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Sertorio e la caduta di "Valentia".


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Salve a tutti. :)

Volendo dar vita ad una piccola "raccolta" di discussioni trattanti i personaggi che fecero la storia della Roma Repubblicana, è mia intenzione presentarvi, oggi, una figura che, seppur meno nota dei suoi avversari, contribuì per certi versi alla loro affermazione sia in campo politico che in quello militare.

1. Un generale ambiguo.

Originario di Nursia (l'attuale Norcia), Quinto Sertorio, protagonista di questa vicenda, vide la luce nel 126 a.C. Il fatto che si trasferì giovanissimo a Roma per motivi di studio denota la sua appartenenza ad una famiglia piuttosto agiata e forse anche di nobili origini. A quanto pare, infatti, il viaggio nella Capitale era una tappa obbligatoria per tutti i giovani di buona famiglia dell'epoca che avevano la possibilità di pagarne le spese, e Sertorio ebbe così l'opportunità di apprendere la retorica (disciplina che entrò in crisi tra la fine del I secolo a.C. e tutto il I d.C.) e il diritto. Grazie all'ottima formazione ricevuta, il nursino potè intraprendere le lucrose attività di avvocato e oratore per cui si guadagnò una certa fama nell'Urbe. Nonostante i suoi discorsi e le sue arringhe fossero apprezzate dai Romani, Sertorio decise ben presto di dare una svolta decisiva alla sua vita: si dedicò alla carriera militare mettendosi in risalto già nel 102 a.C. quando combattè, agli ordini di Caio Mario, nella battaglia di Aquae Sextiae, dove le Legioni della Repubblica riuscirono a distruggere definitivamente la minaccia teutonica. La sua figura, si sa, è fortemente legata alla Provincia della Spagna: il suo primo incontro con questi territori avvenne nel 97 a.C. al seguito delle Aquile di Roma. Dopo un breve incarico come Questore in Gallia Cisalpina, Quinto Sertorio ritornò nella Capitale, preparandosi a quella che, secondo i suoi piani, doveva essere una brillante, veloce e felice carriera politica anche grazie all'influsso positivo della sua collaborazione con Mario, all'epoca uno degli uomini più potenti della Repubblica, in campo militare e amministrativo. Le sue speranze furono, però, disattese: a Roma un nuovo personaggio stava prendendo il sopravvento in quell'epoca che fu caratterizzata dall' incontro-scontro tra due diverse visioni socio-politiche del potere: Lucio Cornelio Silla. Il futuro padrone di Roma ostacolò, infatti, la nomina di Sertorio a Tribuno della Plebe. Il potere tribunizio, notò Silla, nelle mani di un seguace del suo avversario Caio Mario, gli avrebbe provocato non poche noie, divenendo un ostacolo decisivo per la sua ascesa. Sertorio, intanto, non avendo trovato in Silla un alleato, anzi, a quanto pare, furono nemici fin dal primo giorno, si schierò giocoforza con il suo vecchio comandante Mario che ormai aveva deciso di combattere apertamente il proprio rivale, ammettendo, per prima cosa, alcune esecuzioni di sillani (perlopiù filo-aristocratici) sia a Roma stessa che nell'intera regione del Lazio. Benchè Quinto Sertorio non provasse molta simpatia per Mario, di cui non aveva un'opinione eccellente, non fece nulla per impedire che i mariani (filo-democratici o popolari) condannassero senza appello tutti coloro che appoggiavano Silla e si opponevano al suo potere. Con l'intervento dello stesso generale Silla nell'83 a.C., il nursino, senza ricevere alcun ordine da parte di Caio Mario, si ritirò in Spagna dove stabilì un'importante base mariana. I sillani, però, gli stavano col fiato sul collo, essendo il più importante condottiero dopo Mario stesso e il continuatore diretto delle sue ideologie politiche. Attraversati i Pirenei, gli eserciti di Silla minacciarono la Spagna di Sertorio che si vide costretto a fuggire in Africa dove, radunate le Legioni ancora fedeli a Mario, sconfisse in Mauritania un luogotenente di Silla e occupò il suo quartier generale nella regione: Tingis (oggi Tangeri, in Marocco). Questa azione fu di vitale importanza per la sopravvivenza dello stesso Sertorio: i Lusitani, infatti, erano stati continuamente oppressi dallo strapotere delle truppe sillane che avevano invaso la Spagna. Ricevuta la notizia del rientro nella Provincia del generale mariano, i Lusitani lo accolsero come un liberatore alla testa di 2.600 legionari e 700 mercenari africani, fornendogli addirittura un rinforzo di 4.000 unità di fanteria, sia leggera che pesante, e 700 cavalieri. Una volta che ebbe messo insieme questo esercito multietnico, il generale nursino si assicurò la lealtà dei principali capi ispanici e con il loro sostegno sconfisse un altro legato di Silla e scacciò lo stesso Quinto Cecilio Metello Pio che aveva l'obiettivo di riprendere il controllo della Lusitania e di schiacciare Sertorio in battaglia. I sillani, sconfitti in questo momento dai seguaci di Sertorio, furono costretti alla ritirata. La Spagna, finalmente, era nelle mani del generale romano e dei suoi alleati locali. Il motivo della sua fama presso le popolazioni autoctone è da ricercare nella sua abilità di politico e statista: mentre accoglieva numerosi mariani in fuga dall'Italia perseguitati dalla condotta repressiva di Silla in seguito alla sconfitta e uccisione di Mario, Sertorio fece attenzione a romanizzare gli indigeni locali, istituendo scuole per la formazione dei giovani che ricevettero un'educazione di stampo romano, e circondandosi di guardie spagnole addestrate sul modello delle Legioni, nonchè l'istituzione di un Senato composto sia dai Romani filo-democratici in fuga che dai migliori capi tribali. Il Senato di Sertorio era un organo simile a quello che già era presente nell'Urbe e aveva gli stessi compiti su tutta la Provincia che ormai era ai suoi ordini. Dopo sei anni di governo spagnolo, a Sertorio si unì il nobile Marco Perperna Vento che portò con sè un seguito di aristocratici che andarono a rimpinguare sia le più alte cariche politiche che militari. Nel 77 a.C. Roma inviò Gneo Pompeo per sconfiggerlo e riannettere l'Hispania alla Repubblica. Ma Sertorio era così forte e intelligente che riuscì a sconfiggere il grande Pompeo presso Saguntum. Questi scrisse a Roma chiedendo rinforzi per soppiantare le gravi perdite subite nello scontro. Intanto anche Metello Pio ritornò nella Provincia con l'incarico di aiutare Pompeo nella sua missione. Fu proprio Metello a sconfiggere Sertorio: grazie alla sua tattica temporeggiatrice e logorante, il nobile romano corruppe più di un sottoposto tra le fila di Sertorio mettendo una taglia sulla testa del nobile Perperna che, nel 72 a.C., assoldò dei sicari per ucciderlo durante un banchetto. Benchè la sua alleanza con i capi locali era sempre meno forte e i dissidi che sorgevano nel suo stato maggiore erano sempre più frequenti, Sertorio riuscì a tenere unite le sue truppe fino alla morte, vincendo tutte le battaglie in cui si cimentava.

2. Il massacro di Valentia.

Nel 75 a.C. i pomepiani assediarono ed espugnarono la roccaforte di Valentia, difesa, a detta di Plutarco, da due legati di Sertorio: Erennio e Perperna. Le vittime che seguirono alla caduta della città spagnola furono circa diecimila, tutti militari di professione. Ma cosa accadde di preciso a Valentia? L'insediamento, fondato sessantatre anni prima della sua distruzione per mano di Pompeo, era costruito in un luogo strategicamente importante che si affacciava sul mare e per questo, in caso di assedio, poteva anche ricevere rinforzi e viveri dall'esterno. Erennio e Perperna, però, quando Sertorio si fu allontanato dalla città, furono attirati sotto le mura della stessa da Pompeo e lì sconfitti. Valentia fu presa e data alle fiamme. Mentre la città cadeva e veniva rasa al suolo, i superstiti della battaglia cercavano di mettere in salvo il salvabile: fu rinvenuta, infatti, una borsa ricolma di monete d'argento nascosta presso una delle porte d'ingresso che si aprivano lungo il circuito difensivo. I soldati dei luogotenenti sertoriani furono presi prigionieri e condotti nel Foro della città dove li attendeva un misto di orribili torture e sofferenze inaudite dove solo la morte era invocata come unica salvatrice degli uomini catturati. Le indagini al Centro Archeologico dell'Almoina di Valencia hanno lasciato sbalorditi gli addetti ai lavori e hanno permesso a noi oggi di conoscere la sorte di quei poveri soldati nei minimi dettagli. Innanzi tutto, l'apparizione di armi, sia difensive che offensive, denota la presenza di legionari romani che combatterono al fianco dei guerrieri di fanteria indigeni. Sono venuti alla luce dei resti di pila, falcetti, scudi e proiettili per fionda accanto agli scheletri di ben quattordici individui di sesso maschile, i probabili proprietari di quelle armi. I corpi, o per lo meno, quello che ne restava, erano gettati senza un ordine preciso: quello di un giovane legionario sulla ventina presentava la gamba destra troncata di netto, mentre la parte inferiore di un altro individuo gli giaceva accanto priva del torace e della testa. Su tutto il terreno aggredito dalle fiamme erano sparse teste mozzate, arti e mani amputate, cadaveri con i giavellotti ancora conficcati nella schiena. Tutte le violenze riscontrate sui prigionieri erano state praticate dai soldati di Pompeo sui sertoriani ancora in vita. Probabilmente qualche malcapitato aveva tentato di ribellarsi ai suoi aguzzini mentre gli staccavano le braccia e i resti hanno evidenziato il loro rozzo e repentino strappo dal corpo. L'unico uomo di età matura, probabilmente un ufficiale di basso rango, fu legato e impalato: i resti di un pilum romano lo attraversavano per intero. Il massacro che si compì a Valentia servì da monito per tutti coloro che avevano intenzione di resistere alle truppe di Pompeo, più agguerrite e irruenti rispetto a quelle di Metello Pio, più riflessivo e tattico.

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Lo scheletro di un soldato sertoriano giustiziato dopo la battaglia sotto le mura di Valentia. Le estremità degli arti sono annerite e consumate dal fuoco appiccato dai soldati di Pompeo.

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Lo scheletro dell'uomo immobilizzato con una corda e impalato con un pilum romano ancora in situ.

3. Una testimonianza numismatica.

Come sempre, la parte finale è dedicata alle monete. Quinto Sertorio non coniò moneta a proprio nome, ma alcuni dei suoi rivali, che assunsero l'incarico di eliminarlo, lo fecero in un periodo compreso tra l'82 e l'81 a.C. Si tratta dei denari battuti a nome di due personaggi: C. Annius e L. Fabius. Il primo era un Proconsole, mentre il secondo, un suo sottoposto, un Questore, che furono inviati in Spagna dal Senato, per volere di Silla, per combattere Sertorio e i suoi seguaci mariani. Fabius trovò addirittura la morte nello svolgimento del suo compito. I denari, coniati tutti per la guerra in territorio spagnolo, rappresentano al Diritto Anna Perenna, moglie di Enea, in allusione al nome dell'autorità emittente C. Annius. Dato che esistono varie tipologie di questi denari, tutte ottimamente classificate nei nostri Cataloghi, riporto di seguito i link dove è possibile attingere tutte le informazioni riguardanti questi esemplari:

- Crawford 366/1: http://numismatica-c...t/moneta/R-G7/1

- Crawford 366/2: http://numismatica-c...t/moneta/R-G7/2

- Crawford 366/3: http://numismatica-c...t/moneta/R-G7/3

- Crawford 366/4: http://numismatica-c...t/moneta/R-G7/4

Modificato da Caio Ottavio

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