • 3 settimane dopo...
Il Sunday, April 22, 2018 alle 08:01, bizerba62 dice:

Ciao.

Non saprei, francamente, quale attinenza numismatica attribuire al termine "zecchini" utilizzato dall'autore di "Pinocchio", che peraltro è un romanzo di fantasia per bambini e dunque impiega una terminologia adeguata allo scopo.  

Personalmente propenderei più per considerarla un'accezione puramente letteraria e slegata dal riferimento ad una vera e propria tipologia monetale.

Se posso aggiungere una considerazione più generale, la monetazione aurea del Regno d'Italia è appannaggio di una ristretta élite economica ed è pressoché inarrivabile per la "gente comune", a cui è abbastanza alieno persino lo stesso massimale argenteo da 5 lire (scudo)..

Ricercare una definizione con cui la moneta aurea (o anche solo le 20 lire "marengo") veniva chiamata dal popolo nella "quotidianità", mi sembra abbastanza inutile, dal momento che il suddetto "popolo" non ne aveva proprio alcun contatto.

Da un censimento del 1881 e quindi nel contesto temporale in cui Collodi scrive "Pinocchio", nel Regno d'Italia il tasso medio di analfabetismo della popolazione sfiora il 70%:

http://www.bibliolab.it/scuola/analfabeti_italia.htm

Tale condizione non solo impedisce a più di 2/3 della popolazione del Regno di poter leggere lo stesso "Pinocchio" ma è sintomatica di una situazione che vede versare la gran parte della popolazione italiana in una condizione economica di estrema indigenza, se non di pura sussistenza.

D'altro canto, la ristretta élite di popolazione che aveva invece accesso alla monetazione aurea era anche sufficientemente "colta" ed alfabetizzata per non dover ricorrere a terminologie improprie o generiche per definire la monetazione aurea.

Per quanto riguarda i termini "marengo", "mezzo marengo" o "doppio marengo", essi dovevano essere (o dovevano essere stati) piuttosto ricorrenti tra gli italiani dell'epoca che ebbero la fortuna di maneggiare monete d'oro, similmente a quanto avveniva in Francia con il termine "napoleone"  ("mezzo napoleone" e doppio napoleone), con cui si indicavano rispettivamente il pezzo da 20 franchi, 10 franchi e quello da 40 franchi).

Come è noto, il nominale da 40 lire era stato abbandonato già molto prima della nascita del Regno d'Italia.

".....mentre è  noto che quelle da 5 centesimi venivano chiamate "soldi" (1 soldo=20 lire)."

Si, il pezzo da 5 centesimi era chiamato anche "soldo"; però il rapporto che hai indicato è errato: Erano 20 soldi che formavano una lira.

"Non mi è comunque chiaro, tornando alla domanda iniziale, il motivo per il quale i privati avrebbero dovuto fornire l'oro per ottenere i tagli da 50 e 100 lire. C'erano collezionisti ai quali la zecca aveva comunicato questa possibilità? "

 Come già detto, l'unico modo per reperire nuova moneta aurea era quello di richiederla in zecca, fornendo il metallo e pagando i relativi diritti,

Questa modalità era prevista dalla legge per tutti, (privati non collezionisti, collezionisti, enti, banche e per lo stesso Governo) e non c'era quindi necessità di avvertire il pubblico.

La fornitura del metallo prezioso era necessaria per ottenere qualunque nominale aureo che al momento della richiesta poteva essere coniato e non solo per richiedere i pezzi da 50 e 100 lire.

Saluti.

Michele

Grazie mille per i chiarimenti che evidenziano una eccellente conoscenza dell'argomento in questione; in particolare ritengo che una delle principali difficoltà di quando si cerca di immaginare e comprendere la circolazione monetaria di quei tempi (ne abbiamo parlato anche riguardo la 5 lire del 1914), sia legata al valore intrinseco che non abbiamo più abitudine a considerare. Le monete in oro ed argento, quindi, pare proprio che fossero come dei piccoli lingotti dal peso noto da conservare e di un certo valore anche una volta cessata la normale circolazione. Mi resta, però, ancora qualche piccolo dubbio che sono sicuro vorrà sciogliermi con la cortesia e la disponibilità che la contraddistingue. Uno riguarda gli scudi, che, dati gli svariati milioni di pezzi coniati, mi sembra difficile non fossero destinati ad un uso "popolare", laddove per popolare non voglio intendere necessariamente la maggioranza povera ed analfabeta, ma comunque una diffusione ed un utilizzo abbastanza normali, sia per i ceti medi che per i più bassi, che magari ne entravano in possesso più raramente ma certamente li conoscevano e chiamavano, appunto, "scudi". Una somma notevole per l'epoca (10 lire o più) credo si possa immaginare normale che venisse pagata interamente o parzialmente in scudi. Analogamente mi sembra verosimile che le monete d'oro da 20 lire fossero conosciute dalla maggior parte delle persone, e magari chiamate in un certo modo (più zecchini che marenghi, termine che non mi sembra molto popolare) dalle persone meno colte. Questo ovviamente nonostante non si vedessero certo tutti i giorni, un po' come le banconote da 500 euro di oggi, per fare un paragone: le conoscono tranquillamente anche le persone (me compreso) che non ne hanno mai utilizzata una. Lo scudo da 5 lire di allora lo immagino un po' come una banconota da 50 euro (o 100, al limite): un taglio grande, non clamoroso ma nemmeno da utilizzare tutti i giorni. Sbaglio? 

Riguardo le monete in oro da 50 e 100 lire, essendo poco diffuse le banconote, mi viene da immaginarle appunto come le odierne banconote di grosso taglio. Non mi sovviene però il motivo per cui dei privati o delle banche avrebbero dovuto fare richiesta di questi tagli se non per motivi collezionistici o affini. Per dire, se sono correnti e ampiamente diffuse le banconote da 50 e 100 euro, per quale motivo dovrei richiederne da 200 e 500? Per..complicarmi la vita e complicarla anche al prossimo? L'unica ragione plausibile mi sembra quella collezionistica o di curiosità per il taglio insolito, e quindi affine al collezionismo. In caso di grosse somme, come la criminalità ci insegna, banconote di taglio più grande sono più comode perché occupano meno spazio, ma non mi pare che questo valga anche per le monete in oro dell'epoca che avevano peso e dimensioni proporzionalmente maggiori per i tagli più grandi: grosse e pesanti monete in oro da 50 e 100 lire mi sembrano più scomode da conservare, trasportare e far entrare in circolazione rispetto alle comuni monetine da 20. Probabilmente i numeri minimi delle coniazioni avvenute confermano questa mia sensazione, per cui l'esistenza delle monete da 50 e 100 lire in oro, così rare, poteva apparire quasi come una leggenda: mi viene da immaginare qualcuno che all'epoca chiedesse ad un amico od un parente: "Ma lo sai che esistono anche le monete da 50 e 100 lire? Io una volta le ho viste!" con la controparte che poteva benissimo non crederci, non avendole verosimilmente mai viste. Chiedo scusa per le divagazioni, ma mi sembra un argomento senz'altro interessante.

Modificato da Mr. Coin
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Io non trascurerei (per l'800 più che per il '900) la necessità di pagare in oro e con monete correnti certe importazioni di beni di pregio e di armi, perché il venditore lo pretendeva. Se le casse dello Stato non avevano disponibilità, ecco che si coniavano con oro di recupero o di monete fuori corso, e poteva far comodo (per esigenze di spazio di pagamenti ingenti) coniare pezzi da 100 piuttosto che da 20. Mutatis mutandis è quello che accade ora in paesi dalla moneta che non ha credito internazionale: se voglio beni di importazione devo pagare in dollari.

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13 ore fa, Mr. Coin dice:

Mi resta, però, ancora qualche piccolo dubbio che sono sicuro vorrà sciogliermi con la cortesia e la disponibilità che la contraddistingue. Uno riguarda gli scudi, che, dati gli svariati milioni di pezzi coniati, mi sembra difficile non fossero destinati ad un uso "popolare", laddove per popolare non voglio intendere necessariamente la maggioranza povera ed analfabeta, ma comunque una diffusione ed un utilizzo abbastanza normali, sia per i ceti medi che per i più bassi, che magari ne entravano in possesso più raramente ma certamente li conoscevano e chiamavano, appunto, "scudi". Una somma notevole per l'epoca (10 lire o più) credo si possa immaginare normale che venisse pagata interamente o parzialmente in scudi. Analogamente mi sembra verosimile che le monete d'oro da 20 lire fossero conosciute dalla maggior parte delle persone, e magari chiamate in un certo modo (più zecchini che marenghi, termine che non mi sembra molto popolare) dalle persone meno colte. Questo ovviamente nonostante non si vedessero certo tutti i giorni, un po' come le banconote da 500 euro di oggi, per fare un paragone: le conoscono tranquillamente anche le persone (me compreso) che non ne hanno mai utilizzata una. Lo scudo da 5 lire di allora lo immagino un po' come una banconota da 50 euro (o 100, al limite): un taglio grande, non clamoroso ma nemmeno da utilizzare tutti i giorni. Sbaglio? 

Ciao.

Va innanzitutto ricordato che con l'introduzione dell'art. 6 della Legge monetaria fondamentale del Regno d'Italia (L. n. 788/1862):

 

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Lo scudo, pertanto, poteva essere emesso solo per conto e dietro richiesta dei privati e già questa peculiarità lo "relegava", per così dire, ad un ambito non propriamente "popolare".

La situazione cambiò radicalmente nel 1874. Con la discesa del prezzo dell'argento, si rendeva necessario "contingentare" preventivamente l'emissione annuale degli scudi per evitare speculazioni e dunque, per effetto degli accordi dell'U.M.L., ratificati con Legge n. 2065/1874, lo scudo diviene una moneta la cui emissione è esclusivamente rimessa a potere degli Stati (quindi non più su domanda e per conto dei privati) in base a quantitativi prestabiliti e variabili anno per anno sulla base degli accordi dell'Unione.

2hxm1q8.jpg

 

Come poi sappiamo, con l'emissione del 1879 la coniazione degli scudi italiani nel XIX secolo cessò definitivamente, per riprendere solo nel 1911 per celebrare il cinquantenario del Regno (per quanto, con un contingente prestabilito e limitato a soli 60 mila esemplari).

Precisato quanto sopra, è difficile pensare che la maggioranza della Popolazione avesse accesso a questa tipologia monetale, e non tanto perché il valore facciale di 5 Lire nella seconda metà dell'800 rappresentasse, fatte le debite proporzioni, un importo "stratosferico"; - se lo rapportiamo ad oggi potrebbe più o meno equivalere ad un valore oscillante intorno ai 70 euro  (tanto per avere un termine di paragone dei salari di pubblici dipendenti, nel 1882 un inserviente della Zecca  percepiva uno stipendio di 1.100 Lire annue.....però il Direttore della stessa zecca ne guadagnava 5.000!):

25kuccl.jpg

 

quanto piuttosto perché si trattava di un taglio non "adeguato" (non mi viene un termine migliore...) alla tasca del cittadino appartenente al "popolo".

Probabilmente, il maggiore problema a ragguagliare gli scudi e le monete d'oro ottocentesche ai tagli delle nostre attuali monete non è data tanto dalla difficoltà di reperire tabelle di conversione "ora per allora" più o meno attendibili, ma piuttosto dall'impossibilità di trovare delle analogie nella cosiddetta "classe media", che per come la intendiamo oggi, nel XIX secolo non esisteva.

Quelle erano monete "da Signori" per definizione e difficilmente le avremo trovate nelle tasche di quella parte della popolazione (che era la maggioranza) diversa dalla nobiltà, dalla borghesia e dai ricchi proprietari terrieri.

Sul fatto che le monete d'oro da 20 lire fossero conosciute "dalla maggior parte delle persone", in un contesto in cui vi il 70% di popolazione era analfabeta, nutro francamente molti dubbi.

Potrebbero anche averne sentito parlare, ma che un appartenente al "Popolo" potesse avere modo di vedere e soprattutto di maneggiare monete d'oro, mi sembra altamente improbabile. 

Sull'uso del termine "zecchini" anziché marenghi per designare il tipo da Lire 20, credo di aver già scritto che mi sembra poco plausibile che si usasse il primo termine, dal momento che lo zecchino (romano) era anche una moneta dello Stato Pontificio che si trovava "tariffata" nelle Tavole di ragguaglio fra la Lire del Regno e le altre monete auree per le quali era consentita la conversione.

Ecco quindi che usare il termine di "zecchino" (normalmente riferito appunto allo zecchino romano) avrebbe potuto creare fraintendimenti laddove si fosse inteso fare riferimento ad un marengo.

Fra l'altro, non so se l'ho già scritto in altri interventi, non ho neppure un ricordo che nella letteratura numismatica dell'800 o anche solo nei quotidiani dell'epoca che mi è capitato di studiare, si sia mai usato il termine "zecchino" per indicare il marengo.

14 ore fa, Mr. Coin dice:

Riguardo le monete in oro da 50 e 100 lire, essendo poco diffuse le banconote, mi viene da immaginarle appunto come le odierne banconote di grosso taglio. Non mi sovviene però il motivo per cui dei privati o delle banche avrebbero dovuto fare richiesta di questi tagli se non per motivi collezionistici o affini. Per dire, se sono correnti e ampiamente diffuse le banconote da 50 e 100 euro, per quale motivo dovrei richiederne da 200 e 500?

In genere la monetazione aurea era utilizzata per transazioni di importi rilevanti o per transazioni con l'estero o, ancora, laddove nei contratti veniva apposta la cosiddetta "clausola oro"; si tratta di una convenzione in base alle quale le parti si accordano affinché il prezzo da pagare sia corrisposto in moneta aurea anziché con gli ordinari tagli fiduciari.

Ciò veniva previsto laddove si temeva che il pagamento, soprattutto se differito e molto posticipato nel tempo, potesse subire gli effetti inflattivi che tolgono potere d'acquisto alla moneta fiduciaria.

La richiesta di moneta aurea era quindi riconducibile a grossi mercanti e grossi industriali che reperivano all'estero le merci o le materie prime e che erano soliti pagare in oro.

In questi casi, il taglio aureo più utilizzato era sicuramente quello del marengo. 

Anche le Banche potevano ricorrere alle coniazioni auree per garantire l'emissione di titoli o della stessa carta moneta; il tutto, come già in precedenza precisato, fornendo alla zecca l'oro necessario e pagando i diritti di coniazione.

I motivi collezionistici (e non mercantili) possono essere invece alla base delle richieste di quei nominali che vennero coniati in pochi (o relativamente pochi) esemplari e che oggi hanno, di conseguenza, un importante richiamo numismatico.

Saluti.

Michele

 

 

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Grazie mille. Da quanto ha scritto mi sembra ragionevole il mio paragone con le odierne banconote da 500 euro, di cui tutti conoscono l'esistenza ma che non tutti hanno visto, e pochi le hanno usate. Certamente durante i primi anni di coniazione lo scudo era una moneta elitaria ma immagino che con le massicce coniazioni dal 1874 in poi sia diventato una moneta meno elitaria e più diffusa. Ma le classi popolari, per quanto analfabete o quasi, utilizzavano il denaro, e mi sembra difficile che non fossero a conoscenza dell'esistenza di grossi tagli, e non certo solo dei "soldi", "soldoni" e centesimi in rame. Anche il nostro inserviente di zecca, negli anni in cui la cartamoneta era ancora poco usata, non credo che avrà ricevuto il suo stipendio mensile di un centinaio o un'ottantina di lire tutto in monete d'argento non superiori al taglio di due lire, un po' come oggi gli stipendi incassati in contanti non vengono corrisposti, salvo esplicite richieste particolari, interamente in banconote di piccolo taglio. 

Riguardo gli scambi con l'estero, mi viene da chiedere dove andassero poi a finire i sacchetti di marenghi italiani utilizzati per i pagamenti, dato che si trattava di valuta estera. Ciò inoltre mi fa pensare ad una reciprocità, ovvero alla consuetudine, per questi grossi mercanti, di ricevere a loro volta pagamenti dall'estero con le locali monete in oro. Si trattava forse, quindi, di un utilizzo promiscuo in cui contava solo il valore intrinseco e quindi il peso?

Riguardo poi il nome di tali monete da 6,45 g di oro 900, certamente nella letteratura numismatica non venivano chiamati zecchini, ma mi sembra difficile da credere che i mercanti ed i nobili li chiamassero marenghi, nome prettamente numismatico. Sarebbe interessante scoprire se, oltre a Pinocchio (in cui, come già rilevato, nel 1881 si fa riferimento alle "monete d'oro" chiamandole anche "zecchini", senza specificare il taglio) esistono altri esempi di letteratura non numismatica coeva in cui si attesta l'utilizzo di un nome particolare, sia esso zecchino, marengo, o altro. Certamente ce ne sono diverse (oltre allo stesso Pinocchio, anche il noto libro Cuore) in cui si attesta l'uso popolare del termine "soldo" per i 5 centesimi. Mi sembra, ma non saprei citare la fonte, che anche il termine "scudo" sia rintracciabile in letteratura.

Per concludere, mi è sembrato di capire che, dalla fine del XIX secolo, gli scudi ed i marenghi in Italia non sono stati praticamente più utilizzati in quanto sostituiti progressivamente dalla cartamoneta, ma non per questo ritirati, bensì tesaurizzati dalle classi più agiate ed eventualmente utilizzati come merce di scambio quali veri e propri lingotti. Dico bene? A partire dai primi anni del '900 poi, con la coniazione dei tagli "Aquila sabauda", mi sembra che si sia inaugurata la parentesi collezionistica, con i tagli inizialmente richiedibili pagando a parità aurea più i diritti di coniazione, e successivamente (dalle 100 lire 1923 in poi) a prezzi abbastanza maggiorati. Inoltre, a un certo punto (1927-1928) si è ripresa la coniazione coniazione di monete in argento di grosso modulo per la circolazione (quelle da L.20), in tirature di alcuni milioni di esemplari, il che credo escluda un'emissione dedicata i collezionisti. Tali monete (Littore ed Elmetto), in virtù delle alte tirature, venivano quindi distribuite negli sportelli di tesoreria?

Grazie mille.

Max

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22 ore fa, Mr. Coin dice:

Grazie mille. Da quanto ha scritto mi sembra ragionevole il mio paragone con le odierne banconote da 500 euro, di cui tutti conoscono l'esistenza ma che non tutti hanno visto, e pochi le hanno usate. Certamente durante i primi anni di coniazione lo scudo era una moneta elitaria ma immagino che con le massicce coniazioni dal 1874 in poi sia diventato una moneta meno elitaria e più diffusa. Ma le classi popolari, per quanto analfabete o quasi, utilizzavano il denaro, e mi sembra difficile che non fossero a conoscenza dell'esistenza di grossi tagli, e non certo solo dei "soldi", "soldoni" e centesimi in rame. Anche il nostro inserviente di zecca, negli anni in cui la cartamoneta era ancora poco usata, non credo che avrà ricevuto il suo stipendio mensile di un centinaio o un'ottantina di lire tutto in monete d'argento non superiori al taglio di due lire, un po' come oggi gli stipendi incassati in contanti non vengono corrisposti, salvo esplicite richieste particolari, interamente in banconote di piccolo taglio. 

Ciao.

Beh, non so se il paragone sia proprio adatto, però il "concetto" che esprime direi che coglie nel segno.

La differenza tra la conoscenza dei grossi tagli attuali rispetto alle monete d'oro ottocentesche e, perché no, anche rispetto agli stessi scudi, credo risieda nel fatto che oggi, bene o male chiunque, attraverso la TV o le pubblicità cartacee, è informato dell'esistenza delle banconote di grosso taglio (anche se poi in tanti potrebbero non averle mai viste dal vero, ricevute nello stipendio e spese), mentre nell'800 l'informazione in genere e quella monetaria in particolare era un "lusso" che in pochi si potevano permettere, vuoi perché le notizie - solo cartacee - erano di difficile reperibilità e vuoi perché anche se reperibili, l'analfabetismo dilagante ne impediva la conoscenza.

Diciamo che, nel panorama lavorativo della seconda metà dell'800, un impiego pubblico di inserviente presso la zecca poteva già considerarsi un lavoro da privilegiati, avuto riguardo al fatto che una giornata di lavoro di un bracciante agricolo era pagata 1 lira.

Quindi, mentre "un inserviente" avrebbe anche potuto ricevere degli scudi nella sua busta paga (strano...ma teoricamente anche possibile), tenderei invece ad escludere che la stessa cosa potesse accadere ad un bracciante agricolo. 

Considerando, anche intuitivamente, quale fosse in Italia il "volume" degli addetti al comparto agricoltura nella seconda metà dell'800, possiamo facilmente ipotizzare che una grande massa della popolazione italiana non solo non avesse "contatti" con le monete d'oro e, probabilmente, anche con gli scudi, ma fosse pressoché all'oscuro anche dell'esistenza dei grandi moduli aurei.

Ora, trovare oggi un soggetto che non sappia dell'esistenza dei biglietti da 500 e da 200 euro (anche se può non averli mai maneggiati), non è così facile, perché è probabile che anche un analfabeta li abbia visti in un filmato del TG, in una pubblicità televisiva o in una locandina di una Finanziaria . 

22 ore fa, Mr. Coin dice:

Riguardo gli scambi con l'estero, mi viene da chiedere dove andassero poi a finire i sacchetti di marenghi italiani utilizzati per i pagamenti, dato che si trattava di valuta estera. Ciò inoltre mi fa pensare ad una reciprocità, ovvero alla consuetudine, per questi grossi mercanti, di ricevere a loro volta pagamenti dall'estero con le locali monete in oro. Si trattava forse, quindi, di un utilizzo promiscuo in cui contava solo il valore intrinseco e quindi il peso?

Sicuramente l'uguaglianza monetaria del Paesi membri dell'U.M.L. favoriva l'interscambio di moneta (inclusa quella aurea) fra i membri stessi dell'Unione.

Quindi, una volta stabilito che il prezzo di una compravendita dovesse essere corrisposto in moneta aurea, utilizzare marenghi italiani o francesi o belgi o svizzeri era assolutamente equivalente.

Ti chiedi, giustamente, che fine abbiano fatto tutte queste monete auree?

Alcune sono attualmente tesaurizzate nelle Banche Centrali (solo la nostra Banca d'Italia detiene nei propri caveaux uno stock di monete auree di varie nazioni che ammonta a 900.000 pezzi!!!), altre sono state fuse per ottenere lingotti impiegati poi per produrre oggetti di oreficeria, altre le detengono i cittadini come "bene rifugio" o per collezionismo o sotto forma di "gioielli", altre ancora riposano nei medaglieri dei musei, ecc.

22 ore fa, Mr. Coin dice:

Riguardo poi il nome di tali monete da 6,45 g di oro 900, certamente nella letteratura numismatica non venivano chiamati zecchini, ma mi sembra difficile da credere che i mercanti ed i nobili li chiamassero marenghi, nome prettamente numismatico. Sarebbe interessante scoprire se, oltre a Pinocchio (in cui, come già rilevato, nel 1881 si fa riferimento alle "monete d'oro" chiamandole anche "zecchini", senza specificare il taglio) esistono altri esempi di letteratura non numismatica coeva in cui si attesta l'utilizzo di un nome particolare, sia esso zecchino, marengo, o altro. Certamente ce ne sono diverse (oltre allo stesso Pinocchio, anche il noto libro Cuore) in cui si attesta l'uso popolare del termine "soldo" per i 5 centesimi. Mi sembra, ma non saprei citare la fonte, che anche il termine "scudo" sia rintracciabile in letteratura.

Il termine "marengo", come certamente saprai, venne utilizzato in area italiana fin dai primi dell'800 per designare una moneta aurea del peso di grammi 6,45 al titolo di .900/1.000 e del valore di 20 franchi.

Questa moneta era stata battuta per la prima volta nel 1801 a nome della Repubblica Subalpina per celebrare la vittoria di Napoleone sugli austriaci, nella battaglia combattuta il 14 giugno 1800 a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria.

Il termine marengo divenne pertanto sinonimo di moneta aurea avente le caratteristiche sopra indicate.

Non direi pertanto che, nell'800, solo i numismatici usassero questo termine per definire la moneta italiana da 20 lire, ma sarei propenso a pensare che chiunque avesse avuto familiarità con questa moneta l'avrebbe potuta chiamare in questo modo.

Il problema è però sempre il solito. Chi mai poteva avere familiarità con i marenghi?

Evidentemente, sono sempre e solo i soliti esponenti di quelle classi agiate che avrebbero potuto prima procurarseli e poi farne uso.

Quindi, voler ricercare una diversa definizione utilizzata dal "Popolo", mi sembra di per se uno sforzo abbastanza inutile, dal momento che come abbiamo già detto, dove c'era il Popolo non c'erano i marenghi e viceversa e cercare una definizione popolare per designare una qualunque moneta d'oro è impresa improba.

Comunque, sulla "inappropriatezza" dell'uso del termine "zecchino" per indicare la moneta aurea da 20 lire, ho rintracciato nella libreria di casa un opuscolo pubblicato nel 1862 contenente le "Tavole di ragguaglio" fra le monete auree aventi corso legale in Italia e la moneta italiana e quella romana:

9sv6v7.jpg

 

Come si può vedere nella colonna a destra del frontespizio,  vi sono alcune monete aventi corso legale nel Regno che venivano indicate come "zecchino romano", "zecchino di Toscana" e "zecchino di Milano", le cui caratteristiche pondometriche erano ben diverse dal "marengo".

Se quindi si fosse utilizzato, anche solo "gergalmente", il termine "zecchino" per riferirsi al "marengo", ciò avrebbe sicuramente prodotto una notevole confusione, dando adito a fraintendimenti fra gli interlocutori.

Fra l'altro, quando l'Autore di Pinocchio utilizza il termine "zecchini", egli potrebbe aver voluto fare riferimento proprio allo "zecchino di Toscana" (cioè ad una moneta che, d'altro canto, nel Granducato di Toscana si coniò fino al 1853?

https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-L2/22

e non al "marengo", dal momento che lo scrittore era toscano e ben poteva, nell'ultimo ventennio dell'800, aver ancora contezza e ricordi della moneta aurea toscana, tanto da citarla, seppure in "chiave letteraria" (non certo con valenza e finalità numismatiche) nella sua più famosa opera.

22 ore fa, Mr. Coin dice:

Per concludere, mi è sembrato di capire che, dalla fine del XIX secolo, gli scudi ed i marenghi in Italia non sono stati praticamente più utilizzati in quanto sostituiti progressivamente dalla cartamoneta, ma non per questo ritirati, bensì tesaurizzati dalle classi più agiate ed eventualmente utilizzati come merce di scambio quali veri e propri lingotti. Dico bene? A partire dai primi anni del '900 poi, con la coniazione dei tagli "Aquila sabauda", mi sembra che si sia inaugurata la parentesi collezionistica, con i tagli inizialmente richiedibili pagando a parità aurea più i diritti di coniazione, e successivamente (dalle 100 lire 1923 in poi) a prezzi abbastanza maggiorati. Inoltre, a un certo punto (1927-1928) si è ripresa la coniazione di monete in argento di grosso modulo per la circolazione (quelle da L.20), in tirature di alcuni milioni di esemplari, il che credo escluda un'emissione dedicata i collezionisti. Tali monete (Littore ed Elmetto), in virtù delle alte tirature, venivano quindi distribuite negli sportelli di tesoreria?

La Tua conclusione mi pare molto condivisibile.

I "Littori" e gli "Elmetti" dovrebbero avere circolato, sebbene il termine del loro corso legale (fissato al 31 dicembre 1937) faccia pensare che l' eventuale loro impiego nell'effettiva circolazione debba circoscriversi a meno di un decennio.

In base alle tirature ufficiali, queste monete dovrebbero comunque essere state prodotte per la circolazione e dunque sarebbero state distribuite dalle tesorerie.

Ricordo che una decina di anni fa provai a chiedere ad alcuni arzilli vecchietti ultra ottuagenari se avessero memoria di queste monetone d'argento nella circolazione; la risposta fu che non ne avevano memoria.

Ma questo, ovviamente, non significa nulla ....la circolazione di un certo tipo di moneta poteva non essere diffusa in ambienti agro-pastorali (luogo dal quale provenivano i suddetti arzilli vecchietti e dove, fino agli anni '40 del secolo scorso, era ancora ben radicato "il baratto"), al contrario di quanto invece poteva accadere nelle grandi città o in contesti industrializzati.

Saluti.

M.

 

 

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