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FATUM, il destino immutabile


Illyricum65

Risposte migliori

«Ma perché lei che dì e notte fila, non gli avea tratta ancora la conocchia, che Cloto impone a ciascuno e compila…»

(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)

Ciao,

recentemente ho inserito un post in una discussione dell’amico Mirko8710, postata nella Sezione Storia ed Archeologia, citando il Fato. Il motivo era costituito da una scoperta archeologica e dal fatto che questa sia, a mio parere, in parte comandata dal Fato: a volte moltissime persone passano in un punto e non notano un indizio che porta ad una scoperta, talvolta pure importante. A mio parere, c’è una sorta di magia che crea tutta la serie di coincidenza che portano lo scopritore ad essere lì, in quel momento, all’appuntamento con quel reperto così lontano nel tempo… Lui e solo lui, frutto di generazioni e generazioni di uomini succedutisi l’uno all’altro… non vi pare ci sia qualcosa di straordinario in ciò?

E pensando al tema “Fato” mi è venuto a mente un articolo di Francesca Ceci legato allo stesso termine e la numismatica romana. In realtà di monete imperiali ce ne son poche, sul tema: una! Ma forse vale la pena di perdere alcuni minuti per presentarne un riassunto e svelare qualcosa sul Fato nei latini.

Il termine Fata deriva dal latino for, che significava “palesare, parlare …”. Da questa parola deriva a sua volta fatum, ovvero “vaticinio, oracolo, destino, fato...” e nel mondo romano indicava la potenza divina di regolare le vicende umane. Non solo, ma talvolta il Fato poteva addirittura superare la potenza di Iupiter, in quanto anche le stesse divinità vi dovevano sottostare. Infatti se il Destino poteva essere modificato, il Fato era scritto e immutabile per chiunque.

Plinio il Vecchio narra di tre statue poste a Roma nei pressi del Foro, vicino ai Rostri, chiamate Tria Fata e raffigurandovi le Sibille, erette al tempo di Tarquinio Prisco e restaurate sotto Augusto. Le Sibille dunque erano assimilate al concetto di Fatum. Ma lo furono pure le Parche, le tre divinità che presiedevano la vita umana dall’inizio della vita alla sua conclusione, presenti nella cultura egizia, greca (Moire), in quella celtica e quindi nella successiva nordica.

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Le Parche (Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.

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In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.

In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno a ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dèi potevano cambiarle.

Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero "destino").

Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke. Ad esse era connessa l'esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.

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Erano tre:

Cloto, nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita.

Lachesi, che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso.

Atropo, che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile.

La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.

Delle Moire (o Parche) parla anche Virgilio nell'Eneide, nel famoso verso: "Sic volvere Parcas" ("Così filano le Parche").

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Le Moire Cloto e Lachesi intente a tessere il filo del fato. La Moira Atropo siede nell'attesa inesorabile di reciderlo - John Strudwick, A Golden Thread (Un filo prezioso), 1885 (olio su tela)

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Il numero tre ha valenza magica in molte religioni e rincorre anche in quella greca e romana: oltre alla Moire e alle Parche c’erano anche le Grazie, non presenti nella monetazione imperiale ma in quella provinciale.

Le Grazie (in latino Gratiae) erano figure della mitologia romana, le quali erano tuttavia solamente una replica latina delle Cariti greche (in greco antico Χάριτες).

Questi nomi fanno riferimento alle tre divinità della bellezza e, probabilmente sin dall'origine, alle forze legate al culto della natura e della vegetazione. Sono infatti queste fanciulle a infondere la gioia della Natura nel cuore degli dèi e dei mortali. Le Cariti erano ritenute figlie di Zeus e di Eurinome e sorelle del dio Fluviale Asopo; secondo un'altra versione la madre sarebbe stata Era.

Ma anche queste leggende sono finite per dare spazio ad altre interpretazioni: secondo alcuni autori, le Cariti erano nate dall'unione del dio Elio (il Sole) con l'Oceanina Egle. Ma è altrettanto accettata la versione che vede come madre delle Grazie proprio la dea della bellezza e fertilità, Afrodite la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso, dio della vite.

Le versioni che riguardano il numero delle Grazie non sono meno complesse; secondo Esiodo, esse sono tre:

• Aglaia lo splendore

• Eufrosine la gioia e la letizia

• Talia la prosperità e portatrice di fiori

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Esse sono rappresentate come tre giovani nude, le quali incarnano, nella figurazione classica, la perfezione a cui l'uomo deve tendere nonché le tre qualità che una donna dovrebbe avere.

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MOESIA INFERIOR, Marcianopolis. Commodus. AD 177-192. Æ 25mm (7.69 g). Bare-headed, draped and cuirassed bust right / The Three Graces, nude, standing facing; the one on the left is holding an amphora with a dolphin at her feet; the one on the right is holding a wreath with an amphora at her feet. Mouchmov 365. VF, tan-brown surfaces.

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JULIA DOMNA. Augusta, 193-217 AD. Æ 30mm (15.14 g, 1h). Pautalia in Thrace mint. IOVLIA DO-MNA CEBA, draped bust right / OVLPIAC PAVTALIAC, the Charitae (Graces) dancing arm-in-arm: Aglaea and Thalia seen from front, each holding an urn from which water flows, Euphrosyne seen from behind. Ruzicka, Pautalia -; Mouchmov -; BMC -; SNG Copenhagen -; cf. Varbanov 3183 = Staal 18.1.1 = Classical Numismatic Group 47 (16 September 1998), lot 863. Good VF, green patina with traces of red on obverse, small areas of smoothing in fields. An unpublished variety of an extremely rare type for Julia Domna from this city.

Antonio Canova - Le tre Grazie - Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo

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Ma torniamo alle nostre Parche: si ritrovano solo su una moneta, come detto. Un unicum quasi e nemmeno troppo comune: compaiono su un raro aureo di Diocletianus. Forse, mi viene da pensare, perchè l'Imperatore di turno di solito preferiva attribuirsi i meriti delle conquiste come propri e guadagnati con i suoi meriti, non perchè "elargiti" dal Fato. Infatti Diocletianus nel caso specifico non ringrazia per quanto avuto finora (ne aveva fatta di carriera!) ma cerca la benevolenza per i suoi progetti futuri!

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DIOCLETIAN. 284-305 AD. AV Aureus (5.52 g, 7h). Cyzicus mint. Pre-reform, struck 286-287 AD. IMP C C VAL DIOCLETIANVS AVG, laureate, draped, and cuirassed bust right, seen from behind / FATIS VICTRICIBVS, the Parcae standing facing, holding three cornucopiae and two rudders; S C. RIC V 294; Lukanc 9; Depeyrot 5/5; Calicó 4449; Cohen 58. Superb EF, lustrous.

Ex Numismatica Ars Classica 27 (12 May 2004), lot 496.

The Parcae - Clotho, Lachesis, and Atropos - were the daughters of Erebus (Night). The Romans generally referred to them as Fata, or Fate. They were responsible for human destiny: the first held the distaff from which the thread of life was woven, the second spun it to the appropriate length, and the third cut it at the appointed time. The remarkable reverse legend, FATIS VICTRICIBVS, declares that destiny is left "to the victorious Fates."

La legenda del rovescio richiama il Fato favorevole accordato dalle Parche verso il regnante. E più generalmente dovrebbe indicare la benevolenza del Fato verso il progetto della Tetrarchia, che di lì a poco varerà Diocletianus, e che dovrebbe manifestarsi in un futuro pieno di vittorie.

Spero di aver catturato la vostra curiosità, sennò... vuol dire che non era scritto nel Fato! ;)

Ciao

Illyricum

:)

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ottimo articolo Illiricum, veramente interessante e ben scritto

Grazie Karnescim,

volevo solo aggiungere la proposta di interpretazione posta dell'autrice dell'articolo che ho preso come base di lavoro, della statua dei Tetrarchi di Venezia:

- se l'abbraccio tra gli Augusti ed i Cesari è stato di solito interpretato come unità e concordia tra gli stessi, sulla base dell'interpretazione dell'aureo di cui sopra il gesto dei Tetrarchi potrebbe essere un richiamo all'abbraccio delle Parche e quindi, in definitiva, che un simbolo che il l'istituzione della Tetrarchia sia stata guidata e voluta dal Fato.

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Ciao

Illyricum

:)

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Salve Illyricum. :)

Scritto interessante, un bel lavoro e una paicevole lettura.

ottimo articolo Illiricum, veramente interessante e ben scritto

Grazie Karnescim,

volevo solo aggiungere la proposta di interpretazione posta dell'autrice dell'articolo che ho preso come base di lavoro, della statua dei Tetrarchi di Venezia:

- se l'abbraccio tra gli Augusti ed i Cesari è stato di solito interpretato come unità e concordia tra gli stessi, sulla base dell'interpretazione dell'aureo di cui sopra il gesto dei Tetrarchi potrebbe essere un richiamo all'abbraccio delle Parche e quindi, in definitiva, che un simbolo che il l'istituzione della Tetrarchia sia stata guidata e voluta dal Fato.

post-3754-0-13871500-1328448248_thumb.jp

Ciao

Illyricum

:)

Volevo solo far notare come l'interpretazione da parte di quest'autrice nella comparazione statua/aureo di Diocleziano sia piuttosto forzata. Mentre i Tetrarchi si abbracciano letteralmente, cioè il contatto fisico è visibile (basti notare le mani che si appoggiano sulle spalle) le Parche sul Rovescio dell'aureo di Diocleziano non si abbracciano, ma si guardano solamente. Nella descrizione della moneta che hai inserito c'è scritto, infatti: "Le tre Parche stanti in piedi di fronte reggono tre cornucopie e due timoni". Le Parche, in questo caso, non hanno nessun contatto fisico tra loro, nè il loro numero di tre corrisponde a quello dei Tetrarchi, che erano quattro. Quindi non vedo nessun nesso iconografico nè simbolico tra il Rovescio dell'aureo di Diocleziano e il monumento ai Tetrarchi, preferendo la tesi classica riguardo la statua: in questo caso, il Fato centra poco o nulla. :)

Modificato da Caio Ottavio
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Salve Illyricum. :)

Scritto interessante, un bel lavoro e una paicevole lettura.

ottimo articolo Illiricum, veramente interessante e ben scritto

Grazie Karnescim,

volevo solo aggiungere la proposta di interpretazione posta dell'autrice dell'articolo che ho preso come base di lavoro, della statua dei Tetrarchi di Venezia:

- se l'abbraccio tra gli Augusti ed i Cesari è stato di solito interpretato come unità e concordia tra gli stessi, sulla base dell'interpretazione dell'aureo di cui sopra il gesto dei Tetrarchi potrebbe essere un richiamo all'abbraccio delle Parche e quindi, in definitiva, che un simbolo che il l'istituzione della Tetrarchia sia stata guidata e voluta dal Fato.

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Ciao

Illyricum

:)

Volevo solo far notare come l'interpretazione da parte di quest'autrice nella comparazione statua/aureo di Diocleziano sia piuttosto forzata. Mentre i Tetrarchi si abbracciano letteralmente, cioè il contatto fisico è visibile (basti notare le mani che si appoggiano sulle spalle) le Parche sul Rovescio dell'aureo di Diocleziano non si abbracciano, ma si guardano solamente. Nella descrizione della moneta che hai inserito c'è scritto, infatti: "Le tre Parche stanti in piedi di fronte reggono tre cornucopie e due timoni". Le Parche, in questo caso, non hanno nessun contatto fisico tra loro, nè il loro numero di tre corrisponde a quello dei Tetrarchi, che erano quattro. Quindi non vedo nessun nesso iconografico nè simbolico tra il Rovescio dell'aureo di Diocleziano e il monumento ai Tetrarchi, preferendo la tesi classica riguardo la statua: in questo caso, il Fato centra poco o nulla. :)

Ciao Caio,

anche a me pare un po' tirata come similitudine. Ritengo che quello dei Tetrarchi sia un'appello alla Concordia. La stessa autrice termina l'esposizione con la frase:

Ritengo sia stata inserita come spunto di discussione. E così l'ho riportata anch'io ;).

Ciao

Illyricum

:)

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DE GREGE EPICURI Ma il FATUM era proprio immutabile? E se c'erano dei presagi, l'uomo poteva tenerne conto?

"Nel giorno 10 gennaio dell'anno 69 l'imperatore Galba, alla vigilia della sua rovina, si recò al Campo per annunziare alle coorti pretoriane l'adozione di Pisone; una tempesta furiosa con tuoni e fulmini rivelò minacciosi presagi, ma Galba volle andare ugualmente, o che li spregiasse come prodotti del caso ("fortuitorum") o perchè i decreti del destino , quantunque significati, sono inevitabili" (quae fato manent, quamvis significata, non vitantur, Tacito,Hist., I,18). "Lo storico può ricercare e trovare le condizioni che hanno reso possibile un fatto, il quale poteva anche non accadere...Così Tacito pone causa e caso come due aspetti inseparabili del fenomeno storico". (Concetto Marchesi, Tacito, ed. Principato, pp. 173-174). Credat Judaeus Apella, non ego; namque deos didici securum agere aevom, nec, siquid miri faciat natura, deos id tristis de alto caelo demittere tecto. (Ci creda il giudeo Apella, io no: so infatti che gli dei passano il tempo incuranti; se qualcosa di prodigioso fa la Natura, certo non sono gli dei annoiati a mandarcelo giù dall'alto dei cieli) Orazio, Satire, I, 5.

Modificato da gpittini
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Ciao Gianfranco,

da quel che ho capito io spesso nel corso del tempo Fato e Destino sono stati scambiati l'uno con l'altro.

Ma anticamente il Fato era considerato immutabile e dovevano sottostarci pure gli Dei. Il Destino invece era condizionato dagli Dei e dalle azioni umane.

Infatti il destino può essere visto come preordinato dal Divino (ad esempio, il concetto o derivato dalla volontà umana.

Nella Grecia Antica il 'Fato' era invincibile e persino gli dei vi dovevano sottostare, come proclamò la Sibilla nell'Oracolo di Delfi.

« Desine fata deum flecti sperare precando

(Cessa di sperare di cambiare i fati degli dèi con la preghiera) »

(Eneide, VI 376)

Nelle ricerche che ho compiuto ho trovato una traduzione dal latino (non ho trovato l'autore), dalla traduzione "Destino immutabile", ma che in realtà andrebbe letto come "Fato immutabile": racconta di un vecchio che ha un bravissimo figlio ma in sogno lo vede morire ucciso da un leone. Gli impedì pertanto di condurre qualsiasi caccia o azione che lo portasse a confrontarsi con la fiera. Sulle pareti della casa rappresentò vari animali selvaggi, per lenire la sua voglia di caccia. Il figlio un giorno, pieno di rancore e di rabbia per la forza del felino e la costrizione del padre, colpì la rappresentazione del leone: una scheggia di legno lo colpì al dito, gli provocò una setticemia e a breve, morì. Nonostante l'accordo piano del padre, il Fato si compì, per mano del leone (Ita callidum consilium senis vanum fuit et leo, etsi pictus, fati voluntatem perfecit.)

Per cui il Fato dovrebbe essere ineluttabile e immutabile.

Ciao

Illyricum

:)

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E' un po' il paradosso di quando si pensa cosa sarebbe successo facendo in modo diverso...il punto è che non è successo, dunque anche se lo hai pensato e ci hai riflettuto hai fatto altro, hai seguito il volere del fato o del destino...qualsiasi cosa farai, volendo, la potrai considerare come un volere, sia che si concluda positivamente che negativamente...insomma, ineluttabile e immutabile...

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E' un po' il paradosso di quando si pensa cosa sarebbe successo facendo in modo diverso...il punto è che non è successo, dunque anche se lo hai pensato e ci hai riflettuto hai fatto altro, hai seguito il volere del fato o del destino...qualsiasi cosa farai, volendo, la potrai considerare come un volere, sia che si concluda positivamente che negativamente...insomma, ineluttabile e immutabile...

Sì Mirko, non avremo mai la conferma... ma pensa quante cose son accadute da quando hanno sepolto il Fondatore. Pensa alla tua scala genealogica... generazioni e generazioni di uomini, di vite, di spostamenti, di eventi... fino a che decidete di ripulire e trovate alcune pietre in circolo. E decidete di scavare e giù, per 1, 3, 5 ... 9 metri! E tu sei lì, come se vi foste dati un'appuntamento...

Nel mio esempio (la bambina di Piancada), colui che dirigeva lo scavo (stesso discorso sulla genealogia) sceglie una zona da scavare, non 10 metri più a destra o sinistra, legato anche al terreno che mette a disposizione il proprietario (che lo è proprio di quel punto!), trova un fossato neoltico del quale non c'erano tracce e, assolutamente imprevedibilmente, salta fuori questa piccola sepoltura, pressochè sul bordo dello stesso!

Non so, a me piace pensare, in maniera un po' "romantica" che in fondo, ci sia una Fata che guida il nostro cammino. ;) Credere in un po' in una sorta di "magia", in questi momenti poi... non fa male.

Ciao

Illyricum

:)

Modificato da Illyricum65
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Non so, a me piace pensare, in maniera un po' "romantica" che in fondo, ci sia una Fata che guida il nostro cammino. ;) Credere in un po' in una sorta di "magia", in questi momenti poi... non fa male.

Ciao

Illyricum

:)

Già... :wub:

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Nelle ricerche che ho compiuto ho trovato una traduzione dal latino (non ho trovato l'autore), dalla traduzione "Destino immutabile", ma che in realtà andrebbe letto come "Fato immutabile": racconta di un vecchio che ha un bravissimo figlio ma in sogno lo vede morire ucciso da un leone. Gli impedì pertanto di condurre qualsiasi caccia o azione che lo portasse a confrontarsi con la fiera. Sulle pareti della casa rappresentò vari animali selvaggi, per lenire la sua voglia di caccia. Il figlio un giorno, pieno di rancore e di rabbia per la forza del felino e la costrizione del padre, colpì la rappresentazione del leone: una scheggia di legno lo colpì al dito, gli provocò una setticemia e a breve, morì. Nonostante l'accordo piano del padre, il Fato si compì, per mano del leone (Ita callidum consilium senis vanum fuit et leo, etsi pictus, fati voluntatem perfecit.)

Per cui il Fato dovrebbe essere ineluttabile e immutabile.

Ciao

Illyricum

:)

Dovrebbe essere una favola di Fedro.

Per la distinzione tra Fato e Destino, a dove hai attinto?

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Ho effettuato una ricerca con chiave "differenza tra fato e destino"...

So che questa è affermata o negata a seconda dei filosofi che l'hanno interpretata. Per gli Stoici ad esempio non c'è differenza tra i due termini. Ma non avendo un'approfondita conoscenza della filosofia mi son limitato a riportare quella che mi pare fosse la tendenza comunemente accettata per l'epoca.

Ciao

Illyricum

:)

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Ho effettuato una ricerca con chiave "differenza tra fato e destino"...

So che questa è affermata o negata a seconda dei filosofi che l'hanno interpretata. Per gli Stoici ad esempio non c'è differenza tra i due termini. Ma non avendo un'approfondita conoscenza della filosofia mi son limitato a riportare quella che mi pare fosse la tendenza comunemente accettata per l'epoca.

Ciao

Illyricum

:)

Se poi aggiungiamo anche la concezione (almeno quella di partenza) di "Fortuna", ci si rende proprio conto di come i nostri antichi non avessero forse le idee troppo chiare! Sono andato a rispulciare il De Fato di Cicerone, che contiene una buona rassegna di quelle che erano le idee sul tema ai suoi tempi, e devo dire che ne emerge un panorama molto variegato. Ora voglio rileggerlo per bene per vedere se ci sono accenni a questa differenza tra Fato e Destino! :)

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Sono andato a rispulciare il De Fato di Cicerone, che contiene una buona rassegna di quelle che erano le idee sul tema ai suoi tempi, e devo dire che ne emerge un panorama molto variegato. Ora voglio rileggerlo per bene per vedere se ci sono accenni a questa differenza tra Fato e Destino!

Ok, Druso Galerio,

se riesci a farci un piccolo resoconto chiarificatore della tua lettura... ti saremo grati!

Ciao

Illyricum

:)

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  • 4 settimane dopo...

Finalmente, seppur a spizzichi e bocconi, ho potuto terminare la rilettura del De Fato di Cicerone.

Scusatemi se ne scrivo in termini forse semplicistici e non specialistici, ma ho preferito provare a riassumere al meglio quel che di interessante ho trovato per il nostro discorso che avventurarmi in disamine non alla mia portata e quindi velleitarie.

Come accennavo più sopra qualche tempo fa, pur non essendo certo un testo enciclopedico, è un trattato - sotto la classica forma dialogica - che offre una buona visuale di quelle che erano, nella tarda età repubblicana, le idee relative al destino e al fato, per lo meno in ambito colto. Non ultime, ovviamente, quelle dell'illustre Arpinate, che appoggiandosi sopratutto alla dottrina stoica si incarica di obiettare alle concezioni di marca diversa.

Innanzitutto, Cicerone si preoccupa di smentire quella che, si può immaginare, fosse una credenza assai diffusa all'epoca, e cioè quella riguardante le profezie. Il personaggio di Posidonio ne cita diversi esempi, da intendersi come prova di un fato già scritto, ma Cicerone sostiene che possono esserci altre spiegazioni: o una naturale "simpatia" fra gli avvenimenti, che ne collegherebbe la successione, oppure la fortuna, da intendersi come casualità; insomma, l'avverarsi di una predizione, valutato a posteriori, non potrebbe intendersi come evidentemente e necessariamente probante relativamente all’esistenza del destino.

Successivamente viene affrontato - e criticato - più specificamente il concetto di "simpatia", così come inteso dallo stoico Crisippo, una sorta di affinità naturale che legherebbe ogni cosa presente al mondo. Cicerone ritiene invece, sulla scorta di altri stoici, che i viventi e tutte le cose del cosmo siano sì collegate fra loro, ma per opera del principio di causalità.

Caso a parte è l'essere umano, che, seppur condizionato da fattori contingenti (tempo, luogo, influenze astrali, ecc.) è comunque dotato di libero arbitrio. Per questa ragione sono in errore, secondo Cicerone, i deterministi, secondo i quali sarebbe possibile prevedere i l futuro conoscendo tutte le relazioni di causalità; e ciò in quanto anche se così si facesse, non si terrebbe debitamente conto delle possibilità date dalla libera azione umana.

Si passa poi all'ambito epicureo, e si discute degli atomi e della loro possibilità di muoversi più o meno liberamente. Sarebbe questa, secondo gli epicurei, la spiegazione della possibilità degli uomini di scegliere a proprio piacere come agire. Cicerone non ne è convinto, e si chiede quale sia la causa di questa possibilità di deviazione degli atomi (clinamen): concordando con Carneade, egli pensa che la libertà d'azione dell'uomo sia un dato in sè della volontà, indipendente da fattori esterni.

Dopo una critica ai fatalisti (che asserendo che il destino è già scritto, si lasciano andare ad una indegna inazione), Cicerone illustra come fra i filosofi esista in sostanza una spaccatura: chi sostiene che, alla fin fine, ogni cosa è già scritta nel destino, e chi invece pensa che il destino semplicemente non esista.

In conclusione, sebbene la rassegna costituita dal De Fato sia relativamente esaustiva dei punti di discussione sulla natura destino in quel periodo, non presenta nessuna delle soluzioni sistematiche cui probabilmente ambivano giungere i vari filosofi. Né Cicerone, aldilà di dubbi relativi a specifiche ipotesi, si azzarda a proporre veri spunti sull’argomento, preferendo un approccio critico.

In tutto questo, relativamente alla eventuale differenza tra fato e destino, Cicerone non ci aiuta, nel senso che almeno in questo suo libro non mi pare che si scorgano lumi in questo senso.

Ci sarebbero ora da rispolverare, per un minimo di completezza, anche Seneca, Plutarco e Alessandro di Afrodisia, ma ora come ora credo che mi fermerò qua. ;-)

Modificato da Druso Galerio
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