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Contenuti più popolari
Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/12/16 in Risposte
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Per carita' nessuno ti vuole cacciare Gionni non facciamo cacce ai fantasmi. La tua competenza e' sicuramente apprezzata in una materia difficile e scivolosa come il restauro delle monete. per un che ritiene che le monete non debbano MAI essere toccate il mondo del restauro rappresenta una dimensione aliena che ebbi comunque la fortuna di esplorare grazie all'amico Pippo di palermo, abilissimo restauratore che mi fecd vedere interventi sui bronzi stupefacenti. E' una materia chd richiede abilita' tecniche, conoscenze e occhio non comuni e che pochi solamente possono praticare. La discussione e' oltremodo interessante , si sono delineati due campi . Tinia dal canto suo e' un grande esperto con notevole esperienza in questo campo. Gli sviluppi saranno certamente interessanti anche se manchera' l'osservazione diretta dell'esemplare che potrebbe una volta per tutte dirimere la questione che finalmente si svolge con toni e rispetto piu' consoni come constato con soddisfazione4 punti
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Alcune monete dei Giubilei ancora "inesplorati" in questa bella discussione: 1- Anno 1650 - papa Innocenzo X, quattrini per Gubbio con la Porta Santa aperta (M. 124a) e chiusa (M. 122): 2- Anno 1750 - papa Benedetto XIV, mezzo baiocco per Roma (M. 205): Grossi per Roma con la Porta Santa aperta (M. 53a) e chiusa (M. 54): 3- Anno 1775 - papa Pio VI, grosso per Roma (M. 50): e infine giulio per Roma (M. 49): Ciao, RCAMIL.3 punti
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A suo tempo la presi perchè mi ha incuriosito molto il fatto che riportava una data diversa per faccia. Il 1816 in Europa e negli Stati Uniti fu chiamato “l'Anno senza estate ”, con neve a giugno, gelate in luglio e agosto ed inverno rigidissimo. Ci furono rivolte per il cibo in Gran Bretagna ed in Irlanda, molti si videro costretti a mangiare radici e ratti. Il clima causò la diffusione su larga scala di epidemie di tifo, andarono distrutti gran parte dei raccolti costringendo alla fame centinaia di migliaia di persone, per questo freddo micidiale si stimano 60.000 morti nel periodo 1816/17. Negli anni seguenti il terrore che un simile clima potesse ripresentarsi restò a lungo impresso. I contadini se la cavarono a stento sopravvivendo con le scorte delle annate precedenti. Una tessera per "un pane" - Germania: Città di Wuppertal-Elberfeld - 1 Brod 1816/1817 Tramite traduttore ho grossomodo ricavato le diciture, è stata coniata in un periodo di grave carestia, una testimonianza di lacrime, stenti e sofferenze. ASSOCIAZIONE DEL GRANO - ELBERFELDER (lato 1) ____COMPRATO IN TEMPO NELL'ANNO 1816 (lato 2) ____IN MODO DI AVERE IL NECESSARIO NEL 1817 (Le cause di questo clima micidiale furono dovute in parte alle gigantesche eruzioni vulcaniche avvenute negli anni precedenti, si erano accumulate nell'atmosfera immense quantità di polveri, a queste eruzioni si sommò quella dell'esplosione del vulcano Tambora avvenuta nel 1815, la spessa coltre di polveri rese meno incisiva la radiazione solare, tale azione si sommò ulteriormente alle condizioni atmosferiche particolarmente avverse di quegli anni)3 punti
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Buonasera a tutti,innanzitutto complimenti per la discussione veramente interessante,a titolo informativo volevo ricordarvi che oltre a Filippo III anche Filippo IV ha coniato una moneta con cornucopie intrecciate,è il rarissimo 2 cavalli del 1632...2 punti
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Nel famosissimo quarto di ducato di Clemente VII del giubileo del 1525 appaiono 2 motti: uno al dritto e quell'altro al rovescio. Quello al dritto è: HODIE SALVS LACTA EST MVNDO che significa OGGI LA SALVEZZA INCOMINCIA A SUCCHIARE IL LATTE vuol dire che è la giornata di natale e lo si deduce dal fatto che la salvezza è Gesù e succhiare il latte è quello che fanno i neonati quindi è il giorno in cui è nato Gesù (25 dicembre) Quello nel rovescio è: SVNT ET PORTAE CAELI APERTAE che significa:LA SANTA PORTA DEI CIELI APERTA Questa moneta fu coniata per il volere del papà che sperava nell'aiuto di Dio perchè in quel periodo c'erano molti conflitti politici e soprattutto religiosi ( causa soprattutto dalla riforma luterana) Immagine presa da numismatica ranieri2 punti
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Chiedo scusa, ma ogni volta che cerco di fare "copia e incolla" mi si creano dei pastrocchi nel msg che non riesco a cancellare o a sistemare. I significati che sono stati attribuiti alle lettere PP sono molteplici : Patronus Primarius, Patronus o Protector Principalis, Patriarca Protettore, Perpetuus Patronus o Perpetuus Protector,.. e c'è anche chi sostiene che fosse l'abbreviazione di Pontefice. Non necessariamente però le lettere PP possono assumere lo stesso significato. Se ad es. come sostiene @teofrasto per Ascoli Piceno stanno a significare "Patrono e Protettore", credo che per Ancona il significato da attribuire sia diverso. Come già detto, ad Ancona esistono tre Santi Patroni: S. Ciriaco, S. Liberio e S. Marcellino. E S. Ciriaco è da tutti considerato il Patrono Principale. Questa attestazione la ritroviamo anche nella tomba del Santo che riporta: CORPVS SANCTI CYRIACI EPI ET MARTYRIS PATRONI PRINCIP. ANCONAE (Corpo di San Ciriaco Vescovo e Martire Patrono Principale di Ancona). Certamente si può obiettare che la tomba risale al settecento, ma credo che altri elementi possano portarci sempre al Patrono Principale. Non dimentichiamo che San Ciriaco era considerato, dopo S. Cleto, Protettore Principale dell'Ordine Religioso Cavalleresco dei Cruciferi, ordine che risale al XII secolo.2 punti
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Questa discussione e' nata nel rispetto delle opinioni degli altri, quindi anche la tua sara' rispettata,ti faccio solo osservare che nel punto in cui tu parli di ossidazioni , si parla di corrosioni, termine totalmente diverso. le ossidazioni presentano caratteristiche diverse. Il fatto che tu non spenderesti piu' di 100 euro e' una tua scelta personale per contro, la gente puo' decidere di spendere 3350 euro perche' crede in quello che fa, oppure puo' anche buttare i soldi dalla finestra, anche queste sono scelte personali in cui nessuno di noi puo' entrare nel merito2 punti
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Salve @margheludo, non credo che la moneta in questione sia originale. Come ho già scritto nel mio primo messaggio, le superfici non solo semplicemente porose a causa di ossidazioni o pulizia maldestra ed aggressiva, come sostieni tu, bensì si intravedono delle vere e proprie micro-bolle di fusione diffuse. Inoltre, cosa che io ho evidenziato nella mia risposta, ma non ho notato nella tua, non hai visto il bordo (o taglio) della moneta? Sembra sia stato abraso meccanicamente per eliminare i difetti (tipo codoli, linee di congiunzione e simili) dovuti alla fusione. Conclusione: per me, moneta falsa al di là di ogni dubbio. Attendiamo anche altri pareri, magari di chi è più esperto in tecniche produttive, così dissolviamo ogni dubbio.2 punti
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Ciao @adolfos, ero in tutt'altre faccende affaccendato (ho una nipotina che mi gira per casa ed in contemporanea avrei voluto seguire un'asta, ma non c'è stato verso). Io sono uno di quelli che è rimasto nella convinzione che il D/ della moneta sia quello con l'indicazione della Località e nella fattispecie della mia zecca, quello di Ancona, e non piuttosto quello del Santo che la rappresenta, ma questa è un'altra storia, piena di valutazioni e convinzioni che cambiano anche nel tempo. Quindi per me DE ANCONA sta ad indicare che la moneta è di Ancona e S. Ciriaco è il Santo che la rappresenta come simbolo identificativo. Ci sono molte discussioni al riguardo, e qui non vorrei entrare nel merito. Per quanto riguarda invece il significato delle lettere PP che solitamente troviamo dinnanzi a S QVIRIACVS nel R/ della moneta, anche qui ci sono molte discussioni ed i pareri spesso similari e talora contrastanti, anche su questo forum, vedi ad esempio una delle ultime discussioni (nell'ultima pagina).2 punti
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SAGUNTO. Sextante. A/ Cabeza femenina a dcha; delante SAG, detrás ¿clava?. R/ Caduceo alado, a izq. V a dcha. NT nexadas. C-63 (dice venera debajo SAG, pero si giramos 90º el anv. de la pieza fotografíada, vemos que se trata de una cabeza femenina y delante SAG como en el presente ejemplar. Creemos que tenía razón el maestro Villaronga al atribuir esta pieza a Sagunto, si bien pudo confundirle el efecto óptico, apreciando una venera).2 punti
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Direi che la lista delle emissioni per quest'anno è completa, quindi possiamo fare un riepilogo. Cliccando su ogni moneta, potrete vederne dettagli e foto. Italia - 2200° anniversario della morte di Plauto - 550° anniversario della morte di Donatello San Marino - 550° anniversario della morte di Donatello - 400° anniversario della morte di William Shakespeare Vaticano - 200° anniversario della Gendarmeria - Giubileo straordinario per la misericordia Andorra - 150° anniversario della Nuova Riforma - 25° anniversario della radiotelevisione di Andorra Austria - 200° anniversario della banca centrale Belgio - Olimpiadi estive di Rio de Janeiro - Fondazione Child Focus Estonia - 100° anniversario della nascita di Paul Keres Finlandia - 90° anniversario della morte di Eino Leino - 100° anniversario della nascita di Georg Henrik von Wright Francia - François Mitterrand - Campionato europeo di calcio Germania - Zwinger, complesso barocco di Dresda Grecia - 120° anniversario della nascita di Dimitri Mitropoulos - 150° anniversario dell'olocausto del monastero di Arkadi Irlanda - 100° anniversario della rivolta di Pasqua Lettonia - Livonia - Mucca Lituania - Cultura baltica Lussemburgo - Ponte della granduchessa Carlotta Malta - Amore - Gigantia Monaco - 150° anniversario della fondazione di Montecarlo Portogallo - 50 anni del ponte 25 de Abril - Olimpiadi estive di Rio de Janeiro Slovacchia - Presidenza di turno del Consiglio Europeo Slovenia - 25° anniversario dell’indipendenza Spagna - Centro storico e acquedotto romano di Segovia2 punti
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A me piace molto questa tipologia: Baudekin du 4ème type, Valenciennes.A/. Cavalier à droite, brandissant l’épée. Aigrette à six branches. Jambes du cheval entre E et n. R/. Double légende et petite croix cantonnée de croissants. COITISSA et ponctuation intérieure par : Références : Chalon, n° 15 – Duplessy, n° 1 – Lucas, n° 36 type 42 punti
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Perché insistere, mettendo possibilmente a disagio, un utente che contribuisce come pochi al forum? Confrontiamoci sui contenuti... Ciao ES2 punti
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Taglio: 1 euro Nazione: Cipro Anno: 2011 Tiratura: 200.000 Conservazione: BB+ Località: Castelletto Cervo (BI) Note: NEWS? Note2: questa è probabilmente la moneta più rara che io abbia mai trovato...avrei preferito una qualsiasi di Andorra o un ramato monegasco (che hanno tirature maggiori) ma vabbè!2 punti
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Segue... (Inni o incitamenti alla carità) NE OBLIVISCARIS PAVPERVM, “non dimenticarti dei poveri”. È ancora Innocenzo XII a lasciare questa sollecitazione, in tal caso su un giulio. Sarà poi imitato dal successore Clemente XI, che la farà imprimere su un testone. Alla monetazione di quest’ultimo papa appartengono anche un grosso e la sua metà con la scritta PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, “stendi la tua mano al povero”, versione integrale di una legenda presente in forma ridotta anche su altri nominali dello stesso pontefice, nonché di suoi tre successori (nota 26). Fig. 29: Roma, Clemente XI (1700-1721), Grosso. Al R/: PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins). Ad Innocenzo XII si deve la riproposizione in moneta di un frammento del Libro di Giobbe (5, 16) riportato su sei tipi variati di grosso che presentano la dicitura EGENO SPES, “speranza per il bisognoso” , nonché quella del versetto del Deuteronomio (15, 11) EGENO ET PAVPERI, (porgi la mano) “al bisognoso e al povero”, visibile su un testone. Su quest’ultima moneta compare anche una bellissima rappresentazione: una donna, con una fiamma sul capo, che avanza tenendo una cornucopia capovolta dalla quale cadono più monete. Come spiega Traina nel magistrale volume ricordato all’inizio di questo lavoro, la fiamma è tradizionalmente simbolo di illuminazione, purificazione e amore spirituale, mentre la cornucopia è emblema di abbondanza, speranza e carità. Fig. 30: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone 1694. Al R/: EGENO ET PAVPERI, attorno a donna che avanza con fiamma sul capo e cornucopia in mano dalla quale cadono monete; in esergo la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1364. Il mezzo grosso di Innocenzo XIII con IN EGENIS, “per i bisognosi” e il pezzo di valore doppio di Clemente XII con la scritta CVM EGENIS, “dalla parte dei poveri”, arricchiscono ulteriormente il panorama delle coniazioni di questo tipo. BEATVS QVI INTELLIGIT SVPER EGENVM, “beato chi comprende i bisogni del povero”. L’iscrizione appena citata da un giulio di Innocenzo XIII ricorda che non soltanto occorre individuare i bisognosi, ma anche saper discernere esattamente quali siano le loro effettive necessità. Non v’è dubbio che, tra queste, quella del cibo sia primaria ed è proprio a tale specifico aspetto che sono dedicate le parole leggibili su tre grossi (a volte con varianti) di due diversi pontefici: IN CIBOS PAVPERVM, “per i cibi dei poveri” (Clemente XII), EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, “i poveri mangeranno e saranno saziati”, e VT ALAT EOS IN FAME, “perché dia da mangiare agli affamati” (Benedetto XIV). Fig. 31: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso. Al R/: EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins). Nel Vangelo di Luca è scritto PETENTI TRIBVE, “da’ a chi chiede” (6, 30), e, poco oltre, DATE ET DABITVR, “date e vi sarà dato” (6, 38). Entrambe le espressioni sono presenti pure su moneta: rispettivamente, su un mezzo grosso di Benedetto XIII e su un grosso di Clemente XI. Lette insieme, esse danno, ancora una volta, la certezza che la carità giova anche a chi la pratica e, soprattutto, che non lo impoverisce. La legenda QVI DAT PAVPERI NON INDIGEBIT, “chi dà al povero non andrà in rovina”, che Innocenzo XI pone su un giulio, può essere interpretata, allora, come una conferma di quella che si è voluta definire ‘doppia funzione salvifica’ della carità stessa. La conclusione di questo lungo percorso di ‘catechesi numismatica’ è forse quella che si può leggere tanto su un testone che su una quadrupla di papa Clemente XI: A DEO ET PRO DEO, “da Dio e per Dio”. Quasi per dire che la ricchezza viene dal Signore ed è a Lui che deve ritornare, attraverso l’attenzione verso i bisognosi che, come riscontrabile nelle Scritture sia vetero che neotestamentarie, godono della Sua predilezione. Fig. 32: Roma, Clemente XI (1700-1721), Testone. Al R/: A DEO ET PRO DEO, intorno a donna con un bimbo in braccio, tra due bambini che versano monete da due cornucopie. Da internet (Rhinocoins). L’invito è che ognuno, riconoscendo la verità di quanto appena affermato, possa andare incontro al prossimo che si trova nel bisogno con le parole che Pietro rivolse ad uno storpio che chiedeva l’elemosina davanti al tempio di Gerusalemme (cfr. Atti, 3, 6), e che Innocenzo XI ha voluto fossero impresse su un suo testone: QVOD HABEO TIBI DO, “quello che ho lo do a te”. Fig. 33: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone Anno II 1677. Al R/: QVOD HABEO TIBI DO, S. Pietro, stante a destra, aiuta lo storpio. NOTE : 26 - PAVPERI PORRIGE: Clemente XII, grosso. PAVPERI PORRIGE MANVM: Clemente XI, grosso, mezzo grosso; Clemente XII, grosso. Benedetto XIV, grosso (o mezzo paolo); Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, 1800-1823), grosso. Quest’ultima moneta è stata coniata anche nella zecca di Bologna. BIBLIOGRAFIA Amisano G. 2009, Le monete della Bibbia e dei Vangeli con monete e parole, Cassino (FR), Editrice Diana. Andreau J., La cattiva reputazione dei pubblicani, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19. Colombo C. 2003, Trenta monete d’argento. Le monete nel Nuovo Testamento, Pessano (MI), Mimep-Docete (Bereshit; 1). Lémonon, J-P., La questione del denaro di Cesare, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24. Marguerat D., Dio e il denaro sono compatibili?, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9. Merlo G.G., Francesco d’Assisi e il denaro, in Travaini 2009, pp. 145-152. Monti A. 1883, Motti sopra alcune monete dei Pontefici, in «Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’italia», 1883, fasc. II e III. Muntoni F. 1972-1974, Le monete dei Papi e degli Stati Pontifici, Roma, P&P. Santamaria. Vol. I: Da Adriano I alla Sede Vacante 1559 (772-1559), Roma 1972; Vol. II: Da Pio IV alla Sede Vacante 1676 (1559-1676), Roma 1972; Vol. III: Da Innocenzo XI alla Sede Vacante 1758 (1676-1758), Roma 1973; Vol. IV: Da Clemente XV a Paolo VI (1758-1971), Roma 1974. Schmidt Heinrich e Margarethe 1988, Il linguaggio delle immagini. Iconografia cristiana, Roma, Città Nuova. Traina M. 2006, Il linguaggio delle monete. Motti, imprese e legende di monete italiane, Sesto Fiorentino (FI), Editoriale Olimpia. Travaini L. 2009 (a cura di), Valori e disvalori simbolici delle monete. I Trenta denari di Giuda, Roma, Quasar (Monete; 3). ***** Ecco... ho finito. L'articolo originale, in realtà, proseguiva con una piccola parte conclusiva che però, ai fini di questa discussione, può essere omessa. Mi scuso se la lettura potrà risultare un po' scomoda, ma il semplice allegare la scansione della rivista avrebbe impedito di vedere bene le immagini. @dabbene , al quale avevo chiesto preventivamente se poteva essere utile portare questo contributo, mi perdonerà se mi sono preso tutto questo spazio.2 punti
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Salve a tutti. Con questa discussione volevo oggi focalizzare la vostra attenzione su una rarissima tipologia monetaria coniata a Napoli nei primi anni del regno di Filippo III d'Asburgo (1598-1621). Senza frapporre ulteriori indugi, passiamo alle descrizioni. 1. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto radiato, corazzato e drappeggiato volto a sinistra. Sotto, una croce tra due globetti. R/ MARGARI + AVSTR + CONIVXIT Busti dei sovrani Filippo III e Margherita d’Austria affrontati, posti su due cornucopie intrecciate. Tra di loro, nel campo, una corona reale. Sotto, 16.. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9 (fig. 1). · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1099 (tav. VIII del catalogo di vendita) – fig. 2. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, p. 22, n° 3 (tav. I, n° 3, proveniente dalla Coll. Catemario con un peso di 5,92 g.) – fig. 3 e 3 bis. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 183, n° 23 (rarità: R4). Fig. 1. Immagine tratta da Pannuti-Riccio, p. 140. Fig. 2. Immagine tratta dal catalogo di vendita della Collezione Sambon del 1897, tav. VIII. Fig. 3. Immagine tratta dall'articolo di G. Bovi del 1967 in BCNN, tav. I (ex Coll. Catemario). Fig. 3 bis. In questa immagine sembra che la moneta ritratta sia la stessa già appartenuta alla Coll. Catemario pubblicata dal Bovi e qui riportata in fig. 3. 2. D/ PHILIPP. III. DG. REX. ARA. VT. SI. Busto simile al numero precedente. Dietro il busto, sigla comunemente interpretata come G. R/ Del tutto simile al numero precedente. · M. Pannuti – V. Riccio, p. 140, n° 9a. · Coll. Sambon 1897, p. 89, n° 1100. · G. Bovi, Le monete napoletane di Filippo III, in BCNN, anno LII, 1967, manca. · A. D’Andrea – C. Andreani – S. Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE), 2011, p. 184, n° 24 (rarità: R4). · CNI XX, p. 178, n° 27 (esemplare della Coll. Sambon). Al momento, l’unico pezzo conosciuto di questa varietà fu esitato nell’asta Varesi XXXIII Utriusque Siciliae del 30 maggio 2000, p. 63, lotto n° 316 (fig. 4). Il medesimo esemplare, prima di approdare in questa recente asta, era appartenuto a Giulio Sambon e dalla sua ditta fu venduto nel catalogo della sua collezione a Milano nel 1897. Successivamente, si registrò un altro passaggio in asta Ratto del 5 maggio 1959 (lotto n° 353), per concludere poi in asta Varesi. Fig. 4. Immagine tratta dal catalogo d'asta Varesi Utriusque Siciliae. Come si evince dal titolo, questa interessantissima moneta napoletana dal valore di un tarì (ovvero due carlini), oltre alla rarità e all’importanza numismatica, riveste anche un rilevante significato storico, espresso attraverso l’iconografia del rovescio. Il diritto non rileva nulla di eccezionalmente importante, fatto salvo per la sigla G dietro il busto della variante qui descritta al n° 2, ma che avremo modo di approfondire di qui a breve. Volevo quindi soffermarmi in particolare sul rovescio. La legenda è già di per sé molto eloquente, ricordando il matrimonio tra Filippo III e Margherita d’Austria. Quest’ultima (1584 – 1611) era figlia dell’Arciduca d’Austria Carlo II di Stiria (1540 – 1590) e nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Ferdinando I (1556 – 1564). Non era certo di bell’aspetto: i ritratti dell’epoca ce ne tramandando un’immagine caratterizzata dal celebre prognatismo asburgico, tuttavia era di carattere mite, molto religiosa (alcuni l’hanno definita addirittura bigotta) e tutt’altro disinteressata agli affari politici e alle celebrazioni di corte. Nel 1599 sposò il Re Filippo III per procura, portando alla Corona spagnola una dote di 100.000 ducati, e di lì a poco intraprese il viaggio verso la penisola iberica, dove la sua unione regale doveva essere confermata nella capitale Madrid. Durante il suo viaggio verso la Spagna, il corteo austriaco fece tappa a Milano dove, per celebrare la sosta della nuova Regina spagnola, fu inaugurata, nell’allora Palazzo Ducale, la prima sala cittadina predisposta all’esecuzione dell’opera, il cosiddetto Salone Margherita. Alla corte spagnola, Margherita divenne una donna molto potente: ella era affezionata al consorte, così come anche lui esprimeva un sincero sentimento nei suoi confronti, ma non disdegnava l’intromissione, quando era necessario, negli affari di Stato. Il legame tra i due regnanti è ben illustrato su questa moneta: l’unione matrimoniale è simboleggiata dalle cornucopie che s’intrecciano. Questo simbolismo di pace, amicizia e concordia era già stato adoperato nel mondo classico su alcune monete romane sorprendentemente simili, nell’iconografia, a quella in oggetto (fig. 5 e 6, per fare alcuni esempi). Non escludo che l’incisore che curò l’esecuzione dei conii di rovescio per questi tarì napoletani non abbia preso spunto diretto da una di queste due monete romane, forse presenti nelle raccolte reali partenopee già messe insieme dall’epoca aragonese per volere di Re Alfonso il Magnanimo. Fig. 5. Sesterzio coniato a Roma a nome di Druso, figlio dell'Imperatore Tiberio, intorno al 22 - 23 d.C. Le due teste che sormontano le cornucopie sono quelle dei nipoti di Tiberio e figli dello stesso Druso: Tiberio Gemello e Germanico Gemello. RIC I, n° 42 (under Tiberius). Ex NAC 51, lotto 171. Fig. 6. Sesterzio dell'Imperatore Antonino Pio coniato a Roma intorno al 149 d.C. I due bambini le cui teste sono poste sopra le cornucopie sono T. Elio Antonino e T. Aurelio Antonino, i due figli del futuro Imperatore Marco Aurelio e di sua moglie Faustina II, nati proprio nel 149 d.C. RIC III, n° 857. Ex CNG Triton VIII, lotto n° 1142. La Regina dimostrò molto peso nella scelta dei ministri e dei cortigiani che circondavano il sovrano, decretando la caduta di quelli a lei sfavorevoli ed incentivando l’ascesa di coloro che si rivelavano fedeli non solo alla Spagna, ma anche all’Austria, suo Paese d’origine. Era lei, infatti, che spesso decideva che poteva avere contatti con il Re e chi invece veniva escluso da questo rapporto privilegiato. Filippo, dal canto suo, era felice, non senza una punta di opportunismo, di condividere con la moglie i pesi della politica, sia interna che estera. La politica filo-austriaca di Filippo III si intensificò a partire dal 1600, quando, sotto l’influsso della zia Maria Imperatrice del Sacro Romano Impero, figlia di Carlo V, e della figlia di lei, monaca, il Re iniziò ad appoggiare finanziariamente la fazione cattolica attraverso l’Arciduca Ferdinando II d’Asburgo, futuro Imperatore (1619 – 1637) in quella che passerà alla storia come Guerra dei Trent’anni. Alla morte di Margherita, il 3 ottobre del 1611, Filippo, profondamente addolorato per la perdita, non si risposò più. Riprendendo il discorso sul tarì in questione, esso fu coniato a Napoli nell’anno 1600, come dimostra anche la dicitura del numerale 16.. espresso sotto le due cornucopie al rovescio. Ad un anno di distanza, quindi, dal matrimonio tra i sovrani che si era tenuto solo l’anno precedente. Secondo un’ipotesi, sicuramente attendibile, avanzata dal Sambon in occasione della vendita della sua collezione nel 1897, a proposito di queste monete, esse vennero battute per una visita che i Re di Spagna avevano progettato a Napoli proprio per quell’anno, ma che non si realizzò mai. Questi tarì dovevano quindi essere gettati al popolo durante la cavalcata dei Re in visita alla città. In previsione di un simile evento, il nuovo Viceré Fernando Ruiz de Castro Conte di Lemos, insediatosi a Napoli nell’ottobre del 1599 con la moglie Catalina de Zùniga ed il figlio Pedro Fernàndez che gli succederà poi nella medesima carica, ordinò, oltre alla coniazione di queste monete, anche la costruzione di un nuovo palazzo (l’odierno Palazzo Reale in Piazza Plebiscito) per ospitare il Re in visita con la consorte. A seguito dell’annullamento del viaggio reale a Napoli, la costruzione della nuova residenza continuò, mentre molti dei tarì di questo tipo già coniati vennero ritirati dalla circolazione e rifusi per recuperare il metallo in Zecca. In circolazione ne rimasero pochissimi, come ad esempio l’unico esemplare noto descritto qui al n° 2, che risulta anche tosato e che quindi testimonia una discreta quanto movimentata attività di circolazione. Questo provvedimento potrebbe spiegare anche l’eccellente livello di rarità raggiunto ad oggi da questi particolari tarì: partiamo dicendo che solo un esiguo numero di esemplari sfuggì al ritiro ed alla fusione e, per quelli che restarono in circolazione, non tutti sono pervenuti fino ai nostri giorni, il che porta ad abbassare drasticamente il numero di pezzi sopravvissuti alle vicissitudini storiche e quotidiane intercorse in un così lungo arco temporale. Da un primo confronto dei conii dei diversi esemplari qui illustrati, risulta facile notare come per il rovescio fossero stati preparati meno conii rispetto al diritto: le somiglianze tra i conii di rovescio, infatti, sono più strette e calzanti rispetto a quelle dei conii di diritto (in alcuni casi sembra sia stato usato proprio lo stesso conio, ma è difficile giudicare anche a causa della conservazione dei pezzi), il che fa presupporre che furono preparati più conii di diritto, ma, a confronto, pochi, se non pochissimi, di rovescio. Passiamo ora, finalmente, a parlare della sigla G che compare dietro il busto al diritto dell’esemplare n° 2, come già detto, conosciuto, al momento, solo in quest’unico pezzo. Nel periodo in cui furono coniati questi tarì, ovvero nell’anno 1600, nella Zecca partenopea lavorava Giovanni Antonio Fasulo come Maestro di Zecca. Costui, un banchiere di origini napoletane, aveva già ricoperto questa carica a partire dal 1594, sotto Filippo II, continuando a mantenerla anche sotto Filippo III fino al 6 settembre del 1611. Egli siglava le monete con le proprie iniziali: IAF, seguendo una dizione latina “Joannes (o Johannes) Antonius”, e GF, ovvero “Giovanni Fasulo” seguendo invece una dizione volgare, possiamo dire, se vogliamo, in termini più recenti, italiana. Entrambe le sigle sono espresse in monogramma. Nello stesso periodo, come Maestro di Prova, lavorava, accanto al Fasulo, Gaspare Giuno (o Juno), attivo già dal 1591 e risultante in carica fino al 6 giugno 1609. Egli siglava le monete con la lettera G o con GI in monogramma. Ora, nei testi, come ad esempio il CNI XX, viene riportato in merito a questo tarì con sigla, che la lettera G indicherebbe il Maestro di Prova Gaspare Giuno, ipotesi, questa, che è ancora tutt’oggi prevalente nel pensare comune quando si parla di tale moneta. Io, però, ho dei dubbi al riguardo: il solo Maestro di Prova, che, a differenza del Maestro di Zecca non aveva la responsabilità dell’intera attività monetale e non sempre era tenuto a siglare le monete a differenza, invece, del suo superiore, avrebbe potuto apporre la propria inziale omettendo, invece, quella del Maestro di Zecca? In realtà, a livello amministrativo, era quest’ultimo che rispondeva della qualità del lavoro in Zecca e dei prodotti monetari che vi uscivano, non il Maestro di Prova. Dunque, è più credibile che la sigla G non appartenga in realtà a Gaspare Giuno, come creduto finora, ma sia in realtà quella del Maestro di Zecca, ovvero di Giovanni Antonio Fasulo, responsabile della Zecca e, quindi, anche della coniazione di questo tarì commemorativo. Ne deriva che la sigla non può essere letta semplicemente come G, ma come GF (anche secondo criteri stilistici), il monogramma di Giovanni Antonio Fasulo, così come avviene ad esempio in altri nominali napoletani dello stesso periodo dove si ritrovano sullo stesso tondello le sigle GF e G (cfr. il carlino coevo con aquila e legenda di rovescio EGO + IN + FIDE del tipo Pannuti – Riccio, n° 16a). Anche se ci fosse stata la seconda sigla di Gaspare Giuno, essa sarebbe apparsa, probabilmente, sotto il busto del sovrano (come, ad esempio, nel tipo Pannuti-Riccio, n° 9 sotto il busto vi era una croce tra due globetti), come nel predetto carlino, in una parte della moneta che risulta purtroppo tosata. Infatti, non compare nessun’altra sigla nei campi, così come non possiamo immaginare che, in una coniazione ufficiale, appaia solo la sigla del Maestro di Prova, mentre viene omessa (per quale ragione plausibile poi?) quella più importante del Maestro di Zecca che garantiva, appunto, la bontà della moneta. In conclusione, secondo la mia opinione, la sigla che fino ad oggi si è malamente letta come G andrebbe letta per quello che in realtà è, cioè il monogramma GF del Maestro di Zecca dell’epoca. Ipotizzando la presenza della sigla G di Giuno, essa si sarebbe trovata sotto il busto, una parte della moneta purtroppo ad oggi perduta. Tale teoria sarebbe confermata se uscisse un secondo esemplare con la sigla dietro il busto ma con la parte sottostante non tosata. Per le sigle ho fatto molto affidamento su quanto pubblicato da P. Magliocca in Maestri di Zecca, di Prova ed Incisori della Zecca napoletana dal 1278 al 1734, Formia 2013. Ma ora lascio la parola a tutti coloro che vorranno intervenire con le proprie impressioni, commenti ed ipotesi: spero che anche questa discussione possa suscitare il vostro interesse.1 punto
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Buonasera a tutti, posto gli acquisti di qualche giorno fa. Due coronati dello stasso tipo, zecca dell'Aquila, con piccole differenze di conio. Li ho comprati per la loro conservazione, penso abbiano circolato pochissimo. Vi piacciono?1 punto
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Buonasera mi piacerebbe leggere qualche vostro commento circa la conservazione e la tonalita' del colore saluti, Max1 punto
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Genny...grandissima moneta ... estremamente rara. Continuiamo ? .... per le ragioni esposte da Raffaele il tarì venne ritirato dalla circolazione e ripercosso con il conio di questo carlino....anch'egli con 2 cornucopie ai lati dell'aquila.1 punto
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Ciao, sono concorde con quanto afferma @grigioviola . Anch'io ci vedevo una sorta di palma stilizzata a sinistra e per fortuna qualcun'altro conferma questa mia impressione. Il ritratto mi pare radiato (e ciò rimanderebbe ancor di più ad una HILARITAS corrotta) ma spesso nelle imitative vi sono commistioni tra diritti e rovesci che non compaiono nella monetazione ufficiale. Personalmente inoltre trovo il rovescio proposto da @profausto molto calzante. In ultimo volevo rimarcare il diametro dell'esemplare, con 10 mm siamo tra i minimi/minimissimi per cui apre due interpretazioni: fase tarda del III secolo V secolo Alla luce di ciò, l'attribuzione cronologica abbraccia un periodo ampio con varie combinazioni di rovesci-campione usabili come prototipo. Solo per curiosità ed esulando parzialmente dal tema iniziale del "coniglio a rovescio" vi segnalo un link che presenta su una moneta di Viminacium un esemplare dove a rovescio compare un... coniglio (vedi figura 5 e descrizione sopra). http://www.cnvaldostano.it/la_zecca_di_viminacium.htm Ciao Illyricum1 punto
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per prenotare on line è qui: https://www.muenzeoesterreich.at/eng/abo/formulare/abo-produkte1 punto
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Vero. Inoltre secondo me ad aggravare il tutto per quanto riguarda le monete del Regno d'Italia negli ultimi anni c'è stato anche un atteggiamento francamente superficiale ("da bambino goloso" diciamo) di molti soggetti principianti che si sono buttati a collezionare queste monete , magari spendendo anche cifre importanti, affascinati dalla chimera dell'altissima conservazione = super investimento senza però ben capire in che mondo "complicato" si stavano buttando a capofitto e senza rete. E come ogni scorpacciata ad un certo punto arrivano i "mal di pancia". (Se poi il "cuoco" era pure un mascalzone allora altro che "mal di pancia"... ) Ben venga quindi l'operazione di Gigante a rimettere un attimo due paletti di riferimento... Saluti Simone1 punto
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Almeno abbiamo fatto in tempo a capire di che tipologia monetale si trattava.1 punto
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Grazie @eliodoro per l'intervento. Per le tre cinquine, è giusto concludere che è visibile solo la lettera G del Maestro di Prova Giuno, mentre dall'altro lato, all'altezza della corona, non è visibile la sigla IAF e non perché la moneta sia stata tosata. L'ipotesi espressa da @Rex Neap per spiegare tale mancanza mi sembra convincente: se c'è la G ci doveva essere anche IAF è semplicemente stata messa più in basso, quindi non allineata con la G vicino alla corona. Può essere accaduto, quindi, che sia andata fuori tondello e non sia più visibile. D'altronde, il caso di @Fabrizio Proietti non è l'unico noto, com'è emerso da questa discussione. Resta comunque una moneta bella e particolare, sicuramente un ottimo acquisto partendo già dal fatto che non presenta tosature ed è quindi integra.1 punto
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Perché non sarebbe così facile? È tutto facile se si ha volontà!1 punto
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Anche mezzi baiocchi, in tante tante varianti: http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-BE14RA/3 Ciao, RCAMIL.1 punto
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Concordo. Cerchiamo di rimanere nell'interessantissimo tema e di non divagare.... Mi sembra verosimile che il tondello del decadramma sia antico. Non credo nemmeno che sia stato utilizzato per ricavare una moderna versione. Si avrebbe una inevitabile "ricottura" del metallo, che qui non riesco a vedere. Per quanto sia possibile copiare una moneta antica tramite accurato calco e ricavare un esemplare fuso o pressofuso che poi viene sottoposto a oscena aggressione chimica, il risultato finale non mi sembra possibile, specie alla luce dell'ultima foto postata da Babelone. Naturalmente l'ultima parola è possibile solo con un buon esame diretto col microscopio proprio su questo bordo, per assicurarsi che effettivamente è argento antico coniato, poi "scorticato"....1 punto
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Paradigmatico di questa discussione il portare a modello l'Eid Mar.1 punto
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Quando un utente - a caso - piu' bravo di me in un settore mi fa capite che non sono un grande esperto per quello specifico settore posso sentirmi a disagio se lo fa con sarcasmo o con tono offensivo . se invece mi fa notare qualcosa che io non so e lo fa scevro da toni saccenti o sarcastici ma solo con l'intenzione di aiutarmi a comprendere meglio allora posso imparare. Vale per la tecnica delle coniazioni quanto per la fisica dei metalli quanto per la grammatica ....1 punto
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DE GREGE EPICURI La foto mi pare scarsa, la moneta comunque è molto usurata; però sembrerebbe un sestante.1 punto
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ho dovuto aprire con gran delicatezza la capsula per fotografarla, perchè la capsula, per tenerla ferma, ne nasconde una parte.1 punto
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Mi fa molto piacere tutto questo...anche il fatto che non hai dimenticato questa monetazione, io mi sono invece appassionato a seguire un po' di più una moneta che era rimasta un po' indietro nelle discussioni e molto affascinante come il grosso tornese, certamente a questo punto fondamentale sarà leggere per tutti il MEC sia per Asti ma anche per le altre monetazioni....1 punto
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Ciao @babelone, mi avevi chiesto del denario falso di Bruto, ho assemblato alcune foto di come si presentava ossidato con clorargirice (cloruro e sedimenti) quando mi e stato chiesto per la pulitura un po di anni fa. Certamente un invecchiamento ingannevole , a pelle anche con lentino non dava tanti sospetti. Al primo bagnetto ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Cominciò ad apparire un (vile) argento nuovo , che mi insospettì all'istante. Come vedi le foto parlano da sole , un denario di Bruto in argento a fusione.............Non si intravvedono corrosioni profonde e il colore ......non ha niente di antico. Il collezionista che lo aveva trattato , lo ha riconsegnato alla ditta che glie lo aveva ceduto. Il primo bagno per il rovescio l'ho fatto delicato, sul dritto ho usato un bagno più aggressivo. Come vedi le superfici non hanno corrosioni , questo e dovuto all'argento nuovo. Probabilmente sarebbe stato coniato con un denario originale e con questo tipo di invecchiamento , le corrosioni ci sarebbero state, anche se stilisticamente molto scadente.1 punto
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Buon giorno a tutti. Nonostante scriva molto raramente, causa impegni sul lavoro e la classica fase della vita in cui si fanno 50 concorsi, 90 domande e 200 ricorsi, vi leggo con piacere e continuo a portare avanti la mia collezioncina di siciliane. Vi presento l'ultimo acquisto: preso un pò avventurosamente su ebay a 360 euro. Si tratta di un pierreale di Pietro Secondo D'aragona, moneta abbastanza rara anche se non rarissima, il cui acquisto è generalmente un terno al lotto. Il suo valore nelle aste, oscilla veramente tanto, per cui credo di averla grossomodo presa al valore di mercato, ma a riguardo gradirei il vostro parere. Il peso è di 3.1 grammi, perfettamente leggibile, centrata e con una bella patina, anche se presenta usura da circolazione abbastanza accentuata. Come grading sono indeciso tra il MB/ BB ed il qBB. la buona fattura della moneta mi porterebbe a propendere per il qBB. Le foto sono di bassa qualità, sono quelle del venditore ed io al momento non ho tempo per migliorarle. Spero siano sufficienti per una valutazione di massima1 punto
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Scusate il ritardo,con lo scanner al "naturale" viene cosi, in mano è leggermente meglio i rilievi alti sono un pochino più nitidi. Vero che si notano delle striature sul cavallo,forse era stata colpita dal cancro?Ed hanno deciso super pesantamente che valeva la pena ripulirla?! Comunque se è solo una questione di patina mi va benissimo,il tempo magari con un'aiutino riporterà tutto a posto ero preoccupato per qualche tipo di ossidazione o cancro che si voglia. Quello che mi rode è che la foto dell'asta nascondeva un pò questa macagna.1 punto
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Qui https://books.google.it/books?id=AYhaAAAAQAAJ&pg=PA96&dq=castiglione+di+ricci&hl=it&sa=X&redir_esc=y#v=onepage&q=castiglione di ricci&f=false si parla di una tenuta di Castiglione di Ricci, nome identico a quello scritto nel lasciapassare. Dal titolo del libro mi pare ci si possa riferire a zone romane. Se sia la stessa tenuta poi non so dire. Un caro saluto.1 punto
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Viao @babelone, ho ruotato la foto del delfino deca Ebay ,in modo da poterlo confrontare con quello che qualcuno ha postato per evidenziare le striature di un falso . Penso che anche un principiante si accorgerebbe la differenza che passa tra il falso di sinistra e il deca Ebay di destra. Lascio agli utenti attenti nell'osservare questo confronto non da poco. Pensavo ad esempi più pericolosi , Ma .............1 punto
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Ammonimenti o raccomandazioni Si è visto quanto sostanzialmente costante, pur nel succedersi sulla Cattedra di Pietro di diverse personalità, sia stato l’insegnamento dei papi menzionati a proposito della ricchezza e del giusto modo di rapportarsi ad essa; magistero espresso attraverso una lunga teoria di ‘massime’ inserite come legende sulle loro monete. Nulla di strano, perciò, nel fatto che tale originale forma di ‘catechesi’ sia stata impiegata per far circolare, insieme ai soldi, anche una altrettanto corposa serie di raccomandazioni o ammonimenti, nella speranza di far sì che nessuno, un giorno, debba sentirsi indirizzare le parole conclusive della parabola del ricco stolto; quelle stesse parole che si possono leggere sull’oro di una quadrupla di Alessandro VII: HAEC AVTEM QVAE PARASTI CVIVS ERVNT, “ma quanto hai procacciato di chi sarà”? Come quando si ricompone un puzzle mettendo insieme i vari pezzi, così ci si potrebbe divertire nel tentativo di riunire le legende utilizzate da diversi pontefici – magari a distanza di decenni – per costruirne altre di senso ancor più completo. Alcuni esempi potrebbero essere i seguenti: all’auspicio di Innocenzo XII che su un testone fa imprimere NON SIT TECVM IN PERDITIONEM (nota 16), (il denaro) “non sia con te nella perdizione”, si potrebbe far seguire l’invito di Benedetto XIII, che su un grosso comanda DA NE NOCEAT, “dallo perché non ti sia di danno”. Fig. 14: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone. Al R/: NON SIT TECVM IN PERDITIONEM, in quattro righe. Da Internet. (discussione su lamoneta.it) Oppure, il perentorio TOLLE ET PROICE, “prendi (il denaro) e dallo via”, presente su un grosso di Clemente XII può essere completato da NE FORTE OFFENDICVLVM FIAT, “perché non diventi un inciampo”, che lo stesso papa Corsini fa scrivere dai suoi maestri di zecca su un testone. Ancora, volendo sottolineare nuovamente che un corretto utilizzo del denaro può contribuire alla salvezza dell’uomo, si potrebbero leggere in sequenza le legende FAC VT IVVET, “fa che sia utile”, e PRO PRETIO ANIMAE, “per il riscatto dell’anima”, che Innocenzo XII e il suo omonimo XI fanno apporre, rispettivamente, su un mezzo grosso e su uno scudo d’oro. Fig. 15: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1692. Al R/: FAC VT IVVET, in quattro righe con la data. Ex Asta Artemide XXIV, 2009, lotto n. 3316. Ben si prestano, infine, ad essere lette come una sola frase le due raccomandazioni NEQVE DIVITIAS (nota 17), “non le ricchezze”, e POSSIDE SAPIENTIAM, “possiedi la saggezza”, che Innocenzo XI fa brillare sull’oro con due differenti scudi. L’esercizio che si è voluto tentare manipolando le iscrizioni in esame può apparire, e forse realmente è, un po’ forzato. Meno azzardato sembra, invece, sostenere che molti dei pontefici di quel particolare periodo siano stati i compilatori di una sorta di ‘codice’, alla composizione del quale ciascuno ha contribuito dettando alcune ‘norme’. Queste ultime, scritte non su carta o pergamena, bensì sul metallo delle monete, si sostanziano in ‘raccomandazioni’ oppure in ‘ammonimenti’, a seconda che il loro contenuto si traduca, rispettivamente, in un invito ad un comportamento attivo o omissivo nei confronti del denaro; in altri termini a fare o non fare determinate cose. Proprio perché si è utilizzata l’immagine del codice, se ne dà conto qui di seguito in un elenco numerato, comprendente anche l’indicazione dei papi alla cui monetazione afferiscono i vari pezzi citati, partendo dalle legende che chiamano il fedele ad una condotta di tipo attivo. 1. DIVES IN HVMILITATE, “il ricco (si glori) della sua umiltà”. Innocenzo XI, 2 scudi d’oro (o doppia); legenda tratta dalla Lettera di Giacomo (1, 10). 2. TEMPERATO SPLENDEAT VSV, “risplenda (il denaro) con un uso moderato”. Alessandro VII, mezzo grosso. L’iscrizione, tratta da un verso delle Odi di Orazio (2, 2, 3), è la continuazione della legenda NVLLVS ARGENTO COLOR EST AVARIS già citata in precedenza da un testone di Innocenzo XIII, e bene esprime il contrasto tra il tener nascosta la propria ricchezza o il farla rilucere attraverso un suo giusto impiego. Fig. 16: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Mezzo grosso. Al R/: TEMPERATO SPLENDEAT USV, in cinque righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1132. 3. REDDE PROXIMO IN TEMPORE SVO, “rendi al prossimo a suo tempo” (i denari avuti in prestito). Due monete e due metalli per questa sollecitazione che papa Clemente XI fa apporre su una doppia d’oro e su un giulio. 4. IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, “verso le tue leggi e non verso l’avarizia”. Come la precedente, anche questa legenda afferisce alla monetazione di Clemente XI che, per la zecca di Ferrara, la fa apporre su uno scudo d’argento (nota 18). È tratta da un Salmo (118 o 119, v. 36) [nota 19] nel quale è preceduta dalle parole (rivolte al Signore): inclina cor meum, “piega il mio cuore”. Fig. 17: Ferrara, Clemente XI (1700-1721), Scudo d’argento 1709 A. IX. Al R/: IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, in quattro righe. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2556 5. THESAVRIZATE IN COELIS, “accumulate tesori nei cieli”. Il versetto, tratto da una frase di Gesù riportata nel Vangelo di Matteo (6, 20), appare su un giulio di papa Clemente XIII (Carlo della Torre di Rezzonico, 1758-1769). È l’immediata continuazione di un altro invito fatto da Cristo (Matteo 6, 19) che costituisce, in questo elenco (vedi n. 6), il primo di quelli che, ai fini del presente lavoro, sono stati definiti ‘ammonimenti’. Fig. 18: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Giulio 1761. Al R/: THESAVRIZATE IN COELIS, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1428. Note 16 - La legenda è ispirata a un versetto degli Atti degli Apostoli (8, 20) costruito, in realtà, come una condanna. Pietro, infatti, ad un uomo che voleva acquistare col denaro il potere di dare lo Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani, indirizza questo anatema: pecunia tua tecum sit in perditione, il tuo danaro sia con te nella perdizione. Papa Innocenzo, invece, impostando la frase come negazione, sembra voler scongiurare la condanna. 17 - La legenda NEQVE DIVITIAS è stata utilizzata anche da Clemente XI su un mezzo grosso. 18 - La seconda parte della legenda, NON IN AVARITIAM, è presente su altre due monete di Clemente XI per Roma; più esattamente: mezzo scudo d’oro e grosso. 19 - I 150 salmi che compongono il Salterio hanno una numerazione diversa a seconda che facciano riferimento al testo ebraico masoretico (versione della Bibbia ufficialmente in uso tra gli Ebrei) o ai manoscritti greci. Segue...1 punto
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@contemax67 @tonycamp1978 Questo è un qFdc/Fdc "Rame rosso" fate i confronti. Io poi l'ho tolta dalla plastica e l'ho messa in una bustina di acetato.1 punto
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Tra elemosina e dannazione. La ricchezza nelle monete dei papi (versione pre-print di un articolo pubblicato in due puntate su «Cronaca Numismatica», nn. 232 e 233, settembre e ottobre 2010). Prima di affrontare l’oggetto della presente indagine, occorre subito precisare che la stesura della stessa è stata enormemente facilitata dalla possibilità di usufruire di un prezioso strumento di lavoro: il repertorio di motti, imprese e legende delle monete italiane costituito dal volume Il linguaggio delle monete di Mario Traina. Di questo libro è stato detto e scritto in numerose e più che positive recensioni, ma è certo che, al di là delle parole, la sua importanza e la sua utilità saranno sempre più rimarcate dagli studi che sarà possibile realizzare grazie ad esso e dalle tante citazioni che, per un lunghissimo futuro, questo volume inevitabilmente riceverà da parte di chi, trovandosi a scrivere di numismatica, non potrà che trarre giovamento dall’utilizzo di uno strumento che mette a disposizione, in un’unica fonte, una miriade di preziose indicazioni e informazioni. Fatta questa doverosa premessa, ci si può addentrare nel tema specifico della trattazione, ossia l’utilizzo delle monete come strumento per la trasmissione di determinati messaggi. Più nel dettaglio, saranno oggetto di questo articolo alcune monete papali, prevalentemente (ma non solo) emesse tra il pontificato di Innocenzo XI (1676-1689) e quello di Clemente XII (1730-1740), attraverso le quali i papi dell’epoca hanno voluto diffondere, mediante appropriate legende, alcuni specifici insegnamenti relativi al denaro. In particolare sembrerebbe di poter classificare queste coniazioni in tre tipologie a seconda che quanto su di esse iscritto (e in qualche caso effigiato) sia riconducibile a proverbi o massime, a insegnamenti o raccomandazioni relativi alla ricchezza, a incitamenti alla (o esaltazione della) carità. In sostanza si ritiene di poter individuare, anche per la contiguità cronologica, una sorta di fil rouge che, in quel determinato periodo della storia della Chiesa, ha accomunato diversi pontefici che hanno scientemente utilizzato le loro monete per realizzare una sorta di ‘catechismo numismatico’ volto a insegnare un uso corretto del denaro. La cosa non deve stupire perché molto spesso la moneta ha avuto, tra le sue funzioni, anche quella di mezzo di propaganda e di trasmissione di messaggi da parte di chi aveva l’autorità per coniarla a chi doveva riceverla e utilizzarla. L’esistenza di una tale funzione, sia pure accessoria, tra quelle assolte dalla moneta, è confermata anche dal fatto che in qualche caso si è verificato il processo contrario, ossia l’apposizione di segni dei quali l’autorità era non mittente, ma destinataria e bersaglio: è questo il caso, ad esempio, delle contromarche OLIM e BOMBA apposte su alcune piastre di Ferdinando II delle Due Sicilie, proprio per sfruttare le potenzialità ‘comunicative’ delle monete a scapito del monarca. Semmai, d’acchito, ci si potrebbe meravigliare del fatto che sia stata la Chiesa ad utilizzare il denaro, cioè, come lo definì Giovanni Papini, lo ‘sterco del demonio’, per la diffusione del proprio insegnamento. In effetti, se si pensa all’episodio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio di Gerusalemme – raccontato in tutti e quattro i Vangeli – si potrebbe essere tentati di concludere che Egli abbia inesorabilmente emesso una condanna senza appello nei confronti del denaro. Opinione, questa, che parrebbe rafforzata anche da alcune parole pronunciate da Gesù nei confronti dei ricchi, come quel “guai a voi” a loro indirizzato secondo quanto riportato dall’evangelista Luca, oppure il “voi non potete servire Dio e Mammona” di cui parla Matteo. Fig. 1: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Mezzo Grosso 1761. Al R/: VAE VOBIS DIVITIBVS, “guai a voi ricchi”, in tre righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2588. Né può essere dimenticato che, nella storia del cristianesimo, si annoverano figure che hanno fatto del disprezzo del denaro una vera e propria norma di vita: il pensiero non può che correre a San Francesco che, nella sua Regola, ordinò fermamente ai suoi frati “di non accettare in alcun modo denari o pecunia per sé o per interposta persona” (nota 1). Tali considerazioni, tuttavia, non devono condurre automaticamente a concludere che sussista una incompatibilità assoluta tra l’essere buoni cristiani e l’agiatezza, perché ciò che viene condannato, in realtà, è il cattivo uso che può essere fatto della ricchezza e non la circostanza in sé di essere benestanti o, comunque, di avere del denaro. Già la Bibbia ebraica, infatti, non metteva in contrapposizione il possesso di beni col servizio a Dio; anzi conferiva alla ricchezza una dimensione teologica, configurandola come segno della benevolenza del Signore. Ciò che era richiesto al credente era l’offerta delle primizie del raccolto o dei primogeniti del gregge; egli doveva, cioè, separarsi da una parte del suo guadagno (non una parte qualsiasi, ma la prima) perché questo, oltre ad esprimere la riconoscenza verso Dio, rappresentava anche il fondamento teologico dell’elemosina. La condanna espressa dai profeti in diversi passi (nota 2) riguardava quindi non il possesso dei beni, ma il suo abuso, specialmente se si concretizzava in una spoliazione altrui. Gesù di Nazareth era un uomo, un ebreo, del tutto inserito nel contesto storico-geografico del suo tempo; ed era perfettamente a conoscenza delle Scritture e del loro significato più profondo. Perché, allora, sembra contraddire quanto rilevato poc’anzi, nel momento in cui lancia un’alternativa secca tra l’essere seguaci di Dio e la ricchezza, attribuendo a quest’ultima addirittura un nome? Eppure Gesù stesso ha dimostrato di conoscere ugualmente bene il denaro, tanto da utilizzarlo non solo come strumento per mettere a tacere i suoi detrattori nel famoso episodio della moneta di Cesare (nota 3), ma da citarlo, a volte con precisione, anche nelle sue parabole e nei suoi insegnamenti (nota 4). In realtà la contrapposizione è soltanto apparente o, meglio, c’è senz’altro, ma non è tra Dio e la ricchezza bensì tra la ‘deificazione’ di quest’ultima e Dio. Il denaro, Gesù ne è consapevole, può diventare in certe circostanze un dio, ecco perché gli attribuisce un nome, e come tale si contrappone inesorabilmente all’unico Signore. Anche la scelta dell’appellativo non è casuale: mammona, infatti, deriva dalla radice ebraica âman (nota 5), che indica la stabilità, la sicurezza, la solidità; dunque Mammona si offre come un dio che promette ai suoi adepti questi benefici, ma si rivela anche bugiardo perché non può liberare l’uomo dalla sua vera e più grande paura, che è quella della morte (nota 6). Il Vangelo però, dopo aver condannato questo falso dio, suggerisce anche la via giusta da seguire, che non coincide necessariamente col ripudio della ricchezza o con la rinuncia totale ad essa, bensì con il suo impiego ‘giusto’. L’episodio che conferma tutto ciò è quello di Zaccheo, il capo degli esattori inviso e odiato dai suoi concittadini di Gerico sia per le modalità della sua professione, sia per il fatto che essa lo rendeva complice (nota 7) dell’occupante romano: quando Gesù lo scorge in cima all’albero sul quale era salito per vederlo, gli domanda ospitalità; il pubblicano, pieno di gioia per questa richiesta e per l’incontro con Lui, non rinuncia al suo denaro né lascia la sua professione (come aveva fatto Lévi-Matteo e come farà Francesco d’Assisi) ma promette di dare la metà dei suoi beni ai bisognosi e di compensare i suoi torti finanziari rimborsando ben più di quanto aveva sottratto agli altri. Ecco dunque che il corretto uso del denaro e della ricchezza non si contrappone affatto all’essere un buon credente, anzi un buon cristiano, tanto che i propositi di Zaccheo sono così ben accolti e apprezzati da Gesù da fargli affermare: “oggi la salvezza è entrata in questa casa” (nota 8). In altri termini si può parlare di “libertà evangelica ” (nota 9) riguardo ai beni: si può decidere di fare una scelta radicale, come appunto quella di Matteo o di San Francesco, o di optare per una via meno definitiva, ma altrettanto valida, come quella di un utilizzo corretto della ricchezza, aperto, soprattutto, alla carità e alla costruzione della giustizia sociale. Tutto ciò premesso, non ci si deve stupire più del fatto che diversi pontefici abbiano voluto, in qualche misura, ribadire queste considerazioni facendo imprimere su alcune loro monete delle legende volte a istruire il popolo a un uso ‘cristiano’ del denaro, attraverso – come si diceva in apertura – proverbi, ammonizioni o raccomandazioni, inni alla carità. Fig. 2: Roma, Clemente XII (1730-1740), Testone. Al R/: DABIS DISCERNERE INTER MALVM ET BONVM, “darai la facoltà di distinguere il bene dal male”, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 414. Secondo Traina, la legenda, tratta da un versetto del Primo Libro dei Re si riferisce al denaro, che può essere usato a fin di bene o male; da qui l’appello affinché Dio ne conceda un giusto uso. Note: 1 - Precipio firmiter fratribus universis ut nullo modo denarios aut pecuniam recipiant per se vel per interpositam personam. Cfr. Merlo G.G., in Travaini 2009, p. 150. 2 - Cfr., ad es., Isaia 10, 1-3. 3 - Cfr. Lémonon in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24. 4 - Sulle citazioni numismatiche fatte direttamente da Gesù o comunque presenti nel Vangelo, cfr. Colombo 2003 e Amisano 2009, nonché le relative indicazioni bibliografiche per trattazioni meno recenti di tale tematica. 5 - Queste considerazioni sul valore della ricchezza nell’Antico Testamento, sul significato del nome “Mammona” e sull’interpretazione delle parole di Gesù in proposito sono tratte da un saggio a sua volta contenuto in un fascicolo di una rivista religiosa dedicato in gran parte al tema del rapporto tra Dio e denaro. Cfr. Marguerat in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9. 6 - Cfr. la parabola del ricco proprietario in Luca 12, 16-20, che si conclude con le parole “stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. V. infra. 7 - Cfr. Andreau, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19. 8 - Cfr. Luca 19, 1-10. La “salvezza” deriva a Zaccheo dall’aver saputo capovolgere, grazie all’incontro con Gesù, il suo rapporto col denaro: prima era quest’ultimo a scandire la sua vita causandogli invidie e isolamento e perciò distruggendo le sue relazioni; ora è lui a dominarlo e a decidere della sua funzione e, quindi, a costruire grazie ad esso dei ‘ponti’ verso gli altri. 9 - Cfr. Marguerat, cit., p. 9. segue...1 punto
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Clemente VII, mezzo giulio per Piacenza coniato in occasione del Giubileo del 1525. Interessante come la moneta sia anonima (non riporta infatti il nome del pontefice) ma l'attribuzione comunque possibile ed univoca: la legenda del diritto riporta "REGNANS APERIT CLAVDIT", durante il suo regno aprì e chiuse [l'Anno Giubilare]. Buona giornata, Antonio1 punto
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FORTITUDO MEA IN BRACHIO Nessuno ha mai sentito parlare di Zanen de la bala? Risale tutto a parecchi secoli fa, quando Cremona era sotto il dominio del Sacro Romano Impero. Ogni anno, come leggenda narra, la città era obbligata a pagare all'imperatore un tributo consistente in una palla d'oro. Questa vessazione si prolungò fino a quando un baldo gonfaloniere, certo Giovanni Baldesio, sconfisse in duello il figlio di Enrico IV, fuori porta Mosa, liberando così i cittadini dal pesante tributo. Benché la leggenda sia in buona parte avvolta nel mistero, la palla è simbolo che tutt'oggi riecheggia in giro per la città, dalla sommità del Torrazzo all'emblema posto sulla statua sotto la loggia dei Militi: Osservatela nel suo "splendore" terminato due estati fa, oggi è purtroppo decapitata, le manca la corona che un altrettanto baldo turista ha fatto cadere mentre ci si arrampicava sopra.... Giovanni, soprannominato appunto Zanen de la bala, è una delle figure più note localmente. Oltre alla statua proposta (in cui si può apprezzare appunto l'emblema della città), esiste anche una statua sulla cattedrale, l'unica che lo raffiguri: La posa, come forse alcuni noteranno, ricorda un giocatore di bocce. Tempo or sono lessi di un'altra tesi che riconsiderava la sfida come una semplice partita a bocce... ma per Bacco, il solo pensiero mi fa venire in mente i pensionati che d'estate occupano il settore bocciofilo delle canottieri (una delle quali dedicata proprio a Baldesio)..... di gran lunga meglio la versione popolare! Passando agli aspetti prettamente numismatici, andrei cauto a definire "moneta" l'esemplare sopra proposto. È purtroppo un pezzo di tale rarità che non ho potuto far di meglio, o scansionavo l'esemplare del Fenti o quello dell'asta Milani (finito a 3200 euro diritti esclusi). Purtroppo, essendo così rara, non è stata studiata a fondo e il Fenti stesso la definisce in modo abbastanza fantasioso e poco attendibile. Resta senz'altro una moneta/medaglia molto affascinante e sicuramente ricca di storia, un tangibile pezzo di storia locale. P.S. Mi congratulo per l'interessante discussione, l'ho scoperta solo stasera e mi sono ritagliato appositamente un po' di tempo....1 punto
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Anche una scritta però può dire molto : PACE CELEBRATA FORO BONAPARTE FONDATO ANNO IX Siamo a Milano con la Repubblica Cisalpina , l'anno IX è il 1801 anno in cui 9 marzo 1801 venne stabilita la coniazione di questa nuova moneta d'argento. Tale moneta venne emessa allo scopo di tramandare ai posteri la memoria nazionale per l'esultazione della Celebrazione della Pace, congiunta a quella della Fondazione del Foro Bonaparte. La pace cui si fa riferimento è quella che fa seguito al trattato tra Napoleone Bonaparte e l'Imperatore d'Austria del 9 febbraio 1801. La prima pietra della strada di Milano chiamata ancor oggi Foro Bonaparte fu messa con grandi feste il 30 aprile 1801. Moneta in argento da soldi 30 ha al diritto il busto bellissimo della Repubblica Cisalpina, anche una repubblica viene così personificata.1 punto
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Ecco un'altra napoletana: piastra di Carlo di Borbone per Napoli. DE SOCIO PRINCEPS Da alleato a principe Nel 1734 Carlo conquista il Regno di Napoli rendendolo, dopo oltre due secoli di dominazione straniera, indipendente. La legenda, impressa sulla piastra e sulla mezza piastra, testimonia come il Regno – rappresentato dal Sebeto – da stato alleato sia diventato stato sovrano. N.B. Nell’antica Roma gli alleati erano le popolazioni assoggettate all’Urbe e stanziate tra la Calabria e il fiume Rubicone e Magra.1 punto
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Era impensabile non condividere un'opera come codesto tondello... Una zecca incredibile per contributo artistico, un esempio di puro simbolismo... MANTOVA F Carlo Gonzaga Nevers (1627-1637). Scudo non datato. AR, gr. 26,268 - ø 41,93 mm. [ 2,35 mm, asse dei coni 270°. D/ Anepigrafe, città turrita con ponte levatoio e fossato: sul portale in alto pisside in ovale, al centro aquila ad ali spiegate, il tutto in circolo lineare fra corona di lauro formata da due rami annodati in basso, orlo a ghiera fine. –R/ cartiglio a volute e fregio in basso, sostenuto da putto alato, su due righe DATVM – CLITVS in circolo lineare fra uguale corona di lauro Non è possibile scindere questa moneta Unica dal contesto storico ed artistico che l’ha vista nascere. Carlo I Gonzaga Nerves VIII Duca aveva una personalità forte e cristallina, pura nell’animo. Era assai stimato e godeva di grande reputazione come Capitano d’Armi. Signore in Francia di immense proprietà: otto ducati, due marchesati, altrettante contee, cinque baronie, feudatario di altre importanti terre con sovranità per metà indivisa con il re di Francia. Il suo patrimonio in Francia era considerato tra i più ricchi del Regno. Fortuna gli era giunta per eredità e per matrimoni d’interesse nel corso del secolo. Carlo ereditò dalla nonna Anna d’Alençon, dalla madre Enrichetta di Clèves e dalla moglie Caterina di Lorena, madre dei suoi sei figli. Suo padre nacque a Mantova e nel 1550 fu prossimo a divenire Duca di Mantova, il Consiglio di Reggenza vedeva in Lodovico una mente già aperta al bene ed all’eroismo, ma in quanto terzogenito di poca speranza alla successione. Si vuole che il fratello maggiore Guglielmo, avviato alla carriera ecclesiastica, non rinunciasse ed il legittimismo prevalse. Ludovico si trasferì in Francia per curarsi di ingenti patrimoni, fu di buon governo nelle sue terre, ottimo capitano d’eserciti ed attento diplomatico al servizio di quattro re. Il questa cultura ed amore per la giustizia e per le grandi gesta crebbe Carlo I. Il Duca aveva lineamenti gentili, portava pizzo e baffi a punta come alla moda del tempo, dall’apparenza aitante e dalla persona asciutta non tradiva i 47 anni d’età quando partì alla volta del Ducato di Mantova nel 1628. Arriva in linea di successione in quanto unico parente prossimo ai tre fratelli succedutosi duchi di Mantova e del Monferrrato e morti senza legittimi eredi. Nella cronistoria una volta in Mantova va tenuta in grande considerazione un avvenimento che ci aiuta nell’interpretazione di questo scudo. Sul finire del marzo 1628 l’inviato straordinario del Duca presso la Corte Imperiale comunicava che era stata inviata a Praga, da parte di un funzionario dislocato a Guastalla una moneta di Carlo I e che l’Imperatore in persona non l’aveva gradita, considerando un "atto di troppo aperto possesso", come ci testimonia il Guazza ne "La Guerra per la successione di Mantova e del Monferrato", l’auto proclamazione di "DUX MANTUAE ET MONTIS FERRATI" L’avvertimento imperiale era ben chiaro, Carlo I intelligente ed attento ne fece buon tesoro, d’altronde non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Questo scudo, se vogliamo anonimo nella leggenda e nei possedimenti è la chiave di volta nella sua politica. Che si tratti di una moneta di Carlo e Mantovana non vi è alcun dubbio. La tipologia è probante, lo scudo al diritto evidenzia Mantova fortificata o la cittadella di Giulio Romano, circondata dalle acque dei suoi laghi, inespugnabile . Il ponte levatoio abbassato in atto di sottomissione all’Imperatore e di pace. Al tempo stesso la costruzione ispira un senso di forza e di padronanza sugli avvenimenti. L’aquila nel cielo ad ali dispiegate si presta a due interpretazioni: l’aquila dei Gonzaga che torna padrona sulla città, oppure come più probabile dato il momento storico e l’assoluta necessità di rinfrancarsi presso l’Imperatore, l’aquila rappresenta l’Imperatore stesso, che pone Mantova sottostante alla soggezione dell’Imperatore e protetta dall’Impero. Il Rovescio racchiude un significato esplicito anche se in forma anonima. DATUM COELIUM, il Principe che Iddio nei suoi giusti e divini pensieri ha designato per reggere le sorti del Mantovano e del Monferrrato. Mandato da Dio, dalla terra di Francia come un dono per le sorti del Ducato. Siamo convinti che l’emissione dello scudo abbia avuto breve durata, proprio per le ragioni che questi voleva significare. Carlo potrebbe anche avervi ripensato sulla battitura di questa moneta. Sebbene nell’animo del Duca volesse rappresentare la fede nella Chiesa e nell’Impero si sarebbe potuto mal interpretarla; togliere dalle monete nome e titolo è atto di superbia e sostituirli con l’ardita affermazione che potrebbe non riscontrare la benevolenza e gradimento del Papa oltre che dei suoi nemici. Lo stesso valore dello scudo che risulta non adeguato alla monete circolanti negli Stati limitrofi. La fascia di lauro che attornia il campo in ambo i lati , è molto simile a quello dello "Scudo del Fiore" dove al centro svetta un eliotropio; simile anche alla fascia di lauro del Ducatone di Vincenzo II (CNI 22, 23) databile al 1627. Eros1 punto
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Questo è un chiaro esempio dove la moneta diventava veicolo importante e messaggero degli eventi.. REGNO DI NAPOLI Piastra 1791. AR, gr. 27,25 – ø 42,3 mm. D/ FERDINANDVS IV. ET MARIA CAROLINA, busti accollati, corazzati, e con la parrucca in capo, volti a destra dei sovrani, sotto al busto D P (Domenico Perger, maestro incisore). – R/ PRO FAVSTO PP REDITV V. S. , il Sebeto e Partenope volti di fronte in atto sacrificale, sullo sfondo il Vesuvio con fumata, a destra di Partenope A.P. (Antonio Planelli, maestro di zecca) sotto M. (Raffaele Mannara, maestro di prova), all’esergo 1791. – T/ cordonato in rilievo. CNI 209. Pannuti Riccio 60 (R). Cagiati 25. Davenport 1407. Nel mese di agosto del 1790 Ferdinando IV e la consorte Maria Carolina accompagnano le figlie Maria Teresa e Maria Luisa a Vienna andate in sposa a Napoli per procura con i figli del Gran Duca Leopoldo, gli Arciduchi d’Austria Francesco e Ferdinando. Maria Teresa diventerà Imperatrice d’Austria e Maria Luisa Amalia Gran Duchessa di Toscana La traduzione della leggenda al rovescio "Voti Assolti per il Felice Ritorno dei Sovrani." ne celebra il ritorno a Napoli dei regnanti. Don Basile appaltatore per la moneta di argento e di rame fece preparare a sue spese i conii. Antonio Planelli presentò i primi saggi a Novembre chiedendo l’autorizzazione a proseguire la coniazione. A Ferdinando IV non piacquero e ne fece sospendere la coniazione ma non fece ritirare quanto già coniato. In tutto furono coniate solo 9.476 pezzi. Per tipologia unica e dai rilievi marcati è una delle monete di Ferdinando IV maggiormente ricercate. Eros1 punto
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Clemente XI, grosso per Roma, 1710 DATE ET DABI:TVR Citazione dal Vangelo di Luca, 6:38 Date et dabitur vobis mensuram bonam confersam et coagitatam et supereffluentem dabunt in sinum vestrum eadem quippe mensura qua mensi fueritis remetietur vobis. "Date e vi sarà dato, vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante, perché con la misura con cui misurate sarà misurato a voi" petronius1 punto
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