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IGNORED

Minerva testa


Lucreziamaria

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TAISIA

 

Taisia, io sogno gocce dei tuoi baci

come baciare labbra

delle femmine antiche...

pelle candida,

pelle

scordata dai tatuaggi...

sei in riserva di lacrime, mia bella,

bella come una suora di clausura

inondata dal buio di una cella

mia femmina selvaggia

fremiti chiusi sotto una piastrella...

dimmi perché ti desti

solo al suono di qualche ciaramella

e apri le tue porte

e profumi di donna

e mi ubriachi

con un nuovo veleno,

e scopri di sorrisi le mammelle

d'immacolato seno.

 

 

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@Lucreziamaria, per prolungare l'attesa (ma già mi hai rubato una sirena :o), voglio parlare prima di Ligea "la melodiosa dalla voce incantevole", che con le sorelle Leucosia, la sirena  "dalle candide braccia" e Partenope "quella che sembra vergine" costituivano la più grave minaccia per i marinai che costeggiavano le coste del Tirreno, dal Circeo fino a Scilla.

Il Mito narra che le maliarde, che grazie alla Pallade Athena non poterono spolpare le belle membra di Ulisse in viaggio alla ricerca di Itaca, per lo scorno furono costrette al suicidio. Le poverine disperate si gettarono in mare dall'alto di una rupe e il mare le condusse in luoghi diversi:

Il corpo di Leucosia dalle candide membra finì sul litorale di Posidonia, quello di Partenope che ha corpo di vergine là dove poi sorse Napoli, quello di Ligea la melodiosa, sulle spiagge del golfo di Sant’Eufemia, nella terra dei Bruzzi, n'anticu pòpulu itàlicu chi camparu a dda zona sittintriunali di l'attuali Calabbria.

Proprio là, si dice che la Sirena fu sepolta dai Terinei abitanti del luogo, i quali eressero per lei anche un tempio votivo e le dedicarono un particolare culto religioso. Poi, ne fecero la personificazione della loro città, Terina, "la tenera", e per mantenerne la memoria, il poeta calcidese Licofrone (330 a. C. circa)  ne parlò nei versi del suo poema "Alexandra".

E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti la seppelliranno nella sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell’Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte cornuta, con le sue acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto della fanciulla […]. Altri marinai stanchi di vagare penosamente di qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l’Ocinaro versando le sue limpide acque nel mare”.

Non soddisfatti, i Terinei della terra di Bruzii che avevano fondato una zecca per la loro meravigliosa monetazione, cominciarono a rappresentare la Sirena sui loro argenti, mitizzando la sua memoria al rango di Ninfa piuttosto che di Sirena:

teri.thumb.jpg.6de35e5f219791b0108eb6c264b03ddd.jpg

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Un'altra bella moneta di Terina/Ligea raffigurante Nike, la Vittoria alata, trovata a Terina.

Alla prossima sorella

Hirpini

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Grazie al conte Hirpini per le belle monete e le accurate didascalie che hanno risvegliato in me  una certa curiosità filologica. Hirpini, etnico apparso relativamente tardi, come sosteneva l'amato Giovanni Semerano, confuso con hirpus irpus, nome sabino del lupo,animale sacro a Marte, ma che in realtà significa popolo dei monti, a occidente, calcato su corrispondente ad accadico irbu   (passo montano, occidente). Gli Hirpi sono popolazione sabina, mentre gli Hirpini sono di stirpe sannitica. Fu Servio a far derivare l'antico Hirpini da Hirpus, nome sabino del lupo.

Spero di non avere annoiato o disturbato l'amico lupo d'Irpinia,

in attesa della bella Partenope

un saluto dai miei monti ad altri monti

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16 ore fa, Hirpini dice:

@Lucreziamaria, per prolungare l'attesa (ma già mi hai rubato una sirena :o), voglio parlare prima di Ligea "la melodiosa dalla voce incantevole", che con le sorelle Leucosia, la sirena  "dalle candide braccia" e Partenope "quella che sembra vergine" costituivano la più grave minaccia per i marinai che costeggiavano le coste del Tirreno, dal Circeo fino a Scilla.

Il Mito narra che le maliarde, che grazie alla Pallade Athena non poterono spolpare le belle membra di Ulisse in viaggio alla ricerca di Itaca, per lo scorno furono costrette al suicidio. Le poverine disperate si gettarono in mare dall'alto di una rupe e il mare le condusse in luoghi diversi:

Il corpo di Leucosia dalle candide membra finì sul litorale di Posidonia, quello di Partenope che ha corpo di vergine là dove poi sorse Napoli, quello di Ligea la melodiosa, sulle spiagge del golfo di Sant’Eufemia, nella terra dei Bruzzi, n'anticu pòpulu itàlicu chi camparu a dda zona sittintriunali di l'attuali Calabbria.

Proprio là, si dice che la Sirena fu sepolta dai Terinei abitanti del luogo, i quali eressero per lei anche un tempio votivo e le dedicarono un particolare culto religioso. Poi, ne fecero la personificazione della loro città, Terina, "la tenera", e per mantenerne la memoria, il poeta calcidese Licofrone (330 a. C. circa)  ne parlò nei versi del suo poema "Alexandra".

E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti la seppelliranno nella sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell’Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte cornuta, con le sue acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto della fanciulla […]. Altri marinai stanchi di vagare penosamente di qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l’Ocinaro versando le sue limpide acque nel mare”.

Non soddisfatti, i Terinei della terra di Bruzii che avevano fondato una zecca per la loro meravigliosa monetazione, cominciarono a rappresentare la Sirena sui loro argenti, mitizzando la sua memoria al rango di Ninfa piuttosto che di Sirena:

teri.thumb.jpg.6de35e5f219791b0108eb6c264b03ddd.jpg

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Un'altra bella moneta di Terina/Ligea raffigurante Nike, la Vittoria alata, trovata a Terina.

Alla prossima sorella

Hirpini

buonasera Hirpini, debbo proprio scriverlo- che sei uno dei miei preferiti in questa community, sei completo-  vedo che ti diletti nella poesia- oltre che nella numismatica- nn mi divago molto nello scrivere- pero mi hai dato piacere nei tuoi scritti.

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@falanto grazie, sei troppo buono, ma il cavallo selvaggio che si nasconde in questa discussione e che con nostro grande piacere spesso sfugge a ogni controllo, appartiene non solo a me, ma soprattutto alle nostre muse ispiratrici @pizzamargherita e @Lucreziamaria, allo mio maestro co-poeta @1412luigi, a @fagiolino e a chiunque altro volesse partecipare.

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@Lucreziamaria col suo amabile savoir faire ha ispirato un nuovo argomento, che a scapito di Ulisse e Athena, inserisco brevemente tra una sirena e l'altra (dopo Ligea, si dovrà dire qualcosa delle sorelle Leucosia e Partenope).

Tra le varie tribù di lingua osca che solo in tempo di guerra si stringevano nella "Lega Sannitica", quella degli Hirpini fu la più bellicosa nel condurre una guerra assai cruenta e durata  in tre fasi, contro Roma (343-293 a. C.). Gli Irpini infatti furono gli ultimi a essere sottomessi, dopo l'annientamento del corpo d'élite sannitico, la Legio Linteata dalla tunica bianca; dopo la sconfitta nella battaglia finale del 293 a. C.  a RAINNURUKA, da leggersi da destra a sinistra quindi AKURRUNIAR, da pronunziarsi invece AKUDUNNIAD. Quella fu l'ultima roccaforte sannita, vicino Aquilonia (Avellino); e infine dopo la cattura e l'uccisione di Gavio Ponzio, di Abellinum, che era stato comandante supremo dell'armata sannitica.

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Ma non di questo specifico aspetto militare della storia sannitica vorrei parlare, che può non interessare tutti e forse pochi, bensì della monetazione di quella gente osca, per un aspetto sensazionale dei loro coni: proprio sulle monete i Sanniti scrissero per la prima volta nella storia, una parola quanto mai piena di fascino e destinata a segnare il nostro futuro: ITALIA.

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BELLUM SOCIALE E NASCITA DELL'ITALIA

"Sociale Bellum vocetur licet, ut extenuemus invidiam; si verum tamen volumus, illud civile bellum fuit"  - Può essere chiamata "guerra sociale" per sminuirne l'odiosità; se vogliamo la verità, quella fu una guerra civile (Floro, 75-125 d. C.)

Quando il senato di Roma intorno al V secolo a. C. negò agli alleati delle popolazioni italiche ("soci") il consenso alla concessione della cittadinanza romana, si sollevò una loro cruenta insurrezione: le bellicose tribù sannitiche, in testa i Pentri, i Carricini, i Frentani, i più irriducibili Irpini, i Caudini e altre, ma anche Lucani e Apuli, presero le armi e scoppiò quella che gli storici chiamano "Bellum Sociale". Eppure quei "soci" avevano combattuto al fianco dei legionari romani contro Annibale prima e Perseo re di Macedonia più tardi. Ma non avevano avuto i benefici promessi.

Ma ecco il sensazionale: le popolazioni ribelli costituirono un loro stato "italiano", con capitale Corfinium (nell'attuale provincia di L'Aquila) che fu subito ribattezzata ITALIA. La loro lingua comune era l'osco, e su questa identità così estesa di idioma, si pensa che i romani abbiano immaginato che si trattasse di un unico popolo. E poiché nella loro politica espansionistica le legioni avevano conosciuto per primi gli abitanti del Samnium, i Sanniti, estesero il nome a tutte le popolazioni limitrofe.

Sull'ineccepibile modello romano, il nuovo stato repubblicano elesse subito un senato di 500 membri, 2 consoli - il marso Quinto Poppedio Silone e il sannita Caio Papio Mutilo - e 12 pretori. Intanto la nuova capitale ITALIA - che occupava una posizione strategica sulla Via Valeria, prosecuzione della Tiburtina, che collegava Roma all'Adriatico - cominciò a battere moneta per contrastare quella romana che intanto gestiva un monopolio assoluto su quasi tutto il meridione d'Italia. Queste alcune delle monete sannite del Bellum Sociale: 

tre.jpg.205f975ea90f1443d147e055869641c9.jpg

Chi di noi fosse interessato a leggere qualcosa della storia dei Sanniti (popolo, territorio, lingua, religione, monetazione, Legio Linteata, meddix tuticus, ecc.), potrebbe aprire questo link, c'è da restare stupiti.

http://www.sanniti.info/

e poi Tito Livio, Ab Urbe condita, Libro IX, anche qui:

http://www.sanniti.info/livio9.html

Ora mi scuso per avere forse tirato un po' d'acqua al mulino della mia tribù, non me ne vogliano gli Antichi Romani, i Nuovi, i Romanisti e anche i Laziali. Sono trascorsi tanti anni da quella guerra e tranquilli, siamo ormai tutti Legionari Romani.

Alla prossima con le Sirene, spero.

:friends:HIRPINI

 

moneta italia.jpg

Modificato da Hirpini
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LUCREZIA

 

Lucrezia, eri il mio dolce

verginale

fiore del male...

ti ricordi occhioni miei di luce?

Eri giovane e bella e innamorata

eri il mio solo pasto

e sei caduta in un gurgite vasto

e volevi morire

e poi tornare a vivere e a sperare

amori disperati

amori appena nati...

e son scappato via

fra braccia consumate

di noia e di parole già parlate

e ti sogno la notte

nuda con il pigiama delle fate.

 

 

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UN MIO SOGNO

Mi trovo in una vecchia casa di campagna, un rudere che sa di antichi

splendori, di un superbo passato.

Una ragazza (un angelo femmina? La mia Fata Verde?) gira intorno a quel palazzotto, ma non ha bisogno di entrare. Non ha bisogno di suonare.

Di bussare. Di tirar fuori dalla borsetta un fischietto. Di gridare. Di

parlare. Neppure di sussurrare.

Le basta volare intorno a quella vecchia porta. Consumata da mani

giovani, da vecchi artigli, da spintoni di ragazzi, da chiacchiericci di

pulzelle, da manate di bimbi, dal gelo degli inverni e dal sudore

dell'estate. Le basta muovere appena le ali e ripercorrere con le dita

dell'anima quella quercia tinta di olio e di noce.

Come sono le noci chiuse nel loro mallo, le ghiande e le castagne del

viale, quel viale che si chiude agli umani prima del roccolo?

Perché quella vipera non si scalda più al sole di maggio, perché quella

panca di pietra è piena solo di foglie morte e di fiori secchi?

Ma soprattutto, perché la casa è vuota? Sta morendo, la casa.

Senza i bagagli delle femmine, pronte a svuotarli di frasi inutili, di

parole rabberciate e rammendate.

Ghiacciato il ferro da stiro. Vuoti la dispensa e il frigorifero. Nessun

bimbo a rincorrere le stanze, nessun uomo a leggere il giornale.

Solo freddo, tanto freddo. Ci vorrebbe qualcuno, per scaldare il

freddo. Magari un cagnolino, un gatto, un criceto. Niente, neppure il

fantasma di qualche scarpa che aveva pestato quei pavimenti di

graniglia.

Letti senza amore, soggiorno senza odio, sala da pranzo senza pane da

condividere, grissini da sgranocchiare, vino da bere, bollicine da

festeggiare.

E poi quell'odore di chiuso, quella cantina piena di bottiglie vuote.

Vuole andarsene, la pulzella.

Poi, dallo studio, ecco un fruscìo, il planare di un foglio verso il

cestino.

Un uomo, un poeta. Può avere cent'anni e il cuore di venti.

Mescolate a tante gocce meravigliose, ha scritto cascate di sciocchezze,

ma non ha cuore ad appallottolare quelle righe inutili.

Così le ha fatte scendere giù, come un aereo che drizza troppo il muso

verso l'alto e va in stallo e precipita. Però quelle righe hanno il tempo

di pregare o magari di maledire o di tacere. Sono ancora vive. Forse

una donna raccoglie quel foglio e ci scrive la lista della spesa.

Vino rosso, olio per friggere, sale grosso, riso, spaghetti, dentifricio.

Vorrebbe scrivere amore, ma la biro ha finito l'inchiostro.

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@Hirpini  @1412luigi, miei esperti numismatici sognatori, un grazie per le vostre composizioni che mi dilettano molto. A voi dedico questo mio esercizio poetico che vuole imitare l'antico madrigale in uso  in una società raffinata tra poeti e musicisti dilettanti (nel senso che componevano per diletto), come noi che ci dilettiamo di monete preziose  e di versi ingioiellati.

Stille di cascatelle

Stille di cascatelle

zampillano nell'acqua dai dirupi,

cristalline sorelle

capaci di fermare pure i lupi.

Briosi campanelli

son di richiamo per le compagnie

di giovani novelli

che rifuggono i brutti e le arpie.

Risate cristalline

riccioli neri e occhi di diamante

richiamano l'amante

fuggito via dalle lor moine.

 

 

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DANIELLA

 

 

Se tu

fossi a tiro

dei miei abbracci

getterei carezze sul tuo viso

come si gettano gli occhi

sull’uva ultima di novembre

appena sbocciata

tra i banchi del mercato.

Poi

morderei l’oro di quegli acini

perché mille gocce

cadano

sul deserto del tuo cuore.

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Riprendo caro Hirpini la tua moneta battuta durante la guerra sociale, quella con la scritta VITELIU che ha dato tanto da fare ai filologi linguisti applicati a spiegare l'origine del toponimo Italia. Che tu sappia, esistono simili monete con la figura di un toro? Grazie, a presto

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L'AUTO ADDORMENTATA NEL BOSCO


 



C'era una volta, in un Paese lontano lontano, una pulzella di nome Anita che possedeva una vecchia auto diesel, verde come la speranza ma diesel come l'inquinamento.

La borgomastra della città aveva deciso di condannare a morte l'auto della pulzella, ma lei non ci stava, non aveva il cuore di farla rottamare.

L'avrebbero sventrata, privata dei sedili e ridotta ad una schiacciata di lamiera.

No, non poteva permetterlo. Quella vecchia scatola le aveva tenuto compagnia e qualche volta aveva accolto un amore, un affetto, un ricordo.

Così aveva deciso di abbandonarla in un bosco.

Avrebbe lasciato un finestrino aperto. Per un passerotto sarebbe stato un nido già pronto, per uno scoiattolo un rifugio, per una marmotta un posto nuovo da annusare.

E se si fosse messo a piovere forte forte un gatto selvatico lì dentro non si sarebbe bagnato.

Però, pensandoci bene, quel gatto avrebbe fatto un sol boccone del passerotto e della sua famiglia...già...ma si è mai visto un pennuto che fa il nido sul sedile di un'auto? E come potrebbero i piccoli spiccare il volo? No, niente volatili, sarà la tana di qualche gatto o di qualche volpe.

Anita non ha ancora abbandonato la sua auto e già muore dalla voglia di scoprire chi andrà a curiosare fra il volante e il cruscotto, fra i sedili e i tappetini.

Curiosare, appunto. Si sa, le donne sono curiose. Così, in una notte di fine maggio, la nostra dolce pulzella abbandona finalmente la sua auto nel bosco.

Quanto tempo passa prima che Anita torni nel bosco a curiosare? Un mese? Una settimana? No, ventiquattr'ore o poco più. Eccola, adesso ha parcheggiato la sua nuova ibrida al limitare del bosco.

L'aria è tiepida, dolce e senza vento.

La luna rischiara gli alberi e accarezza il riposo dei fiori.

A tante carezze una margheritina si è destata e schiude appena i suoi petali al bacio di quel pallido sole.

Anita si è portata una torcia. Una torcia e un bastone, non si sa mai, anche se lei ha più paura degli umani che delle bestioline e delle bestiolone.

Ecco, il verde della sua vecchia bagnarola...no, aspetta, non puntare la torcia, avvicinati...guarda. Non c'è nessuno nell'auto...hai visto? E' troppo presto.

Poi un rumore improvviso, come di chi si fa strada fra i cespugli.

Subito! Nasconditi e zitta, non fiatare.

La pulzella si mette la mano sulla bocca. Il cuore batte forte, ma il respiro e la paura sono coperti dal bubolare di un gufo, di vedetta sulla quercia di fronte.

Un'ombra...ma è in basso...ma chi è? Un bambino? Ma è grigio?

Non è un bambino..che bello! E' un lupo! Che bestia terribile...che bestia meravigliosa!

Il lupo balza sul cofano e poi sul tetto dell'auto. Non gli importa niente di Anita, ha una cosa da fare.

Adesso ha alzato il muso, sì, sembra...è come dentro la luna.

Piano? No, adesso più forte, sempre più forte. Sta ululando alla luna. Cos'è questo, adesso? Non voltarti.

E' solo il gufo che ha portato via le ali.

Sono spaventati gli animaletti del bosco? Macché, hanno aperto gli occhi e li hanno subito richiusi, conoscono bene quel lupo solitario.

Sai, lui non fa paura neanche al leprottino nato ieri, che rimette la testolina piena di sonno fra le zampe della mamma.

Anita, è tempo di tornare a casa. La luna piena ti guida fra i rami del sentiero. La torcia è spenta, l'auto nuova lucida la notte.

Sogni d'oro, dolce pulzella.

La tua vecchia auto ora appartiene al bosco.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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Era una Mini l'auto che non frenava più, non fu abbandonata nel bosco da Anita che la guidò per l'ultima volta verso la sua casa in montagna. La parcheggiò davanti alla casa, monito ai ladri, ma anche rifugio improvviso di una volpe attirata dalle monete dimenticate nel cassetto del cruscotto che riproducevano due sue cugine lontane.

 

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il frutto di una scappatella del lupo solitario

 

 

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In attesa della Bella Partenope di Hirpini potreste dirmi se la moneta allegata è un denarius con il volto di Pompeoa destra e una galera romana oppure è il dono di un amico burlone? Grazie e buona serata

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PARLA COI LUPI

 

 

Anita, sei arrivata a casa.

Presto, chiudi la porta e mettiti il pigiama.

A dormire, a dormire.

Che avventura, stanotte! E che emozione!

La tua auto addormentata nel bosco, quel lupo che è balzato sul cofano e ha ululato alla luna. E poi quel gufo annoiato e quella margheritina svegliata dal bacio della luna.

Stai dormendo, Anita, hai già incollato un altro sonno alla quiete della tua cascina.

'Ma cos'è, ma che cavolo...

Un rumore alla porta...stanno grattando alla porta.

Piano, avvicinati piano. Prendi la scacciacani dal cassetto...o forse è meglio un coltellaccio della cucina? Ah, ci fosse un uomo in casa! Ma sbaglio o hai scelto tu di vivere da sola in questo vecchio casone di campagna? Non dici a tutti di come stai bene nel tuo maniero?

Guarda dallo spioncino...Il cuore in gola...Dio mio, ma...sì, è il lupo che ululava sul tetto della mia auto!

Adesso apro la porta. Ma sei scema? Non so, ha gli occhi dolci, buoni.

Sei entrato. Sei corso davanti al camino. Devo attizzare il fuoco, è quasi spento e tu hai freddo.

Mi guardi. Adesso accarezzi i denti con la lingua. Hai fame. Aspetta, c'è un po' di carne tritata in frigo. Però devo scottarla. Ehi, calma, smetti di strofinare il muso contro le mie ginocchia.

Ecco, la pappa è pronta. E qui c'è una scodella per l'acqua.

Senti, come ti chiami, ce l'hai un nome? No? Ok, ti chiamerò Luigino.

Però non posso lasciarti scorrazzare per la casa mentre dormo.

Ti metterò un guinzaglio. Ai lupi va posto un lungo guinzaglio. Di un velluto morbido e lucente che non li infastidisca. Perché possano solo sfiorarci.

Mai guardarli negli occhi, però, i lupi. E tanto meno nel cuore. Poi, quando gli occhi si chiudono, i lupi sono alla portata dei sogni.

 

 

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Rieccomi,

riprendo il discorso sulle Sirene “monetate” Parthenope, Leucosia e Ligea, dopo una pausa di riflessione dovuta ad una sosta imprevista. Mi spiego: prima di tornare alle Sirene di Omero (Odissea, Canto XII) avevo pensato di dare uno sguardo a quelle di Virgilio (Eneide, canto V), che colloca la loro isola in un gruppo di scogli a sud della penisola di Sorrento, le isole Li Galli, appartenenti al Comune di Positano. E uno di quegli scogli ha infatti proprio la forma di una sirena:

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Ma proprio in quel posto sono stato chiamato da alcune bestie marine, e poiché erano senza coda di pesce e anche più di tre, e di gradevole aspetto, mi sono slegato dall’albero della nave e mi sono tuffato per dare uno sguardo più ravvicinato:

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"Ulysses and the Sirens", L. A. Belly, sec. XIX

Dopo un paio di giorni poi sono ripartito per Napoli.

In quel golfo, circa 3500 anni fa, le correnti marine avevano portato il corpo della sirena Parthenope, "la vergine", che insieme alle sorelle si era lanciata a mare da un’alta rupe. E da quella rupe era finita giusto dove oggi nel golfo di Napoli sorge il Castel dell’Ovo e lì fu trovata da alcuni pescatori che la raccolsero e subito la venerarono come una dea. Il suo corpo intanto si dissolse e si trasformò  nel paesaggio “partenopeo”, con la testa poggiata ad oriente, sull’altura di Capodimonte ed il piede, ad occidente, verso il promontorio di Posillipo:

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Ecco allora spiegato il nome più antico della città, che prima di essere la greca Neàpolis e più tardi Napoli, era per l’appunto Παρθενόπη, Parthenope, fondata nell'VIII secolo a. C. dai Cumani. Per questo ancora oggi all’aggettivo “napoletano” si preferisce usare  quell’altro dal significato culturale più profondo e risalente,  che è “partenopeo”.

(ma non solo Napoli ci ricorda il mito di Parthenope, la  “vergine”: oltre che al nostro stadio, il suo nome è dato ai "Monti del Partenio”, che sovrastano a ovest la mia città, e tra loro quello che è proprio “Montevergine” col suo santuario, meta di pellegrinaggi in onore di una divinità pagana - pur essa vergine - prima ancora che cristiana)

La storia della monetazione greca di Neapolis e della Magna Grecia è altrettanto suggestiva quanto quella delle Sirene, con la differenza però, che è vera. Mentre solo dal IV-III secolo a. C. Roma fondeva il suo bronzo che oggi conosciamo come “aes rude”, “grave”,  “signatum”, i Greci già dal VI coniavano monete che erano vere opere d’arte. Basta pensare agli splendidi didrammi e tetradrammi di Atene e, più vicini a noi, a quelli di Gelas, Katane, Locri Epizefiri, Morgantina, Reghium e per ultimi a quelli di Siracusa, con le firme degli incisori: Kimon, Eukleidas,  Euainetos.

Quando prese contatto con le città della Magna Grecia e per prima per l'appunto con Napoli, Roma si accorse che la sua moneta, pezzi di bronzo fuso, poteva essere sufficiente agli scambi commerciali con le popolazioni più a nord, etruschi in testa. Ma non con quelle a sud, che già producevano argenti di raffinatissimo stile ellenistico. E poiché quelle monete comunque erano già conosciute e apprezzate anche a Roma, si pensò bene di coniarne una propria, in argento.

Insomma l’antica Neapolis, la “città nuova” fondata dai greci credo sulla più antica Parthenope, e che nella sua zecca coniava le prime monete già nel 470 a. C., presto rappresentò un ponte  tra l’età greca e quella romana nel meridione italiano. Proprio le sue monete fecero infatti da modello e nacque la monetazione romano-campana, un argomento complesso che pur volendo non sarei capace di trattare.

Quindi omettendo di parlare delle monete con legende ROMA e ROMANO, per restare in tema di Sirene, mi limito a pensare

1) alle  prime della città di Parthenope cumana, con legenda retrograda NOIAMYK (KYMAION) e la testa della Sibilla cumana o di Parthenope al diritto e una sirena su un guscio di cozza, al rovescio:

6.jpg.1e72633af813be2f07d2a22dd529c2b5.jpg

2) a quelle di Neapolis con legende ΝΕΟΠΟΛΙΤΗΣ e ΝΕΟΠΟΛΙΤΩΝ che da un lato hanno scolpita la testa della  ninfa/sirena Parthenope, e dall’altro un “toro con volto umano”, presumibilmente una raffigurazione del fiume Acheloo, il padre di tutte le sirene. Come in tutta la monetazione greco-ellenistica c'è da restare stupiti davanti alla abilità e al raffinato senso estetico che muoveva la mano di quegli antichi incisori:

1a.thumb.jpg.6a632cd6822dc270aa05d06a7cef65fc.jpg

3.jpg.411bfb76481f65a1ca222b328b619155.jpg

Qui è possibile sapere qualcosa in più sulla monetazione romano-campana:

http://www.fmboschetto.it/monete/campana.html

Intanto mi farebbe piacere se gli esperti intervenissero su questa monetazione romano-campana.

Alla prossima

sirene.gif.e04c4f97cdc091556573c835b1c0dccd.gifHIRPINI

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La stessa luna

 

Lajos si trascinò fuori da quell’inferno.

No, non era il fuoco il vero pericolo, ma quel fumo grigio che non lasciava

respirare. Che non lasciava respirare e che aveva un sapore intrigante, quasi

un invito a non continuare, a lasciarsi andare almeno una volta, a dire adesso

basta, io non posso lottare sempre, è così dolce la resa.

Dolce come entrare nel corpo della principessa, quando finalmente si arrese

all'amore. Abbandono e amore, amore e abbandono, in quei giorni lontani

quando la luna era la stessa luna e lui non lo stesso uomo.

Entrare nell'albero della vita, la prima volta, fu davvero così dolce? Paura e

desiderio, come il primo tuffo in acqua. Un ricordo così forte, così sensuale,

così inchiodato nell'anima: le sue labbra fra te e le nuvole, le sue mani per

continuare a sognare.

Quanto tempo era passato? Quattro, forse cinque secondi. In quello spazio le

pareti del capannone erano crollate una sull’altra: uno schianto sottile, come

un albero che cade di notte fra le braccia della neve.

Ha visto qualcuno? Ha dei sospetti?”

Il poliziotto aveva la faccia dipinta di sonno e di caffè della macchinetta e

sapeva di dopobarba da grandi magazzini.

Sospetti? No, perché? Non ho visto nessuno e poi… “

E poi, come spiegare che lui l’incendio lo aveva sognato la notte prima e

aveva visto in faccia l’incendiario.

Quello che aveva bruciato la chiesetta di santa Rosa e la scuola media

Marylin Monroe, quello che aveva scritto alla Stampa promettendo nuove

fiamme e nuove notizie.

Ispettore, qui noi abbiamo finito, per il rapporto sui danni….” – Il capo dei

vigili del fuoco, un omone con la pelle olivastra e i baffoni neri ingialliti

dalle Marlboro, si avvicinò ai due.

Buonasera, comandante – disse Lajos – sono il proprietario del

capannone…”

La luce dei riflettori illuminava adesso il volto dell’omone, il nero dei suoi

occhi e le mani che cercavano lo Zippo per accendere la “sigaretta del dopo incendio”.

Lajos si trovò a parlare come in automatico, senza emozione, senza paura:

Guardi che lo Zippo con le sue iniziali lo ha lasciato vicino alla tanica della

benzina, dietro la porta blindata. Sono sicuro che l’ispettore lo ritrova.”

La pelle olivastra dell’omone era uscita dal fascio di luce dei riflettori,

eppure sembrava schiarita, pallida.

Sarà la luna – pensò tra sé Lajos – la luna della principessa.

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MARIPOSA

 

 

Il poeta

serve a ricucire le anime squartate...

squartate dalla vita, cioè fatte in quattro pezzi.

La prima parte è soprattutto cervello

intelligenza pura. capacità di analizzare

un attimo prima degli altri.

Il cervello ha categorie precise

è freddo e razionale, ragionevole e mirabile

come un morto scordato sul tavolaccio della morgue.

La seconda è soprattutto ambizione

voglia di essere primi calpestando i secondi

(o gli ultimi, che è lo stesso).

Tutti hanno paura, tutti ammirano il vincitore

nessuno lo ama.

La terza è la violenza figlia della forza

e della caverna delle ombre.

La forza ha bisogno di violenza

come il boia ha bisogno del sorriso dell’innocente.

La quarta è l’amore calpestato, mortificato, insultato, maledetto, fatto a pezzi e ogni volta

rinato, spezzettato, sbriciolato, umiliato, sputacchiato

abbandonato dagli uomini, e fin qui pazienza

ma abbandonato da Dio, questo è troppo…

'Ηλει Ηλει λεμα σαβαχθανει'

non c’è nessun carro per rapire in cielo il poeta

solo un amore che schiaffeggia la morte e due baci sottili

quasi gocce dorate di mimosa

sulle tue tempie nude, Mariposa.

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la frase riportata ελωι ελωι λαμα σαβαχθανει significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'  è la traslitterazione in greco dell'aramaico  אלהי אלהי למא שבקתני 

Rif. Marco, 15-34

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