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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/09/16 in Risposte

  1. Vi propongo una piastra di papa Sisto V per Ancona del 1588 che riporta al R/ SVB TVVM PRAESIDIV CONFVGIMVS ( Ci siamo rifugiati sotto la tua protezione) Trattasi di una moneta per la zecca di Ancona tratta dall'asta Nac 30 - lotto 524 Al D/ troviamo il busto del papa Sisto V, mentre al R/ abbiamo la Vergine velata e seduta a destra sulla Santa Casa di Loreto con il Bambino in braccio. Questo motto, lo troviamo anche su molte altre monete (od imitazioni), pontificie e non.
    5 punti
  2. Buonasera a tutti, è da parecchio tempo che non scrivo sul forum, che nel frattempo è profondamente cambiato nelle impostazioni e nell'impaginazione da come lo ricordavo! Spero di ritrovare ancora gli amici che ho lasciato, in particolare Mario (dabbene), Eligio, monbalda, fra crasellame, teofrasto, piergi00, ...sperando di non dimenticare nessun'altro! Vorrei riprendere da dove avevo lasciato, la mia passione principale ovvero la zecca di Asti nel suo periodo comunale, presentando un denaro in stile genovese (CNI 22) che presenta una differenza dai soliti denari di questo periodo, in quanto la crocetta in legenda al R/ non è attaccata al bordo, ma nettamente separata. Se non sbaglio questa variante non era stata inserita nel lavoro Astensis pubblicato sul forum. La crocetta in legenda è l'unica differenza tra le due monete, per il resto i caratteri (R, A, N, V, E), la disposizione di REX, ecc. mi sembrano del tutto sovrapponibili. Vorrei inoltre chiedervi se si qualcosa del MEC 12, che dovrebbe essere disponibile da fine mese, qualcuno ha già indiscrezioni? Ovviamente mi interesserebbe in particolare la parte sulla zecca di Asti. Saluti a tutti e a presto! + in legenda separata dal bordo. + in legenda unita al bordo.
    4 punti
  3. Salve a tutti. Con questa discussione volevo oggi focalizzare la vostra attenzione su una rarissima tipologia monetaria coniata a Napoli nei primi anni del regno di Filippo III d'Asburgo (1598-1621). Senza frapporre ulteriori indugi, passiamo alle descrizioni. 1. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto radiato, corazzato e drappeggiato volto a sinistra. Sotto, una croce tra due globetti. R/ MARGARI + AVSTR + CONIVXIT Busti dei sovrani Filippo III e Margherita d’Austria affrontati, posti su due cornucopie intrecciate. Tra di loro, nel campo, una corona reale. Sotto, 16.. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9 (fig. 1). · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1099 (tav. VIII del catalogo di vendita) – fig. 2. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, p. 22, n° 3 (tav. I, n° 3, proveniente dalla Coll. Catemario con un peso di 5,92 g.) – fig. 3 e 3 bis. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 183, n° 23 (rarità: R4). Fig. 1. Immagine tratta da Pannuti-Riccio, p. 140. Fig. 2. Immagine tratta dal catalogo di vendita della Collezione Sambon del 1897, tav. VIII. Fig. 3. Immagine tratta dall'articolo di G. Bovi del 1967 in BCNN, tav. I (ex Coll. Catemario). Fig. 3 bis. In questa immagine sembra che la moneta ritratta sia la stessa già appartenuta alla Coll. Catemario pubblicata dal Bovi e qui riportata in fig. 3. 2. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto simile al numero precedente. Dietro il busto, sigla comunemente interpretata come G. R/ Del tutto simile al numero precedente. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9a. · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1100. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, manca. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 184, n° 24 (rarità: R4). · CNI XX, p. 178, n° 27 (esemplare della Coll. Sambon). Al momento, l’unico pezzo conosciuto di questa varietà fu esitato nell’asta Varesi XXXIII Utriusque Siciliae del 30 maggio 2000, p. 63, lotto n° 316 (fig. 4). Il medesimo esemplare, prima di approdare in questa recente asta, era appartenuto a Giulio Sambon e dalla sua ditta fu venduto nel catalogo della sua collezione a Milano nel 1897. Successivamente, si registrò un altro passaggio in asta Ratto del 5 maggio 1959 (lotto n° 353), per concludere poi in asta Varesi. Fig. 4. Immagine tratta dal catalogo d'asta Varesi Utriusque Siciliae. Come si evince dal titolo, questa interessantissima moneta napoletana dal valore di un tarì (ovvero due carlini), oltre alla rarità e all’importanza numismatica, riveste anche un rilevante significato storico, espresso attraverso l’iconografia del rovescio. Il diritto non rileva nulla di eccezionalmente importante, fatto salvo per la sigla G dietro il busto della variante qui descritta al n° 2, ma che avremo modo di approfondire di qui a breve. Volevo quindi soffermarmi in particolare sul rovescio. La legenda è già di per sé molto eloquente, ricordando il matrimonio tra Filippo III e Margherita d’Austria. Quest’ultima (1584 – 1611) era figlia dell’Arciduca d’Austria Carlo II di Stiria (1540 – 1590) e nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Ferdinando I (1556 – 1564). Non era certo di bell’aspetto: i ritratti dell’epoca ce ne tramandando un’immagine caratterizzata dal celebre prognatismo asburgico, tuttavia era di carattere mite, molto religiosa (alcuni l’hanno definita addirittura bigotta) e tutt’altro disinteressata agli affari politici e alle celebrazioni di corte. Nel 1599 sposò il Re Filippo III per procura, portando alla Corona spagnola una dote di 100.000 ducati, e di lì a poco intraprese il viaggio verso la penisola iberica, dove la sua unione regale doveva essere confermata nella capitale Madrid. Durante il suo viaggio verso la Spagna, il corteo austriaco fece tappa a Milano dove, per celebrare la sosta della nuova Regina spagnola, fu inaugurata, nell’allora Palazzo Ducale, la prima sala cittadina predisposta all’esecuzione dell’opera, il cosiddetto Salone Margherita. Alla corte spagnola, Margherita divenne una donna molto potente: ella era affezionata al consorte, così come anche lui esprimeva un sincero sentimento nei suoi confronti, ma non disdegnava l’intromissione, quando era necessario, negli affari di Stato. Il legame tra i due regnanti è ben illustrato su questa moneta: l’unione matrimoniale è simboleggiata dalle cornucopie che s’intrecciano. Questo simbolismo di pace, amicizia e concordia era già stato adoperato nel mondo classico su alcune monete romane sorprendentemente simili, nell’iconografia, a quella in oggetto (fig. 5 e 6, per fare alcuni esempi). Non escludo che l’incisore che curò l’esecuzione dei conii di rovescio per questi tarì napoletani non abbia preso spunto diretto da una di queste due monete romane, forse presenti nelle raccolte reali partenopee già messe insieme dall’epoca aragonese per volere di Re Alfonso il Magnanimo. Fig. 5. Sesterzio coniato a Roma a nome di Druso, figlio dell'Imperatore Tiberio, intorno al 22 - 23 d.C. Le due teste che sormontano le cornucopie sono quelle dei nipoti di Tiberio e figli dello stesso Druso: Tiberio Gemello e Germanico Gemello. RIC I, n° 42 (under Tiberius). Ex NAC 51, lotto 171. Fig. 6. Sesterzio dell'Imperatore Antonino Pio coniato a Roma intorno al 149 d.C. I due bambini le cui teste sono poste sopra le cornucopie sono T. Elio Antonino e T. Aurelio Antonino, i due figli del futuro Imperatore Marco Aurelio e di sua moglie Faustina II, nati proprio nel 149 d.C. RIC III, n° 857. Ex CNG Triton VIII, lotto n° 1142. La Regina dimostrò molto peso nella scelta dei ministri e dei cortigiani che circondavano il sovrano, decretando la caduta di quelli a lei sfavorevoli ed incentivando l’ascesa di coloro che si rivelavano fedeli non solo alla Spagna, ma anche all’Austria, suo Paese d’origine. Era lei, infatti, che spesso decideva che poteva avere contatti con il Re e chi invece veniva escluso da questo rapporto privilegiato. Filippo, dal canto suo, era felice, non senza una punta di opportunismo, di condividere con la moglie i pesi della politica, sia interna che estera. La politica filo-austriaca di Filippo III si intensificò a partire dal 1600, quando, sotto l’influsso della zia Maria Imperatrice del Sacro Romano Impero, figlia di Carlo V, e della figlia di lei, monaca, il Re iniziò ad appoggiare finanziariamente la fazione cattolica attraverso l’Arciduca Ferdinando II d’Asburgo, futuro Imperatore (1619 – 1637) in quella che passerà alla storia come Guerra dei Trent’anni. Alla morte di Margherita, il 3 ottobre del 1611, Filippo, profondamente addolorato per la perdita, non si risposò più. Riprendendo il discorso sul tarì in questione, esso fu coniato a Napoli nell’anno 1600, come dimostra anche la dicitura del numerale 16.. espresso sotto le due cornucopie al rovescio. Ad un anno di distanza, quindi, dal matrimonio tra i sovrani che si era tenuto solo l’anno precedente. Secondo un’ipotesi, sicuramente attendibile, avanzata dal Sambon in occasione della vendita della sua collezione nel 1897, a proposito di queste monete, esse vennero battute per una visita che i Re di Spagna avevano progettato a Napoli proprio per quell’anno, ma che non si realizzò mai. Questi tarì dovevano quindi essere gettati al popolo durante la cavalcata dei Re in visita alla città. In previsione di un simile evento, il nuovo Viceré Fernando Ruiz de Castro Conte di Lemos, insediatosi a Napoli nell’ottobre del 1599 con la moglie Catalina de Zùniga ed il figlio Pedro Fernàndez che gli succederà poi nella medesima carica, ordinò, oltre alla coniazione di queste monete, anche la costruzione di un nuovo palazzo (l’odierno Palazzo Reale in Piazza Plebiscito) per ospitare il Re in visita con la consorte. A seguito dell’annullamento del viaggio reale a Napoli, la costruzione della nuova residenza continuò, mentre molti dei tarì di questo tipo già coniati vennero ritirati dalla circolazione e rifusi per recuperare il metallo in Zecca. In circolazione ne rimasero pochissimi, come ad esempio l’unico esemplare noto descritto qui al n° 2, che risulta anche tosato e che quindi testimonia una discreta quanto movimentata attività di circolazione. Questo provvedimento potrebbe spiegare anche l’eccellente livello di rarità raggiunto ad oggi da questi particolari tarì: partiamo dicendo che solo un esiguo numero di esemplari sfuggì al ritiro ed alla fusione e, per quelli che restarono in circolazione, non tutti sono pervenuti fino ai nostri giorni, il che porta ad abbassare drasticamente il numero di pezzi sopravvissuti alle vicissitudini storiche e quotidiane intercorse in un così lungo arco temporale. Da un primo confronto dei conii dei diversi esemplari qui illustrati, risulta facile notare come per il rovescio fossero stati preparati meno conii rispetto al diritto: le somiglianze tra i conii di rovescio, infatti, sono più strette e calzanti rispetto a quelle dei conii di diritto (in alcuni casi sembra sia stato usato proprio lo stesso conio, ma è difficile giudicare anche a causa della conservazione dei pezzi), il che fa presupporre che furono preparati più conii di diritto, ma, a confronto, pochi, se non pochissimi, di rovescio. Passiamo ora, finalmente, a parlare della sigla G che compare dietro il busto al diritto dell’esemplare n° 2, come già detto, conosciuto, al momento, solo in quest’unico pezzo. Nel periodo in cui furono coniati questi tarì, ovvero nell’anno 1600, nella Zecca partenopea lavorava Giovanni Antonio Fasulo come Maestro di Zecca. Costui, un banchiere di origini napoletane, aveva già ricoperto questa carica a partire dal 1594, sotto Filippo II, continuando a mantenerla anche sotto Filippo III fino al 6 settembre del 1611. Egli siglava le monete con le proprie iniziali: IAF, seguendo una dizione latina “Joannes (o Johannes) Antonius”, e GF, ovvero “Giovanni Fasulo” seguendo invece una dizione volgare, possiamo dire, se vogliamo, in termini più recenti, italiana. Entrambe le sigle sono espresse in monogramma. Nello stesso periodo, come Maestro di Prova, lavorava, accanto al Fasulo, Gaspare Giuno (o Juno), attivo già dal 1591 e risultante in carica fino al 6 giugno 1609. Egli siglava le monete con la lettera G o con GI in monogramma. Ora, nei testi, come ad esempio il CNI XX, viene riportato in merito a questo tarì con sigla, che la lettera G indicherebbe il Maestro di Prova Gaspare Giuno, ipotesi, questa, che è ancora tutt’oggi prevalente nel pensare comune quando si parla di tale moneta. Io, però, ho dei dubbi al riguardo: il solo Maestro di Prova, che, a differenza del Maestro di Zecca non aveva la responsabilità dell’intera attività monetale e non sempre era tenuto a siglare le monete a differenza, invece, del suo superiore, avrebbe potuto apporre la propria inziale omettendo, invece, quella del Maestro di Zecca? In realtà, a livello amministrativo, era quest’ultimo che rispondeva della qualità del lavoro in Zecca e dei prodotti monetari che vi uscivano, non il Maestro di Prova. Dunque, è più credibile che la sigla G non appartenga in realtà a Gaspare Giuno, come creduto finora, ma sia in realtà quella del Maestro di Zecca, ovvero di Giovanni Antonio Fasulo, responsabile della Zecca e, quindi, anche della coniazione di questo tarì commemorativo. Ne deriva che la sigla non può essere letta semplicemente come G, ma come GF (anche secondo criteri stilistici), il monogramma di Giovanni Antonio Fasulo, così come avviene ad esempio in altri nominali napoletani dello stesso periodo dove si ritrovano sullo stesso tondello le sigle GF e G (cfr. il carlino coevo con aquila e legenda di rovescio EGO + IN + FIDE del tipo Pannuti – Riccio, n° 16a). Anche se ci fosse stata la seconda sigla di Gaspare Giuno, essa sarebbe apparsa, probabilmente, sotto il busto del sovrano (come, ad esempio, nel tipo Pannuti-Riccio, n° 9 sotto il busto vi era una croce tra due globetti), come nel predetto carlino, in una parte della moneta che risulta purtroppo tosata. Infatti, non compare nessun’altra sigla nei campi, così come non possiamo immaginare che, in una coniazione ufficiale, appaia solo la sigla del Maestro di Prova, mentre viene omessa (per quale ragione plausibile poi?) quella più importante del Maestro di Zecca che garantiva, appunto, la bontà della moneta. In conclusione, secondo la mia opinione, la sigla che fino ad oggi si è malamente letta come G andrebbe letta per quello che in realtà è, cioè il monogramma GF del Maestro di Zecca dell’epoca. Ipotizzando la presenza della sigla G di Giuno, essa si sarebbe trovata sotto il busto, una parte della moneta purtroppo ad oggi perduta. Tale teoria sarebbe confermata se uscisse un secondo esemplare con la sigla dietro il busto ma con la parte sottostante non tosata. Per le sigle ho fatto molto affidamento su quanto pubblicato da P. Magliocca in Maestri di Zecca, di Prova ed Incisori della Zecca napoletana dal 1278 al 1734, Formia 2013. Ma ora lascio la parola a tutti coloro che vorranno intervenire con le proprie impressioni, commenti ed ipotesi: spero che anche questa discussione possa suscitare il vostro interesse.
    3 punti
  4. Proverbi o massime AERVGO ANIMI CVRA PECVLII, “l’amore del denaro (è) la ruggine dell’anima”. Non usa mezze misure papa Clemente XI (1700-1721), al secolo Giovanni Francesco Albani, quando fa imprimere questa legenda, ispirata ad un versetto (330) dell’Ars Poetica di Orazio, su un mezzo scudo d’argento (nota 10). Benedetto Odescalchi, invece, divenuto il 240° papa col nome di Innocenzo XI (1676-1689), sceglie il metallo più prezioso per far scrivere a chiare lettere dai suoi zecchieri su una doppia d’oro che QVI CONFIDIT IN DIVITIIS CORRVET, “chi confida nelle ricchezze andrà in rovina”. Concetto ribadito su un’altra doppia emessa a nome dello stesso pontefice sulla quale si può leggere MVLTOS PERDIDIT AVRVM, “l’oro ha mandato molti in rovina”, così come sul testone del già citato Clemente XI, sul quale la dicitura è MVLTOS PERDIDIT ARGENTVM (ove quest’ultimo vocabolo, oltre a riferirsi al metallo della moneta specifica, può essere tradotto anche semplicemente come denaro). In definitiva si potrebbe dire che FERRO NOCENTIVS AVRVM, “l’oro (è) più dannoso del ferro”, come sosteneva già Ovidio nelle Metamorfosi (1, 141) e come, evidentemente, pensava anche Clemente XI che fa imprimere tali parole sia su uno scudo d’oro che sul suo multiplo da due. Fig. 3: Roma, Clemente XI (1700-1721), Scudo d’oro A. XII. Al R/: FERRO NOCENTIVS AVRVM, in quattro righe (Da internet: rhinocoins). Sembra quasi che i due pontefici abbiano voluto fare a gara nel ricordare agli uomini i pericoli derivanti dal denaro, inteso come falso dio: così papa Albani ribadirà sull’oro (scudo) il versetto del Libro dei Proverbi (11,4) che recita DIVITIAE NON PRODERVNT, “le ricchezze non gioveranno”, che papa Odescalchi aveva già utilizzato su uno scudo d’argento con maggiore precisione: NON PRODERVNT IN DIE VLTIONIS, vale a dire “non gioveranno nel giorno del giudizio”. Fig. 4: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Scudo d’argento. Al R/: NON PRODERVNT IN DIE VLTIONIS, in quattro righe. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2520. Infatti QVI AVRVM DILIGIT NON IVSTIFICABITVR, “chi ama l’oro non sarà giustificato”; questo è quello che Clemente XI fa imprimere ancora sull’oro (doppia). Il perché lo ricorda Antonio Pignatelli di Spinazzola, divenuto papa col nome di Innocenzo XII (1691-1700); questo pontefice pio e benevolo, che sarà ricordato anche per la sua forte presa di posizione contro il nepotismo nella Chiesa e per aver affermato “i poveri sono i miei nipoti”, prese in prestito dal Libro della Sapienza (7, 9) le parole che si possono leggere su un suo testone: TAMQVUAM LVTVM AESTIMABITVR (nota 11), (il denaro) “sarà valutato come fango” (nota 12). Le conclusioni di questa ‘catechesi’ impartita da ben suoi tre predecessori saranno poi tratte qualche anno più tardi da Lorenzo Corsini, papa Clemente XII (1730-1740), che su un grosso farà osservare ai fedeli che quelli che accumulano denaro sono IMPLETI ILLVSIONIBVS, “pieni di illusioni” (nota 13), su un’altra moneta col medesimo nominale ricorderà che il denaro, se non impiegato cristianamente, VANVM EST VOBIS, “è cosa vana per voi”. Fig. 5: Roma, Clemente XII (1730-1740), Grosso 1739. Al R/: IMPLETI ILLVSIONIBVS, in quattro righe con la data. Ex Asta Artemide XXV, 2009, lotto n. 1873. Del resto già i due papi che lo avevano preceduto dopo la morte del suo omonimo avevano in qualche misura espresso quest’ultimo concetto: Innocenzo XIII (Michelangelo Conti, 1721-1724), infatti, aveva fatto osservare con un mezzo grosso che il denaro SATIS AD NOCENDVM, “basta per nuocere”( nota 14); Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini, 1724-1730), a sua volta, aveva scelto il grosso per ribadire che (il denaro) IVVAT ET NOCET, “giova e nuoce”, a seconda, evidentemente, dell’uso che se ne fa. Fig. 6: Roma, Benedetto XIII (1724-1730), Grosso. Al R/: IVVAT ET NOCET, in tre righe. Ex Asta Negrini 31, 2010, lotto n. 1749. Cosa fare, allora, della propria ricchezza? Lo si vedrà meglio nella parte della trattazione riservata a quelle legende che sono state classificate come ammonimenti e raccomandazioni oppure come incitamenti alla carità. Qui si può invece dire cosa non fare del denaro, almeno secondo l’insegnamento lasciato dai pontefici sulle monete. Di sicuro non è il caso di pensare soltanto ad accumularlo, o perché poi ne godranno altri, oppure perché farà una fine diversa da quella auspicata: è Innocenzo XIII, infatti, che su un giulio fa imprimere QVI ACERVAT ALIIS CONGREGAT, “chi accumula ammucchia per gli altri”, mentre Clemente XI lascia detto su un mezzo grosso CONSERVATAE PEREVNT, ossia “conservate (le ricchezze) vanno in fumo”. Né va dimenticato che una gran bella moneta fatta coniare tempo prima da Fabio Chigi, una volta divenuto papa col nome di Alessandro VII (1655-1667), aveva già avvertito, non soltanto a parole, ma anche con l’immagine presente nel campo, della circostanza che la quantità di preoccupazioni è proporzionale a quella del denaro. Su un giulio, infatti, attorno alla rappresentazione di un tavolo sul quale sono ammucchiate delle monete, si può leggere il verso tratto dalle Odi di Orazio (3, 16,17) che recita: CRESCENTEM SEQVITVR CVRA PECVNIAM, “l’affanno segue l’aumento del denaro”. Fig. 7: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Giulio. Al R/: CRESCENTEM SEQVITVR CVRA PECVNIAM, attorno a un tavolo, drappeggiato, con monete. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1325. Mai prestare denaro con un tasso di interesse eccessivo! E’ Clemente XI, con una doppia d’oro, a riprendere un concetto già espresso in proposito da papa Leone I Magno (440-461) (nota 15): FOENVS PECVNIAE FVNVS EST ANIMAE, “l’usura è la morte dell’anima” . Tanto meno pare opportuno lasciarsi sopraffare da atteggiamenti quali la cupidigia o l’avarizia. La prima, infatti, è definita da Innocenzo XI, non a caso su un pezzo dal gran valore intrinseco (una quadrupla d’oro), e sulla scorta della Prima Lettera a Timoteo (6, 10), come RADIX OMNIVM MALORVM, “radice di tutti i mali”. Alla seconda sono dedicate numerose emissioni, proprio per sottolinearne la lontananza dalla morale cristiana; così, seguendo la successione cronologica dei papi, si possono ricavare diverse sentenze in proposito: Innocenzo XI fa apporre su un mezzo scudo la legenda AVARVS NON IMPLEBITVR, “l’avaro non sarà (mai) saziato” (dal denaro), mentre affida ad una doppia, dunque al metallo più pregiato, il messaggio NIHIL AVARO SCELESTIVS, “niente (è) più scellerato dell’avaro”. Fig. 8: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Mezzo Scudo A. VII. Al R/: AVARVS NON IMPLEBITVR, in tre righe. Ex Asta Künker 165, 2010, lotto n. 600. Clemente XI, questa volta dalla zecca di Ferrara, dedica due coniazioni al tema in esame; la dicitura SCELERVM MATER AVARITIA, “l’avarizia (è) madre di delitti”, ispira quasi ribrezzo in chi la legge su un testone, mentre un sentimento di commiserazione si può forse provare meditando sulle parole QVIS PAVPER? AVARVS, “chi è povero? l’avaro”, impresse su un analogo nominale, con tanto di punto interrogativo. Fig. 9 e 10, nell’ordine: Ferrara, Clemente XI (1700-1721), Testone 1717. Al R/: QVIS PAVPER? AVARVS, in quattro righe con la data; Testone 1717. Al R/: SCELERVM MATER AVARITIA, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotti 2557 e 2558. Innocenzo XIII, infine, ribadisce una sorta di senso di pena per chi si fa soggiogare da questa condotta perché, come riportato su un testone, NVLLVS ARGENTO COLOR EST AVARIS, “il denaro non ha luce per gli avari”, dato che lo tengono sempre nascosto. Volendo tirare le fila del discorso sin qui seguito, si potrebbe dire con due monete di Clemente XI – un testone e un giulio, rispettivamente – che il denaro, a seconda del rapporto che si instaura con esso, IMPERAT AVT SERVIT, “comanda o serve”, e che PRVDENTIA PRETIOSIOR EST ARGENTO, “la saggezza è più preziosa”. Fig. 11 e 12, nell’ordine: Roma, Clemente XI (1700-1721), Testone 1702. Al R/: tavolo con sacchetti di monete; intorno IMPERAT AVT SERVIT e la data. Da Internet (Rhinocoins); Giulio. Al R:/ PRVDENTIA PRETIOSIOR EST ARGENTO, in quattro righe. Ex Asta Negrini 31, 2010, lotto n. 1746. Ciò è talmente vero che, come ricorda Innocenzo XI sia su un grosso che sulla sua metà, la saggezza non è un bene acquistabile col denaro; la legenda QVID PRODEST STVLTO, “che giova allo stolto”, richiama infatti un passo del Libro dei Proverbi (17, 16) nel quale si legge: quid prodest stulto habere divitias, cum sapientiam edere non possit? E cioè: “che giova allo stolto avere ricchezze, dal momento che non può comprare la saggezza”? La conclusione, a questo punto, la si può ricavare da un testone del medesimo papa che, parafrasando una frase di Gesù ricordata negli Atti degli Apostoli (20, 35), riporta: MELIVS EST DARE QVAM ACCIPERE, “è meglio dare che ricevere”. Fig. 13: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone 1686. Al R/: MELIVS EST DARE QVAM ACCIPERE, in cinque righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2522. Note: 10 - Si approfitta di questa nota per dar conto al lettore di alcune avvertenze: i nomi attribuiti alle varie monete citate nel presente lavoro sono quelli per esse adoperati da Mario Traina nel volume Il Linguaggio delle monete; in alcuni casi, come correttamente lo stesso Autore di volta in volta indica, essi differiscono da quelli utilizzati da altri (es. Muntoni); lo stesso discorso vale per le traduzioni in italiano e per quelle che vengono indicate come fonti alle quali le legende si ispirano. A titolo di esempio, per il Muntoni, la moneta con la legenda AERVGO ANIMI… è una mezza piastra e si cita come fonte San Giovanni Crisostomo. Cfr. Muntoni 1972-1974, vol. IV, p. 295. 11 - Nel presente articolo le legende sono presentate nella oro forma completa e corretta con l’avvertenza che sulle monete esse potevano apparire in realtà variamente abbreviate o con diverse grafie. Nel caso di specie la moneta in questione presenta la parola TANQVAM (per TAMQVAM). 12 - Su uno scudo d’oro di Clemente XII si legge: DE LVTO FAECIS, “dal fango della feccia”; la legenda, tratta dal Salmo 39, sottintende “il Signore mi ha liberato” e, per Traina, è riferita appunto all’oro. Cfr. Traina 2006, cit., p. 85. 13 - Traina ricorda come la fonte biblica (Salmi 37,8: Lumbi mei impleti sunt illusionibus) sia di incerta interpretazione, tanto che la legenda presente sulla moneta viene tradotta in vari modi come, per esempio, “pieni di fiamme” o “pieni di ignominie”. Cfr. Traina 2006, cit., p. 198. 14 - Secondo alcuni, la legenda va interpretata nel senso che anche una piccola moneta, come appunto il mezzo grosso in questione, “basta a far male”. Cfr. Monti 1883, III, p. 181. Ciò a conferma di quanto già presente su altre monete di pontefici precedenti: tanto Innocenzo XI sul grosso e sulla sua metà, che Clemente XI sul mezzo grosso, avevano fatto scrivere NOCET MINVS, “fa meno danni”. L’Autore sostiene che “potendosi con il denaro commettere molto di male, esso nuoce meno quando la moneta è piccina, come appunto le monetuzze su cui è impressa questa sentenza, che furono sempre di modesto valore” (cfr. p. 175). 15 - Dottore della Chiesa. La citazione completa è in Traina 2006, cit., p. 168. segue... P.S.: continuerò più tardi col secondo argomento "ammonimenti o raccomandazioni) ... adesso la famiglia chiama
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  5. Tra elemosina e dannazione. La ricchezza nelle monete dei papi (versione pre-print di un articolo pubblicato in due puntate su «Cronaca Numismatica», nn. 232 e 233, settembre e ottobre 2010). Prima di affrontare l’oggetto della presente indagine, occorre subito precisare che la stesura della stessa è stata enormemente facilitata dalla possibilità di usufruire di un prezioso strumento di lavoro: il repertorio di motti, imprese e legende delle monete italiane costituito dal volume Il linguaggio delle monete di Mario Traina. Di questo libro è stato detto e scritto in numerose e più che positive recensioni, ma è certo che, al di là delle parole, la sua importanza e la sua utilità saranno sempre più rimarcate dagli studi che sarà possibile realizzare grazie ad esso e dalle tante citazioni che, per un lunghissimo futuro, questo volume inevitabilmente riceverà da parte di chi, trovandosi a scrivere di numismatica, non potrà che trarre giovamento dall’utilizzo di uno strumento che mette a disposizione, in un’unica fonte, una miriade di preziose indicazioni e informazioni. Fatta questa doverosa premessa, ci si può addentrare nel tema specifico della trattazione, ossia l’utilizzo delle monete come strumento per la trasmissione di determinati messaggi. Più nel dettaglio, saranno oggetto di questo articolo alcune monete papali, prevalentemente (ma non solo) emesse tra il pontificato di Innocenzo XI (1676-1689) e quello di Clemente XII (1730-1740), attraverso le quali i papi dell’epoca hanno voluto diffondere, mediante appropriate legende, alcuni specifici insegnamenti relativi al denaro. In particolare sembrerebbe di poter classificare queste coniazioni in tre tipologie a seconda che quanto su di esse iscritto (e in qualche caso effigiato) sia riconducibile a proverbi o massime, a insegnamenti o raccomandazioni relativi alla ricchezza, a incitamenti alla (o esaltazione della) carità. In sostanza si ritiene di poter individuare, anche per la contiguità cronologica, una sorta di fil rouge che, in quel determinato periodo della storia della Chiesa, ha accomunato diversi pontefici che hanno scientemente utilizzato le loro monete per realizzare una sorta di ‘catechismo numismatico’ volto a insegnare un uso corretto del denaro. La cosa non deve stupire perché molto spesso la moneta ha avuto, tra le sue funzioni, anche quella di mezzo di propaganda e di trasmissione di messaggi da parte di chi aveva l’autorità per coniarla a chi doveva riceverla e utilizzarla. L’esistenza di una tale funzione, sia pure accessoria, tra quelle assolte dalla moneta, è confermata anche dal fatto che in qualche caso si è verificato il processo contrario, ossia l’apposizione di segni dei quali l’autorità era non mittente, ma destinataria e bersaglio: è questo il caso, ad esempio, delle contromarche OLIM e BOMBA apposte su alcune piastre di Ferdinando II delle Due Sicilie, proprio per sfruttare le potenzialità ‘comunicative’ delle monete a scapito del monarca. Semmai, d’acchito, ci si potrebbe meravigliare del fatto che sia stata la Chiesa ad utilizzare il denaro, cioè, come lo definì Giovanni Papini, lo ‘sterco del demonio’, per la diffusione del proprio insegnamento. In effetti, se si pensa all’episodio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio di Gerusalemme – raccontato in tutti e quattro i Vangeli – si potrebbe essere tentati di concludere che Egli abbia inesorabilmente emesso una condanna senza appello nei confronti del denaro. Opinione, questa, che parrebbe rafforzata anche da alcune parole pronunciate da Gesù nei confronti dei ricchi, come quel “guai a voi” a loro indirizzato secondo quanto riportato dall’evangelista Luca, oppure il “voi non potete servire Dio e Mammona” di cui parla Matteo. Fig. 1: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Mezzo Grosso 1761. Al R/: VAE VOBIS DIVITIBVS, “guai a voi ricchi”, in tre righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2588. Né può essere dimenticato che, nella storia del cristianesimo, si annoverano figure che hanno fatto del disprezzo del denaro una vera e propria norma di vita: il pensiero non può che correre a San Francesco che, nella sua Regola, ordinò fermamente ai suoi frati “di non accettare in alcun modo denari o pecunia per sé o per interposta persona” (nota 1). Tali considerazioni, tuttavia, non devono condurre automaticamente a concludere che sussista una incompatibilità assoluta tra l’essere buoni cristiani e l’agiatezza, perché ciò che viene condannato, in realtà, è il cattivo uso che può essere fatto della ricchezza e non la circostanza in sé di essere benestanti o, comunque, di avere del denaro. Già la Bibbia ebraica, infatti, non metteva in contrapposizione il possesso di beni col servizio a Dio; anzi conferiva alla ricchezza una dimensione teologica, configurandola come segno della benevolenza del Signore. Ciò che era richiesto al credente era l’offerta delle primizie del raccolto o dei primogeniti del gregge; egli doveva, cioè, separarsi da una parte del suo guadagno (non una parte qualsiasi, ma la prima) perché questo, oltre ad esprimere la riconoscenza verso Dio, rappresentava anche il fondamento teologico dell’elemosina. La condanna espressa dai profeti in diversi passi (nota 2) riguardava quindi non il possesso dei beni, ma il suo abuso, specialmente se si concretizzava in una spoliazione altrui. Gesù di Nazareth era un uomo, un ebreo, del tutto inserito nel contesto storico-geografico del suo tempo; ed era perfettamente a conoscenza delle Scritture e del loro significato più profondo. Perché, allora, sembra contraddire quanto rilevato poc’anzi, nel momento in cui lancia un’alternativa secca tra l’essere seguaci di Dio e la ricchezza, attribuendo a quest’ultima addirittura un nome? Eppure Gesù stesso ha dimostrato di conoscere ugualmente bene il denaro, tanto da utilizzarlo non solo come strumento per mettere a tacere i suoi detrattori nel famoso episodio della moneta di Cesare (nota 3), ma da citarlo, a volte con precisione, anche nelle sue parabole e nei suoi insegnamenti (nota 4). In realtà la contrapposizione è soltanto apparente o, meglio, c’è senz’altro, ma non è tra Dio e la ricchezza bensì tra la ‘deificazione’ di quest’ultima e Dio. Il denaro, Gesù ne è consapevole, può diventare in certe circostanze un dio, ecco perché gli attribuisce un nome, e come tale si contrappone inesorabilmente all’unico Signore. Anche la scelta dell’appellativo non è casuale: mammona, infatti, deriva dalla radice ebraica âman (nota 5), che indica la stabilità, la sicurezza, la solidità; dunque Mammona si offre come un dio che promette ai suoi adepti questi benefici, ma si rivela anche bugiardo perché non può liberare l’uomo dalla sua vera e più grande paura, che è quella della morte (nota 6). Il Vangelo però, dopo aver condannato questo falso dio, suggerisce anche la via giusta da seguire, che non coincide necessariamente col ripudio della ricchezza o con la rinuncia totale ad essa, bensì con il suo impiego ‘giusto’. L’episodio che conferma tutto ciò è quello di Zaccheo, il capo degli esattori inviso e odiato dai suoi concittadini di Gerico sia per le modalità della sua professione, sia per il fatto che essa lo rendeva complice (nota 7) dell’occupante romano: quando Gesù lo scorge in cima all’albero sul quale era salito per vederlo, gli domanda ospitalità; il pubblicano, pieno di gioia per questa richiesta e per l’incontro con Lui, non rinuncia al suo denaro né lascia la sua professione (come aveva fatto Lévi-Matteo e come farà Francesco d’Assisi) ma promette di dare la metà dei suoi beni ai bisognosi e di compensare i suoi torti finanziari rimborsando ben più di quanto aveva sottratto agli altri. Ecco dunque che il corretto uso del denaro e della ricchezza non si contrappone affatto all’essere un buon credente, anzi un buon cristiano, tanto che i propositi di Zaccheo sono così ben accolti e apprezzati da Gesù da fargli affermare: “oggi la salvezza è entrata in questa casa” (nota 8). In altri termini si può parlare di “libertà evangelica ” (nota 9) riguardo ai beni: si può decidere di fare una scelta radicale, come appunto quella di Matteo o di San Francesco, o di optare per una via meno definitiva, ma altrettanto valida, come quella di un utilizzo corretto della ricchezza, aperto, soprattutto, alla carità e alla costruzione della giustizia sociale. Tutto ciò premesso, non ci si deve stupire più del fatto che diversi pontefici abbiano voluto, in qualche misura, ribadire queste considerazioni facendo imprimere su alcune loro monete delle legende volte a istruire il popolo a un uso ‘cristiano’ del denaro, attraverso – come si diceva in apertura – proverbi, ammonizioni o raccomandazioni, inni alla carità. Fig. 2: Roma, Clemente XII (1730-1740), Testone. Al R/: DABIS DISCERNERE INTER MALVM ET BONVM, “darai la facoltà di distinguere il bene dal male”, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 414. Secondo Traina, la legenda, tratta da un versetto del Primo Libro dei Re si riferisce al denaro, che può essere usato a fin di bene o male; da qui l’appello affinché Dio ne conceda un giusto uso. Note: 1 - Precipio firmiter fratribus universis ut nullo modo denarios aut pecuniam recipiant per se vel per interpositam personam. Cfr. Merlo G.G., in Travaini 2009, p. 150. 2 - Cfr., ad es., Isaia 10, 1-3. 3 - Cfr. Lémonon in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24. 4 - Sulle citazioni numismatiche fatte direttamente da Gesù o comunque presenti nel Vangelo, cfr. Colombo 2003 e Amisano 2009, nonché le relative indicazioni bibliografiche per trattazioni meno recenti di tale tematica. 5 - Queste considerazioni sul valore della ricchezza nell’Antico Testamento, sul significato del nome “Mammona” e sull’interpretazione delle parole di Gesù in proposito sono tratte da un saggio a sua volta contenuto in un fascicolo di una rivista religiosa dedicato in gran parte al tema del rapporto tra Dio e denaro. Cfr. Marguerat in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9. 6 - Cfr. la parabola del ricco proprietario in Luca 12, 16-20, che si conclude con le parole “stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. V. infra. 7 - Cfr. Andreau, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19. 8 - Cfr. Luca 19, 1-10. La “salvezza” deriva a Zaccheo dall’aver saputo capovolgere, grazie all’incontro con Gesù, il suo rapporto col denaro: prima era quest’ultimo a scandire la sua vita causandogli invidie e isolamento e perciò distruggendo le sue relazioni; ora è lui a dominarlo e a decidere della sua funzione e, quindi, a costruire grazie ad esso dei ‘ponti’ verso gli altri. 9 - Cfr. Marguerat, cit., p. 9. segue...
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  6. Come detto, la Porta Santa costituisce il simbolo forse più rappresentativo dell'anno giubilare, proprio in virtù del suo significato e l'abbiamo già vista rappresentata in diverse monete fin qui presentate. Continuo con un altro esempio, un altro testone della mia collezione, sempre per il Giubileo del 1575 indetto da Gregorio XIII. Testone stavolta coniato non a Roma ma ad Ancona (zecca estremamente prolifica durante tutto il pontificato di Papa Boncompagni), in cui al R/ troviamo la legenda "IVSTIS PATET", ovvero "E' aperta per i giusti", evidente riferimento proprio alla Porta Santa. Munt 186
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  7. Vorrei iniziare , con la collaborazione degli amici della Sezione e naturalmente con l' aiuto di tutti quanti sono interessati al tema del post , una escursione antica nelle varie Regioni d' Italia dove sono documentate antiche attivita' estrattive di Minerali sia per destinazione domestica e militare , sia di destinazione a tesaurizzazione . Credo che il post , anche se non di facile realizzazione , possa comunque essere interessante perché la civilta' in generale e la nostra in particolare , essendo l' Italia in genere scarsa di risorse minerarie , si e' sviluppata anche grazie e questi doni della madre Terra . Fatta questa breve premessa comincerei quindi la ricerca dalla mia Regione , il Lazio , con la speranza di raccogliere consensi al fine di percorrere tutta l' Italia antica alla ricerca delle antiche attivita' estrattive e metallurgiche . In base a recenti studi sulle fonti di approvvigionamento di metalli nell' antichita' , nell' ambito regionale del Lazio e tenendo conto che spesso i minerali venivano sfruttati anche a cielo aperto , fa risaltare il fatto che questa regione era estremamente povera di risorse minerarie , sia di metalli per cosi' dire "poveri" , sia in particolare di quelli nobili . La zona mineraria antica piu' importante del Lazio , gia' sfruttata dagli Etruschi , si trovava nell' alto Lazio ed era quella dei Monti della Tolfa situati ad Est di Civitavecchia , dai quali si estraevano : Blenda , Galena argentifera , Pirite , Alunite e Cinabro . Ricca di Rame , con presenza di Argento e Nichel , era la Calcopirite di Ponte San Pietro , da qui proveniva anche il Piombo che si estraeva dalla Galena ; Ponte San Pietro e' una localita' vicino Viterbo . A sud del Tevere la situazione mineraria era tutt' altro che rosea , le uniche risorse estrattive provenivano dalle sabbie del litorale romano , in particolare da quelle di Anzio e Torre Astura , dalle quali si ricavava la Cassiterite ( Stagno ) e Oro ; Il Ferro era praticamente mancante , tranne tracce nelle sabbie suddette ed alla foce del Garigliano , anche presso la Solforata vicino a Pratica di Mare si trovava del Ferro . Un po' diversa era la situazione nel basso Lazio , dove nei Monti della Meta , al confine tra Lazio , Molise e Campania , venivano estratti Ferro , Argento e Rame . Come si nota le risorse minerali dell' antico Lazio erano veramente scarse ed il fatto che anche nei secoli successivi , fino al nostro , non sono state trovate nella Regione altre risorse oltre a quelle gia' conosciute dagli antichi prospettori , cio' va a conferma della bravura ed abilita' degli antichi "geologi" . Per finire e' stata eseguita una analisi metallografica su un antico reperto trovato nel Lazio , uno Spillone in Bronzo , l' analisi ha rivelato una percentuale di Rame al 82% , 10% di Stagno , 7% di Piombo , e il rimanente 1% in totale tra Argento e Nichel . Sotto , le localita' metallifere laziali : Monti della Tolfa , Monti della Meta , Ponte San Pietro ,Torre Astura .
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  8. Buona sera a tutti come ogni anno saremo presenti al convegno di Verona... vi attendiamo numerosi allo stand 247 G.... se volete ...come sempre...punto di incontro fra gli amici Lamonetiani... a presto RR
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  9. Completo la stupenda carrellata degli argenti del Giubileo-Sede Vacante 1700 con la foto del giulio più raro,anche se malridotto
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  10. Complimenti Michele, sia per la discussione che per i favolosi testoni postati....e quelli che seguiranno ! Vorrei aggiungere che anche la monetazione della Vacanza Pontificia ha visto 2 volte "l' ANNO IVBIL", la Sede Vacante 1700 del Cardinal Spinola ha ricordato questo evento con una discreta rappresentazione, allego quanto ho umilmente raccolto di questo Camerlengo : Un particolare..... Daniele
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  11. Mario, come risposta che ne dici de "il Forum"? Con il Forum è tutto più semplice, la potenza comunicativa è impressionante direi. Possiamo tenerci in contatto con amici vecchi e nuovi, tutti possono leggere... E infatti guarda caso alcuni eventi, alcune proposte, nascono proprio sul Forum; Milano Numismatica direi che ne è un perfetto esempio. Come mettere in contatto gente con orari diversi, magari impegnata (per lavoro, motivi famigliari o altro) nei momenti in cui di solito ci si ritrova "realmente"? E soprattuto come fare in modo che la cronologia dei vari messaggi, scambi, dialoghi sia sempre disponibile e trasparente? Facile, usiamo il Forum! Al termine di una giornata impegnativa o in un buco libero tra i vari impegni basta andare su LaMoneta e aggiornarsi sulla situazione, fare una domanda, approvare una scelta e dire la propria. E scusate se è poco... Antonio
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  12. Per scusarmi per la gaffe commessa poco fa, segnalo allora due monete di Clemente VII (Giubileo del 1525) per la zecca di Roma rarissime passate di recente in Asta Varesi 69 ANPB - lotti 764 e 765. Entrambi Quarti di ducato in argento, - la prima rappresenta su un lato il presepe ed in legenda HODIE SALVS FACTA EST MVNDO ed in Esergo CLEMENS VII ||ANNO IVBI || LAEI e nell'altro lato la Rappresentazione della Porta Santa con in legenda PORTAE CAELI APERTAE SVNT - la seconda rappresenta al D/ il busto del pontefice con al retro la Porta Santa chiusa, sormontata da timpano, con ai lati le nicchie dei Santi Pietro ( a destra) e Paolo (a sinistra) ed in legenda IVSTI INTRA || RVNT IN || EAM
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  13. Ci provo in questo modo: qualche anno fa, era il 2010, su quella bella rivista (della quale sentiamo tutti la mancanza) che era «Cronaca Numismatica», ebbi modo di pubblicare un articolo, in due puntate, che potrei definire "in tema" con questa discussione. Si trattò di una riflessione su alcune emissioni papali, coniate quasi tutte in un determinato periodo, con le quali i Pontefici del tempo, proprio attraverso le monete e i messaggi che attraverso le legende impresse su di esse era possibile veicolare, cercarono di insegnare un uso corretto del denaro e della ricchezza in generale. Il titolo dell'articolo era: Tra elemosina e dannazione. La ricchezza nelle monete dei Papi. Il curatore Roberto Ganganelli, al quale lo avevo proposto, e che lo accolse, mi fece il grande onore di dedicargli anche la copertina del primo dei due numeri sul quale comparve, in quanto servizio di apertura. Ecco qui la copertina di allora: Penso - e spero di non sbagliare in questo - che una sua riproposizione all'interno di questa discussione possa risultare utile come ulteriore contributo alla stessa, oltre che una occasione per chi non lo lesse allora di farlo adesso.
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  14. Presente al pranzo pure io. Vedremo con quanti amici... @417sonia Fino a quando è possibile dare conferma..? Arka
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  15. Clemente VII, mezzo giulio per Piacenza coniato in occasione del Giubileo del 1525. Interessante come la moneta sia anonima (non riporta infatti il nome del pontefice) ma l'attribuzione comunque possibile ed univoca: la legenda del diritto riporta "REGNANS APERIT CLAVDIT", durante il suo regno aprì e chiuse [l'Anno Giubilare]. Buona giornata, Antonio
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  16. Riprendo il discorso sulla scritta riferentesi all’etnico avendo notato che negli esemplari del British Museum, in quelli passati nelle aste della CNG e in quelli su wildwinds, essa è regolarmente costituita dalle quattro lettere K Y P A variamente disposte. Negli esemplari in acsearch la scritta è ancora questa tranne una probabile eccezione qui documentata (NAC 84, lot 755) e le due eccezioni, date per certe, rappresentate dagli esemplari ai post # 39, 40 e 41. Greek Coins Cyrene Tetradrachm circa 380, AR 13.20 g. [K] – Y / P – E Silphium plant with four leaves; at base, two dolphins, one swimming downwards and the other upwards. Rev. AP[…]OSIOS Head of Zeus Ammon r. An apparently unrecorded and extremely interesting variety. A wonderful portrait and an enchanting old cabinet tone, minor traces of double-striking on reverse, otherwise about extremely fine. Ex Leu sale 53, 1991, 173.Apparently unpublished and unique. Rather interestingly the obverse legend, KYPE…(?) gives the city name in Attic Greek as opposed to the usual Doric KYPA for KYPANAION.
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  17. Un grande enigma probabilmente destinato a rimaner tale in assenza di una visione dal vero del pezzo, giusto per stabilire la bontà del pezzo. Credo che, viste tutte le considerazioni fatte, stabilire ciò solo sulla base delle considerazioni stilistiche e iconografiche sia impossibile. Il non c'entrare è significativo e non significativo al tempo stesso. Fa parte del bello della numismatica trovarsi di fronte a rompicapi come questo! Comunque di una cosa credo si possa esser certi... in qualunque modo la si giri, dentro la ghirlanda c'è un quadrupede più o meno capirforme... che poi sia una capra o un cavallo mal fatto è un altro discorso, ma ritengo sia innegabile che si tratti di un animale.
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  18. L'area di emissione nord africana è compatibile con l'area di circolazione dei minimi tardivi ispirati ai Tetrici. Potrebbe starci come mix di varie influenze e potrebbe essere un unicum (almeno finora). Fermandoci qui sarebbe tutto molto bello e suggestivo. Ma... Le imitative nordafricane erano prevalentemente ispirate ai Tetrici con rovesci molto stilizzati, spessotnon riconoscibili, ma (non ne ho memoria almeno) non riprese dal bestiario di Gallieno. C'era poi tutto il filone derivato dalla serie DIVO CLAVDIO che aveva una diffusione e produzione non trascurabile nel territorio nord africano. Certo, nulla vieta che Gallieno o sue imitative galliche circolassero in Africa e che abbiano costituito il prototipo di partenza per questo pezzo, ma... Sebbene suggestivo continua a rimanere dubbioso. Il pezzo lo avete visto dal vivo?
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  19. DE GREGE EPICURI Ho acquistato recentemente questo bronzo punico di 5,1 g. e 19 mm. La tipologia è quella (nota per la Sardegna) con Tanit verso sinistra al D, ed una protome di cavallo a dx al roescio. Ma c'è una differenza: mentre di norma Tanit ha il collo nudo, in questo caso è presente un "collarino", che probabilmente è il colletto di un abito (e non una collana). In questo caso, sotto alla protome equina è anche presente la lettera punica ayn. Mi è stato detto da più parti, da collezionisti di queste monete, che si tratta di una produzione "barcide", cioè prodotta in Catalogna, forse proprio nei pressi dell'attuale Barcellona, ma non ho potuto approfondire l'argomento con bibliografia adeguata, tanto più che in rete non è facile studiare le monete puniche. Spero che qualcuno ne sappia di più, e mi dia una mano.
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  20. Continuando con le zecche piemontesi : Zecca di Casale Guglielmo II Paleologo (1494-1518). Cornuto AG gr. 5,56. CNI 43. MIR 187.
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  21. Salve, ho saputo da un amico che poche ore fa il sig. Palma commerciante e NIP sempre presente a numerosi convegni è stato vittima di ladri che li hanno rubato le monete che commerciava. Purtroppo non avendo un contatto diretto con lui non ho altri dettagli. Spero che lui che qui sul forum è iscritto e talvolta interviene quando magari si sarà un po' ripreso voglia fornire indicazioni che a noi tutti possano aiutarci a tenere gli occhi aperti su presenze o apparizioni di materiale numeroso e sospetto. Il furto è avvenuto nella provincia di Venezia e che io sappia riguarda monete prevalentemente antiche, medievali, veneziane e antichi stati italiani. Esprimo la mia solidarietà al sig. Palma augurandogli di riottenere ciò che gli è stato sottratto.
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  22. Buonasera non riesco a catalogare e dare un valore a questa moneta di Milano pesa 25.90 gr diametro 3.30 cm saluti Simone
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  23. Questo è il Mausoleo di Galla Placida a Ravenna
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  24. Inni o incitamenti alla carità Nell’Antico Testamento l’elemosina costituisce prevalentemente un dovere religioso che finisce con l’assumere, in seconda battuta, una valenza sociale. Con l’insegnamento di Gesù, queste due funzioni vengono a coincidere perché attraverso la ‘carità’ si persegue l’imitazione di Cristo e, contemporaneamente, si conferisce al denaro una doppia funzione salvifica: da una parte si liberano i bisognosi dalle loro necessità materiali e imminenti, dall’altra ci si prepara a godere, un giorno, dei frutti della ricompensa divina. In questa ottica, il denaro, se così impiegato, si trasforma per poveri e ricchi in sorgente di vita e perde quella caratteristica di essere generatore di ingiustizia, che gli deriva dal suo naturale distribuirsi in maniera non uniforme tra gli uomini. Non a caso, dunque, nella monetazione in esame in questo lavoro, sono ravvisabili numerosi esempi di legende che si sostanziano in incitamenti alla – o esaltazione della – carità. SERITE IN CARITATE, “seminate (o distribuite) in carità”. È l’invito espresso che papa Benedetto XIII fa apporre su un mezzo grosso (nota 23). Ma il suo insegnamento non finisce qui; egli, infatti, ricorda, facendolo scrivere su un giulio, che il denaro dato IN CARITATE MVLTIPLICABITVR, “per carità, si moltiplicherà”, mentre su un testone ripropone un versetto del Libro dei Proverbi (19, 17) già utilizzato in precedenza da Clemente XI su un nominale analogo: FOENERATVR DOMINO QVI MISERETVR PAVPERI, “fa un prestito al Signore chi ha compassione del povero”. In proposito Gesù è stato molto esplicito. Nel racconto del giudizio finale Egli anticipa che separerà i giusti dagli iniqui, premiando i primi per avergli dato da mangiare e da bere, per averlo ospitato, vestito, e curato attraverso la carità fatta ai bisognosi: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 40). Si può perciò essere certi che il Signore non dimenticherà il suo essere in qualche modo ‘debitore’ nei confronti di chi si è dimostrato caritatevole verso i poveri; questo è il senso del PRODERIT IN TEMPORE, (la carità) “gioverà a suo tempo”, che si può leggere su un grosso di Benedetto XIII, nonché del DELICTA OPERIT CARITAS, “la carità riscatta le colpe”, e del QVI MISERETVR PAVPERI BEATVS ERIT, “chi ha pietà del povero sarà beato”, che Clemente XI affida, rispettivamente, a un giulio e a un testone. Fig. 24: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: DELICTA OPERIT CHARITAS, in tre righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1197 Dunque l’invito che il Maestro rivolge al cristiano, e che alcuni papi ribadiscono in moneta, è chiaro; così Innocenzo XII, prendendo in prestito le parole del profeta Daniele (4, 24) scrive su un giulio: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, “riscatta i peccati con le elemosine”, mentre Benedetto XIII incoraggia il cristiano ricordandogli, con un mezzo grosso, PRO TE EXORABIT, (la carità) “pregherà per te”. Fig. 25: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Giulio 1699. Al R/: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2537. DA ET ACCIPE, “da’ e ricevi”. Questo doppio imperativo presente su un mezzo grosso di Clemente XI altro non fa se non ribadire l’idea che la carità arricchisce chi ne beneficia e anche chi la pratica. Già molti anni prima il papa Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni, 1572-1585) aveva dedicato a questo concetto due belle monete, battute nella zecca di Ancona, sulle quali la legenda DAT ACCIPIT REDDIT, “dà, riceve e restituisce”, si accompagnava con la rappresentazione allegorica di questa forma superba di amore: la Carità con in braccio due bimbi e un terzo al fianco (scudo d’oro) oppure un bambino tra le braccia e due ai lati (giulio) [nota 24]. San Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi eleva alla Carità quello che è considerato il suo inno più bello (13, 1-13), suggerisce nella Seconda Lettera inviata alla stessa comunità (9, 7) di donare con gioia. Le sue parole sono state riprese da Alessandro VII, che su una doppia fa riportare: NON EX TRISTITIA AVT EX NECESSITATE, “non (dare) con tristezza o per forza” e su un grosso HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS, “Dio ama chi dona con gioia”. Fig. 26: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Grosso. Al R/: HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1128. Il concetto di caritas, specialmente dopo il suo compimento con l’insegnamento e l’esempio di Gesù Cristo e la sua esatta definizione negli scritti del Nuovo Testamento, andrebbe inteso col significato generale e più ampio di amore del prossimo e di dono di sé. Non si può però negare che esso abbia anche una valenza specifica di attenzione e sostegno ai poveri e ai miseri, dato che questi ultimi hanno sempre goduto di particolare attenzione e predilezione da parte di Dio, come testimoniato in numerosi passi delle Sacre Scritture e come ribadito anche in moneta: il grosso di Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini, 1740-1758) sul quale si leggono le parole OCVLI EIVS IN PAVPEREM, “i suoi occhi rivolti al povero”, ne è una conferma. Fig. 27: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso 1743. Al R/: OCVLI EIVS IN PAVPEREM, in quattro righe con la data. Da Internet (Rhinocoins) HABETIS PAVPERES, “avete i poveri” (con voi). Questa frase, attribuita nel Vangelo di Matteo (cfr. 26, 11) a Gesù, è presente su un grosso di Clemente XII, quasi come promemoria per ricordare a tutti che, purtroppo, la povertà e il bisogno sono sempre presenti. Perciò non può che definirsi retto chi li ha a cuore. Due papi hanno voluto ricordare in moneta questo ultimo concetto espresso anche nel Libro dei Proverbi (29, 7): NOVIT IVSTVS CAVSAM PAVPERVM, “il giusto non ignora la causa dei poveri”, è infatti quanto si può leggere su uno scudo e su un grosso, rispettivamente, di Innocenzo XII e Benedetto XIV. Non stupisce, quindi, la pressante serie di esortazioni a prestare attenzione ai miseri che il gruppo di pontefici in esame si preoccupò di pronunciare facendo parlare le proprie monete. DA PAVPERI, “da’ ai poveri” è la forma più sintetica e immediata di questi inviti che fanno apporre prima Innocenzo XII su un mezzo grosso, e poi Clemente XIII su un grosso (nota 25), ma non è l’unica. Fig. 28: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1696. Al R/: DA PAVPERI, in tre righe con la data. Da Interne (CNG coins). Note 23 - Sulla moneta compare CHARITATE che è “grafia tarda e specificamente cristiana per accostamento paretimologico col greco CHARIS, grazia”. Cfr. Traina 2006, cit., p. 398. Considerazioni analoghe valgono per le legende IN CHARITATE MVLTIPLICABITVR e DELICTA OPERIT CHARITAS. 24 - La stessa impronta sarà ripresa in pieno XX secolo nella monetazione di Pio XII e Giovanni XXIII. Molto simile anche lo scudo d’oro di Gregorio XIII, con la Carità in piedi, un bimbo in braccio e due ai fianchi, e la scritta DEVS CHARITAS EST, “Dio è amore”, tratta dalla Prima Lettera di Giovanni Apostolo (4, 8). 25 - In qualche caso i papi non si limitarono soltanto a invitare ad opere di carità, ma provvidero essi stessi direttamente. Un grosso e un mezzo grosso di Clemente XI con la legenda DEDIT PAVPERIBVS, “ha dato ai poveri”, ricordano l’azione del pontefice che, appena salito al soglio pontificio, destinò 10.000 scudi del suo patrimonio privato all’acquisto di cibo e altri beni per i poveri. Cfr. Traina 2006, cit., p. 87. Segue...
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  25. segue (Ammonimenti o raccomandazioni) 6 - NOLITE THESAVRIZARE, “non tesaurizzate”. Innocenzo XI, testone. 7 - AVRI IMPERIO NE PARETO, “non obbedire al comando dell’oro”, Clemente XI, scudo d’oro. Fig. 19: Roma, Clemente XI (1700-1721). Scudo d’oro. Al R:/ AVRI IMPERIO NE PARITO (evidente errore per PARETO). Da Internet (rhinocoins) 8. NON AVRVM SED NOMEN, “non l’oro ma la reputazione”. Lo scudo di Clemente XI per Ferrara, sul quale campeggia tale espressione, è un chiaro avvertimento fatto dal papa a privilegiare l’essere stimati per il proprio buon nome piuttosto che per la ricchezza. 9. NON CONCVPISCES ARGENTVM, “non bramerai il denaro”. Questo frammento di un versetto del Deuteronomio (7, 25) può apparire come naturale prosecuzione – quasi una conseguenza – dell’iscrizione precedente; anch’esso fa parte dell’insegnamento lasciato da papa Clemente XI che la fa apporre su cinque tipi variati di giulio. Fig. 20: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: NON CONCVPISCES ARGENTVM, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 409. 10. NOLI AMARE NE PERDAS, “non amare (il denaro) per non perdere” (la tua anima). L’ammonizione compare su un testone di Innocenzo XII e si ispira ad uno scritto di Sant’Agostino (nota 20). 11. NOLI ANXIVS ESSE, “non ti angustiare” (per il denaro). Anche in questo caso è un testone, emesso però a nome di Innocenzo XI, a riportare l’ennesimo avvertimento contro l’ansia da possesso di denaro. Fig. 21: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone. Al R/: NOLI ANXIVS ESSE, in tre righe. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1344. 12. NOLI LABORARE VT DITERIS, “non ti affannare per arricchire”. Clemente XI trae dal Libro dei Proverbi (23, 4) questo versetto che occupa il campo di un giulio per sottolineare, ancora una volta, il concetto della futilità dell’atteggiamento di chi, in qualche misura, si ‘tormenta’ pur di arricchire. 13. SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, “se affluiranno non date loro il cuore”. Soggetto della legenda proposta da papa Clemente XI su un giulio sono le ricchezze che, evidentemente, non devono diventare oggetto d’amore da parte di chi dovesse vederle comparire tra le proprie disponibilità. La fonte dalla quale è stata tratta questa raccomandazione è il Salmo 61 (v. 11) ed è presente, in forma ridotta, anche su altre due tipologie monetali: un grosso dello stesso Clemente XI, dove compare come NOLI COR APPONERE, e un testone di Innocenzo XI sul quale, invece, l’imperativo è impresso nella forma plurale NOLITE. Fig. 22: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio 1703. Al R/: SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, in sei righe con la data. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1195. 14 - NON SIBI SED ALIIS, “non per sé ma per gli altri”. L’iscrizione, che si trova su un mezzo scudo di Innocenzo XII, sovrasta la figura di un pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi pulcini. Un tempo si riteneva erroneamente che questo palmipede avesse la capacità di nutrire o, addirittura, di resuscitare i suoi piccoli nutrendoli del proprio sangue. Per questo nella simbologia cristiana è stato spesso accostato allo stesso Cristo, in quanto segno di Colui che offre la propria vita per la salvezza di quelli che sono stati da Lui generati. Nella teologia medievale il pellicano rappresenta più esattamente Gesù che si lascia inchiodare alla croce, donando il suo sangue per la redenzione dell’umanità. Un simile accostamento è presente, ad esempio, nella Divina Commedia (nota 21), così come in una preghiera del Corpus Domini di Tommaso d’Aquino (nota 22). La moneta descritta fu emessa per ricordare la carità fatta dal papa ai poveri accolti nell’ospizio di San Michele e nel palazzo del Laterano; chiaro, perciò, il significato da attribuire all’insieme immagine-legenda: il denaro va speso per il bene altrui e non per il proprio. Fig. 23: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo Scudo 1693. Al R:/ NON SIBI SED ALIIS, disposta ad arco su pellicano che si squarcia il petto per alimentare i suoi piccoli; sulla destra la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2533. Si è scelto di chiudere l’insieme di norme in materia di comportamenti da tenere nei confronti della ricchezza – che si è voluto definire ‘codice’ – con quest’ultimo invito presente sulla bella moneta appena illustrata, perché sembra fungere da naturale raccordo con quella che rappresenta la terza parte del presente lavoro e il completamento della ‘catechesi numismatica’ in esame: l’esaltazione della carità e il conseguente incoraggiamento a praticarla costantemente. NOTE 20 - S. Agostino, Trattato 124 sul vangelo di Giovanni. Cfr. Traina 2006, cit., p. 290. 21 - Dante accosta la scena dell’ultima cena in cui l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro con la figura del pellicano: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto”. Cfr. Paradiso, XXV, 112-114. Il “grande officio” è costituito dal compito di accogliere Maria nella sua casa, assunto da Giovanni allorché Gesù gli disse, dall’alto della croce: “ecco tua madre” (Cfr. Giovanni, 19, 27). 22 - “Fa’, Gesù, Signore e Salvatore, prezioso Pellicano, che io peccatore riceva purificazione dal tuo sangue”. Cfr. Schmidt 1988, p. 90, richiamato da Traina 2006, cit., p. 298. Segue...
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  26. Complimenti RobertoRomano, e' indubbiamente il piu' raro, tienilo stretto pur se malridotto.... abbiamo visto recentemente un esemplare nell'asta 2 della Picena, (personalmente era il primo che vedevo), allego l'immagine a completamento delle precedente Daniele
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  27. Ti ringrazio Enzo di avermi citato. La lira del 1901 la considero Mb. Oltre all'evidente usura dei figurati, alla mancanza totale di freschezza del metallo, quello che porta in basso il grading è sicuramente il bordo martoriato a dire poco. Per la lira del '17, vale lo stesso discorso, anche se sta un tantino meglio, quanto meno non ha il bordo massacrato. L'amico @Max68Busca dovrebbe fare le foto almeno a fuoco, altrimenti si vedono anche difetti che "forse" non ci sono. Un caro saluto
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  28. Forse @villa66 può aiutarti... Saluti Simone
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  29. Concordo pienamente con @ZuoloNomisma che l'indicazione del "VII" in esergo a quel quarto di ducato vada attribuito al Pontefice Clemente VII e non ad una errata attribuzione del numerario giubileare. Con riferimento alla stessa moneta, è interessante notare la presenza dell'immagine del presepe che come viene rilevato da diversi potrebbe sembrare anomala in una ricorrenza giubilare. In realtà era diventata una norma aprire il giubileo il 24 dicembre e pertanto niente di più appropriato. Al riguardo, segnalo un volumetto pieno di annotazioni sulle monete giubilari: Giancarlo Alteri - Monete degli Anni Santi - Roma 1999
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  30. Puoi contattare il dr Bernhard Weisser che ha sostituito Bernd Kluge. Scrivendo direttamente il Berliner Muenzkabinett ( Bodenstrasse 3 , 10178 berlin)
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  31. Salve. Concordo pienamente con quanto ha già detto @appah: la moneta è quella, un follaro in rame di Gaeta a nome di Guglielmo II (1166-1189). Sono d'accordo anche sul fatto che, nonostante la ribattitura, sia ancora così gradevole. Al D/ + W DEI GRA REX, piccola croce potenziata inscritta in contorno liscio. Al R/ + CIVITAS GAIETA, castello stilizzato in contorno liscio. CNI XVIII, p. 268, n° 1 (tav. XV, 12); MEC 14, p. 644, n° 421 - 422 (plate 23); Ferraro, p. 72, n° 2.
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  32. Salve. Concordo con @santone, è un tarì in argento di Carlo II di Spagna (1665-1700) coniato a Napoli nell'omonimo Regno. Al D/ CAROLVS - II D G REX HISP Busto corazzato e drappeggiato a destra. Sotto, sigla IM in legatura. Dietro, AG/A. Al R/ VTRIVS SIC - HIERVS G XX (che indica il valore di 20 grani). Stemma coronato. Sotto, la data 16 - 89. Rif.: Pannuti-Riccio, p. 193, n° 17. Moneta comune. Ti spiego le sigle: AG = Andrea Giovane Maestro di Zecca dal 1682 al 1707; A = Marco Antonio Ariani, Maestro di Prova dal 1675 al 1706; IM = Giovanni Montmein, Incisore dei conii dal 1684 al 1718.
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  33. E questi sono due "pezzi da novanta"! Assolutamente imprescindibili in una galleria di monete giubilari! Due testoni (quarti di ducato) straordinari per fascino e rarità. In particolare, l'aver postato il Munt 26 •HODIE•SALVS•FACTA• EST•MVNDO // •CLEMENS•VII•/ •ANNO•IVBI/ LAEI mi permette di fare una considerazione. Sulla nota del catalogo ANPB riportata in calce relativa a questo esemplare si legge: "Questa moneta può considerarsi anche una medaglia commemorativa del Giubileo dell’anno 1525 di cui l’apertura della Porta Santa rimane il momento più importante. L’incisore dei conii, tuttavia, è caduto in un inspiegabile errore, indicando all’esergo del dritto il Giubileo del 1525 come il settimo, a partire dal primo indetto da papa Bonifacio VIII l’anno 1300, quando invece si trattava dell’ottavo". Non è la prima volta che leggo questa annotazione relativa al presunto errore dell'incisore, riferendo il VII dell'esergo al giubileo. Lo stesso Muntoni, facendo riferimento ad altri autori prima di lui, riporta questa annotazione. In tutta sincerità io interpreterei più semplicemente la legenda all'esergo come CLEMENS VII // ANNO IUBILAEI, con riferimento perciò al Clemente VII papa e non al settimo giubileo. Questa interpretazione viene anche più naturale per due motivi: il primo che il VII è sulla stessa riga di CLEMENS mentre ANNO IUBILAEI è sotto a capo (per cui viene più facile riferire il numerale al papa e non al giubileo), il secondo che se riferissimo il VII al giubileo, l'autorità emittente rimarrebbe un anonimo CLEMENS, non essendo presente sulle altre legende della moneta né al D/ né al R/ riferimenti al papa Clemente VII. Resto in attesa di essere smentito!! Michele
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  34. tari (o 20 grana) in argento di Carlo II, regno di Napoli, cosi ridotto qualche euro,
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  35. Carlo VI re di Francia e Signore di Genova
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  36. Spettacolare questo testone per Ancona ! Postero' pure io qualcosa, in questi giorni trovo pochissimo tempo.... bella discussione, bravo e bravi.
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  37. Ho comprato una scatolina da 34 mm e ci entra perfettamente: la misura è quella, è la sua capsula precisa.
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  38. Potremmo aggiungere una o due riflessioni ancora, i 35 posti che poi ho portato a 38 sono spariti in un attimo, praticamente senza pubblicizzare l'evento e abbiamo richieste ulteriori sia da fonte forum che da altri canali per poter accedere, il che ci fa capire ancor di più di quanta fame di vedere monete importanti e di eventi alti ci sia ... Una seconda riflessione la giro a voi ...nel presentare l'evento di Milano, un commerciante importante mi diceva " e' cambiato anche il collezionismo, anni fa c'erano importanti collezionisti, nessuno voleva far trapelare nulla, nessun contatto esterno, ora vedo che vi conoscete tutti, siete amici, condividete, forse il livello e' meno alto, ma più vasto e soprattutto più solidale e unito, e' molto evidente questo..." E' così , lo ritengo e lo vedo anch'io ma di chi e' stato il merito, cosa e' cambiato nel frattempo per arrivare a una diversa dimensione reale e quasi una rete tra collezionisti e studiosi ? La risposta e' che qualcosa e' cambiato e una risposta si trova anche qui dove stiamo scrivendo e nel vedere il riscontro di questi Eventi...concordate o altre idee ?
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  39. Corallino : che io sappia il furto è avvenuto nell'abitazione privata del sig. Palma in provincia di Venezia. Di più non so, magari quando lui stesso vorrà potrà precisare meglio ed eventualmente confermare o meno quanto ho scritto io.
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  40. Ancora una osella troppo bella...ma ovviamente ce ne sarebbero tante ancora... Ricordo che non devono essere necessariamente monete proprie basta attingere dal mondo delle aste , dal nostro catalogo... BINIS IMMOTA MANEBO CON DUE ANCORE RESTERO' FERMA E' una osella di Alvise IV Mocenigo Doge, anno III - 1765 della NAC 43, abbiamo una nave da guerra battente bandiera veneziana ancorata a poppa e a prua tra due forti. Ricorda le opere intraprese di difesa e sorveglianza per evitare le incursioni dei pirati barbareschi che infestavano i mari. Un monito e un avvertimento...
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  41. 20 Lire 1938 Repubblica di San Marino (Vecchia monetazione 1864-1938) D/ REPVBBLICA . .DI .S.MARINO Tre penne sovrastate da corona su merlature in basso E.Saroldi e A.M.INC.sopra cartello co L.20 in basso segno di zecca R. R/ SALVAM . FAC . REMPVBLICAM .TVAM Busto di San Marino che regge in mano le tre torri della Repubblica Argento 600/.. , mm. 35,5 , g.20 , 2500 unita', contorno rigato Rarita' : RR Gigante 8 , Montenegro 27 Con questo millesimo chiudo la serie dei 20 Lire in argento iniziata parecchi anni fa , i precedenti esemplari risalgono al 2012 http://www.lamoneta.it/topic/96279-20-lire-1936-san-marino/#comment-1073808 http://www.lamoneta.it/topic/96299-20-lire-1937-san-marino/#comment-1073951
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  42. Un saluto a tutti, volevo chiedere il vostro parere su questa moneta di Filiberto I. Dovrebbe trattarsi di un Forte del III tipo, ma le sigle in questo caso sono BI , mentre in genere lo si trova con la sola sigla B. Le sigle BI le troviamo sul Forte del II tipo di Filiberto II. Mi piacerebbe sentire i vostri pareri anche per poter identificare con sicurezza questa moneta, grazie.
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  43. Non è bronzo ma rame, al di là che possano capitare esemplari dalla patina giallastra, spesso per via di pulizie non recenti... In questo caso le "striature" sono abbastanza usuali per San Severino, ma di certo non direi che a prescindere da queste si sia di fronte ad un esemplare qSPL, l'arrotondamento dei rilievi e l'appannamento dei dettagli è palese. Non si tratta di una moneta rara, tutt'altro, per cui non avrebbe troppo senso pagarla oltre 50 euro. Ciao, RCAMIL.
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  44. Grazie Antonio della tua splendida Locandina, concludiamo quindi il fil rouge di questo Evento Numismatico Milanese coi nomi per la parte culturale del pomeriggio al CCNM che è aperta per tutti, due nomi di grande eccellenza, sono la Milano numismatica, Paolo Crippa, e quando diciamo Crippa a Milano diciamo Numismatica, e poi Alessandro Toffanin, autore del MIR Milano libro che è in mano a tutti noi collezionisti e studiosi di monete di Milano. E' un fil rouge diciamolo pure incredibile, questo era il massimo che volevamo per quel giorno, il piano A e si è realizzato in pieno ora possiamo dirlo... Un percorso che parte dal " vero centro di Milano ", l'Ambrosiana, che come abbiamo visto ha molti significati, passa per le Conferenze sulla stessa e sul suo Medagliere, continua con la visita in gruppo, e sottolineo gruppo, per diversi di noi a uno dei due Medaglieri di Milano dove è permesso questo a oggi con la visione di monete importanti e rare, continua col momento conviviale e finisce nel Circolo Numismatico di Milano, il CCNM dove al pomeriggio ascolteremo due esponenti della numismatica milanese parlare su tematiche importanti e poi vedere ancora monete false portate questa volta dal collezionismo privato. Finito qui ? No, Momento giovani, Premio Speciale a un partecipante e altre sorprese, difficile onestamente volere di più... Sarà una riunione poi di amici con la stessa passione, facile averli riuniti, Lamoneta ha aiutato molto anche in tutto questo nel far diventare gruppo il collezionista solitario e quello virtuale in reale e sociale. Magie e sogni...sogni numismatici nel cassetto, è giusto averne sempre tanti e a volte vederli realizzare, Milano aveva questo, lo abbiamo realizzato... Anni fa scrissi qui un post " Sogno Numismatico " su Milano, parlavo di questo, vederlo realizzato ora è indubbiamente una grande emozione....e uno stimolo in più. Sono convinto che altri sogni si realizzeranno e arriveranno e questo grazie all'affiatamento, empatie, sinergie e collaborazioni, in fondo sia Paolo che Alessandro , come tutti d'altronde, sono poi amici nostri ed è bello averli con noi quel giorno...
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  45. Continuo con uno Chervonets della ormai defunta U.R.S.S. Il motto è, come tutti sappiano, fra i più famosi (o "famigerati" a seconda di come la si pensava): ПРОЛЕТАРИИ ВСЕХ СТРАН, СОЕДИНЯЙТЕСЬ ! Ovvero: "lavoratori di tutto il mondo, unitevi!" La frase, una delle più popolari parole d'ordine del comunismo, viene da Karl Marx e Friedrich Engels ne il Manifesto del partito comunista; divenne poi il motto ufficiale della Germania orientale. Una variazione ("Proletari di tutti i paesi, unitevi!") è scritta sulla lapide di Marx. Con essa si esortava i lavoratori a sindacalizzare o comunque intraprendere un'azione collettiva al fine di utilizzare la forza dei loro numeri per ottenere condizioni migliori. Buona serata.
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  46. Oltre a l'ottima spiegazione di @dabbene, vorrei citare e spigare anche i Fiorini di Suggello. La Repubblica Fiorentina era molto sensibile a questo tema, della bontà della propria moneta d'oro, infatti alcuni Fiorini d'oro con il tempo e l'uso frequente, potevano essersi consumati nel loro contenuto aurifero. Alcune altre monete potevano essere state tosate o limate, questi fiorini non avrebbero avuto quindi il valore stabilito al momento del conio. La soluzione fu quella di unificare in uno stesso contenitore una serie di queste monete e dare una nuova stima al sacco chiamato appunto Fiorini di Suggello. La quotazione del Fiorino di Suggello era stabilito dalle autorità e con un "sigillo" ufficiale se ne descriveva il valore. I sacchetti erano chiusi e marchiati solo se rispettavano ulteriori parametri, come ad esempio i "Grani" che non avrebbero dovuto essere inferiori a 70 e mezzo. Tutto ciò che andava fuori da questi parametri veniva sequestrato o tagliato. Fu una vera e propria invenzione che rivoluzionò il sistema dei pagamenti e permise di dare una regolamentazione ai Fiorini d'oro che erano ancora in circolo, ma che non avrebbero avuto più il proprio valore a pieno peso.
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  47. Ciao pedro parliamo prima del tondello... la risposta è sì, nascevano già con quella forma, i "tondelli" venivano preparati nelle officine delle zecche ritagliandoli da delle lastre e dipendeva dalla moneta che veniva coniata, dal valore della moneta, da chi preparava i tondelli (se aveva fretta o no...), e da molti altri fattori la cura che veniva data alla precisione del tondello... in questo caso visto la moneta di basso valore probabilmente non vi era molta cura nel prepararle, si faceva più velocemente a ritagliare dalla lastra dei quadratini utilizzando cesoie o scalpellini piuttosto che ritagliare dei cerchi o ribattere i bordi per arrotondare il tondello, l importante era teoricamente il peso e il materiale, non la bellezza. andiamo ora alla tua moneta, bella con quel che rimane della sua argentatura, non tutte la conservano, forse non tutte erano argentate, peccato che la data sia rimasta "fuori" in fase di battitura... io le preferisco con la data visibile per catalogarle meglio, ma non si può sempre avere tutto vero?
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  48. Di nulla, sono contento di poter dare qualche contributo quando posso. Il triangolo al D/, infatti, non è ben visibile perché in quell'area la moneta presenta una piccola corrosione. Al R/, però, si vede bene la punta. Comunque, è pur sempre una monetina normanna piuttosto rara ed anche storicamente significativa per la conquista della Sicilia: a quanto pare, dopo il breve intervento di Ruggero II, la zecca di Agrigento non coniò altre monete per i Normanni. Il picco di attività, escludendo l'epoca della dominazione araba, si ebbe proprio sotto Ruggero I: per questo sarei più propenso ad attribuire questa kharruba al primo dei Ruggero anziché al secondo. Inoltre, Ruggero I aveva necessità di moneta contante per pagare i soldati del suo seguito e i locali che erano impegnati con lui nella conquista della Sicilia e quindi ne avrà emesse sicuramente di più rispetto al suo successore. Particolare è la variante del fiore al posto della stella: può essere che in qualche testo questo simbolo sia stato interpretato male e vi abbiano visto una stella anziché un fiore. I fattori possono essere molti: gli esemplari analizzati non avevano questo dettaglio ben leggibile (vuoi per la conservazione bassa, corrosioni, ossidazioni, decentrature o altro), oppure siamo in questo caso di fronte ad una variante del tipo base che reca la stella. Personalmente, propenderei più per la prima soluzione, anche se la seconda non mi sento di scartarla del tutto. Vediamo se altri riescono a fare più chiarezza: purtroppo i testi in mio possesso non dicono altro e non mi consentono quindi di formulare altre ipotesi. Complimenti per l'acquisto: monetina affascinante e, tutto sommato, anche ben messa per il tipo.
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  49. Ecco alcune foto del sito, i tre templi Hera,Poseidone e Atena , l'Anfiteatro e un po di parco archeologico.
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