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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/10/16 in Risposte

  1. Volevo condividere con gli amici del forum la foto dell'ultimo acquisto. Anche se penso di averla pagata più del valore di mercato, quando l'ho vista in mano, con tutta la lucentezza del metallo, non ho resistito.... Ferdinando mi manderà in rovina....
    4 punti
  2. Gioco il super jolly.... direi che è il momento... Il massimo per me, il massimo per tanti...Alessandro Toffanin la mette in copertina sul MIR MILANO, qui c'è tutto, il fascino della moneta, il messaggio, l'iconografia e mettiamoci pure il fatto che è impossibile averla per i collezionisti nella norma....che non guasta mai. MILANO, GIAN GALEAZZO MARIA SFORZA con Reggente la madre BONA DI SAVOIA ( 1476 - 1481 ) testone, della NAC 85 SOLA FACTA SOLVM DEVM SEQVOR RIMASTA SOLA SEGUO SOLO DIO Questo va oltre il messaggio, oggi diremmo è un comunicato stampa e la moneta era anche questo comunicazione : SOLA E CON DIO..... Bona era sola a reggere lo Stato col figlio dopo la morte del marito Galeazzo Maria ucciso da un gruppo di congiurati. Bona cacciata dallo Stato e dal cognato Ludovico il Moro si chiude in un convento ad Abbiategrasso, vita difficile e breve la sua. Al rovescio abbiamo la raffigurazione che non ti aspetti, LA FENICE, uccello favoloso dell'Arabia raffigurato sul rogo e che rappresenta l'immortalità poiché rinasce sempre dalle sue ceneri. Bona si aggrappa all'immortalità ma la vita non gli diede grandi gratifiche... A Milano a un collezionista che ha un po' tutto si dice scherzando....adesso ti manca solo BONA...anche per il collezionista quindi BONA rappresenta il sogno, l'irraggiungibile, quello che vorresti, ma non avrai e quindi godiamoci ora la NAC... Non vorrei però a questo punto tediarvi oltre ogni limite, vi lascio riflettere se avete ancora qualcosa in mente da postare se no passeremo alla fase 2 della discussione....
    4 punti
  3. Salve a tutti. Con questa discussione volevo oggi focalizzare la vostra attenzione su una rarissima tipologia monetaria coniata a Napoli nei primi anni del regno di Filippo III d'Asburgo (1598-1621). Senza frapporre ulteriori indugi, passiamo alle descrizioni. 1. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto radiato, corazzato e drappeggiato volto a sinistra. Sotto, una croce tra due globetti. R/ MARGARI + AVSTR + CONIVXIT Busti dei sovrani Filippo III e Margherita d’Austria affrontati, posti su due cornucopie intrecciate. Tra di loro, nel campo, una corona reale. Sotto, 16.. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9 (fig. 1). · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1099 (tav. VIII del catalogo di vendita) – fig. 2. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, p. 22, n° 3 (tav. I, n° 3, proveniente dalla Coll. Catemario con un peso di 5,92 g.) – fig. 3 e 3 bis. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 183, n° 23 (rarità: R4). Fig. 1. Immagine tratta da Pannuti-Riccio, p. 140. Fig. 2. Immagine tratta dal catalogo di vendita della Collezione Sambon del 1897, tav. VIII. Fig. 3. Immagine tratta dall'articolo di G. Bovi del 1967 in BCNN, tav. I (ex Coll. Catemario). Fig. 3 bis. In questa immagine sembra che la moneta ritratta sia la stessa già appartenuta alla Coll. Catemario pubblicata dal Bovi e qui riportata in fig. 3. 2. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto simile al numero precedente. Dietro il busto, sigla comunemente interpretata come G. R/ Del tutto simile al numero precedente. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9a. · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1100. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, manca. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 184, n° 24 (rarità: R4). · CNI XX, p. 178, n° 27 (esemplare della Coll. Sambon). Al momento, l’unico pezzo conosciuto di questa varietà fu esitato nell’asta Varesi XXXIII Utriusque Siciliae del 30 maggio 2000, p. 63, lotto n° 316 (fig. 4). Il medesimo esemplare, prima di approdare in questa recente asta, era appartenuto a Giulio Sambon e dalla sua ditta fu venduto nel catalogo della sua collezione a Milano nel 1897. Successivamente, si registrò un altro passaggio in asta Ratto del 5 maggio 1959 (lotto n° 353), per concludere poi in asta Varesi. Fig. 4. Immagine tratta dal catalogo d'asta Varesi Utriusque Siciliae. Come si evince dal titolo, questa interessantissima moneta napoletana dal valore di un tarì (ovvero due carlini), oltre alla rarità e all’importanza numismatica, riveste anche un rilevante significato storico, espresso attraverso l’iconografia del rovescio. Il diritto non rileva nulla di eccezionalmente importante, fatto salvo per la sigla G dietro il busto della variante qui descritta al n° 2, ma che avremo modo di approfondire di qui a breve. Volevo quindi soffermarmi in particolare sul rovescio. La legenda è già di per sé molto eloquente, ricordando il matrimonio tra Filippo III e Margherita d’Austria. Quest’ultima (1584 – 1611) era figlia dell’Arciduca d’Austria Carlo II di Stiria (1540 – 1590) e nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Ferdinando I (1556 – 1564). Non era certo di bell’aspetto: i ritratti dell’epoca ce ne tramandando un’immagine caratterizzata dal celebre prognatismo asburgico, tuttavia era di carattere mite, molto religiosa (alcuni l’hanno definita addirittura bigotta) e tutt’altro disinteressata agli affari politici e alle celebrazioni di corte. Nel 1599 sposò il Re Filippo III per procura, portando alla Corona spagnola una dote di 100.000 ducati, e di lì a poco intraprese il viaggio verso la penisola iberica, dove la sua unione regale doveva essere confermata nella capitale Madrid. Durante il suo viaggio verso la Spagna, il corteo austriaco fece tappa a Milano dove, per celebrare la sosta della nuova Regina spagnola, fu inaugurata, nell’allora Palazzo Ducale, la prima sala cittadina predisposta all’esecuzione dell’opera, il cosiddetto Salone Margherita. Alla corte spagnola, Margherita divenne una donna molto potente: ella era affezionata al consorte, così come anche lui esprimeva un sincero sentimento nei suoi confronti, ma non disdegnava l’intromissione, quando era necessario, negli affari di Stato. Il legame tra i due regnanti è ben illustrato su questa moneta: l’unione matrimoniale è simboleggiata dalle cornucopie che s’intrecciano. Questo simbolismo di pace, amicizia e concordia era già stato adoperato nel mondo classico su alcune monete romane sorprendentemente simili, nell’iconografia, a quella in oggetto (fig. 5 e 6, per fare alcuni esempi). Non escludo che l’incisore che curò l’esecuzione dei conii di rovescio per questi tarì napoletani non abbia preso spunto diretto da una di queste due monete romane, forse presenti nelle raccolte reali partenopee già messe insieme dall’epoca aragonese per volere di Re Alfonso il Magnanimo. Fig. 5. Sesterzio coniato a Roma a nome di Druso, figlio dell'Imperatore Tiberio, intorno al 22 - 23 d.C. Le due teste che sormontano le cornucopie sono quelle dei nipoti di Tiberio e figli dello stesso Druso: Tiberio Gemello e Germanico Gemello. RIC I, n° 42 (under Tiberius). Ex NAC 51, lotto 171. Fig. 6. Sesterzio dell'Imperatore Antonino Pio coniato a Roma intorno al 149 d.C. I due bambini le cui teste sono poste sopra le cornucopie sono T. Elio Antonino e T. Aurelio Antonino, i due figli del futuro Imperatore Marco Aurelio e di sua moglie Faustina II, nati proprio nel 149 d.C. RIC III, n° 857. Ex CNG Triton VIII, lotto n° 1142. La Regina dimostrò molto peso nella scelta dei ministri e dei cortigiani che circondavano il sovrano, decretando la caduta di quelli a lei sfavorevoli ed incentivando l’ascesa di coloro che si rivelavano fedeli non solo alla Spagna, ma anche all’Austria, suo Paese d’origine. Era lei, infatti, che spesso decideva che poteva avere contatti con il Re e chi invece veniva escluso da questo rapporto privilegiato. Filippo, dal canto suo, era felice, non senza una punta di opportunismo, di condividere con la moglie i pesi della politica, sia interna che estera. La politica filo-austriaca di Filippo III si intensificò a partire dal 1600, quando, sotto l’influsso della zia Maria Imperatrice del Sacro Romano Impero, figlia di Carlo V, e della figlia di lei, monaca, il Re iniziò ad appoggiare finanziariamente la fazione cattolica attraverso l’Arciduca Ferdinando II d’Asburgo, futuro Imperatore (1619 – 1637) in quella che passerà alla storia come Guerra dei Trent’anni. Alla morte di Margherita, il 3 ottobre del 1611, Filippo, profondamente addolorato per la perdita, non si risposò più. Riprendendo il discorso sul tarì in questione, esso fu coniato a Napoli nell’anno 1600, come dimostra anche la dicitura del numerale 16.. espresso sotto le due cornucopie al rovescio. Ad un anno di distanza, quindi, dal matrimonio tra i sovrani che si era tenuto solo l’anno precedente. Secondo un’ipotesi, sicuramente attendibile, avanzata dal Sambon in occasione della vendita della sua collezione nel 1897, a proposito di queste monete, esse vennero battute per una visita che i Re di Spagna avevano progettato a Napoli proprio per quell’anno, ma che non si realizzò mai. Questi tarì dovevano quindi essere gettati al popolo durante la cavalcata dei Re in visita alla città. In previsione di un simile evento, il nuovo Viceré Fernando Ruiz de Castro Conte di Lemos, insediatosi a Napoli nell’ottobre del 1599 con la moglie Catalina de Zùniga ed il figlio Pedro Fernàndez che gli succederà poi nella medesima carica, ordinò, oltre alla coniazione di queste monete, anche la costruzione di un nuovo palazzo (l’odierno Palazzo Reale in Piazza Plebiscito) per ospitare il Re in visita con la consorte. A seguito dell’annullamento del viaggio reale a Napoli, la costruzione della nuova residenza continuò, mentre molti dei tarì di questo tipo già coniati vennero ritirati dalla circolazione e rifusi per recuperare il metallo in Zecca. In circolazione ne rimasero pochissimi, come ad esempio l’unico esemplare noto descritto qui al n° 2, che risulta anche tosato e che quindi testimonia una discreta quanto movimentata attività di circolazione. Questo provvedimento potrebbe spiegare anche l’eccellente livello di rarità raggiunto ad oggi da questi particolari tarì: partiamo dicendo che solo un esiguo numero di esemplari sfuggì al ritiro ed alla fusione e, per quelli che restarono in circolazione, non tutti sono pervenuti fino ai nostri giorni, il che porta ad abbassare drasticamente il numero di pezzi sopravvissuti alle vicissitudini storiche e quotidiane intercorse in un così lungo arco temporale. Da un primo confronto dei conii dei diversi esemplari qui illustrati, risulta facile notare come per il rovescio fossero stati preparati meno conii rispetto al diritto: le somiglianze tra i conii di rovescio, infatti, sono più strette e calzanti rispetto a quelle dei conii di diritto (in alcuni casi sembra sia stato usato proprio lo stesso conio, ma è difficile giudicare anche a causa della conservazione dei pezzi), il che fa presupporre che furono preparati più conii di diritto, ma, a confronto, pochi, se non pochissimi, di rovescio. Passiamo ora, finalmente, a parlare della sigla G che compare dietro il busto al diritto dell’esemplare n° 2, come già detto, conosciuto, al momento, solo in quest’unico pezzo. Nel periodo in cui furono coniati questi tarì, ovvero nell’anno 1600, nella Zecca partenopea lavorava Giovanni Antonio Fasulo come Maestro di Zecca. Costui, un banchiere di origini napoletane, aveva già ricoperto questa carica a partire dal 1594, sotto Filippo II, continuando a mantenerla anche sotto Filippo III fino al 6 settembre del 1611. Egli siglava le monete con le proprie iniziali: IAF, seguendo una dizione latina “Joannes (o Johannes) Antonius”, e GF, ovvero “Giovanni Fasulo” seguendo invece una dizione volgare, possiamo dire, se vogliamo, in termini più recenti, italiana. Entrambe le sigle sono espresse in monogramma. Nello stesso periodo, come Maestro di Prova, lavorava, accanto al Fasulo, Gaspare Giuno (o Juno), attivo già dal 1591 e risultante in carica fino al 6 giugno 1609. Egli siglava le monete con la lettera G o con GI in monogramma. Ora, nei testi, come ad esempio il CNI XX, viene riportato in merito a questo tarì con sigla, che la lettera G indicherebbe il Maestro di Prova Gaspare Giuno, ipotesi, questa, che è ancora tutt’oggi prevalente nel pensare comune quando si parla di tale moneta. Io, però, ho dei dubbi al riguardo: il solo Maestro di Prova, che, a differenza del Maestro di Zecca non aveva la responsabilità dell’intera attività monetale e non sempre era tenuto a siglare le monete a differenza, invece, del suo superiore, avrebbe potuto apporre la propria inziale omettendo, invece, quella del Maestro di Zecca? In realtà, a livello amministrativo, era quest’ultimo che rispondeva della qualità del lavoro in Zecca e dei prodotti monetari che vi uscivano, non il Maestro di Prova. Dunque, è più credibile che la sigla G non appartenga in realtà a Gaspare Giuno, come creduto finora, ma sia in realtà quella del Maestro di Zecca, ovvero di Giovanni Antonio Fasulo, responsabile della Zecca e, quindi, anche della coniazione di questo tarì commemorativo. Ne deriva che la sigla non può essere letta semplicemente come G, ma come GF (anche secondo criteri stilistici), il monogramma di Giovanni Antonio Fasulo, così come avviene ad esempio in altri nominali napoletani dello stesso periodo dove si ritrovano sullo stesso tondello le sigle GF e G (cfr. il carlino coevo con aquila e legenda di rovescio EGO + IN + FIDE del tipo Pannuti – Riccio, n° 16a). Anche se ci fosse stata la seconda sigla di Gaspare Giuno, essa sarebbe apparsa, probabilmente, sotto il busto del sovrano (come, ad esempio, nel tipo Pannuti-Riccio, n° 9 sotto il busto vi era una croce tra due globetti), come nel predetto carlino, in una parte della moneta che risulta purtroppo tosata. Infatti, non compare nessun’altra sigla nei campi, così come non possiamo immaginare che, in una coniazione ufficiale, appaia solo la sigla del Maestro di Prova, mentre viene omessa (per quale ragione plausibile poi?) quella più importante del Maestro di Zecca che garantiva, appunto, la bontà della moneta. In conclusione, secondo la mia opinione, la sigla che fino ad oggi si è malamente letta come G andrebbe letta per quello che in realtà è, cioè il monogramma GF del Maestro di Zecca dell’epoca. Ipotizzando la presenza della sigla G di Giuno, essa si sarebbe trovata sotto il busto, una parte della moneta purtroppo ad oggi perduta. Tale teoria sarebbe confermata se uscisse un secondo esemplare con la sigla dietro il busto ma con la parte sottostante non tosata. Per le sigle ho fatto molto affidamento su quanto pubblicato da P. Magliocca in Maestri di Zecca, di Prova ed Incisori della Zecca napoletana dal 1278 al 1734, Formia 2013. Ma ora lascio la parola a tutti coloro che vorranno intervenire con le proprie impressioni, commenti ed ipotesi: spero che anche questa discussione possa suscitare il vostro interesse.
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  4. Caspita @tornese71 grazie per la condivisione e complimenti per lo studio pubblicato nell'articolo postato. Continuo con qualcosa d'oltreoceano. A mari usque ad mare . "dal mare fino al mare" è una locuzione latina tratta dalla Vulgata ("salmo 72, v. 8" ; traduzione in latino della Bibbia dall'antica versione greca ed ebraica, realizzata alla fine del IV secolo da Sofronio Eusebio Girolamo). Nel salmo, attribuito a Salomone, viene profetizzato l'arrivo del messia Cristo Gesù e il suo futuro dominio spirituale sul mondo, appunto, "dal mare fino al mare". La locuzione,oggi visibile nello stemma di stato, è il motto nazionale del Canada, in ragione del fatto che questa nazione si estende tra due "mari": l'oceano Atlantico e l'oceano Pacifico. Buona giornata
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  5. Segue... (Inni o incitamenti alla carità) NE OBLIVISCARIS PAVPERVM, “non dimenticarti dei poveri”. È ancora Innocenzo XII a lasciare questa sollecitazione, in tal caso su un giulio. Sarà poi imitato dal successore Clemente XI, che la farà imprimere su un testone. Alla monetazione di quest’ultimo papa appartengono anche un grosso e la sua metà con la scritta PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, “stendi la tua mano al povero”, versione integrale di una legenda presente in forma ridotta anche su altri nominali dello stesso pontefice, nonché di suoi tre successori (nota 26). Fig. 29: Roma, Clemente XI (1700-1721), Grosso. Al R/: PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins). Ad Innocenzo XII si deve la riproposizione in moneta di un frammento del Libro di Giobbe (5, 16) riportato su sei tipi variati di grosso che presentano la dicitura EGENO SPES, “speranza per il bisognoso” , nonché quella del versetto del Deuteronomio (15, 11) EGENO ET PAVPERI, (porgi la mano) “al bisognoso e al povero”, visibile su un testone. Su quest’ultima moneta compare anche una bellissima rappresentazione: una donna, con una fiamma sul capo, che avanza tenendo una cornucopia capovolta dalla quale cadono più monete. Come spiega Traina nel magistrale volume ricordato all’inizio di questo lavoro, la fiamma è tradizionalmente simbolo di illuminazione, purificazione e amore spirituale, mentre la cornucopia è emblema di abbondanza, speranza e carità. Fig. 30: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone 1694. Al R/: EGENO ET PAVPERI, attorno a donna che avanza con fiamma sul capo e cornucopia in mano dalla quale cadono monete; in esergo la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1364. Il mezzo grosso di Innocenzo XIII con IN EGENIS, “per i bisognosi” e il pezzo di valore doppio di Clemente XII con la scritta CVM EGENIS, “dalla parte dei poveri”, arricchiscono ulteriormente il panorama delle coniazioni di questo tipo. BEATVS QVI INTELLIGIT SVPER EGENVM, “beato chi comprende i bisogni del povero”. L’iscrizione appena citata da un giulio di Innocenzo XIII ricorda che non soltanto occorre individuare i bisognosi, ma anche saper discernere esattamente quali siano le loro effettive necessità. Non v’è dubbio che, tra queste, quella del cibo sia primaria ed è proprio a tale specifico aspetto che sono dedicate le parole leggibili su tre grossi (a volte con varianti) di due diversi pontefici: IN CIBOS PAVPERVM, “per i cibi dei poveri” (Clemente XII), EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, “i poveri mangeranno e saranno saziati”, e VT ALAT EOS IN FAME, “perché dia da mangiare agli affamati” (Benedetto XIV). Fig. 31: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso. Al R/: EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins). Nel Vangelo di Luca è scritto PETENTI TRIBVE, “da’ a chi chiede” (6, 30), e, poco oltre, DATE ET DABITVR, “date e vi sarà dato” (6, 38). Entrambe le espressioni sono presenti pure su moneta: rispettivamente, su un mezzo grosso di Benedetto XIII e su un grosso di Clemente XI. Lette insieme, esse danno, ancora una volta, la certezza che la carità giova anche a chi la pratica e, soprattutto, che non lo impoverisce. La legenda QVI DAT PAVPERI NON INDIGEBIT, “chi dà al povero non andrà in rovina”, che Innocenzo XI pone su un giulio, può essere interpretata, allora, come una conferma di quella che si è voluta definire ‘doppia funzione salvifica’ della carità stessa. La conclusione di questo lungo percorso di ‘catechesi numismatica’ è forse quella che si può leggere tanto su un testone che su una quadrupla di papa Clemente XI: A DEO ET PRO DEO, “da Dio e per Dio”. Quasi per dire che la ricchezza viene dal Signore ed è a Lui che deve ritornare, attraverso l’attenzione verso i bisognosi che, come riscontrabile nelle Scritture sia vetero che neotestamentarie, godono della Sua predilezione. Fig. 32: Roma, Clemente XI (1700-1721), Testone. Al R/: A DEO ET PRO DEO, intorno a donna con un bimbo in braccio, tra due bambini che versano monete da due cornucopie. Da internet (Rhinocoins). L’invito è che ognuno, riconoscendo la verità di quanto appena affermato, possa andare incontro al prossimo che si trova nel bisogno con le parole che Pietro rivolse ad uno storpio che chiedeva l’elemosina davanti al tempio di Gerusalemme (cfr. Atti, 3, 6), e che Innocenzo XI ha voluto fossero impresse su un suo testone: QVOD HABEO TIBI DO, “quello che ho lo do a te”. Fig. 33: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone Anno II 1677. Al R/: QVOD HABEO TIBI DO, S. Pietro, stante a destra, aiuta lo storpio. NOTE : 26 - PAVPERI PORRIGE: Clemente XII, grosso. PAVPERI PORRIGE MANVM: Clemente XI, grosso, mezzo grosso; Clemente XII, grosso. Benedetto XIV, grosso (o mezzo paolo); Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, 1800-1823), grosso. Quest’ultima moneta è stata coniata anche nella zecca di Bologna. BIBLIOGRAFIA Amisano G. 2009, Le monete della Bibbia e dei Vangeli con monete e parole, Cassino (FR), Editrice Diana. Andreau J., La cattiva reputazione dei pubblicani, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19. Colombo C. 2003, Trenta monete d’argento. Le monete nel Nuovo Testamento, Pessano (MI), Mimep-Docete (Bereshit; 1). Lémonon, J-P., La questione del denaro di Cesare, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24. Marguerat D., Dio e il denaro sono compatibili?, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9. Merlo G.G., Francesco d’Assisi e il denaro, in Travaini 2009, pp. 145-152. Monti A. 1883, Motti sopra alcune monete dei Pontefici, in «Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’italia», 1883, fasc. II e III. Muntoni F. 1972-1974, Le monete dei Papi e degli Stati Pontifici, Roma, P&P. Santamaria. Vol. I: Da Adriano I alla Sede Vacante 1559 (772-1559), Roma 1972; Vol. II: Da Pio IV alla Sede Vacante 1676 (1559-1676), Roma 1972; Vol. III: Da Innocenzo XI alla Sede Vacante 1758 (1676-1758), Roma 1973; Vol. IV: Da Clemente XV a Paolo VI (1758-1971), Roma 1974. Schmidt Heinrich e Margarethe 1988, Il linguaggio delle immagini. Iconografia cristiana, Roma, Città Nuova. Traina M. 2006, Il linguaggio delle monete. Motti, imprese e legende di monete italiane, Sesto Fiorentino (FI), Editoriale Olimpia. Travaini L. 2009 (a cura di), Valori e disvalori simbolici delle monete. I Trenta denari di Giuda, Roma, Quasar (Monete; 3). ***** Ecco... ho finito. L'articolo originale, in realtà, proseguiva con una piccola parte conclusiva che però, ai fini di questa discussione, può essere omessa. Mi scuso se la lettura potrà risultare un po' scomoda, ma il semplice allegare la scansione della rivista avrebbe impedito di vedere bene le immagini. @dabbene , al quale avevo chiesto preventivamente se poteva essere utile portare questo contributo, mi perdonerà se mi sono preso tutto questo spazio.
    3 punti
  6. @Caio Ottavio Ciao Raffaele.....ti faccio i miei complimenti per lo scritto, davvero molto scorrevole e ben dettagliato....finalmente ho riscoperto che non sono il solo che studia queste monete .... Da subito ho capito che non avevi letto ciò che tempo fa (2012) scrissi in questa discussione.....dal post 130/131 a seguire....qualche volta dagli una letta ... è un bel pozzo di notizie inedite...che dovrebbero cambiare qualcosa nella monetazione vicereale. Comunque...in gamba...ci sei arrivato da solo.
    3 punti
  7. Dalla collezione di medaglie DEVOZIONALI ho selezionato qualche medaglia dei GIUBILEI che condivido piacevolmente, invitando gli amici lamonetiani a partecipare con le loro in tema. 1575 epoca di Papa GREGORIO XIII ( 1572-1585) Datata al centro della Porta Santa
    2 punti
  8. Vorrei iniziare , con la collaborazione degli amici della Sezione e naturalmente con l' aiuto di tutti quanti sono interessati al tema del post , una escursione antica nelle varie Regioni d' Italia dove sono documentate antiche attivita' estrattive di Minerali sia per destinazione domestica e militare , sia di destinazione a tesaurizzazione . Credo che il post , anche se non di facile realizzazione , possa comunque essere interessante perché la civilta' in generale e la nostra in particolare , essendo l' Italia in genere scarsa di risorse minerarie , si e' sviluppata anche grazie e questi doni della madre Terra . Fatta questa breve premessa comincerei quindi la ricerca dalla mia Regione , il Lazio , con la speranza di raccogliere consensi al fine di percorrere tutta l' Italia antica alla ricerca delle antiche attivita' estrattive e metallurgiche . In base a recenti studi sulle fonti di approvvigionamento di metalli nell' antichita' , nell' ambito regionale del Lazio e tenendo conto che spesso i minerali venivano sfruttati anche a cielo aperto , fa risaltare il fatto che questa regione era estremamente povera di risorse minerarie , sia di metalli per cosi' dire "poveri" , sia in particolare di quelli nobili . La zona mineraria antica piu' importante del Lazio , gia' sfruttata dagli Etruschi , si trovava nell' alto Lazio ed era quella dei Monti della Tolfa situati ad Est di Civitavecchia , dai quali si estraevano : Blenda , Galena argentifera , Pirite , Alunite e Cinabro . Ricca di Rame , con presenza di Argento e Nichel , era la Calcopirite di Ponte San Pietro , da qui proveniva anche il Piombo che si estraeva dalla Galena ; Ponte San Pietro e' una localita' vicino Viterbo . A sud del Tevere la situazione mineraria era tutt' altro che rosea , le uniche risorse estrattive provenivano dalle sabbie del litorale romano , in particolare da quelle di Anzio e Torre Astura , dalle quali si ricavava la Cassiterite ( Stagno ) e Oro ; Il Ferro era praticamente mancante , tranne tracce nelle sabbie suddette ed alla foce del Garigliano , anche presso la Solforata vicino a Pratica di Mare si trovava del Ferro . Un po' diversa era la situazione nel basso Lazio , dove nei Monti della Meta , al confine tra Lazio , Molise e Campania , venivano estratti Ferro , Argento e Rame . Come si nota le risorse minerali dell' antico Lazio erano veramente scarse ed il fatto che anche nei secoli successivi , fino al nostro , non sono state trovate nella Regione altre risorse oltre a quelle gia' conosciute dagli antichi prospettori , cio' va a conferma della bravura ed abilita' degli antichi "geologi" . Per finire e' stata eseguita una analisi metallografica su un antico reperto trovato nel Lazio , uno Spillone in Bronzo , l' analisi ha rivelato una percentuale di Rame al 82% , 10% di Stagno , 7% di Piombo , e il rimanente 1% in totale tra Argento e Nichel . Sotto , le localita' metallifere laziali : Monti della Tolfa , Monti della Meta , Ponte San Pietro ,Torre Astura .
    2 punti
  9. Seguo questo, in particolare https://www.cointalk.com/forums/ petronius
    2 punti
  10. Abbiamo visto come il 1700 sia stato contemporaneamente Anno Giubilare e Sede Vacante. Ma lo stesso anno è stato anche l'ultimo di pontificato di Innocenzo XII, che morì il 27 settembre 1700. Durante il suo regno pertanto Innocenzo XII commemorò nelle sue monete l'Anno Santo, come in questo testone (Munt 37), firmato da Saint Urbain, in cui l'anno giubilare viene indicato come ANNO PROPITIATIONIS (Nell'anno di propiziazione). In realtà per Innocenzo XII, quel 1700 non fu certo propiziatorio...
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  11. Ecco la mia. Stesso anno della tua. Dorata.
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  12. Non so. Devi considerare che per ogni moneta in altissima qualità che a me entra, ne entrano altre 100 di qualità medio-bassa. L'interesse del commerciante io penso sia vendere il materiale, e se la proporzione é anche per gli altri come per la mia, immagino che sia più interessante tentare di vendere la qualità mediobassa che l'alta. Forse il parlare di qualità, spesso, viene utilizzato per giustificarne il prezzo più che per convincere all'acquisto di una moneta piuttosto che di un'altra. Poi, essendo il mercato ormai quasi totalmente globalizzato, anche io in prima persona, quando mi si chiede consiglio su cosa comprare ai fini di un "eventuale" investimento futuro, mi sento in obbligo di consigliare la qualità, e la qualità vera. Superpremiata dai mercati internazionali, più che dal nostro piccolo e locale. Se dovessi dire il contrario, mi sentirei di mentire. In ultimo, e posso parlare sempre per me, ma immagino che non sia molto diverso anche per gli altri, i "margini" che si possono ottenere su monete di alta fascia, o di altissima qualità, rispetto a quelle che "non", sono davvero, davvero bassi. Sulla bassa qualità, se si vende, ci si margina in termini percentuali molto, molto di più.
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  13. Torno un'ultima volta sull'articolo per raccontarvi un ricordo personale che lega quel testo a Mario Traina. Dopo che Roberto Ganganelli mi comunicò che sarebbe stato pubblicato, lo indirizzai anche a Traina, sia per farglielo leggere in anteprima che per ringraziarlo ancora una volta per aver scritto il libro Il Linguaggio delle monete che era stato così prezioso. Mi rispose, sempre per lettera, dal mare. Ecco un estratto di quel che mi scrisse: "Caro Vittorio [...] grazie anche per il sostanzioso servizio che mi hai inviato in visione sugli insegnamenti morali elargiti attraverso le monete dei Romani Pontefici. Un ottimo servizio, complimenti. [...] Un solo suggerimento: nella Bibliografia inserirei lo studio pubblicato sulla «Numismatica» dei Santamaria proprio sullo stesso argomento: purtroppo sono al mare (da qui il ritardo nel risponderti) e non ho a mia disposizione la mia libreria; non mi ricordo l'anno, il numero della rivista e il nome dell'autore (Donini?). Dovresti trovarlo citato nella Bibliografia de "Il linguaggio delle monete". E' stato quello lo Studio più ampio e critico pubblicato in materia; non può essere ignorato. Un caro saluto e grazie per le sempre generose parole di apprezzamento nei miei riguardi che mi hanno fatto arrossire di vergogna". Ecco... questo era Mario Traina. Uno che rispondeva persino quando era in vacanza al mare, scusandosi per il ritardo e suggerendo con delicatezza come colmare una lacuna... Non feci in tempo a integrare la bibliografia perché l'articolo era già in stampa ma... aveva ragione!!! Lo studio da lui ricordato era questo: Augusto Donini, Per i ricchi e per i poveri. Di alcune sentenze morali sulle monete dei Papi, in «Numismatica», 1949, Anno XV, n. 1-6, pp. 56-60. E non feci in tempo a scusarmi... proprio quando uscì la seconda parte dell'articolo, all'inizio di ottobre del 2010, venni a sapere della sua improvvisa scomparsa. E così quella era stata l'ultima volta che ci siamo sentiti e che ho potuto approfittare della sua competenza e della sua cortesia. Ogni anno, nell'anniversario, ho cercato di ricordarlo sul forum. Quest'anno avevo deciso di soprassedere ma... proprio quasi a ridosso della data della sua scomparsa, @dabbene ha dato il via a questa stupenda discussione. E ha scritto più volte che a Traina sarebbe piaciuta. Ho interpretato la cosa come un segno del destino ed è verissimo che l'avrebbe apprezzata. Probabilmente ne avrebbe scritto anche perché qui, a differenza del suo libro, le monete le possiamo anche vedere. E ora davvero mi ritiro in buon ordine e, contando di vedere ancora altri bei pezzi e di imparare tante altre cose nuove, aspetto con curiosità la "fase due". Ciao, Mario!
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  14. Adesso si che parliamo di Rame Rosso e di altissima conservazione...complimenti
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  15. Grazie dell'ulteriore ingrandimento....in quest'ultimo si possono apprezzare ancora meglio i " cucchiai" nei cerchietti della reticella e tra i riccioli dovuti al ritiro del metallo durante il raffreddamento successivo alla colatura.....confrontare con quelli della foto più piccola sotto ......ma che te/ve lo dico a fare....!
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  16. Inni o incitamenti alla carità Nell’Antico Testamento l’elemosina costituisce prevalentemente un dovere religioso che finisce con l’assumere, in seconda battuta, una valenza sociale. Con l’insegnamento di Gesù, queste due funzioni vengono a coincidere perché attraverso la ‘carità’ si persegue l’imitazione di Cristo e, contemporaneamente, si conferisce al denaro una doppia funzione salvifica: da una parte si liberano i bisognosi dalle loro necessità materiali e imminenti, dall’altra ci si prepara a godere, un giorno, dei frutti della ricompensa divina. In questa ottica, il denaro, se così impiegato, si trasforma per poveri e ricchi in sorgente di vita e perde quella caratteristica di essere generatore di ingiustizia, che gli deriva dal suo naturale distribuirsi in maniera non uniforme tra gli uomini. Non a caso, dunque, nella monetazione in esame in questo lavoro, sono ravvisabili numerosi esempi di legende che si sostanziano in incitamenti alla – o esaltazione della – carità. SERITE IN CARITATE, “seminate (o distribuite) in carità”. È l’invito espresso che papa Benedetto XIII fa apporre su un mezzo grosso (nota 23). Ma il suo insegnamento non finisce qui; egli, infatti, ricorda, facendolo scrivere su un giulio, che il denaro dato IN CARITATE MVLTIPLICABITVR, “per carità, si moltiplicherà”, mentre su un testone ripropone un versetto del Libro dei Proverbi (19, 17) già utilizzato in precedenza da Clemente XI su un nominale analogo: FOENERATVR DOMINO QVI MISERETVR PAVPERI, “fa un prestito al Signore chi ha compassione del povero”. In proposito Gesù è stato molto esplicito. Nel racconto del giudizio finale Egli anticipa che separerà i giusti dagli iniqui, premiando i primi per avergli dato da mangiare e da bere, per averlo ospitato, vestito, e curato attraverso la carità fatta ai bisognosi: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 40). Si può perciò essere certi che il Signore non dimenticherà il suo essere in qualche modo ‘debitore’ nei confronti di chi si è dimostrato caritatevole verso i poveri; questo è il senso del PRODERIT IN TEMPORE, (la carità) “gioverà a suo tempo”, che si può leggere su un grosso di Benedetto XIII, nonché del DELICTA OPERIT CARITAS, “la carità riscatta le colpe”, e del QVI MISERETVR PAVPERI BEATVS ERIT, “chi ha pietà del povero sarà beato”, che Clemente XI affida, rispettivamente, a un giulio e a un testone. Fig. 24: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: DELICTA OPERIT CHARITAS, in tre righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1197 Dunque l’invito che il Maestro rivolge al cristiano, e che alcuni papi ribadiscono in moneta, è chiaro; così Innocenzo XII, prendendo in prestito le parole del profeta Daniele (4, 24) scrive su un giulio: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, “riscatta i peccati con le elemosine”, mentre Benedetto XIII incoraggia il cristiano ricordandogli, con un mezzo grosso, PRO TE EXORABIT, (la carità) “pregherà per te”. Fig. 25: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Giulio 1699. Al R/: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2537. DA ET ACCIPE, “da’ e ricevi”. Questo doppio imperativo presente su un mezzo grosso di Clemente XI altro non fa se non ribadire l’idea che la carità arricchisce chi ne beneficia e anche chi la pratica. Già molti anni prima il papa Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni, 1572-1585) aveva dedicato a questo concetto due belle monete, battute nella zecca di Ancona, sulle quali la legenda DAT ACCIPIT REDDIT, “dà, riceve e restituisce”, si accompagnava con la rappresentazione allegorica di questa forma superba di amore: la Carità con in braccio due bimbi e un terzo al fianco (scudo d’oro) oppure un bambino tra le braccia e due ai lati (giulio) [nota 24]. San Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi eleva alla Carità quello che è considerato il suo inno più bello (13, 1-13), suggerisce nella Seconda Lettera inviata alla stessa comunità (9, 7) di donare con gioia. Le sue parole sono state riprese da Alessandro VII, che su una doppia fa riportare: NON EX TRISTITIA AVT EX NECESSITATE, “non (dare) con tristezza o per forza” e su un grosso HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS, “Dio ama chi dona con gioia”. Fig. 26: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Grosso. Al R/: HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1128. Il concetto di caritas, specialmente dopo il suo compimento con l’insegnamento e l’esempio di Gesù Cristo e la sua esatta definizione negli scritti del Nuovo Testamento, andrebbe inteso col significato generale e più ampio di amore del prossimo e di dono di sé. Non si può però negare che esso abbia anche una valenza specifica di attenzione e sostegno ai poveri e ai miseri, dato che questi ultimi hanno sempre goduto di particolare attenzione e predilezione da parte di Dio, come testimoniato in numerosi passi delle Sacre Scritture e come ribadito anche in moneta: il grosso di Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini, 1740-1758) sul quale si leggono le parole OCVLI EIVS IN PAVPEREM, “i suoi occhi rivolti al povero”, ne è una conferma. Fig. 27: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso 1743. Al R/: OCVLI EIVS IN PAVPEREM, in quattro righe con la data. Da Internet (Rhinocoins) HABETIS PAVPERES, “avete i poveri” (con voi). Questa frase, attribuita nel Vangelo di Matteo (cfr. 26, 11) a Gesù, è presente su un grosso di Clemente XII, quasi come promemoria per ricordare a tutti che, purtroppo, la povertà e il bisogno sono sempre presenti. Perciò non può che definirsi retto chi li ha a cuore. Due papi hanno voluto ricordare in moneta questo ultimo concetto espresso anche nel Libro dei Proverbi (29, 7): NOVIT IVSTVS CAVSAM PAVPERVM, “il giusto non ignora la causa dei poveri”, è infatti quanto si può leggere su uno scudo e su un grosso, rispettivamente, di Innocenzo XII e Benedetto XIV. Non stupisce, quindi, la pressante serie di esortazioni a prestare attenzione ai miseri che il gruppo di pontefici in esame si preoccupò di pronunciare facendo parlare le proprie monete. DA PAVPERI, “da’ ai poveri” è la forma più sintetica e immediata di questi inviti che fanno apporre prima Innocenzo XII su un mezzo grosso, e poi Clemente XIII su un grosso (nota 25), ma non è l’unica. Fig. 28: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1696. Al R/: DA PAVPERI, in tre righe con la data. Da Interne (CNG coins). Note 23 - Sulla moneta compare CHARITATE che è “grafia tarda e specificamente cristiana per accostamento paretimologico col greco CHARIS, grazia”. Cfr. Traina 2006, cit., p. 398. Considerazioni analoghe valgono per le legende IN CHARITATE MVLTIPLICABITVR e DELICTA OPERIT CHARITAS. 24 - La stessa impronta sarà ripresa in pieno XX secolo nella monetazione di Pio XII e Giovanni XXIII. Molto simile anche lo scudo d’oro di Gregorio XIII, con la Carità in piedi, un bimbo in braccio e due ai fianchi, e la scritta DEVS CHARITAS EST, “Dio è amore”, tratta dalla Prima Lettera di Giovanni Apostolo (4, 8). 25 - In qualche caso i papi non si limitarono soltanto a invitare ad opere di carità, ma provvidero essi stessi direttamente. Un grosso e un mezzo grosso di Clemente XI con la legenda DEDIT PAVPERIBVS, “ha dato ai poveri”, ricordano l’azione del pontefice che, appena salito al soglio pontificio, destinò 10.000 scudi del suo patrimonio privato all’acquisto di cibo e altri beni per i poveri. Cfr. Traina 2006, cit., p. 87. Segue...
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  17. Ma guarda che bei vuoti a cucchiaio nelle chiusure della "P" e della "A"....direi proprio tipiche delle fusioni...così come le variazioni di spessore a goccia nelle linee, negli anelli della reticella...le mancanze di profondità nei vuoti dei riccioli...nella campanella dell'orecchino.......continuo? P.S. Il riempimento dell'anello della reticella, non è ossido, visto che ha la stessa rifrazione e grana dell'argento circostante, ma è un difetto : o del conio originale copiato( si è rotto un pezzetto del tondino incaricato di scavare quel vuoto), o una mancanza di riempimento della fusione...già...ma che te/ve lo dico a fare...!
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  18. Buonasera, all'asta n.2 di Numismatica Picena, battuta sabato scorso, c'era un grosso di Genova, classificato da Baldassarri/Ricci come I.III.4, e dato come "grosso da 6 tardo" (1260/70 - 1280). Ecco la foto del pezzo in asta: Cercando un po' in rete ho trovato un esemplare della stessa tipologia, battuto da CNG qualche anno fa. Eccolo: Le due monete provengono indubbiamente da conii diversi, eppure entrambe presentano gli stessi curiosi segnetti sia al dritto che al rovescio. Al dritto, subito dopo la croce di inizio legenda, c'è una specie di sottile cuneo che parte dal circolo cordonato e va verso l'alto. Ecco il particolare a confronto: Al rovescio, all'estremità uno dei bracci della croce, c'è un segno a forma di lambda (o forse di "<", se l'orientamento corretto è ruotato di 90 gradi in senso antiorario). Eccolo: A prima vista sembrano segni casuali, come graffi o imprecisioni del conio, ma non è strano trovarli entrambi su due monete da conii diversi? Che ne pensate? Grazie ed un cordiale saluto Paolo
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  19. buonasera a tutti, posto una medaglia quasi omnibus con raffigurazione tipica dell'epoca. spero faccia piacere (fa parte di un acquisto multiplo ad un mercatino) grazie a tutti riepo
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  20. Buona sera! Aggiungete per favore anche Maurizio7751 +1
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  21. cosa sono? NOTA BENE: l'anello giallo è involontario, non tenetene conto..non so da dove arriva e non sono capace di toglierlo...scusate
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  22. allego il mio della stessa tipologia con patina verde uniforme
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  23. Aggiungo anch'io il mio contributo, postando la mia cinquantenario. Le foto sono fatte con cellulare, per cui non lapidatemi.
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  24. Bene Mario, è un discorso come dici tu generale e sensato. Ma noi "pazzi" che troviamo affascinanti i provisini non vogliamo semplificarci la vita Nelle altre zecche si tende a svilire la moneta? Allora noi rivalutiamo il denaro con una nuova emissione di valore superiore alla precedente. Cito dall'articolo di Adolfo sui provisini di Carlo: " La rosetta formata da più punti in luogo della tradizionale stella è sinonimo di un drastico cambiamento nel complesso della moneta. Si tratta di anni difficili per tutte le zecche che stentano a trovare un equilibrio fra la moneta piccola e grossa; il simbolo a rosetta e le varianti dei relativi sottogruppi potrebbero segnalare diversi tentativi di blocco alla rivalutazione del romaninus vetus [...] mediante miglioramento di intrinseco o incremento di peso del provisino." I tipi con rosetta sarebbero quindi quei denari che le fonti riportano come ad once 3, denari 15 e 1/2. I tipi successivi invece torneranno "nella norma" con un costante svilimento della moneta, deducibile dalla altrettanto costante rivalutazione del romanino e dall'introduzione della pratica della bianchitura dei tondelli. Ecco quindi cosa con ogni probabilità portò il falsario a copiare il tipo con rosetta anziché quello, già affermato, con stella: la possibilità di lucrare maggiormente sulla differenza d'intriseco/peso. Sarà un caso che l'unico simbolo visibile non è la mezzaluna (presente anche nell'emissione con stella) ma proprio la "discriminante" rosetta?
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  25. Ciao Bruno, bello ritrovarti...quando il tempo te lo permette... Non è la mia monetazione ma penso sia un mezzo bianco per Asti emesso a nome Ludovico d'Orleans (classificazione CNI Piemonte, n°20, tav.III n°17). un caro saluto Mario
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  26. Vediamo di far diventare sempre più reale e concreto il pranzo a Verona lamonetiano, magari tra un raviolo e uno spaghetto di raccontare anche le news di Lamoneta tipo Evento di Milano, Evento Giovani di Parma o altro ancora, con consegna delle relative locandine, uno speaker corner veloce e sintetico, ma reale, del nostro Network, condividere, conoscersi, scambiarsi opinioni, visione di monete ma anche News, programmi, Locandine sempre in tema Lamoneta , Verona può essere anche questo e diventarlo sempre di più....uno step ulteriore per essere sempre più vicini a tutti gli utenti e a quello che accade nel mondo della numismatica e che ci coinvolge direttamente.
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  28. @gionnysicily perchè ho l'impressione che tu sia sempre sulla difensiva nel rispondere ai miei post? Continuo a ritenere che questa discussione abbia fatto emergere elementi assai interessanti mettendo in luce un ambito (quello delle trasformazioni del metallo, degli ossidi, etc.) che generalmente viene ignorato da tutti perchè sconosciuto. Ora, personalmente ho già espresso i miei punti di vista e i miei dubbi sulla moneta ebay, ho detto che ci sono elementi che mi farebbero propendere per l'autenticità (l'aspetto delle stratificazioni degli ossidi è fra i punti farorevoli ma in alcuni dettagli gli stessi mostrano delle incongruenze) ed elementi che invece mi lasciano dubbi. Credo di conoscere molto bene le caratteristiche organolettiche delle trasformazioni dell'argento per dire che una visione dal vivo può sicuramente servire a stabilire se una mineralizzazione è autentica oppure no. Allo stesso modo però credo che non sempre si può essere certi che una foto mostri l'esatta realtà. So per certo che la clorargirite (sostanza cerosa di colore marrone viola) potrebbe essere "spalmata" su un'altra moneta oppure che con alcune tecniche è possibile simulare (solo dal punto di vista visivo) l'aspetto degli ossidi stratificati. Non ci credi? Ti allego un'immagine di finta stratificazione... Dunque mi piacerebbe insistere sulle trasformazioni del metallo affinchè ci si possa confrontare su un argomento che, secondo me, è difficoltoso per i non addetti ai lavori e, visto le ultime evoluzioni dei falsi, può essere utile. Ecco a cosa servono le foto che ho postato prima. gionnysicily gionnysicily
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  29. Ma come ti diverti Ma secondo voi (voi, si fa per dire......) quel falso postato da @anto R ci può fornire qualche indicazione preziosa? ciaooo
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  30. Buon giorno,volentieri appena riesco metto insieme un po di materiale cartaceo che ho a casa con alcuni contenuti in pdf che so essere in rete,ma preferirei trattare solo della mia isola perché non conosco la storia estrattiva del resto della regione,sono sicuro che potrà farlo qualcun'altro,grazie a presto.
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  31. Ecco il tipo successivo, dove compare la rosetta a sei punti intorno ad uno centrale (Sissia gruppo 1 nell'articolo sui denari di Carlo). L'esemplare dimostra come i falsari non stessero con le mani in mano 0,54 gr
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  32. qui il seme è ancora più leggibile (notare i due globetti) GREEK COINS Kyrenaica Kyrene, c. 500-480 BC. Hemidrachm (Silver, 8mm, 1.72 g 9). Silphium fruit (seed pod?) with point downwards. Rev. Silphium fruit (seed pod?) with point downwards; all within incuse square. BMC 22. Very rare. An attractive, clear coin. Good very fine. From the Battos Collection.
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  33. E allora MODENA... Alfonso IV d'Este ( 1658 - 1662 ) con un ducatone del 1659 della NAC 32, il rovescio ha questa immagine di impatto della spada sguainata con corona d'alloro ; moneta anche questa estremamente rara. ALTERVTRVM NEVTRVM VTRVMQVE O L'UNO O L'ALTRO, NE' L'UNO NE' L'ALTRO, L'UNO E L'ALTRO La spada intrecciata con la corona d'alloro indica la tradizione militare della famiglia e la sua nobiltà, nel contempo anche come in Ravegnani Morosini " la forza dell'offesa e il diritto alla difesa ". Su zecche emiliane volendo ci sarebbe ancora molto da dire e mostrare io credo....
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  34. 1600 Epoca di CLEMENTE VIII (1592-1605) D/ REMISSIONEM PECCATORVM - In esergo sotto la Porta 1600 R/ S. Francesco aureolato, in ginocchio con le braccia aperte riceve le stigmate Bronzo, con tracce di doratura.
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  35. Possiamo dire però che molti commercianti spingono sempre più per la qualità?! Perchè sembra sempre che il collezionista sia diventato un "malato di qualità" ma forse glielo si è ficcato in testa..
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  36. Ciao! Questo è uno dei forum con più partecipanti negli States, gestito dalla PCGS. Ci sono varie sessioni, dalle monete USA ai metalli preziosi, dalla cartomoneta alle coniazioni mondiali. https://forums.collectors.com/categories/u-s-coin-forum Quello qui sotto è un altro focalizzato sulle emissioni della US Mint. mintnewsblog.com Poi ce n'è uno della NGC, l'altra casa di certificazione americana. Un po' meno attivo ma comunque interessante. http://boards.collectors-society.com/ubbthreads.php?ubb=cfrm&c=4 Buon divertimento! MM
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  37. Non avevo dubbi! Infatti questa "discesa" dei prezzi non l'hai vista, perchè sulla qualità vera, non c'é!
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  38. Altro che occupare spazio... Ll'hai occupato dandoci cultura grazie e bellissima discussione !
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  39. Bene, sono contento di rivedere così tanti amici.. Roberto
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  40. Sulle monete coniate a Locri Opunzia veniva regolarmente raffigurato al rovescio Aiace, figlio di Oileo, re della Locride (regione in cui si trovava appunto Locri Opunzia), chiamato anche Aiace Minore per distinguerlo da Aiace Telamonio, che partì alla volta di Troia al seguito degli eserciti di Agamennone e Menelao con una flotta di quaranta navi. Aiace era piuttosto basso di statura, ma abilissimo nel lanciare l’asta ed estremamente veloce nella corsa, secondo, in questo, solo ad Achille. Al suo ritorno da Troia dopo la caduta della città, la sua nave naufragò ed egli riuscì a mettersi in salvo su uno scoglio solo grazie all’aiuto di Poseidone; ma poiché si vantò di essersi salvato da solo, provocò l’ira del dio del mare che con il suo tridente spaccò lo scoglio facendo annegare Aiace tra i flutti.
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  41. GRIECHISCHE MÜNZEN LOKRIS OpousHemidrachme (2,79g), ca. 369-338 v.Chr. Av.: Kopf der Persephone mit Schilfkranz n.r. Rv.: Aias, Sohn des Oiles, mit Schwert und Schild n.r., zu Füßen Lanze und Helm. -- Winzige dünne Kratzer im Rv., hübscher Stil. SNG Cop 49, BMC 19, McClean 5436.s.sch./s.sch.+Estimate: 280 EUR
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  42. segue (Ammonimenti o raccomandazioni) 6 - NOLITE THESAVRIZARE, “non tesaurizzate”. Innocenzo XI, testone. 7 - AVRI IMPERIO NE PARETO, “non obbedire al comando dell’oro”, Clemente XI, scudo d’oro. Fig. 19: Roma, Clemente XI (1700-1721). Scudo d’oro. Al R:/ AVRI IMPERIO NE PARITO (evidente errore per PARETO). Da Internet (rhinocoins) 8. NON AVRVM SED NOMEN, “non l’oro ma la reputazione”. Lo scudo di Clemente XI per Ferrara, sul quale campeggia tale espressione, è un chiaro avvertimento fatto dal papa a privilegiare l’essere stimati per il proprio buon nome piuttosto che per la ricchezza. 9. NON CONCVPISCES ARGENTVM, “non bramerai il denaro”. Questo frammento di un versetto del Deuteronomio (7, 25) può apparire come naturale prosecuzione – quasi una conseguenza – dell’iscrizione precedente; anch’esso fa parte dell’insegnamento lasciato da papa Clemente XI che la fa apporre su cinque tipi variati di giulio. Fig. 20: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: NON CONCVPISCES ARGENTVM, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 409. 10. NOLI AMARE NE PERDAS, “non amare (il denaro) per non perdere” (la tua anima). L’ammonizione compare su un testone di Innocenzo XII e si ispira ad uno scritto di Sant’Agostino (nota 20). 11. NOLI ANXIVS ESSE, “non ti angustiare” (per il denaro). Anche in questo caso è un testone, emesso però a nome di Innocenzo XI, a riportare l’ennesimo avvertimento contro l’ansia da possesso di denaro. Fig. 21: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone. Al R/: NOLI ANXIVS ESSE, in tre righe. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1344. 12. NOLI LABORARE VT DITERIS, “non ti affannare per arricchire”. Clemente XI trae dal Libro dei Proverbi (23, 4) questo versetto che occupa il campo di un giulio per sottolineare, ancora una volta, il concetto della futilità dell’atteggiamento di chi, in qualche misura, si ‘tormenta’ pur di arricchire. 13. SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, “se affluiranno non date loro il cuore”. Soggetto della legenda proposta da papa Clemente XI su un giulio sono le ricchezze che, evidentemente, non devono diventare oggetto d’amore da parte di chi dovesse vederle comparire tra le proprie disponibilità. La fonte dalla quale è stata tratta questa raccomandazione è il Salmo 61 (v. 11) ed è presente, in forma ridotta, anche su altre due tipologie monetali: un grosso dello stesso Clemente XI, dove compare come NOLI COR APPONERE, e un testone di Innocenzo XI sul quale, invece, l’imperativo è impresso nella forma plurale NOLITE. Fig. 22: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio 1703. Al R/: SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, in sei righe con la data. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1195. 14 - NON SIBI SED ALIIS, “non per sé ma per gli altri”. L’iscrizione, che si trova su un mezzo scudo di Innocenzo XII, sovrasta la figura di un pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi pulcini. Un tempo si riteneva erroneamente che questo palmipede avesse la capacità di nutrire o, addirittura, di resuscitare i suoi piccoli nutrendoli del proprio sangue. Per questo nella simbologia cristiana è stato spesso accostato allo stesso Cristo, in quanto segno di Colui che offre la propria vita per la salvezza di quelli che sono stati da Lui generati. Nella teologia medievale il pellicano rappresenta più esattamente Gesù che si lascia inchiodare alla croce, donando il suo sangue per la redenzione dell’umanità. Un simile accostamento è presente, ad esempio, nella Divina Commedia (nota 21), così come in una preghiera del Corpus Domini di Tommaso d’Aquino (nota 22). La moneta descritta fu emessa per ricordare la carità fatta dal papa ai poveri accolti nell’ospizio di San Michele e nel palazzo del Laterano; chiaro, perciò, il significato da attribuire all’insieme immagine-legenda: il denaro va speso per il bene altrui e non per il proprio. Fig. 23: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo Scudo 1693. Al R:/ NON SIBI SED ALIIS, disposta ad arco su pellicano che si squarcia il petto per alimentare i suoi piccoli; sulla destra la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2533. Si è scelto di chiudere l’insieme di norme in materia di comportamenti da tenere nei confronti della ricchezza – che si è voluto definire ‘codice’ – con quest’ultimo invito presente sulla bella moneta appena illustrata, perché sembra fungere da naturale raccordo con quella che rappresenta la terza parte del presente lavoro e il completamento della ‘catechesi numismatica’ in esame: l’esaltazione della carità e il conseguente incoraggiamento a praticarla costantemente. NOTE 20 - S. Agostino, Trattato 124 sul vangelo di Giovanni. Cfr. Traina 2006, cit., p. 290. 21 - Dante accosta la scena dell’ultima cena in cui l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro con la figura del pellicano: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto”. Cfr. Paradiso, XXV, 112-114. Il “grande officio” è costituito dal compito di accogliere Maria nella sua casa, assunto da Giovanni allorché Gesù gli disse, dall’alto della croce: “ecco tua madre” (Cfr. Giovanni, 19, 27). 22 - “Fa’, Gesù, Signore e Salvatore, prezioso Pellicano, che io peccatore riceva purificazione dal tuo sangue”. Cfr. Schmidt 1988, p. 90, richiamato da Traina 2006, cit., p. 298. Segue...
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  43. Altro Lunardi spacciato per Francesco Dandolo. Tra falsi ed imitativi si presenta una collezione veramente impegnativa ed ampia. Intanto postiamo le foto. ADANDVIO. Da notare il segno segreto che Metcalf invece attribuisce a zecca serba o bulgara. Inoltre l'utilizzo della E per la D e l'utilizzo della N retrograda. Peso 2,14 gr. e mm 19
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  44. Ammonimenti o raccomandazioni Si è visto quanto sostanzialmente costante, pur nel succedersi sulla Cattedra di Pietro di diverse personalità, sia stato l’insegnamento dei papi menzionati a proposito della ricchezza e del giusto modo di rapportarsi ad essa; magistero espresso attraverso una lunga teoria di ‘massime’ inserite come legende sulle loro monete. Nulla di strano, perciò, nel fatto che tale originale forma di ‘catechesi’ sia stata impiegata per far circolare, insieme ai soldi, anche una altrettanto corposa serie di raccomandazioni o ammonimenti, nella speranza di far sì che nessuno, un giorno, debba sentirsi indirizzare le parole conclusive della parabola del ricco stolto; quelle stesse parole che si possono leggere sull’oro di una quadrupla di Alessandro VII: HAEC AVTEM QVAE PARASTI CVIVS ERVNT, “ma quanto hai procacciato di chi sarà”? Come quando si ricompone un puzzle mettendo insieme i vari pezzi, così ci si potrebbe divertire nel tentativo di riunire le legende utilizzate da diversi pontefici – magari a distanza di decenni – per costruirne altre di senso ancor più completo. Alcuni esempi potrebbero essere i seguenti: all’auspicio di Innocenzo XII che su un testone fa imprimere NON SIT TECVM IN PERDITIONEM (nota 16), (il denaro) “non sia con te nella perdizione”, si potrebbe far seguire l’invito di Benedetto XIII, che su un grosso comanda DA NE NOCEAT, “dallo perché non ti sia di danno”. Fig. 14: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone. Al R/: NON SIT TECVM IN PERDITIONEM, in quattro righe. Da Internet. (discussione su lamoneta.it) Oppure, il perentorio TOLLE ET PROICE, “prendi (il denaro) e dallo via”, presente su un grosso di Clemente XII può essere completato da NE FORTE OFFENDICVLVM FIAT, “perché non diventi un inciampo”, che lo stesso papa Corsini fa scrivere dai suoi maestri di zecca su un testone. Ancora, volendo sottolineare nuovamente che un corretto utilizzo del denaro può contribuire alla salvezza dell’uomo, si potrebbero leggere in sequenza le legende FAC VT IVVET, “fa che sia utile”, e PRO PRETIO ANIMAE, “per il riscatto dell’anima”, che Innocenzo XII e il suo omonimo XI fanno apporre, rispettivamente, su un mezzo grosso e su uno scudo d’oro. Fig. 15: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1692. Al R/: FAC VT IVVET, in quattro righe con la data. Ex Asta Artemide XXIV, 2009, lotto n. 3316. Ben si prestano, infine, ad essere lette come una sola frase le due raccomandazioni NEQVE DIVITIAS (nota 17), “non le ricchezze”, e POSSIDE SAPIENTIAM, “possiedi la saggezza”, che Innocenzo XI fa brillare sull’oro con due differenti scudi. L’esercizio che si è voluto tentare manipolando le iscrizioni in esame può apparire, e forse realmente è, un po’ forzato. Meno azzardato sembra, invece, sostenere che molti dei pontefici di quel particolare periodo siano stati i compilatori di una sorta di ‘codice’, alla composizione del quale ciascuno ha contribuito dettando alcune ‘norme’. Queste ultime, scritte non su carta o pergamena, bensì sul metallo delle monete, si sostanziano in ‘raccomandazioni’ oppure in ‘ammonimenti’, a seconda che il loro contenuto si traduca, rispettivamente, in un invito ad un comportamento attivo o omissivo nei confronti del denaro; in altri termini a fare o non fare determinate cose. Proprio perché si è utilizzata l’immagine del codice, se ne dà conto qui di seguito in un elenco numerato, comprendente anche l’indicazione dei papi alla cui monetazione afferiscono i vari pezzi citati, partendo dalle legende che chiamano il fedele ad una condotta di tipo attivo. 1. DIVES IN HVMILITATE, “il ricco (si glori) della sua umiltà”. Innocenzo XI, 2 scudi d’oro (o doppia); legenda tratta dalla Lettera di Giacomo (1, 10). 2. TEMPERATO SPLENDEAT VSV, “risplenda (il denaro) con un uso moderato”. Alessandro VII, mezzo grosso. L’iscrizione, tratta da un verso delle Odi di Orazio (2, 2, 3), è la continuazione della legenda NVLLVS ARGENTO COLOR EST AVARIS già citata in precedenza da un testone di Innocenzo XIII, e bene esprime il contrasto tra il tener nascosta la propria ricchezza o il farla rilucere attraverso un suo giusto impiego. Fig. 16: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Mezzo grosso. Al R/: TEMPERATO SPLENDEAT USV, in cinque righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1132. 3. REDDE PROXIMO IN TEMPORE SVO, “rendi al prossimo a suo tempo” (i denari avuti in prestito). Due monete e due metalli per questa sollecitazione che papa Clemente XI fa apporre su una doppia d’oro e su un giulio. 4. IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, “verso le tue leggi e non verso l’avarizia”. Come la precedente, anche questa legenda afferisce alla monetazione di Clemente XI che, per la zecca di Ferrara, la fa apporre su uno scudo d’argento (nota 18). È tratta da un Salmo (118 o 119, v. 36) [nota 19] nel quale è preceduta dalle parole (rivolte al Signore): inclina cor meum, “piega il mio cuore”. Fig. 17: Ferrara, Clemente XI (1700-1721), Scudo d’argento 1709 A. IX. Al R/: IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, in quattro righe. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2556 5. THESAVRIZATE IN COELIS, “accumulate tesori nei cieli”. Il versetto, tratto da una frase di Gesù riportata nel Vangelo di Matteo (6, 20), appare su un giulio di papa Clemente XIII (Carlo della Torre di Rezzonico, 1758-1769). È l’immediata continuazione di un altro invito fatto da Cristo (Matteo 6, 19) che costituisce, in questo elenco (vedi n. 6), il primo di quelli che, ai fini del presente lavoro, sono stati definiti ‘ammonimenti’. Fig. 18: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Giulio 1761. Al R/: THESAVRIZATE IN COELIS, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1428. Note 16 - La legenda è ispirata a un versetto degli Atti degli Apostoli (8, 20) costruito, in realtà, come una condanna. Pietro, infatti, ad un uomo che voleva acquistare col denaro il potere di dare lo Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani, indirizza questo anatema: pecunia tua tecum sit in perditione, il tuo danaro sia con te nella perdizione. Papa Innocenzo, invece, impostando la frase come negazione, sembra voler scongiurare la condanna. 17 - La legenda NEQVE DIVITIAS è stata utilizzata anche da Clemente XI su un mezzo grosso. 18 - La seconda parte della legenda, NON IN AVARITIAM, è presente su altre due monete di Clemente XI per Roma; più esattamente: mezzo scudo d’oro e grosso. 19 - I 150 salmi che compongono il Salterio hanno una numerazione diversa a seconda che facciano riferimento al testo ebraico masoretico (versione della Bibbia ufficialmente in uso tra gli Ebrei) o ai manoscritti greci. Segue...
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  45. Completo la stupenda carrellata degli argenti del Giubileo-Sede Vacante 1700 con la foto del giulio più raro,anche se malridotto
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  46. Chepeccato: Chiacchierone François Hollande e altri politici europei rimproverato, insultato E ora che cosa?
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  47. Emilia...Emilia terra di motti e leggende...e belle monete... PARMA, Odoardo Farnese ( 1622 - 1646 ), con un ducatone del 1638 della NAC 85 Ripeto qui stiamo vedendo tra le più belle monete delle zecche italiane.... MILE CLYP PENDENT MILLE SCUDI PENDENTI L'immagine è altissima, di quelle sacre, importanti, vediamo la Vergine che allatta il Bambino. Per capire però questa legenda dobbiamo tornare a Odoardo Farnese che era molto devoto alla Madonna della Steccata e che interpreta i monili e le collane appesi al collo della Vergine come i mille scudi pendenti dalla torre di David. L'immagine della Madonna riproduce l'immagine affrescata nella chiesa di Santa Maria della Steccata di Parma costruita in quegli anni.
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  48. Wow, moneta particolarissima. Queste tipologie sono ricche di storia!
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  49. interessante, bisognerebbe perderci un pò di tempo per esaminarla per bene. sembra che possa essere stata coniata sopra un'altra moneta o punzonata.
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  50. Wow! Complimenti per la medaglia e per il cofanetto! Mi sono permesso di schiarire un po' il rovescio per ammirare meglio la bellezza di questa medaglia! Saluti e buon we
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