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  1. ARES III

    La grotta del Romito

    La Grotta del Romito: un tesoro dell’arte e della cultura paleolitica in Calabria Il Bos Primigenius La Grotta del Romito è un sito archeologico di grande importanza per lo studio del Paleolitico superiore in Italia e in Europa. Si trova nel comune di Papasidero, in provincia di Cosenza, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino. La grotta deve il suo nome al fatto che era usata come rifugio da un eremita nel XVIII secolo. La grotta fu scoperta nel 1961 e fu oggetto di scavi da parte dell’archeologo Paolo Graziosi e dei suoi collaboratori fino al 1968. Dal 2000 le ricerche sono riprese sotto la direzione dell’archeologo Fabio Martini, dell’Università di Firenze. La grotta presenta una stratigrafia di circa 7-8 metri di spessore, che documenta la presenza umana dal 23.000 al 10.000 anni fa. Gli strati più antichi risalgono all’Epigravettiano antico e medio, mentre quelli più recenti all’Epigravettiano finale e al Mesolitico. All’esterno della grotta si trovano alcune incisioni rupestri, tra le quali spicca il graffito di un bovide (Bos primigenius), datato a circa 12.000 anni fa. Si tratta di una delle più antiche testimonianze dell’arte preistorica in Italia e una delle più importanti a livello europeo. Il graffito rappresenta un toro selvatico con le corna rivolte all’indietro e il corpo stilizzato. Il toro era probabilmente un animale sacro per le popolazioni paleolitiche, simbolo di vita e fertilità. Grotta del Romito ( foto grottaromito.it) La grotta del Romito è oggi visitabile grazie all’intervento dell’Università di Firenze in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Calabria, il Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria ed il comune di Papasidero. Sul posto sono stati realizzati interventi per garantire l’accesso alla grotta (passerelle, impianti di illuminazione) e la fruizione integrata del sito archeologico (visite guidate, brochure, materiali didattici per bambini). https://www.calabriadirettanews.com/2023/05/10/la-grotta-del-romito-un-tesoro-dellarte-e-della-cultura-paleolitica-in-calabria/ La Grotta e il Riparo del Romito, in comune di Papasidero (Cosenza), costituiscono uno dei più importanti giacimenti dell’Italia meridionale risalenti al tardo Pleistocene. La loro rilevanza nell’ambito delle documentazioni preistoriche è legata all’imponenza della stratigrafia, all’importanza delle evidenze archeologiche e alle potenzialità di informazioni per la ricostruzione dell’ambiente e delle attività delle comunità di Homo sapiens che abitarono il sito alla fine del Paleolitico, nel Mesolitico e nel Neolitico. La grotta e il riparo appaiono oggi come due ambienti quasi distinti, a causa di una chiusura artificiale con un muro risalente all’epoca in cui la caverna fu utilizzata come romitorio. Al momento della frequentazione paleolitica i due ambienti costituivano un unico ampio spazio di abitazione. La grotta è localizzata all’interno di uno stretto canyon che offriva protezione e riparo. Nei pressi scorre l’attuale fiume Lao, attivo durante la presenza paleolitica e utilizzato come via di comunicazione e anche per risorse alimentari e litiche. https://www.grottaromito.com/it/la-grotta-del-romito/il-sito/la-grotta-e-il-riparo
  2. ARES III

    Veneri paleolitiche

    C'era un tempo quando grasso era sinonimo di bellezza e salute: questo è rappresentato egregiamente dalla testimonianza di statuette paleolitiche che raffigurano delle signorine molto curvilinee. Queste veneri sono piccole statue preistoriche raffiguranti donne con gli attributi sessuali molto pronunciati e ritratti con certo realismo (laddove il resto del corpo, a partire dal viso, è raffigurato in modo assai approssimativo). Vengono dette anche "veneri steatopigie" (dalle parole greche στέαρ, στέατος, "grasso", "adipe", e πυγή, "natiche", quindi "dalle grosse natiche") o callipigie (sempre dal greco καλλιπύγος, composto di κάλλος, "bellezza", e πυγή, quindi "dalle belle natiche"). Le veneri rappresentano le prime raffigurazioni del corpo umano. Sono di dimensioni minute (alcune intorno ai 20 cm, altre di soli 4 cm). I materiali più utilizzati sono steatite, calcite, calcare marnoso. Tali "veneri" sono state rinvenute in diverse località europee, tra cui Brassempouy, Lespugue, Willendorf, Malta, Savignano sul Panaro e Balzi Rossi, ma sono di fatto diffuse dall'Atlantico alla Siberia. Mentre la tradizione vuole che esse appartengano alla facies aurignaziana, esse per lo più sono in realtà gravettiane e solutreane: la datazione resta comunque controversa, dato che i ritrovamenti sono avvenuti spesso in condizioni che non assicurano una corretta ricostruzione scientifica. Oltre alla produzione gravetto-solutreana, esistono veneri risalenti alla più recente cultura magdaleniana, come la Venere di Monruz di 11.000 anni fa. Ad oggi si conosce un solo esemplare della più antica cultura aurignaziana, la Venere di Hohle Fels, ritrovata nel 2008 in Germania e datata intorno ai 35.000 anni fa. Il motivo di tali rappresentazioni resta del tutto ipotetico: mentre alcuni ritengono che queste statuine vadano interpretate come raffigurazioni realistiche della femminilità dell'epoca (così la steatopigia resta una caratteristica di Ottentotti e Boscimani), secondo altri tali raffigurazioni corrispondono alle prime speculazioni dell'uomo neolitico intorno al rapporto tra natura e vita: l'osservazione del ciclo delle stagioni suggerì che la vita stessa era legata ad un ciclo. Essendo la donna origine della vita del figlio, si sarebbe sviluppato un culto della Dea Madre. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Veneri_paleolitiche
  3. Il più antico cane italiano scoperto dai ricercatori dell’Università di Siena in due siti paleolitici in Puglia. I ritrovamenti archeologici potrebbero rappresentare le pionieristiche testimonianze del processo che ha portato alla comparsa del primo animale domestico. Alcuni resti rinvenuti nei siti paleolitici di Grotta Paglicci a Rignano Garganico e Grotta Romanelli a Castro (Le) testimoniano una presenza molto antica del cane, datata tra 14mila e 20mila anni fa. La scoperta, di fatto del più antico cane italiano, è del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena e in particolare dell’Unità di ricerca di Preistoria e Antropologia. Lo studio, frutto della collaborazione con altri enti nazionali e internazionali, è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports”. “Questa scoperta è di particolare interesse – spiega Francesco Boschin, archeozoologo dell’Università di Siena e coordinatore dello studio – in quanto i cani più antichi, riconosciuti con certezza dagli studiosi di preistoria, provenivano fino a ora da contesti dell’Europa centrale e occidentale datati a circa 16mila anni fa. I resti pugliesi rappresentano quindi, a oggi, gli individui più antichi scoperti nell’area mediterranea ma potrebbero rappresentare anche le prime testimonianze in assoluto del processo che ha portato alla comparsa del cane, il primo animale domestico”. La domesticazione cane si fa risalire all’ultimo massimo glaciale, un periodo di forte crisi ambientale durante il quale molte popolazioni animali europee, uomo compreso, hanno cercato rifugio in alcune regioni, quali ad esempio le penisole dell’Europa meridionale (Italia peninsulare, Iberia, Balcani), l’area franco-cantabrica e il bacino dei Carpazi. “In questo periodo di forte crisi – prosegue il dottor Boschin – il lupo, un predatore sociale per certi versi affine all’uomo, potrebbe aver individuato un nuovo modo per garantirsi la sopravvivenza: adattarsi a sfruttare gli avanzi delle prede dei cacciatori-raccoglitori paleolitici, frequentandone le periferie degli accampamenti. Ciò avrebbe favorito il contatto sempre più stretto tra uomini e lupi e tra questi ultimi la sopravvivenza degli individui meno aggressivi. La selezione di animali sempre più docili avrebbe poi innescato il processo di domesticazione e la comparsa dei primi cani”. “È ancora difficile capire se la Puglia possa essere stata un centro di domesticazione – precisano i ricercatori – I dati genetici di uno dei cani provenienti da Grotta Paglicci, datato a 14mila fa, ne mettono in risalto la somiglianza con un individuo di epoca comparabile proveniente dal sito di Bonn-Oberkassel in Germania. I due cani potrebbero quindi essersi originati da una popolazione comune, più antica, poi diffusasi in varie parti d’Europa. All’epoca il nostro continente era caratterizzato da una forte frammentazione culturale ma il rinvenimento di due cani geneticamente affini, uno in Italia meridionale e l’altro in Germania, significa che nonostante le differenze culturali il cane può aver rappresentato un importante elemento di contatto tra le comunità di cacciatori-raccoglitori dell’epoca”. Lo studio è stato svolto dall’Università di Siena in collaborazione con l’Università di Firenze, il Centro Fermi di Roma, l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste, l’Università di Bordeaux, il Museo nazionale preistorico etnografico ”Luigi Pigorini” di Roma, l’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana ‘Aleandri’, l’Istituto nazionale di Fisica nucleare – sezione di Firenze, il Musée de l’Homme di Parigi Elettra Sincrotrone di Trieste e la Soprintendenza archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia. Ulteriori ricerche, spiegano i ricetcatori, potrebbero ora far comprendere il ruolo del cane nelle comunità paleolitiche, se possa quindi avere avuto una funzione nelle battute di caccia o di difesa degli accampamenti oppure un importante ruolo simbolico, che ha ancora oggi presso alcune popolazioni dove è considerato manifestazione terrena di spiriti o reincarnazione di defunti. https://quotidianodifoggia.it/il-piu-antico-cane-italiano-scoperto-nella-grotta-paglicci/
  4. ARES III

    Scoperta dal Gabon

    Dal Gabon una scoperta archeologica che potrebbe riscrivere la storia Dopo la notizia del furto di reperti africani ad opera di attivisti contro il colonialismo, finalmente una buona notizia che riguarda l’archeologia africana. Si tratta di una eccezionale scoperta archeologica avvenuta in Gabon che, se confermata, potrebbe cambiare il modo in cui intendiamo la preistoria. Nel Parco Nazionale di Lopé, in Gabon, gli archeologi hanno datato dei reperti in pietra risalenti tra i 620mila e gli 850mila anni fa. Un arco temporale che si inserisce nel periodo nel paleolitico, in un’era precedente alla comparsa dell’uomo di Neanderthal. Questa scoperta, quindi, sarebbe la prima testimonianza conosciuta di una presenza umana nel bacino del Congo. L’archeologo che ha diretto le ricerche, Richard Oslisly, ha spiegato che «Nella cronologia africana, abbiamo sempre pensato che l’Africa centrale fosse riservata ai gorilla e alle grandi scimmie, ma in realtà è falso: c’era una presenza umana». Lo sviluppo delle ricerche archeologiche Nel 1987, durante il suo primo viaggio nella regione, l’archeologo notò quella che sembrava una terrazza scolpita, suggerendo un’antica attività agricola. In questo sito, Oslisly trovò strumenti in pietra. Si tratta di reperti che servivano per tagliare la carne. Inizialmente la datazione al carbonio suggeriva che i manufatti avevano quasi 400mila anni ma la tecnologia, negli anni Ottanta, era limitata. Continuando con le ricerche, l’archeologo è arrivato alla conclusione che nel bacino del Congo ci fosse un’antica civiltà agraria. Una teoria innovativa, che va in contrasto con l’idea generale secondo cui la regione, in precedenza, era una foresta vergine, troppo fitta e pericolosa. Un ambiente difficile da raggiungere e da attraversare, soprattutto per i popoli primitivi. Aiutato dal Centro Europeo per la Ricerca e l’Educazione nelle Geoscienze Ambientali, nel 2019 Oslisly ha compiuto una nuova spedizione nella terrazza alluvionale di Elarmékora nel Parco Nazionale di Lopé. Nuovi campioni degli antichi reperti sono stati testati con la tecnologia più innovativa. Se la datazione preliminare fino a 850mila anni fa dovesse reggere, questi manufatti potrebbero rappresentare la più antica prova dell’esistenza umana nel bacino del Congo. Anche l’UNESCO ha riconosciuto l’importanza di questa scoperta. In una dichiarazione ufficiale si legge: «Questi risultati mostrano, quindi, un enorme progresso nella nostra conoscenza dell’evoluzione dei nostri antenati. Una scoperta che potrebbe non solo sconvolgere i modelli stabiliti sulla storia delle nostre origini, ma anche contribuire a una migliore comprensione dei cambiamenti climatici antichi». https://www.exibart.com/archeologia/dal-gabon-una-scoperta-archeologica-che-potrebbe-riscrivere-la-storia/amp/
  5. Buon giorno, nel 2010 sono state identificate delle pitture rupestri paleolitiche sulle pareti della Grotta di San Romualdo presso il Canale di Leme (Rovigno). Si tratta di una cavità nota per i depositi archeologici e in questi giorni è stata data notizia a livello internazionale. Il Canal di Leme è una sorta di fiordo che si addentra verso l'interno. Per curiosità, fu la location del film con Kirk Douglas sui vichinghi (del 1958). La Grotta è situata sui fianchi della vallata. https://visitkanfanar.hr/it/attrazioni/grotta-di-romualdo/ Porgo alla vostra attenzione questo articolo che illustra la scoperta e le immagini di alcune figure ritrovate: https://www.heritagedaily.com/2019/04/archaeologists-identify-first-prehistoric-figurative-cave-art-in-balkans/123317 Infine , di "balcanico" l'Istria ha ben poco... ma tant'è. Ciao Illyricum
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