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Criteri rarità monete


kadesh

Risposte migliori

1 ora fa, fofo dice:

Anche nella monetazione Rinascimentale un R 5 siamo fino a 1/7 esemplari conosciuti un R 4 siamo dai 7/20 esemplari conosciuti un R 3 20/35 e via dicendo..

per fare un esempio..siamo sui soliti canoni..

Personalmente per le rinascimentali sono draconiano

R5 : da 1 a 3 ( sarei tentato 2)

R4 : da 4 a 8/12

R3 : da 13 a 25

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38 minuti fa, numa numa dice:

Personalmente per le rinascimentali sono draconiano

R5 : da 1 a 3 ( sarei tentato 2)

R4 : da 4 a 8/12

R3 : da 13 a 25

Stai bello stretto! Bene mi fa piacere che stiamo parlando seriamente finalmente.

Stavo largo ..IMG_20190106_114742_resized_20190405_115018239.thumb.jpg.d74d039bcc38cf51dc9757869753ee62.jpg

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2 ore fa, numa numa dice:

Ok

consideriamo ad esempio una serie che non abbiamo considerato finora:

I tremissi flavii longobardi di Desiderio e quelli - ancora piu’ rari di Carlomagno.

sono serie super rare. Per alcune zecche si conoscono 1-2 esemplari per altri alcune decine in totale parliamo di una serie - per tutte ñe zecche conosciute contenutissima.

qui un R5 sara’ una moneta conosciuta in max 2 esemplari - penso sia abbastanza pacifico.

 

andiamo ora a visitare una serie romana : ad esempio alcuni denarii ed aurei particolarmente rari. Essendo queste emissioni a monte probabilmente molto maggiori abbiamo un volume di monete esistenti che ci e’ pervenuto ad oggi in proporzione maggiore. Sta di fatto che - a parte gli unicum - un R5 romano potrebbe bassrsi su 8-10 es. conosciuti; un R4 su 11-20 ( non prendete per oro colato queste cifre ma e’ per fornire un’indicazione esemplificativa).

altre serie potrebbero avere dei numeri ancora diversi. 
L’indicazione del grado di rarità a mio avviso deve intendersi con un significato convenzionale. Piu’ importante sarebbe la determinazione degli esemplari a noi giunti e ancora di piu’ se fosse possibile determinare il numero delle monete emesse. 

in realtà- un superamento lógico della questione - potrebbe essere ( se fosse possibile avendo i dati) indicare - invece del grado di rarità- il numero degli esemplari oggi noti ( il massimo se si avesse addirittura il rapporto con le monete emesse in origine).

spero sia piu’ chiara la meccanica del ragionamento …

Detta così pare che la rarità dipenda dalla proporzione dei pezzi giunti fino a noi rispetto a quelli coniati. Ho capito bene?

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9 minuti fa, Gallienus dice:

Detta così pare che la rarità dipenda dalla proporzione dei pezzi giunti fino a noi rispetto a quelli coniati. Ho capito bene?

Si anche 

ma fondamentale e’ in assoluto il numero dei pezzi giunti/noti a noi oggi.

il rapporto con i pezzi coniati aiuta a relativizzare il rapporto tra le varie serie ( ecco perche possiamo relativizzare un R4 per un aureo verso un R4 rinascimentale). Ma e’ comunque una variabile meno importante. Quello che conta e’ il numero assoluto di esemplari conosciuti. 

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per come la vedo io più che in numeri conosciuti assoluti la rarità, essendo essenzialmente una creazione del mondo collezionistico, dovrebbe dipendere dal numero di pezzi conosciuti disponibili sul mercato. 

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Awards

Aggiungo un ultimo pensiero - vi ho credo annoiato anche troppo a lungo - 

per attribuire  in modo meno istintivo e piu’ scientifico a cosa corrispondono i gradi di rarità per ciascuna serie, occorrerebbe determinare per quella serie gli esemplari esistenti per ciascuna emissione. Una base dati il piu’ completa possibile (“se” possibile) per tutte le emissioni  permetterebbe di creare una scaletta dei vari R2; R3; R4 etc. per quella serie in modo il piu’ possibile oggettivo basato sulla rarità assoluta dei vari esemplari.

e piu’ si conoscono i dati relativi alle diverse emissioni, tanto piu’ si puo’ attribuire in modo piu’ accurato il grado di rarità relativo. 

altrettanto potrebbe essere fatto con le emissione di altre serie dove - come detto sopra un R5 di una serie potrebbe avere come riferimento un numero di esemplari molto diverso da un R5 di un’altra serie. 

Spero di non essere stato troppo ‘cervellotico’?

alla fine a mio avviso si potrebbe addirittura eliminare i gradi di rarità e dire semplicemente:

n. 14 esemplari conosciuti, di cui 6 in musei o collezioni pubbliche

Modificato da numa numa
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58 minuti fa, numa numa dice:

Si anche 

ma fondamentale e’ in assoluto il numero dei pezzi giunti/noti a noi oggi.

il rapporto con i pezzi coniati aiuta a relativizzare il rapporto tra le varie serie ( ecco perche possiamo relativizzare un R4 per un aureo verso un R4 rinascimentale). Ma e’ comunque una variabile meno importante. Quello che conta e’ il numero assoluto di esemplari conosciuti. 

Quindi, immaginiamo:

A) una produzione di antoniniani di III secolo in gran quantità (mettiamo: 100.000 pezzi), che poi ha fatto una brutta fine per i classici motivi di deprezzamento del fino e della quale sono giunti a noi solo 100 esemplari

B) una produzione di antoniniani di III secolo in quantità assai ridotta (mettiamo: 1000 pezzi) da parte di un usurpatore che ha vita breve: un tesoretto interrato e scoperto nell'800 fa sì che siano giunti a noi ben 100 esemplari.

Secondo il tuo ragionamento le due monete dovrebbero essere considerate di rarità differenti...

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14 minuti fa, Gallienus dice:

Quindi, immaginiamo:

A) una produzione di antoniniani di III secolo in gran quantità (mettiamo: 100.000 pezzi), che poi ha fatto una brutta fine per i classici motivi di deprezzamento del fino e della quale sono giunti a noi solo 100 esemplari

B) una produzione di antoniniani di III secolo in quantità assai ridotta (mettiamo: 1000 pezzi) da parte di un usurpatore che ha vita breve: un tesoretto interrato e scoperto nell'800 fa sì che siano giunti a noi ben 100 esemplari.

Secondo il tuo ragionamento le due monete dovrebbero essere considerate di rarità differenti...

In questo caso stai comparando emissioni di una medesima serie cui per circostanze particolari possiamo attribuire un diverso grado di rarità. 
se quella assoluta si mostra eguale per entrambe ( 100 pezzi sopravvissuti) , quella relativa e’ maggiore in questo caso per la prima emissione della quale sono arrivate a noi molte meno monete rispetto a quelle emesse.

E’ esattamente l’opposto della piu’ ordinaria supposizione che piu’ l’emissione e’ grande e maggiore il numero di monete che possono giungere a noi.

tuttavia come dicevo e’ il numero assoluto di pezzi a noi noti oggi che rappresenta la variabile primaria. 
nello specifico caso che hai  fatto la variabile secondaria ha una valenza che inverte il rapporto di rarità ma dovrebbe rappresentare normalmente un’eccezione

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2 ore fa, Scudo1901 dice:

Grazie Rudy! Un esempio il Francescone 1820. Il Gigante lo da’ in tredici esemplari conosciuti, di cui mi pare sei o sette in collezioni pubbliche e il resto in quelle private. Viene indicato R4 da Gigante. Non è vero? Intendo, le informazioni fornite non sono veritiere? 

Credo proprio sia errato, il 1820 credo solo su passaggi negli ultimi 10 anni abbia un numero tale, 6/7 pezzi, bhè vi è più di 1 secolo di altre aste e pezzi in collezioni private..

Non so dirti con certezza il numero, ma andrebbe visto il Pucci nel libro deo Lorena che rarità attribuisce, credo a parere mio al max un R2..

Saluti

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Se poi sei realmente interessato a questa moneta posso chiedere a chi le colleziona e le ha censite tutte per avere un dato preciso..potrebbe essere a parer mio una moneta R2/R3 vedo ad esempio 3 pezzi su internet dal 2017 a oggi, ma credo manchi qualche altra asta europea dello stesso periodo e si parla di pochi anni fa..

E di tale moneta vedo che sopra lo spl fa oltre 5k..

Saluti

Fofo

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@Scudo1901 ad esempio, non so se mesi fa hai letto un post sul forum degli 80 Fiorini d'oro del 1827/28..sono intervenuto per dare un aiuto, perchè da alcuni libri risultavano coniati solo in quegli anni e di tiratura scarsa, quindi molti erano convinti che fossero monete rare..bhè il Pucci sul suo libro lo riporta e anche un mio caro amico me lo ha confermato, dagli archivi della zecca quelle emissioni sono state coniate in quantità molto superiore anche per molti anni successivi..ma ci sono dei libri che o non sono aggiornati o hanno dati sbagliati..

Insomma fischi x fiaschi, anche quella moneta è un esempio di prestigio e bellezza, ma non certo di rarità..anche se rimane la moneta in oro di corso effettivo più grande mai coniata nel Granducato di Toscana..

Saluti

Fofo

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12 ore fa, matteo95 dice:

per come la vedo io più che in numeri conosciuti assoluti la rarità, essendo essenzialmente una creazione del mondo collezionistico, dovrebbe dipendere dal numero di pezzi conosciuti disponibili sul mercato. 

 

17 ore fa, numa numa dice:

non sono invece d’accordo con Gioal che mette in relazione la rarità- determinata su base assoluta sul numero esemplari noti - con il numero dei collezionisti interessati.

se di una mineta esistono 10 es ma interessa sl max solo due collezionisti sara’ comunque piu’ rara di una di cui esistono 1000 es. ma 100.000 collezionisti.

il valore commerciale delka seconda sara’ enormemente piu’ alto della prima che però’ manterrà il primato di rarità 

Matteo95 ha introdotto un giusto concetto:, quello dei pezzi non solo conosciuti, ma anche disponibili sul mercato... e la disponibilità dipende anche dal numero di collezionisti che fanno sparire la moneta, magari per generazioni.

Numa numa obietterà che così si confonde la rarità con la reperibilità; ma raro non significa solo che ne esistono pochi, ma anche che è difficile a trovarsi (in questo senso è il dizionario Treccani).

Per cui Il concetto di rarità non va scisso da quello di richiesta per una determinata moneta.

Per un collezionista non è solo una questione economica se una moneta apparentemente comune non la trova.

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Signori, mi verrebbe voglia di chiedervi un sunto...

ma ho paura che il tutto rinizierebbe dalla prima pagina in un loop infinito ?

Questo per dire che alcuni criteri sono soggettivi e comunque interpretabili in vari modi.

 

 

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48 minuti fa, gioal dice:

 

Matteo95 ha introdotto un giusto concetto:, quello dei pezzi non solo conosciuti, ma anche disponibili sul mercato... e la disponibilità dipende anche dal numero di collezionisti che fanno sparire la moneta, magari per generazioni.

Numa numa obietterà che così si confonde la rarità con la reperibilità; ma raro non significa solo che ne esistono pochi, ma anche che è difficile a trovarsi (in questo senso è il dizionario Treccani).

Per cui Il concetto di rarità non va scisso da quello di richiesta per una determinata moneta.

Per un collezionista non è solo una questione economica se una moneta apparentemente comune non la trova.

 

13 ore fa, matteo95 dice:

per come la vedo io più che in numeri conosciuti assoluti la rarità, essendo essenzialmente una creazione del mondo collezionistico, dovrebbe dipendere dal numero di pezzi conosciuti disponibili sul mercato. 

A me convince molto la prospettazione di Numa Numa:

- rarità in senso assoluto: "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna", il quale è variabile in futuro al ribasso (in caso di reperimento di nuovi esemplari) o, sia pur meno probabilmente, al rialzo (in caso di distruzione o smarrimento di esemplari conosciuti);

- rarità in senso relativo: "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna" rispetto al "numero di esemplari emessi".

La prima scala (quella della rarità assoluta) può e deve prescindere dalle serie monetali. E così, ad es., si potrebbe convenzionalmente stabilire che: una moneta - di qualunque serie: antica, di mezzo o moderna - ove conosciuta in un unico esemplare sarà sempre "unica", a prescindere dalla serie monetale; ove conosciuta da 2 a 3 esemplari sarà sempre R5, a prescindere dalla serie; ove conosciuta da 4 a 25 esemplari sarà sempre R4; da 26 a 150 esemplari sarà sempre R3; da 151 a 1000 esemplari sarà sempre R2; da 1001 a 5000 esemplari sarà sempre R; ove conosciuta da 5001 a 15.000 esemplari sarà sempre NC; ove conosciuta da 15.001 a 100.000 esemplari sarà C e da 100.001 in su sarà sempre CC. Nel caso in cui non ne sia giunta nessuna, si potrebbe usare l'acronimo ("SCON": sconosciuta).

La seconda scala (quella della rarità relativa) può e deve essere correlata alle serie monetali e, segnatamente, al "numero degli esemplari emessi" per ciascuna serie monetale.

E così, quanto più alto è il rapporto tra "numero di esemplari emessi" e "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna", tanto più elevato sarà il grado di rarità relativa.

Ad esempio: se di una moneta coniata in 100 esemplari ne è giunto fino a noi 1 soltanto, si avrà il massimo grado di rarità relativa ("RR") (poniamo RR5); se sono giunti tutti e 100, si avrà il minimo grado di rarità relativa (poniamo RR0). In mezzo vi saranno gli RR1, RR2, RR3 e RR4, a seconda del rapporto. Nel caso in cui non ne sia giunto nessuno, si potrebbe usare sempre l'acronimo "SCON".

A questo punto, tuttavia, nulla vieta di inserire - sempre convenzionalmente - una terza scala di "rarità", che è quella proposta da Matteo e Gioal, che ha ad oggetto il grado di effettiva reperibilità della moneta sul mercato ("RM"); scala invero particolarmente utile per il collezionista, il quale punta per definizione ad acquisire un certo numero di esemplari per formare la sua collezione e ha interesse a saper quali siano le sue effettive chances di poter portare a casa un moneta (a prescindere dal numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna e dal numero di esemplari emessi).  Tuttavia, la formulazione di tale scala appare meno agevole da realizzare rispetto alle prime due. Infatti, mentre queste ultime si fondano su dati quantitativi oggettivamente circoscritti, la terza dovrebbe basarsi sul grado di presenza di un certo quantitativo di monete sul mercato, il quale dipende da un dato - la propensione o meno dei possessori di quelle monete a venderle - che è molto più variabile, dipendendo da molti fattori, anche contingenti.

Di tale ipotetica scala mi pare possa essere costruito il gradino zero, vale a dire l'assenza di esemplari contendibili sul mercato, perchè non giunti fino a noi o perchè giunti in un'unico esemplare appartenente a un museo ("SCON"). E l'ultimo gradino, vale a dire la presenza di un numero talmente elevato di esemplari da poter essere acquisito con estrema facilità ("CC"). Ma per i gradi intermedi, come la mettiamo?

Ad ogni modo, si tratta sempre e solo di convenzioni. Basta mettersi d'accordo su una o più di esse.   

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Perdonate la mia insistenza ma questo ragionamento della scala assoluta proprio non lo capisco, nè da un punto di vista logico nè collezionistico/commerciale.

Che utilità potrebbe mai avere una definizione di rarità e una classificazione tale per cui il 99% delle tipologie monetali sarebbe saturato al CC? Che informazioni vi potrebbe mai suggerire?

E' come se l'indicatore del livello della benzina nella vostra macchina fosse graduato in modo tale che lancetta vada dal pieno alla riserva dopo aver consumato un solo litro di benzina, mentre il consumo dei rimanenti 49 litri sia classificato come "riserva"...

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2 ore fa, icona dice:

 

A me convince molto la prospettazione di Numa Numa:

- rarità in senso assoluto: "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna", il quale è variabile in futuro al ribasso (in caso di reperimento di nuovi esemplari) o, sia pur meno probabilmente, al rialzo (in caso di distruzione o smarrimento di esemplari conosciuti);

- rarità in senso relativo: "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna" rispetto al "numero di esemplari emessi".

La prima scala (quella della rarità assoluta) può e deve prescindere dalle serie monetali. E così, ad es., si potrebbe convenzionalmente stabilire che: una moneta - di qualunque serie: antica, di mezzo o moderna - ove conosciuta in un unico esemplare sarà sempre "unica", a prescindere dalla serie monetale; ove conosciuta da 2 a 3 esemplari sarà sempre R5, a prescindere dalla serie; ove conosciuta da 4 a 25 esemplari sarà sempre R4; da 26 a 150 esemplari sarà sempre R3; da 151 a 1000 esemplari sarà sempre R2; da 1001 a 5000 esemplari sarà sempre R; ove conosciuta da 5001 a 15.000 esemplari sarà sempre NC; ove conosciuta da 15.001 a 100.000 esemplari sarà C e da 100.001 in su sarà sempre CC. Nel caso in cui non ne sia giunta nessuna, si potrebbe usare l'acronimo ("SCON": sconosciuta).

La seconda scala (quella della rarità relativa) può e deve essere correlata alle serie monetali e, segnatamente, al "numero degli esemplari emessi" per ciascuna serie monetale.

E così, quanto più alto è il rapporto tra "numero di esemplari emessi" e "numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna", tanto più elevato sarà il grado di rarità relativa.

Ad esempio: se di una moneta coniata in 100 esemplari ne è giunto fino a noi 1 soltanto, si avrà il massimo grado di rarità relativa ("RR") (poniamo RR5); se sono giunti tutti e 100, si avrà il minimo grado di rarità relativa (poniamo RR0). In mezzo vi saranno gli RR1, RR2, RR3 e RR4, a seconda del rapporto. Nel caso in cui non ne sia giunto nessuno, si potrebbe usare sempre l'acronimo "SCON".

A questo punto, tuttavia, nulla vieta di inserire - sempre convenzionalmente - una terza scala di "rarità", che è quella proposta da Matteo e Gioal, che ha ad oggetto il grado di effettiva reperibilità della moneta sul mercato ("RM"); scala invero particolarmente utile per il collezionista, il quale punta per definizione ad acquisire un certo numero di esemplari per formare la sua collezione e ha interesse a saper quali siano le sue effettive chances di poter portare a casa un moneta (a prescindere dal numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna e dal numero di esemplari emessi).  Tuttavia, la formulazione di tale scala appare meno agevole da realizzare rispetto alle prime due. Infatti, mentre queste ultime si fondano su dati quantitativi oggettivamente circoscritti, la terza dovrebbe basarsi sul grado di presenza di un certo quantitativo di monete sul mercato, il quale dipende da un dato - la propensione o meno dei possessori di quelle monete a venderle - che è molto più variabile, dipendendo da molti fattori, anche contingenti.

Di tale ipotetica scala mi pare possa essere costruito il gradino zero, vale a dire l'assenza di esemplari contendibili sul mercato, perchè non giunti fino a noi o perchè giunti in un'unico esemplare appartenente a un museo ("SCON"). E l'ultimo gradino, vale a dire la presenza di un numero talmente elevato di esemplari da poter essere acquisito con estrema facilità ("CC"). Ma per i gradi intermedi, come la mettiamo?

Ad ogni modo, si tratta sempre e solo di convenzioni. Basta mettersi d'accordo su una o più di esse.   

Mi sembra il ragionamento vada bene..solo le scale da R5 a C non vanno affatto bene con queo numeri! ?

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1 ora fa, QuintoSertorio dice:

Perdonate la mia insistenza ma questo ragionamento della scala assoluta proprio non lo capisco, nè da un punto di vista logico nè collezionistico/commerciale.

Che utilità potrebbe mai avere una definizione di rarità e una classificazione tale per cui il 99% delle tipologie monetali sarebbe saturato al CC? Che informazioni vi potrebbe mai suggerire?

E' come se l'indicatore del livello della benzina nella vostra macchina fosse graduato in modo tale che lancetta vada dal pieno alla riserva dopo aver consumato un solo litro di benzina, mentre il consumo dei rimanenti 49 litri sia classificato come "riserva"...

L'esempio non mi pare molto calzante. In ogni caso una scala che voglia riflettere la effettiva reperibilità sul mercato non può prescindere da quella che abbiamo chiamato "rarità assoluta", costituendo un mero affinamento di questa, sulla base dei dati di mercato. Detto altrimenti: per qualunque moneta della quale si voglia stabilire (o attribuire) il grado di reperibilità sul mercato (rarità commerciale) occorre preliminarmente stabilire il grado di rarità assoluto: numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna. Una volta appurato ciò, la rarità commerciale sarà giocoforza un sottoinsieme della rarità assoluta, in quanto solo una parte più o meno grande di tali esemplari potrà essere contendibile sul mercato. 

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30 minuti fa, icona dice:

L'esempio non mi pare molto calzante. In ogni caso una scala che voglia riflettere la effettiva reperibilità sul mercato non può prescindere da quella che abbiamo chiamato "rarità assoluta", costituendo un mero affinamento di questa, sulla base dei dati di mercato. Detto altrimenti: per qualunque moneta della quale si voglia stabilire (o attribuire) il grado di reperibilità sul mercato (rarità commerciale) occorre preliminarmente stabilire il grado di rarità assoluto: numero di esemplari conosciuti giunti fino a noi alla data odierna. Una volta appurato ciò, la rarità commerciale sarà giocoforza un sottoinsieme della rarità assoluta, in quanto solo una parte più o meno grande di tali esemplari potrà essere contendibile sul mercato. 

Dato che già non è facile intendersi immediatamente attraverso un testo scritto sarebbe utile cercare di capire di preciso quale aspetto del ragionamento l'esempio cercava di estremizzare piuttosto che dire semplicemente che non è calzante.

In nessuno dei miei interventi precedenti io ho mai negato che il numero assoluto degli esemplari fosse fondamentale: il numero assoluto degli esemplari è fondamentale. Mi sembra che su questo siamo tutti d'accordo.

Ci sono gli "assolutisti integralisti" che inquadrano il numero assoluto all'interno di soglie "universali" (per definire cosa è R5, R4, etc) con l'intento di andare verso una definizione oggettiva. Tuttavia da una parte l'oggettività viene immediatamente persa, come dimostra ad esempio questo:

1 ora fa, fofo dice:

Mi sembra il ragionamento vada bene..solo le scale da R5 a C non vanno affatto bene con queo numeri! ?

e dall'altra parte avere soglie universali che assegnano CC a tutte le tipologie con più di 100.000 esemplari vuol dire saturare la maggior parte delle monete, rendendo di fatto la scala non molto utile (spero che ora l'esempio risulti più calzante...).

Poi ci sono gli "assolutisti moderati" che inquadrano il numero assoluto all'interno di soglie non universali ma "variabili", come sostenuto da @numa numa, che però non aveva chiarito in che modo venissero definite le soglie caso per caso.

Io mi ritengo un "assolutista moderato normalizzato" che inquadra il numero assoluto degli esemplari all'interno di soglie variabili, in cui la variabilità è ottenuta attraverso una normalizzazione rispetto alla platea di potenziali interessati a quella tipologia (ovvero il fattore variabile è 1/platea).

Ovviamente sto parlando semplicemente di una definizione teorica di rarità, completamente slegata dall'aspetto commerciale e senza nessuna pretesa di dire che poi il calcolo pratico secondo questa definizione sia facile.

Che dite, può funzionare come riassunto? :)

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A me sembra siamo fermi a diversi messaggi fa. Continuiamo a girare attorno a 2-3 idee fisse che ci dividono. Sorpassato lo scoglio del valore commerciale su cui siamo tutti d'accordo, Siamo fermi a: rarità come qualità di un dato oggetto seriale o rarità come attribuzione e giudizio? Non si tratta qui di cercare di spaccare il capello in 4, nemmeno di negare con sofisticato sillogismo il concetto di rarità. Se propendiamo per rarità come qualità dell'oggetto seriale  (mi sembra importante la precisazione di @numa numa sulla serialità dell'oggetto) in un dato intervallo cronologico (1 anno?) e in uno spazio circoscritto come l'Italia, allora ragioneremo più o meno come numa numa stesso, se invece crediamo che la rarità sia in ultimissima istanza indeterminabile secondo criteri oggettivi e fattuali, anche in un determinato spaziotempo, e che quindi essa sia una descrizione (attribuzione di rapporti) a posteriori, allora seguiremo la via di @GallienusGallienus e @QuintoSertorio. Io ho molti dubbi. Io propendo per la linea di numa numa, rimango d'accordo con @DOGE82 per cui sarebbe possibile avvicinarsi per approssimazione a un calcolo dell'indice di rarità. Tuttavia la mia contrarietà verso chi dice che lo scudo del '14 è comune e di facile reperibilità quasi fosse un 10 centesimi del 1863 rinvenibile più o meno presso ogni rigattiere (al di là di quanti soldi io possieda per fare acquisti), mi fa propendere obtorto collo a seguire Gallienus e QuintoSertorio nella loro riluttanza a scorgere margini di obiettività.

Oltre ciò, continuo a non capire la ragion d'essere di un discorso secondo cui 100 esemplari noti/studiati/commerciati di scudo 1901 non possano essere definiti di difficilissima reperibilità sulla stessa lunghezza d'onda di 100 esemplari dei 37,5 rubli (100 franchi) in oro di Nicola II di Russia o di 100 esemplari di un certo tipo di aes libbrale fuso, qualora la scala di riferimento sia la globalità dei collezionisti terrestri. Se la scala di riferimento diventasse solo il mondo collezionistico italiano, probabilmente il 100 franchi oro di Nicola II sarà tra le 3 tipologie quella forse più rara (meno disponibile). Dov'è il problema ad avere una scala unica? Dov'è il problema a ipotizzare un grado di rarità di tutte le monete del granducato toscano che di default sia maggiore del grado di rarità delle nostre amate lire che ancora oggi ritroviamo nei nostri cassetti? Avere un'unica scala di riferimento (per quanto imperfetta) all'interno della quale io possa affermare in assoluto che un banale bronzetto macedone sia un pochino più raro di un marco tedesco del 1995, non vi sembra una semplificazione che toglierebbe tanta parte di soggettività e aleatorietà al concetto di rarità?

Perché sarebbe inopportuno stabilire secondo convenzioni concordate precedentemente da, per esempio, la NIP che 7 pezzi noti/studiati/commerciati hanno la qualità di essere mooooltissimo rarissimissimi (superlativo del superlativo del superlativo) e che 96 pezzi noti/studiati/commerciati hanno la qualità di essere "solo" molto rari e che 20.070.429 di pezzi noti/studiati/commerciati hanno la qualità di essere mooooltissimo comunissimissimi (superlativo del superlativo del superlativo) ?

Non ravvedo, a mio modesto avviso, alcuna utilità a dividere le scale di rarità per tipo di monetazione.

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4 ore fa, QuintoSertorio dice:

Perdonate la mia insistenza ma questo ragionamento della scala assoluta proprio non lo capisco, nè da un punto di vista logico nè collezionistico/commerciale.

Che utilità potrebbe mai avere una definizione di rarità e una classificazione tale per cui il 99% delle tipologie monetali sarebbe saturato al CC? Che informazioni vi potrebbe mai suggerire?

E' come se l'indicatore del livello della benzina nella vostra macchina fosse graduato in modo tale che lancetta vada dal pieno alla riserva dopo aver consumato un solo litro di benzina, mentre il consumo dei rimanenti 49 litri sia classificato come "riserva"...

Quinto Sertorio

mi perdoni l’impertinenza ..

ma lei -  oltre ad essere un ottimo logico  - e’ un numismatico ? 

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@sdy82 Mi sembra di ricordare che anche nella discussione passata non si fosse giunti ad un punto, ma penso mi stupirei del contrario in quanto la tematica è molto sentita e dibattuta da tutte le persone che hanno a che fare coll'universo monete.

Provo a ricapitolare quello che personalmente avevo colto dalla passata discussione.

In primis la differenza fra rarità e reperibilità: la rarità è espressione del rapporto di un oggetto sul tutto, la reperibilità è invece indissolubilmente legata al fattore collezionismo.

La rarità dovrebbe essere dunque quanto di più vicino possibile ad una formula matematica, ma nella realtà dei fatti non può essere così e si parlerà sempre di rarità teorica, ma ci tengo a sottolineare che alla base di questo concetto c'è uno studio.

La reperibilità è espressione del mercato, dei collezionisti, dei commercianti: come è stato già detto una moneta rara può essere facilmente reperibile, una moneta comune al contrario può non esserlo.

Ulteriore punto è che il concetto di rarità generalmente non si esprime in assoluto, ma è legato ad un contesto: si potrebbe anche fare una scala con tantissimi gradi diversi per rapportare le varie monetazioni, ma temo non sarebbe funzionale allo scopo del concetto che è essenzialmente "scientifico".

Invece, si può benissimo dire, anche fra monetazioni totalmente diverse, che la tal moneta sia più reperibile di un'altra e ciò vale anche se confrontiamo un 5 lire del 1914 con un testone di Ludovico il Moro.

 

 

 

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1 ora fa, numa numa dice:

Quinto Sertorio

mi perdoni l’impertinenza ..

ma lei -  oltre ad essere un ottimo logico  - e’ un numismatico ? 

Direi proprio di no, infatti in tutte le discussioni nelle altre sezioni più tecniche prima ascolto (leggo) poi imparo e infine ringrazio :D

 

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58 minuti fa, QuintoSertorio dice:

Direi proprio di no, infatti in tutte le discussioni nelle altre sezioni più tecniche prima ascolto (leggo) poi imparo e infine ringrazio :D

 

Ecco … mi domandavo…

come numismatico le sarebbe piu’ facile comprendere che il concetto du rarita’ puo’ valere - validissimamente - anche per un ristretto numeri di monete ( e questo si applica soprattutto alle emissioni moderne) se poi allarghiamo lo sguardo alle serie piu antiche piu’ difficilmente ci saranno serie comunissime e pochissime  rare, piu’ verosimilmente vi saranno tante serie diverse con il loro grado di rarità.

e questa attribuzione di rarità e’ molto gradita ai collezionisti ( un po’ piu’ indifferenti gli studiosi) perche’ permette di gradare i propri obiettivi collezionistici e la propria raccolta .. 

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10 ore fa, gioal dice:

 

Matteo95 ha introdotto un giusto concetto:, quello dei pezzi non solo conosciuti, ma anche disponibili sul mercato... e la disponibilità dipende anche dal numero di collezionisti che fanno sparire la moneta, magari per generazioni.

Numa numa obietterà che così si confonde la rarità con la reperibilità; ma raro non significa solo che ne esistono pochi, ma anche che è difficile a trovarsi (in questo senso è il dizionario Treccani).

Per cui Il concetto di rarità non va scisso da quello di richiesta per una determinata moneta.

Per un collezionista non è solo una questione economica se una moneta apparentemente comune non la trova.

Stavo per rispondere ma ho visto che piu’ sotto - al post #120 - Icona ha inquadrato perfettamente la questione con l’utile distinguo del sotto-insieme 

Modificato da numa numa
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