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  1. Ultima ora
  2. Carlo.

    è lei o non è lei^

    @ilLurkatore solo un consiglio: titoli nelle discussioni che facciano capire l'oggetto.. altrimenti in futuro è impossibile ritrovare la discussione nel caso qualcuno la cerchi 😉
  3. Vero! Non ricordo dove ma da qualche parte ho letto proprio un interessante articolo sulla requisizione degli arredi sacri per "necessità di Zecca". Veramente molto affascinanti!
  4. Buongiorno @admin342, ha valore legale di 5 euro, c'è scritto sopra. Come mai questo dubbio?
  5. Carlo.

    Valutazione

    Ma tu possiedi la moneta dal 2002? Gli artefatti sono creati per diversi motivi: gioco, esperimenti, possibili tentativi di lucrare su presunte rarità
  6. Carlo.

    Valutazione moneta francese da 2 euro

    Buongiorno @Filippo barbosi, se hai notato subito l'errore, hai fatto tu un errore ad accettarla.. penso sia palesemente falsa.. A questo punto, a scopo di studio, ti chiedo se possibile di misurare: peso diametro magnetismo nella parte centrale e nell'anello esterno grazie! @caravelle82
  7. Monete affascinanti
  8. Gordonacci

    Valutazione moneta francese da 2 euro

    ciao, fai foto anche dell'altro lato plis. se riesci sarebbe d'uopo avere anche il peso e il diametro. Così d'emblée sembrerebbe non genuina. Gordon
  9. Sarebbe falsa anche per giocarci a Monopoli!
  10. Oggi come resto mi hanno dato questa moneta, ho notato subito l'errore di produzione, mi chiedo se sia un falso, e in caso non lo sia se è quanto possa valere, grazie a chi mi aiuta in anticipo
  11. 1. DISCUSSIONI 2. Filatelia 3. Nuova discussione ( verso l'alto a destra )
  12. In che senso disciolte?
  13. Grazie per l'aiuto. Ci ho provato a creare una discussione in quella categoria ma non mi compare nessun pulsante Nuova Disussione
  14. Rarissime e il cui metallo per la coniazione proviene da arredi sacri requisiti durante l'assedio. Da citare anche la monetazione di Zara, particolarissima e ovviamente rarissima. Saluti Gordon
  15. ilLurkatore

    Valutazione

    Falla periziare da un Perito Numismatico, così ti togli ogni dubbio. 20 euro spesi bene.
  16. modulo_largo

    Denario di Matidia, autentico??

    Si si, intendevo che è la stessa asta del cosiddetto " quadrante di Antonino Pio"
  17. Oggi
  18. Grazie mille per l'apprezzamento @Alan Sinclair ! Come tu ben noti questa monetazione, per quanto affascinante, non viene purtroppo seguita da molte persone... Grazie mille per la precisazione storica, mi era proprio sfuggito di citare le Provincie Illiriche...se non erro anche le Bocche di Cattaro (di cui esiste un interessante serie di monete ossidionali coeve all'epoca napoleonica) facevano parte di questa provincia francese. Buona giornata anche a te!
  19. Buon pomeriggio @Sabb10, nel menù DISCUSSIONI ( in alto a sinistra ). Una volta cliccato DISCUSSIONI, scorrendo verso il basso è presente la sezione Filatelia e storia postale. I francobolli andrebbero fotografati e postati come allegato della sua discussione. Ci sono dei bravissimi e preparati esperti di filatelia nel Forum, che con un po' di pazienza potrebbero aiutarla. Grazie.
  20. L. Licinio Lucullo

    Storia di Roma e delle sue monete

    IL BELLUM CIVILE Durante la campagna gallica Cesare non fece coniare monete imperatoriali: evidentemente, riceveva un costante flusso di finanziamenti da Roma. Passato in armi il Rubicone, tuttavia, egli divenne un hostis publicus e dovette finanziare la prosecuzione delle operazioni da sé; il metallo prezioso del resto non gli mancava, avendo razziato abbondantemente in Gallia, a titolo di preda bellica. Nel 49 a.C., quindi, le legioni di Cesare realizzarono la prima delle sue monete itineranti, una delle emissioni più abbondanti di tutta la Repubblica, il denario RRC 443/1, divenuto simbolo stesso di Cesare e della guerra civile. Esso raffigura al dritto un elefante che calpesta un animale strisciante (un serpente, un dragone oppure addirittura un carnyx); si tratta di un’allegoria di Cesare stesso che schiaccia i suoi nemici: infatti, una delle etimologie che all’epoca veniva proposta per il cognomen Caesar era “caesai”, che nella lingua della Mauretania significava appunto “elefante”[1]. Per quanto riguarda i nemici calpestati, potrebbero essere i Germani (se è raffigurato un dragone, loro simbolo militare), i Galli (se è un carnyx) o generici avversarî (se è un serpente). Al rovescio, invece, sono raffigurati gli strumenti usati dai pontefici e dagli àuguri: culullus (brocca), aspergillum (aspersorio, ossia un pennello per spruzzare il sangue delle vittime sacrificali), securis (ascia) e apex (berretto cerimoniale); Cesare infatti era il pontifex maximus, e ricordarlo sulla moneta significava rassicurare i soldati sul fatto che stavano agendo secondo il volere degli dei. È interessante notare come questa fosse, formalmente, una moneta illegittima, emessa da un privato: avendo infatti invaso il suolo italico, Cesare aveva perso l’imperium e non deteneva più alcun potere che giustificasse l’emissione di moneta. Negli anni successivi, come si vedrà, le legioni produssero molte altre emissioni itineranti, spesso recanti allusioni alle vittorie in Gallia. Uno solo dei suoi grandi generali lo abbandonò per unirsi a Pompeo, e fu una sorpresa per tutti: Tito Labieno, “amico tra i più intimi e luogotenente di Cesare, che aveva lottato al suo fianco con grande coraggio durante tutte le guerre in Gallia”[2]. Malgrado la defezione, Cesare gli fece portare i suoi bagagli e il suo denaro. _________________ L’azzardo compiuto da Cesare nel passare il Rubicone causò sconcerto, a Roma: non si sapeva quanti soldati avesse portato al seguito e si temeva che fossero molti di più della realtà (in effetti, cinque coorti erano solo mezza legione: altre truppe, convocate da Cesare, stavano sopraggiungendo). Nell’anno precedente i Senatori avevano chiesto a Pompeo perché non organizzasse un esercito idoneo a difendere l’Italia ed egli, con sicumera, aveva risposto che non aveva bisogno di prepararsi in anticipo, perché gli bastava battere un piede per terra affinché ne sorgessero soldati pronti a mettersi ai suoi ordini; adesso, per metterne a nudo l’incapacità, gli chiesero dove fossero tali soldati. Pompeo non poté fare altro che dirigersi a Capua, ove c’erano i centri d’addestramento, per reclutare e preparare in tutta fretta nuove legioni. I preparativi di guerra del Senato furono frenetici, e ce li testimonia un denario: RRC 441/1, che al dritto reca il ritratto di Saturno e la legenda NERI. Q. VRB (Nerius, quaestor urbanus), al rovescio copia l’iconografia militare introdotta da Valerio Flacco e la legenda recita L. LENT C. MARC COS (Lucius [Cornelius] Lentulus et Gaius [Claudius] Marcellus consules). Questa moneta quindi afferma che Nerio, il questore urbano del 49 a.C., fu incaricato di attingere all’aerarium (ossia il tesoro dello Stato, custodito nel tempio di Saturno che, pertanto, è raffigurato al dritto) per finanziare l’arruolamento di nuove legioni (rappresentate al rovescio). La custodia dell’aerarium era, infatti, una precisa responsabilità del questore urbano. Per quanto riguarda la citazione dei due consoli (assolutamente anomala), Crawford suggerisce che si tratti di una data (sappiamo infatti che i Romani erano soliti individuare gli anni con il nome dei cosiddetti “magistrati eponimi”, ossia i consoli stessi); sembra tuttavia plausibile un’altra spiegazione: essa testimonianza che, in un momento di grave caos istituzionale, i consoli stessi fecero emettere a Roma una moneta imperatoriale (firmata quindi anche dal questore, urbano in questo caso); un caso del tutto eccezionale. Un ultimo cenno merita la rappresentazione, qui particolarmente dettagliata, delle insegne militari. Oltre all’aquila legionaria, infatti, si possono distinguere dall’alto in basso, sui due assi di sostegno laterali, i vexilla (stendardi in stoffa), i cornicula (decorazioni a forma di mezza luna) e le phalerae (decorazioni a forma di disco, simili alle odierne medaglie); infine, come già sull’emissione di Valerio Flacco, le lettere “H” e “P”, rispettivamente per hastati e principes. _________________ Da Ariminum (odierna Rimini), dove si era insediato, Cesare inviò emissarî a Capua (ove erano presenti sia Pompeo sia i consoli in carica) rinnovando la proposta che fossero fatti congedare i soldati di entrambi i condottieri, ma la risposta fu di nuovo negativa e, anzi, Pompeo rifiutò anche di incontrarlo di persona. Ricevuto il diniego, Cesare inviò i proprî soldati a occupare tutte le principali città circostanti e in ben quattro occasioni[3] le truppe del Senato, che avrebbero dovuto contrastarlo, preferirono invece ribellarsi ai proprî comandanti per unirsi a lui, l’eroe che aveva conquistato la Gallia, il popularis che proteggeva i poveri. La defezione delle proprie truppe, più ancora dell’avanzata di Cesare, gettò gli optimates nel panico: Pompeo, i consoli e la gran parte dei senatori scapparono a Brundisium (odierna Brindisi) con l’intenzione di fuggire nella penisola balcanica; saputolo, Cesare (che ormai poteva servirsi di sei legioni, di cui tre reduci dalla campagna gallica e tre costituite con le truppe sottratte ai nemici) si gettò a inseguirlo; a Brundisium cercò di bloccare il porto, facendo costruire un’immensa fortificazione attraverso il mare, ma le navi di Pompeo riuscirono a sfuggire al blocco e trasferirono in Epiro, oltre a lui, i suoi figli Gneo iunior e Sesto, Cicerone, Catone, Bruto, i generali Tito Labieno (cui fu affidata la cavalleria) e Gaio Cassio Longino (che invece fu messo al comando della flotta), i cosoli e gran parte dei senatori e dei magistrati in carica. Il 1° aprile del 49 a.C. Cesare fece ritorno a Roma, da cui mancava ormai da un decennio, e scoprì che nella fretta di scappare i consoli avevano lasciato le risorse dell’aerarium a sua disposizione. Egli riorganizzò il governo della capitale con i pochi senatori che vi erano rimasti, inviò emissarî in tutte le città costiere affinché gli inviassero navi in Puglia (onde usarle, poi, per inseguire Pompeo) e, dopo appena una settimana, si mise in marcia alla volta dell’Hispania, intenzionato a cacciarne i pompeiani prima che vi si rafforzassero. Lungo la strada, lasciò Decimo Giunio Bruto Albino e Gaio Trebonio ad assediare (rispettivamente, su terra e dal mare) Massilia, che si era schierata con Pompeo; giunto in Hispania riuscì a sbaragliare gli eserciti pompeiani e, ottenuta la loro resa, lasciò i soldati liberi di scegliere se passare ai suoi comandi oppure tornare privati cittadini, senza scatenare alcuna vendetta contro di loro. Tornando in Italia ottenne la resa di Massilia e giunse a Roma a dicembre del 49, facendosi nominare dittatore sino a fine anno. Fu poi eletto console per il 48 e avviò immediatamente una serie di riforme, prima fra tutte una legge per alleggerire il peso dei debiti contratti dai cittadini più poveri. _________________ Nel 48 a.C. un monetiere, Lucio Hostilio Saserna, emise una serie di denarî che inneggiavano alle grandi vittorie ottenute da Cesare nella Gallia. Uno di essi, RRC 448/2, è particolarmente interessante: reca infatti al rovescio la rappresentazione di un carro da guerra (strumento bellico in uso a molte popolazioni celtiche), al dritto invece il ritratto di un uomo con lunga barba, palesemente affranto, e l’immagine di uno scudo gallico alle sue spalle: Babelon, Amisano e molti altri autori sono convinti che questo sia l’unico ritratto contemporaneo di Vercingetorige , che all’epoca era incarcerato a Roma. Merita qui una precisazione: sia l’iconografia monetale, sia la scultura dimostrano che, in questo periodo, l’arte a Roma pervenne a un elevato livello di realismo: i ritratti non erano più astratti o edulcorati, ma cercavano di riprodurre con minuzia e precisione le espressioni e gli stessi difetti delle persone. Da un lato, questa tendenza è giustificata dalla volontà di far riconoscere i potenti dai cittadini dello Stato romano (in un’epoca in cui non esistevano le fotografie); dall’altro, è evidente che i nobili e le persone illustri si facevano un vanto di non dover nascondere i proprî difetti, che evidentemente non minavano il loro senso di superiorità. Grazie a questa corrente artistica, le monete ci restituiscono ritratti fedeli (fatti alcuni in vita, altri dopo morte) di Silla, Cesare, Pompeo, Marco Antonio, Ottaviano, Cleopatra e tanti altri, fra cui appunto Vercingetorige. _________________ A gennaio del 48 a.C. Cesare, con le navi inviate dalle città a lui fedeli, poté raggiungere la penisola balcanica con sette legioni, inseguendo Pompeo. I due eserciti si incontrarono a luglio a Dyrrhachium (odierna Durazzo) e ne nacque una guerra di trincea: entrambi gli schieramenti costruivano fortificazioni per tagliare le linee di rifornimento del nemico, mentre lo tempestavano con proiettili scagliati da arcieri e frombolieri (soldati armati di fionda). Pompeo era in posizione di vantaggio: disponeva di 9 legioni contro le 7 dell’avversario e, soprattutto, riceveva costanti rifornimenti di cibo via mare, mentre i soldati di Cesare dovettero abituarsi a mangiare una specie di pane fatto di radici, non avendo altro. Alla fine Cesare fu sconfitto, ma riuscì a ritirarsi senza gravi perdite grazie al valore dei suoi veterani: Marco Cassio Sceva, centurione della VI legione “Ferrata”[4], con la sola I coorte (1.000 uomini) e benché ferito a occhio, coscia e spalla respinse l’assalto di ben 4 legioni nemiche. Muovendosi attraverso la Grecia, Cesare e Pompeo tornarono a fronteggiarsi in Tessaglia: il primo, avendo distaccato parte delle sue truppe per proteggere le vie di rifornimento, disponeva solo di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri, ma tutti veterani; il secondo invece poteva contare su oltre 45.000 fanti e 7.000 cavalieri, ma prevalentemente reclute. Capendo che i suoi uomini non erano all’altezza di quelli avversarî Pompeo optò per una tattica di logoramento, colpendo le linee di rifornimento del nemico senza affrontarlo direttamente; i nobili che lo seguivano, tuttavia, erano convinti che sarebbe stato facile schiacciare Cesare in battaglia e desideravano farlo prima possibile, per cui tacciarono Pompeo di viltà con tanta petulanza da convincerlo, infine, a scendere in battaglia, a Farsalo. La cavalleria pompeiana si scontrò violentemente con la X legione, comandata da Marco Antonio, ma Cesare fece intervenire una riserva appositamente tenuta nascosta per colpire, al momento opportuno, i cavalieri; la manovra riuscì e il combattimento si risolse in una grande vittoria dei cesariani. Terminata la battaglia, Cesare proclamò che qualunque cittadino romano si fosse arresto sarebbe stato perdonato, senza subire punizioni. Questo suo atteggiamento divenne famoso con il nome di clementia Caesaris; in realtà si trattava non di bontà d’animo, ma di uno specifico progetto politico: Cesare sperava di interrompere così la spirale di vendette reciproche che aveva trasformato il confronto fra optimates e populares in una sorta di sanguinosa faida. Alla fine di quell’anno le legioni Cesare emisero pertanto un aureo e un denario (RRC 452/2) che raffiguravano proprio la personificazione della Clemenza (e, al rovescio, un trofeo di armi galliche); particolare curioso, la legenda comprende un misterioso IIT: l’ipotesi più accreditata (poco convincente, ma non ne esistono di migliori) è che sia in realtà , grafia arcaica per LII, e indichi l’età di Cesare. ________________ I soldati di Pompeo approfittarono dell’opportunità loro concessa, arrendendosi in massa a Cesare. Dopo lo scontro di Filippi i capi degli optimates si disgregarono: Bruto, appena terminata la battaglia, corse nella tenda di Cesare a invocarne la clemenza; Cicerone tornò in Italia e là aspettò Cesare, che infine perdonò anche lui; Gaio Cassio Longino rimase per un periodo al comando di quel che rimaneva della flotta, poi anch’egli raggiunse Cesare e ne ottenne il perdono; Catone e Tito Labieno si rifugiarono in Africa, ove potevano contare sull’alleanza di Giuba, re di Numidia; Gneo Pompeo iunior, figlio del Magno, si recò prima in Africa, poi in Hispania, ove ricostituì un esercito. Pompeo Magno e il figlio Sesto fuggirono invece per mare e, dopo alcune peripezie, giunsero in Egitto; qui tuttavia, il 28 settembre del 48, il padre fu ucciso e decapitato su ordine di Potino, potente consigliere del re Tolomeo XIII, che sperava così d’ingraziarsi il benvolere di Cesare; il figlio Sesto fuggì di nuovo, ricongiungendosi con Catone e Labieno in Africa. Tre giorni dopo sbarcò in Egitto Cesare, che inseguiva i fuggitivi insieme alla VI legione. Quando gli offrirono in dono la testa di Pompeo, ne fu rattristato e inferocito, per tante ragioni: perché comunque quell’uomo era stato suo genero; perché desiderava lui stesso perdonarlo, onde mettere fine alle divisioni interne; perché infine riteneva inconcepibile che un grande generale di Roma fosse ucciso, a tradimento, da un barbaro. Si installò allora nel palazzo reale di Alessandria, fece convocare i due fratelli che all’epoca si contendevano - Tolomeo XIII e sua sorella, Cleopatra Tèa Filpàtore - e, nel nome di Roma, ordinò loro di cessare ogni ostilità reciproca e governare insieme. Potino tuttavia non gradì l’ingerenza e, da dentro lo stesso palazzo, ordinò all’esercito egiziano di convergere su Alessandria per cacciarne i Romani; Cesare allora si asserragliò nel palazzo reale, fece uccidere Potino e attese l’arrivo di rinforzi via mare. Le truppe posero quindi l’assedio al palazzo, appoggiate dagli stessi cittadini, ostili ai Cesare; il loro comando fu assunto da Arsinoe, sorella minore di Tolomeo e Cleopatra, poi dallo stesso Tolomeo, che Cesare lasciò libero nella speranza - vana - di placare gli animi. Tra la fine del 48 a.C. e gli inizî del 47 giunsero infine i rinforzi attesi da Cesare: la XXVII legione via mare e le truppe alleate di Pergamo e Giudea via terra. Dopo aver subito una serie di sconfitte, Tolomeo decise di muovere tutte le sue truppe contro gli eserciti che giungevano via terra; tolse allora l’assedio di Alessandria per mettersi in marcia verso oriente ma Cesare ne approfittò e, fatte uscire le legioni dal palazzo, lo raggiunse e lo sconfisse prima ancora che riuscisse a entrare in contatto con gli eserciti di Pergamo e Giudea. Tolomeo morì in battaglia e Cleopatra fu confermata regina d’Egitto (insieme a un altro suo giovanissimo fratello). _________________ Nel frattempo a Roma, nell’ottobre del 48 a.C., Cesare fu nominato dittatore una seconda volta, per la durata di dodici mesi, ed eletto console per il 47. Finché restò fuori dall’Italia non assunse, tuttavia, i poteri di console. Uno dei monetieri del 47 a.C., Lucio Plauzio Planco emise una moneta di grande bellezza, RRC 453/1, che raffigura al dritto la testa di Medusa, al rovescio una dea alata che avanza frontalmente trascinando alcuni cavalli. La legenda, molto piccola, recita L. PLAVTIVS da un lato, PLANCVS dall’altro. Di questa complessa iconografia sono state proposte due spiegazioni. Amisano, Babelon, Borghesi e Grueber vedono al dritto una maschera teatrale, al rovescio la dea Aurora e propongono che sia qui ricordato un evento narrato da Livio e Ovidio: nel 312 a.C. il censore Gaio Plauzio Venox aveva vietato ai tibicines (suonatori di flauto) di mangiare dentro al tempio di Giove Capitolino e quelli, per protesta, si erano trasferiti a Tivoli, lasciando Roma priva dell’accompagnamento musicale (indispensabile per i riti sacri); allora Plauzio Venox aveva ordinato che fossero fatti ubriacare e poi, con i volti coperti da maschere teatrali, riportati furtivamente a Roma, ove giunsero di prima mattina (quindi, appunto, all’aurora). Crawford identifica invece al rovescio la dea Vittoria e ritiene che sia qui riprodotto un famoso quadro di Nicomaco (pittore tebano del IV secolo a.C.) del valore di milioni di sesterzi, che secondo quanto ci riferisce Livio nel 40 a.C. sarà donato a un tempio da Lucio Munazio Planco, fratello del monetiere[5]. In quest’ottica, la scelta di riprodurre la Vittoria (seppur nella forma del quadro) sarebbe un omaggio a Cesare. _________________ Nel 47 a.C. Cesare si fermò sei mesi in Egitto insieme a Cleopatra, di cui si era invaghito e con cui ebbe un figlio, Tolomeo Filpàtore Filomètore Cesare, detto Cesarione; poi, a fine estate, con una rapidissima marcia raggiunse il Ponto, dove il re Farnace (figlio di Mitridate) aveva approfittato della guerra civile romana per invadere i regni circostanti, facendo uccidere un gran numero di cittadini dell’Urbe. Farnace non si aspettava che Cesare potesse presentarsi così presto: fu colto impreparato e rapidamente vinto in battaglia a Zela (odierna Zile, in Turchia). Questo intervento fu tanto rapido e risolutivo che il generale, in una lettera, lo riassunse con la celeberrima frase “veni, vidi, vici”. In autunno Cesare tornò in Italia, ove assunse i poteri di console. Là, la situazione stava degenerando: quattro legioni si erano ribellate al loro comandante, Marco Antonio, pretendendo dopo 15 anni di servizio l’honesta missio (il congedo) e un donativum (un premio in denaro); nelle more, razziavano e distruggevano campagne e abitazioni e ogni sforzo di riportarli alla calma e all’obbedienza era risultato vano. Cesare si presentò da loro senza scorta; ascoltatene le richieste, rispose chiamandoli “cives” anziché “comites” (“cittadini” anziché “commilitoni”, dato che avevano chiesto di essere congedati) e garantendo che avrebbero avuto il donativum, ma solo dopo che egli, con altri soldati, avesse sbaragliato le ultime sacche di resistenza pompeiana. I legionarî ammutolirono: avevano bluffato nel pretendere il congedo[6]; sentire Cesare, che per anni aveva marciato, vissuto e combattuto con loro, trattarli con disprezzo e sufficienza li disorientò. Chiesero quindi subito di essere perdonati e si rimisero a suoi ordini. Nel 47 a.C. Cesare fu nominato dittatore per la terza volta, per un periodo di 10 anni; utilizzò il potere dittatoriale (come già aveva fatto Silla) per scegliere i magistrati e nominò sè stesso console per il 46, il 45 e il 44. Già nel 54 a.C. egli aveva ideato la realizzazione, nel cuore di Roma, di una grande piazza circondata su tre lati da un portico e sul quarto da un tempio, destinata a fungere da ampliamento dello storico Foro (diventato ormai troppo angusto per le esigenze della capitale); sappiamo da Cicerone che solo l’acquisto dei terreni era costato almeno 15 milioni di denarî (forse addirittura 100), pagati dallo stesso Cesare. I lavori erano iniziati nel 51 ma solo nel 47 Cesare rivelò a chi avrebbe dedicato il tempio: Venus Genitrix, Venere “genitrice” di Iulo (figlio di Enea) e quindi - in un certo senso - di tutti i Romani, dato che Romolo era un discendente dello stesso Iulo. Cesare affermò che adempiva a un voto alla dea, fatto prima dello scontro di Farsalo; in realtà, coglieva l’occasione per affermare che egli stesso discendeva dagli dei, dato che Iulo era anche capostipite della gens Iulia. La nuova piazza sarà inaugurata il 26 settembre del 46 e diverrà nota come Foro di Cesare. Riorganizzate le sue forze, a dicembre del 47 a.C. Cesare sbarcò in Africa, determinato a debellare i pompeiani. _________________ In Africa sono stati rinvenuti diversi esemplari di un altro denario imperatoriale, RRC 458/1, che per questa ragione Crawford ritiene essere stato coniato appositamente per finanziare la spedizione contro i pompeiani. Coerentemente con tale datazione, al dritto è raffigurata appunto Venus Genitrix; al rovescio invece è rappresentato Enea che fugge da Troia, portando il padre Anchise in spalla e il Palladio in mano. La raffigurazione al rovescio aveva un triplice scopo: ricordava al popolo che Cesare (tramite Iulo) discendeva da Enea, grande e nobilissimo eroe, e quindi anche - come detto - dalla dea Venere, con cui quegli aveva concepito un figlio; comunicava (con la raffigurazione di un figlio che salva il padre) che Cesare teneva in gran conto la pietas filiale, virtù molto considerata dai Romani; evidenziava che il Palladio, simbolo del potere di governare il mondo, era giunto nell’Urbe grazie agli antenati di Cesare. Il Palladio era infatti uno dei sette pignora imperii (oggetti sacri che gli dei avevano fatto pervenire nelle mani dei Romani quali garanzie - “pignora” - del loro potere; se fossero andati perduti, sarebbe stata la rovina per la Città Eterna); si trattava, secondo la mitologia, di una statua lignea che Atena aveva realizzato in ricordo di Pallade, sua cara amica uccisa per errore, e aveva le sembianze della dea perché ella stessa - per il dolore - si era identificata nella mortale, tanto da essere appunto chiamata Pallade Atena. Il Palladio aveva dapprima ornato il trono di Zeus, divenendo così una potente fonte di protezione divina, invincibilità e potere militare; un giorno tuttavia Atena, infuriata con il padre, l’aveva ripreso e scagliato sulla terra, a Troia. Rimase in questa città sino alla guerra, quando scomparve; secondo i Romani era giunto nell’Urbe ed era custodito dalle Vestali. Sarà da loro bruciato nel 394 d.C., per non farlo cadere nelle mani dei Cristiani. La menzione dei pignora imperii merita una digressione per narrare di uno di essi: la pietra nera ritenuta materializzazione della dea Cibele[7], probabilmente un meteorite, portata a Roma nel 204 a.C. Attorno al 220 d.C. l’imperatore Eliogabalo la collocò nel palazzo imperiale, ove sopravvisse a distruzioni e saccheggi, ma nel 1730 fu rinvenuta da un archeologo incompetente, monsignor Bianchini, che non capì di cosa si trattasse (e quindi, probabilmente, la distrusse)[8]. Per poco, un pignus imperii non è giunto sino a noi. _________________ Lo scontro fra Cesare e i pompeiani, appoggiati dalle truppe numide del re Giuba, si ebbe il 6 aprile del 46 a.C. a Tapso (attuale Ras Dimas, in Tunisia). Fu una netta vittoria di Cesare, a seguito della quale la Numidia venne ridotta a provincia romana; Labieno e Sesto Pompeo fuggirono in Hispania, presso Gneo Pompeo, mentre Catone si uccise a Utica (città costiera, oggi scomparsa) e, da allora, fu ricordato come “l’Uticense”. Il 25 luglio del 46 a.C. Cesare tornò nell’Urbe, ove lo raggiunsero Cleopatra e Cesarione (ma la regina non fu autorizzata a varcare il pomerium, per cui soggiornarono in una villa sul Gianicolo), e celebrò quattro trionfi successivi per le vittorie conseguite contro i Galli, gli Egiziani XIII, i Pontici di Farnace e i Numidi di Giuba. La cerimonia del trionfo era un onore molto ambìto dai Romani, concesso dal Senato ai comandanti dotati di imperium quando terminavano una campagna bellica contro una popolazione straniera; non era quindi ammesso se gli sconfitti erano schiavi, come Spartaco, oppure Romani stessi, in caso di guerra civile (per questo, Cesare presentò la vittoria di Tapso come una vittoria contro i Numidi). Nell’occasione il comandante - già acclamato imperator - era eccezionalmente autorizzato a entrare con l’esercito in armi dentro al pomerium; adornato come se fosse Giove in persona, sfilava con i soldati lungo la Via Sacra, dal Circo Massimo attraverso il Foro sino al Campidoglio, mostrando ai concittadini esultanti il bottino e i prigionieri ottenuti. In una società guerriera, era la più bella esperienza che un mortale potesse vivere; pertanto, per compensare l’inebriamento che poteva dare, i soldati erano autorizzati a canzonare il proprio generale[9], mentre una persona al suo fianco gli sussurrava costantemente “hominem te memento” (“ricorda che tu sei [solo] un uomo”). Nel 46 a.C. Cesare adottò la più longeva delle sue riforme: il calendario giuliano. Occorre premettere che il più antico calendario romano aveva solo 10 mesi[10]; già in epoca regia era stato portato a 12 mesi, ma con una durata di soli 355 giorni, e per compensare lo scostamento rispetto alle stagioni il pontefice massimo aggiungeva - quando necessario - un tredicesimo mese, “mercedonio”, dopo febbraio. Questo sistema complesso si era tuttavia inceppato durante le guerre civili, quando i pontefici massimi (compreso lo stesso Cesare) avevano trascurato di apportare le modifiche necessarie, tanto che il solstizio d’inverno arrivava ormai a marzo. Cesare dispose che l’anno 46 a.C. durasse ben 445 giorni e che, dal 1° gennaio 45, entrasse in vigore il calendario di 365 giorni, con previsione di anno bisestile, ancora oggi in uso (con una piccola rettifica apportata da papa Gregorio XIII nel 1582). In occasione dei trionfi del 46 a.C. i legionarî ebbero il donativum loro promesso, pari a 6.000 denarî (più un appezzamento di terra da coltivare), mentre i cittadini di Roma ricevettero un munus (dono) di 100 denarî. A tal fine, Cesare assunse l’insolita iniziativa di utilizzare un denario ad hoc, RRC 467/1, che al rovescio reca la lettera D se destinato al donativum, M se al munus. L’iconografia reca al dritto il ritratto di Cerere (allusione alle iniziative assunte da Cesare per garantire gli approvvigionamenti di grano alla popolazione) e gli strumenti rituali usati dal pontefice massimo e dagli àuguri (culullus e aspergillum, già visti su RRC 443/1 e brocca e lituus, già visti su RRC 359/2). Particolarmente interessante è la legenda, che enuncia le cariche politiche di Cesare al dritto (DICT. ITER - COS. TERT.), quelle religiose al rovescio (AVGVR - PONT. MAX.). Poiché Cesare - come già detto - fu dittatore “per la seconda volta” (“iterum”) dall’ottobre 48 all’ottobre 47 e assunse i poteri del suo terzo consolato tra settembre e ottobre 47, la produzione di questa moneta (benché sia datata da Crawford al 46, anno dei quattro trionfi) deve quindi essere iniziata nell’autunno del 47: ciò significa che quando Cesare arringava le legioni ammutinatesi, garantendo che avrebbero avuto il donativum, non faceva (come alcuni storici hanno ipotizzato) una promessa a vuoto, avendo già avviato la necessaria emissione di denarî. _________________ In Hispania Gneo Pompeo aveva riorganizzato i sostenitori del defunto padre, instaurando di fatto una repubblica secessionista e organizzando un nuovo, potente esercito. La sua volontà di presentarsi come detentore della legittimità repubblicana, in contrasto con Cesare, presentato come un usurpatore, si riflette sulla monetazione: nella penisola iberica, infatti, circolavano molte monete di bronzo di produzione locale, necessarie a sopperire alla mancanza di contante ufficiale (l’ultimo asse era stato emesso da Silla nell’82 a.C. e, dopo di esso, Roma non aveva più coniato monete di bronzo); Gneo Pompeo fece allora emettere una moneta, RRC 471/1, con l’antica iconografia di Giano al dritto e della prora navis al rovescio (e la legenda CN. MAG IMP), con il chiaro intento di presentarsi come vero rappresentante delle tradizioni della Repubblica. Si tratta di monete molto diverse l’una dall’altra, con peso variabile da 15 a 37 grammi; peraltro, in alcune (ma non in tutte) i profili delle due facce di Giano hanno le sembianze di Pompeo Magno. Benché presentino il segno di valore “I”, come gli antichi assi, Amisano ha supposto che possano essere dupondî o addirittura sesterzî, in analogia alle emissioni cesariane di poco successive (RRC 476/1 e 550/2). _________________ Alla fine del 46 a.C. Cesare partì con otto legioni alla volta della Hispania, determinato a estirpare una volta per tutte la resistenza pompeiana. Si trattò della più difficile e sanguinosa fra tutte le campagne belliche che aveva combattuto: aiutati dal terreno favorevole e da una popolazione che li appoggiava, gli avversarî riuscirono a infliggere pesanti perdite alle sue truppe, mettendolo più volte in difficoltà. Per finanziare la campagna, egli fece produrre un’altra emissione itinerante: il denario RRC 468/1, che raffigura al dritto il ritratto di Venere (con un piccolo Cupido sulla spalla), al rovescio un trofeo di armi galliche sotto cui giacciono una donna in lacrime e un uomo barbuto con le mani legate. Babelon ritiene che la donna sia la personificazione della Gallia, l’uomo invece Vercingetorige; per Crawford sono invece generici prigionieri gallici. La rievocazione della guerra in Gallia aveva uno scopo ben preciso: ricordare ai soldati (molti dei quali, reduci da quella guerra) ciò che erano riusciti a fare sotto il comando dello stesso Cesare, per tenerne alto il morale e infondere loro coraggio e fiducia in un momento di grave difficoltà. Lo scontro decisivo si ebbe a Munda (odierna Osuna), nella primavera del 45 a.C.: Cesare sorprese l’esercito di Gneo Pompeo e Tito Labieno accampato in cima a una collina e, stanco di una serie apparentemente infinita di scontri fratricidi, decise - contro ogni regola tattica - di giocare il tutto per tutto, attaccando in salita e in forte inferiorità numerica (disponeva di 40.000 uomini contro i 70.000 degli avversarî). All’inizio sembrò una disfatta, tanto che lo stesso Cesare arrivò a pensare di suicidarsi; decise comunque di morire in modo onorevole e, sceso da cavallo, raggiunse i ranghi della X legione per combattere insieme ai suoi soldati preferiti. La presenza di cesare galvanizzò tuttavia i legionarî della X, che cominciarono a combattere con tanto ardore da guadagnare terreno; allora Gneo Pompeo tolse una sua legione dal fianco opposto e la mandò contro la X. Fu una mossa falsa: Cesare, pronto a cogliere l’occasione, inviò subito la sua cavalleria ad attaccare nel punto in cui, essendo stata distolta una legione, si era creato un buco nello schieramento avversario; contro ogni aspettativa, vinse così anche questa sua ultima battaglia. Alla vittoria contribuì anche un suo giovane parente, che egli aveva voluto con sé proprio per valutarne le capacità militari: Gaio Ottavio Turino. Labieno morì in combattimento; Gneo Pompeo fu catturato e ucciso poco dopo. Sesto riuscì invece a fuggire in Sicilia, dove continuerà ad agire in quasi totale autonomia, in alcuni anni con il consenso del Senato (che nel 43 a.C. lo nominerà praefectus classis et orae maritimae, comandante supremo delle flotte militari) ma più spesso in conflitto con Roma. _________________ Cesare tornò finalmente a Roma, ove commise un grave errore politico: infrangendo una tradizione plurisecolare, celebrò il trionfo per aver sconfitto i soldati di Gneo Pompeo, ossia dei concittadini. La sanguinosa campagna iberica l’aveva cambiato: era frustrato e inferocito per il fatto che, malgrado la sua politica di clemenza, i pompeiani avessero continuato a osteggiarlo; probabilmente pensò quindi di umiliarne la memoria, trattandoli come barbari debellati. Per il popolo, tuttavia, la guerra civile restava un evento forse necessario, ma sicuramente doloroso ed esecrabile: mostrando di vantarsi di aver ucciso cives Romani, Cesare perse parte del suo consenso. In quel periodo furono emesse due monete in oricalco, una lega di bronzo e zinco, di colore simile all’oro, che a Roma veniva usata per la prima volta. Le due tipologie sono molto simili: la prima, RRC 476/1, reca al dritto il ritratto di Vittoria e al rovescio l’immagine di Minerva che avanza con un trofeo sulla spalla (e un serpente ai piedi); la seconda invece, RRC 550/2 (oggi molto rara) il ritratto di Venere al dritto, l’immagine di Vittoria che avanza con un ramo di palma in spalla al rovescio. La prima è sicuramente databile al 47-44 grazie alla legenda CAESAR DIC TER (Cesare detenne la terza dittatura tra l’ottobre del 47 e il marzo del 44) e C. CLOVI PRAEF: Gaio Clovio, personaggio storico proco noto, fu governatore della Gallia Cisalpina nel 44 a.C. e quindi, probabilmente, prefetto nel 45. La datazione della RRC 550/2 è invece molto discussa: la legenda recita Q. OPPIVS PR. e l’unico Quinto Oppio noto fu governatore della Cilicia nell’88 a.C.; molti numismatici tuttavia (fra cui Alföldi, Woytek e Marta Barbato) ritengono che anche questa moneta, viste le grosse similitudini con la precedenza, sia stata emessa da un un altro dei prefetti (oppure anche da un pretore) del 45. In quest’ottica, è probabile che la prima moneta, e forse anche la seconda, siano state emesse in occasione del trionfo del 45 a.C. per disporre di spiccioli da distribuire al popolo durante la processione. Per quanto riguarda il valore, Grueber ipotizza che fossero assi, McCabe invece dupondî. Nei pochi mesi in cui governò indisturbato, Cesare avviò molte riforme per modernizzare Roma e il suo Stato: fra l’altro, concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della Gallia Cisalpina, elevò da 600 a 900 il numero dei senatori e fece entrare in Senato molti nobili di origine spagnola e gallica. Molti suoi sforzi furono profusi in campo urbanistico, nel tentativo di rendere l’Urbe una vera metropoli: propose una legge (approvata dopo la sua morte) che vietava la circolazione dei carri nelle ore diurne, per rendere più sicuri i pedoni; avviò la realizzazione di molti monumenti, che saranno conclusi dopo la sua morte (il teatro di Marcello, la basilica Giulia, il tempio di Marte Ultore, uno stadio per naumachie), compresa una nuova Curia, per sostituire quella distrutta nel 52; ipotizzò di rettificare il tratto urbano del Tevere (tra l’attuale ponte Cavour e l’isola Tiberina), per ridurre le esondazioni; infine fece razionalizzare la disposizione dei monumenti dell’antico Foro, facendo sostituire la tradizionale pedana dei rostra, che aveva andamento semicircolare, con una di pianta rettangolare. Forse, quindi, fu anche per nostalgia che un monetiere del 45 a.C., tale Palicano, emise il denario RRC 473/1 che immortalava i rostra nella loro vecchia forma semicircolare, con sopra il subsellium (sedile in uso ai tribuni della plebe). Sicuramente, egli voleva anche commemorare un suo parente, Marco Lollio Palicano, tribuno nel 71 a.C., che da quella tribuna aveva ardentemenmte perorato l’abrogazione delle leggi con cui Silla aveva limitato i diritti della plebe. Al dritto è invece raffigurata la Libertà (con didascalia LIBERTATIS), probabilmente in omaggio a Cesare che aveva “liberato” la Repubblica dai pompeiani. _________________ Nel 44 a.C. Cesare, oltre a ricoprire il consolato insieme a Marco Antonio, fu nominato dictator perpetuus (dittatore a vita), una forzatura ancora più grande di quella che era stata fatta per Silla (la cui nomina “a tempo indeterminato” presupponeva che prima o poi si sarebbe dimesso, come effettivamente avvenne): era ormai chiaramente determinato a governare con potere monarchico, seppur nell’interesse del popolo, situazione paradossale che il grande Mommsen ha riassunto con l’ossimoro “monarchia democratica”. Molti temevano che volesse farsi addirittura rex, un azzardo assolutamente inaccettabile per la mentalità romana; gli indizî in tal senso erano tanti (ad esempio, scelse di portare i calzari rossi simbolo degli antichi re di Alba Longa, giustificando che gli competevano quale discendente di Iulo e quindi ultimo erede di quella mitica dinastia), ma quello che fu forse ritenuto eccessivo ebbe natura numismatica. Il dittatore infatti preparò una grande campagna militare contro i Parti, per vendicare la disfatta di Carre, e a tal fine fece coniare una grande quantità di denarî, oggi raccolti nella serie RRC 480 e, con un incredibile strappo alla tradizione, fece apporre il suo ritratto[11], un’iniziativa che richiamava i monarchi ellenistici. Il giorno delle idi di marzo il Senato, essendo indisponibile la vecchia Curia, si riunì in quella che Pompeo aveva fatto realizzare presso il suo teatro; là Cesare fu raggiunto dai congiurati e pugnalato a tradimento. Tentò di difendersi, ma quando si avvide che fra i suoi assassinî c’erano amici (Decimo Bruto Giunio Albino e Gaio Trebonio), avversarî che lui stesso aveva perdonato (Gaio Cassio Longino) e persino Bruto, deluso gli disse “καὶ σὺ, τέκνον” (“anche tu, figlio”)[12]; si coprì volto e ginocchia, per morire in modo decoroso, e cadde trafitto ai piedi della statua di Pompeo. Quella statua esiste ancora: recuperata nel 1553, è ora esposta a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. Particolare numismatico interessante: la produzione delle monete della serie RRC 480 continuò, ma in quelle emesse dopo la sua morte Cesare è rappresentato con un velo sulla testa, in segno di lutto. NOTE [1] Secondo la Historia Augusta (al capitolo “Vita di Elio”, II, 3), testo storiografico redatto nel III secolo d.C., un antenato di Cesare si sarebbe guadagnato questo cognomen per aver ucciso in guerra un elefante cartaginese. Va precisato che esistevano, già all’epoca, altre ipotesi tra cui quella, più realistica, di “nato con parto cesareo” (che veniva praticato in caso di morte della madre). [2] Plutarco, Vita di Cesare, 34. [3] A Iguvium (odierna Gubbio), Osimo, Ausculum (odierna Ascoli Piceno), Firmum (odierna Fermo) e Terracina. [4] Il soprannome derivava dall’armamento pesante, in ferro, dei suoi legionarî. [5] Il monetiere infatti era nato come Gaio Munazio Planco, cambiando poi praenomen e nomen a seguito di adozione. Lucio Plauzio sarà messo a morte con le liste di proscrizione del secondo triumvirato; è possibile che il quadro fosse suo e che, alla sua morte, Lucio Munazio se ne sia appropriato, per poi offrirlo agli dei in memoria dello sventurato fratello. [6] La richiesta di congedo era stata un bluff, perché significava “dateci i soldi o ce ne andiamo”, ma in realtà era interesse degli stessi legionarî restare sino a guerra conclusa (perché i generali vittoriosi elargivano donativa molto più consistenti). Rimasero quindi spiazzati dalla risposta di Cesare, che sostanzialmente significava “bene, andatevene pure; troverò altri soldati”. [7] Gli altri cinque erano: l’ancile, un antichissimo scudo donato da Marte (e di cui esistevano 11 copie identiche, per evitare che l’originale fosse riconosciuto e rubato); lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia; il velo di Iliona, sua figlia; le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone; la quadriga di Giove Capitolino, collocata sulla sommità del suo tempio. [8] L’episodio è narrato da un altro archeologo, Rodolfo Amedeo Lanciani (nel libro Ancient Rome in the light of recent discoveries del 1890), che l’ha inutilmente cercata un secolo dopo. [9] Sappiamo che i soldati di Cesare, ad esempio, ne dileggiarono la presunta omosessualità cantando “ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem” (“ecco, ora che trionfa Cesare che ha sottomesso la Gallia, [ma] non trionfa Nicomede che ha sottomesso Cesare”). Nicomede era stato l’ultimo re di Bitinia; quando aveva solo 19 anni, nell’81 a.C., Cesare era stato mandato come ambasciatore alla sua corte e si diceva che avesse avuto una relazione con lui. [10] Secondo Carandini, illustre archeologo e antiquario romano, perché l’anno veniva assimilato a un ciclo di fertilità umana: nove mesi di gestazione più uno di infertilità. Di questa antichissima scansione del tempo resta memoria nei nomi degli ultimi mesi dell’anno. [11] Alcuni autori, citando Cassio Dione, sostengono che questo privilegio gli sia stato concesso dai senatori ma lo storico dice solo che “πατέρα τε αὐτὸν τῆς πατρίδος ἐπωνόμασαν” (Storia Romana, 44), “appellarono lui stesso padre della patria e incisero sopra le monete”: chiaramente, significa che fecero apporre su alcune monete il titolo di parens patriae, non il ritratto. [12] Svetonio, Cesare, 82; Cassio Dione, Storia Romana, 44. La versione latina “tu quoque, Brute, fili mi” è un’invenzione moderna. ILLUSTRAZIONI Denario RRC 443/1 Denario RRC 441/1 Denario RRC 448/2 Denario RRC 452/2 Denario RRC 453/1 Denario RRc 458/1 Denario RRC 467/1. Questa moneta è stata usata durante il trionfo di Cesare, per farne dono (“munus”) a un cittadino di Roma. Bronzo RRC 471/1 Denario RRC 468/1. Bronzi RRC 476/1 e 550/2.
  21. modulo_largo

    Quadrante di Antonino Pio?

    Devi cliccare in questi tre puntini e selezionare" modifica"
  22. CdC

    Cerco catalogo Finarte

    Buon giorno @ak72. ho approvato la discussione ma credo il contenuto non sia adatto alle prossime aste numismatiche. Ho inserito per ora in monete della serenissima Repubblica di Venezia. Chiedo ai curatori di valutare se spostare o meno in piazzetta.
  23. Ludooo

    richiesta id

    grazie mille
  24. Antonino1951

    Quadrante di Antonino Pio?

    Per favore potete eliminare il mio post 11 o spiegarmi come si fa?
  25. Buongiorno, spero sia questa la sezione giusta in cui scrivere perché non riesco a creare una nuova discussione nella sezione filatelia. Ho da poco ricevuto una piccolissima collazione di francobolli di mio nonno, niente di eclatante credo, li piaceva semplicemente collezionarli a prescindere dalla loro rarità o quant'altro. Essendo completamente estraneo a questo mondo non saprei veramente da dove iniziare. Mi piacerebbe sapere ovviamente se sono presenti eventuali rarità con eventuale valutazione ma in generale cercare di dare un senso generale a questa piccola raccolta. Riuscireste gentilmente a darmi una mano in qualche modo? Conoscete dove posso cercare o rivolgermi per sapere di più? Potreste aiutarmi voi? Vi ringrazio
  26. albertoronchi1

    Matrice di una vecchia 500 lire...?

    Sull'annuncio lo chiamono "stampo". Potrebbe essere una matrice su marmo o pietra delle 500 lire? In vendita su un noto sito..
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