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Cari Lamonetiani, anche il #12 di Quelli del Cordusio è stato completato. Ora non resta che controllare i testi affinché vengano eliminati errori, sviste ed ogni altra cosa che possa fuorviare la lettura prima della stampa definitiva. Si tratta di un numero corposo che ha superato in pagine il precedente #11: contiene 25 articoli, 13 briciole per 250 pagine circa. Dovrebbe andare in stampa a settembre ed essere distribuito gratuitamente l'8 nomembre al consueto incontro di Milano Numismatica. Per ora vi lascio con una visione d'insieme dello stesso:17 punti
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PREMESSA Un amico, del tutto profano in materia numismatica, mi ha chiesto perché la monetazione romana repubblicana mi affascini tanto. Ho deciso allora di scrivere queste poche righe pensando a lui, a come spiegargli la mia passione. Questo non è quindi un trattato di numismatica, e men che meno di storia. Contiene sicuramente approssimazioni, probabilmente imprecisioni, forse errori. La scelta degli eventi narrati e delle monete che li illustrano è del tutto arbitraria e priva di una vera logica. Questo è un racconto, un tentativo di comunicare emozioni: le emozioni che promanano dalle monete repubblicane, per chi ama il ricordo di quei sette secoli in cui la città di Roma creò, dal buio della preistoria italica, la storia stessa dell'Occidente.12 punti
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IL SIMBOLO DELLA POTENZA DI ROMA: L’AES GRAVE A Roma l'emissione di moneta arrivò seguendo due strade: la cosiddetta “monetazione romano-campana”, di cui si dirà oltre, e l’aes grave. Si definisce aes grave un sistema di monete di bronzo, fuse, a valore intrinseco (cioè, valevano tanto quanto il metallo che contenevano). In sostanza, la nascita della moneta a Roma è simile a quella avvenuta in Asia Minore, con la differenza che là i governanti decisero di garantire il peso dell'elettro, qui quello del bronzo; là fu adottata la punzonatura (che si può ritenere una forma arcaica di coniazione), qui la fusione. Le monete di aes grave sono quasi lingotti circolari: hanno infatti un peso ragguagliato all’unità di misura in uso a Roma, la libra, suddivisa in 12 once. Le monete principali, del peso e del valore di una libra, erano gli asses (“assi librali” in Italiano) nome probabilmente derivante da asser, “palo”, essendo il palo la rappresentazione visiva dell’unità (come per noi, oggi, l’indice alzato); il simbolo del valore impresso su di essi era infatti “I”. Furono inoltre emesse le frazioni dell’asse, ossia semisse (mezzo asse, simbolo “S”), triente (la terza parte dell’asse, ossia 4 once, simbolo “····”), quadrante (“···”), sestante ( “··”) e oncia (“·”). Più raramente fu emessa la semioncia (simbolo “S”) e, ancor più raramente, i multipli dell’asse, ossia dupondium (due assi, “II”), tressis (“III”) e quincussis (“V”); in un solo caso (la moneta RRC 41/1) fu emesso il decussis (“X”). Ma quanto pesava una libra (e, quindi, un asse)? Le monete, proprio per la loro fattura grezza, presentano una grande variabilità (ad esempio, gli esemplari dell’asse RRC 14/1 oggi noti vanno da 240 a 400 g). Tuttavia si ritiene che Roma abbia utilizzato, nel tempo, tre differenti valori di riferimento: la libra propriamente romana da 327 g, la libra italica da 341 g e quella osco-latina da 273 g[1]. Le monete di aes grave sono quindi massicci pezzi di metallo, di fattura grezza, con iconografie assolutamente essenziali: molta sostanza e poca forma. Il loro fascino è proprio quello di simboleggiare la più antica cultura romana, improntata a rusticità, praticità, sobrietà, ben lontana dalla raffinatezza e dal gusto del bello che connotavano, invece, la cultura magno-greca (e che traspaiono anche nell’iconografia della monetazione romano-campana). Scrisse Romolo Calciati nel 1978: “Raramente una moneta riesce a dare una tale impressione di potenza, di realismo, di aderenza storica del soggetto monetario alla realtà sociale e politica della nazione che intende rappresentare. Immaginiamo questo asse poderoso e ponderoso gettato sul piatto della bilancia dello scambio come una spada di Brenno: esso dava la sensazione precisa della potenza di Roma repubblicana. Diremmo, col linguaggio contemporaneo, che questo asse librale era un efficacissimo mezzo di comunicazione, il corrispettivo della stampa, della televisione, delle parate militari”. _____________________________ L’aes grave è sicuramente molto antico ma è difficile oggi, per noi, capire a quando risalga. Vista la fattura grezza e la natura di monete a valore intrinseco (quindi, concettualmente molto vicine al bronzo scambiato a peso), si potrebbe pensare che sia estremamente antico: in effetti, in passato gli studiosi ipotizzavano i Romani avessero iniziato a produrlo tra il VII e il V secolo a.C.[2]; del resto le leggi delle XII tavole, promulgate nel 451-450 a.C., parlano frequentemente di asses, per cui sembra logico che questa moneta dovesse esistere. Tuttavia i rinvenimenti archeologici fanno pensare che le monete di aes grave siano più recenti; fra i numismatici moderni solo Corradi[3] crede ancora in una datazione al V secolo a.C., mentre gli altri autori sono convinti che sia comparso nella seconda metà del III secolo a.C. (più precisamente tra il 338 e il 311 a.C.)[4] oppure addirittura agli inizî del III secolo a.C.[5]. La difficoltà di datare l’aes grave comporta tre problemi interpretativi. Primo problema: capire in che rapporti si pongano aes grave e monetazione romano-campana. Come si vedrà in seguito, le monete romano-campane sono diversissime e (almeno apparentemente) incompatibili l’aes grave: comprendono infatti, oltre al bronzo, anche argento e oro; sono coniate anziché fuse; presentano iconografie estremamente raffinate, anziché grezze; soprattutto, presentano anche quelle di bronzo pesi molto ridotti (fra 2 e 15 g, in un solo caso 19 g) e, quindi, non potevano avere un valore intrinseco. Eppure, sembra che i due sistemi monetarî siano stati in uso in contemporanea, tra la fine dei IV secolo e la metà del III. Per spiegare questa anomalia si è pensato che i Romani usassero l’aes grave per i commerci interni e per quelli con i popoli italici, le monete romano-campane invece per i commerci con i popoli magno-greci (culturalmente più evoluti e, quindi, abituati a monete meno grezze). Secondo problema: capire se l’aes grave sia un’invenzione romana, o meno. Infatti, monete di aes grave (oggi molto rare) furono emesse, oltre che dai Romani, anche da Etruschi e da numerosi altri popoli italici (Umbri, Osci, Apuli e popoli della costa adriatica), ma non si riesce a determinare quali di esse siano le più antiche. Inoltre, molte delle città che emisero aes grave furono assoggettate da Roma proprio tra la fine dei IV secolo e la metà del III, per cui non si riesce a capire se la loro monetazione sia iniziata prima della conquista romana o dopo. Per queste ragioni, alcuni storici pensano che l’aes grave sia stato inventato dai Romani ed essi abbiano esportato tale idea nelle altre città italiche; altri invece ritengono che sia nato in Etruria e poi copiato dai Romani; altri ancora che sia comparso in modo spontaneo e indipendente fra popolazioni differenti, a causa di circostanze economiche comuni. Terzo problema: capire quali siano le emissioni di aes grave più antiche, fra quelle stesse romane. Qui serve un’ulteriore precisazione: nei secoli, il peso medio delle monete romane (soprattutto quelle di bronzo, più limitatamente quelle d’argento) calò progressivamente. Questo successe perché lo Stato, quando non aveva abbastanza metallo prezioso da monetare ma doveva comunque pagare i debiti, cominciava a emettere monete un po’ meno pesanti. È evidente che queste iniziative spingevano i venditori ad alzare i prezzi delle loro merci (per ricevere una stessa quantità di metallo prezioso) e, per questo, tale meccanismo è oggi definito come “svalutazione” (di monete a valore intrinseco), un fenomeno ben conosciuto e che si è manifestato anche in altre culture antiche. Tanto premesso, si è visto che Roma emise assi librali di pesi medi differenti, 341 g, 327 g e 273 g; tuttavia, siccome Varrone afferma che “habet iugerum scripula CCLXXXVIII, quantum as antiquus noster ante bellum Punicum pendebat” (“lo iugero comprende 288 scrupoli[6], tanto quanto pesava il nostro asse prima della Guerra Punica”) molti studiosi[7] ritengono che l’emissione più antica non sia la più pesante, ma quella da 327 g. Le serie di aes grave più antica sarebbe allora la RRC 14 e sarebbe, secondo la testimonianza di Varrone, precedente alla prima della Prima Guerra Punica (“ante bellum Punicum”). Successivamente, l’Urbe sarebbe passata a emettere assi più pesanti, da 341 g, probabilmente perché, ampliando la sua sfera di influenza, avvertiva il bisogno di commerciare non solo con i Romani stessi, ma anche con altre popolazioni italiche (la libra da 341,1 g è infatti ritenuta lo standard italico). Appartengono a questa categoria di peso le serie RRC 18 e RRC 19. Dopo queste due serie, Roma sarebbe passata a emettere aes grave basato su un asse di 273 g. Al riguardo, ci sono due opinioni fra gli studiosi: o fu adottato (sempre per ragioni commerciali) lo standard della libra osco-latina, oppure si era tornati alla libra romana ma ne era stata effettuata la prima svalutazione (è significativo, infatti, che 273 sia i 10/12 di 327: lo Stato, forse, aveva cominciato a produrre assi contenenti solo 10 “once-peso” di metallo, sebbene continuassero essere suddivisi in 12 “once-moneta”). Fra le serie di questo periodo la più interessante è RRC 24, che presenta in tutti i nominali, al rovescio, una ruota a sei raggi: alcuni studiosi ritengono che, per tale ragione, anche queste monete fuse (come la didracma RRC 14/3, di cui si dirà in seguito) siano state emesse in occasione della costruzione della via Appia (312-308 a.C.; Crawford invece data questa serie al periodo tra il 265 e il 242 a.C.). ___________________________________________ Come detto, esistono monete di aes grave anche presso altre popolazioni italiche, oggi abbastanza rare (a testimonianza del fatto che ne furono emesse relativamente poche). Esiste però un gruppo di monete fuse che presenta interessanti peculiarità: la cosiddetta serie ovale, i cui nominali presentano tutti su una faccia una clava (attributo di Ercole), sull’altra il simbolo del valore (“I” per l’asse, “C” - ossia sigma uncinato - per il semisse e i pallini per gli altri nominali, sino all’oncia). Lo standard ponderale di riferimento dell’asse sembrerebbe di circa 151 g (ma non è certo). Le caratteristiche di questa serie sono: - la forma, che non è tonda (unico caso nella penisola) ma ovale e, peraltro, con una grande variabilità (ovali perfetti, rettangoli arrotondati, tronchi di cono, etc.); - la grande distribuzione del sestante, di cui sono stati rinvenuti molti esemplari da Trento a Termoli; - l’estrema variabilità del peso; in particolare, sebbene in teoria i sestanti dovessero pesare 25,17 g, in realtà gli esemplari rimasti vanno da 9 a 51 g. Gli studiosi ritengono, sulla base dei ritrovamenti, che queste monete possano essere state emesse da Tuder (odierna Todi, città umbra), Tarquinia o Velzna (città etrusche; la seconda, ridenominata “Volsinii” in epoca romana, oggi non esiste più). Per la data, tenuto conto del peso, si propone la fine del IV secolo (circa 320 a.C., epoca in cui gli etruschi usavano una libra di circa 150 g, detta appunto “etrusco leggera”) oppure la metà del III (epoca in cui i romani, a seguito di una forte svalutazione, cominciarono a emettere aes grave - cosiddetto “semilibrale” - con un asse di metà libra romana, quindi circa 163 g). Sussiste però, nella mia opinione, un’altra possibilità di interpretazione. Esiste infatti un rarissimo lingotto di aes signatum, coevo o poco più recente del “ramo secco”, che presenta il disegno della clava; è stato quindi ipotizzato un collegamento tra questo lingotto e l’aes grave ovale[8]. Allargando il discorso, potrebbe darsi che le monete ovali siano proprio un elemento di passaggio tra l’aes signatum più antico, con disegni di “ramo secco”, “lisca di pesce” e clava, e le monete tonde; in altri termini potrebbero essere una specie di “lingottini” e ciò spiegherebbe sia la forma (a metà tra il parallelogramma dei lingotti e il disco delle monete) sia la grande variabilità della forma stessa (derivante dal fatto che si trattava, appunto, di un primo tentativo di trasformare i lingotti in monete) e del peso (come appunto i lingotti con “ramo secco” e “lisca di pesce” che, appunto, avevano un peso abbastanza variabile). Infine, credo che dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità che queste monete siano riconducibili a Roma, quanto meno sotto forma di monete “coloniali”: infatti, questa è l’unica serie di aes grave (a parte, ovviamente, quelle romane) ad aver avuto una diffusione così ampia, che si spiegherebbe solo se fosse la moneta di una città capace di intrattenere commercî dal Trentino al Molise, come alla fine del IV secolo poteva essere Roma. Inoltre queste monete sono state rinvenute, nei ripostigli, insieme all’aes grave romano (ma questo accade anche per altri aera grava italici). Del resto, delle tre città proposte come sede della zecca, sappiamo che Velzna fu resa tributaria da Roma dal 294 a.C. e soggiogata nel 280, Tarquinia fu conquistata nel 295 e anche Tuder fu in qualche modo assorbita da Roma nel III secolo. Se la serie ovale fosse attribuita alla Roma arcaica, tuttavia, andrebbe chiarito il problema del peso, troppo leggero per gli standard romani arcaici[9]. NOTE [1] La più piccola unità di misura del peso usata a Roma era lo scrupolo, corrispondente (secondo l’opinione prevalente - non è sicuro) a 1,137 g. Sappiamo, da Varrone, che la libra romana pesava 288 scrupoli (cioè, 12 once da 24 scrupoli ciascuna), quindi appunto 327,45 g. La libra italica doveva pesare 300 scrupoli (341,10 g), quella osco-latina 240 (272,87 g). [2] Nel 630 a.C., secondo Marchi e Tessieri (1839); nel 539, secondo Eckhel (1792); nel 450, secondo Mommsen (1860). [3] Dissertazione sull'aes grave fuso e coniato di Roma e relative riduzioni, in “Nummus et Historia” VII, Formia 2003. [4] Secondo Hill, Cesano, Breglia, Alteri, Panvini Rosati, Babelon, Soutzo, Grueber, Haeberlin, Millingen, Sear. [5] Crawford, in particolare, propone il 280 a.C. [6] I Romani suddividevano in 288 scrupoli sia la libra (12 once da 24 scrupoli), sia il giorno e la notte (12 ore da 24 scrupoli), sia lo iugero; si chiamava quindi allo stesso modo (scrupulum, letteralmente “sassolino”) la più piccola unità di misura sia del peso, sia del tempo, sia della superficie. [7] Sono di questa opinione Thomsen, Crawford e Coarelli. [8] Ambrosini, Le monete della cosiddetta serie ‘ovale’ con il tipo della clava, in “Studi Etruschi”, 1987. [9] Roma, a seguito delle svalutazioni, arrivò a emettere aera grava con assi del peso di mezza libra (detti, perciò, “assi semilibrali”) ma solo alla fine del III secolo. Se le monete ovali fossero così recenti, non potrebbero rappresentare una forma di passaggio fra lingotti e monete tonde. In alternativa si potrebbe pensare che siano monete coloniali, commisurate alla libra etrusca leggera. ILLUSTRAZIONI Asse RRC 14/1 Asse RRC 24/3 Sestanti della serie ovale Pezzi di aes grave esposti nei musei italiani11 punti
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https://monarchicinrete.blogspot.com/2018/06/consegna-al-governo-italiano-della.html Consegna al Governo italiano della parte della collezione delle monete del Re Vittorio Emanuele III rimasta in possesso del Re Umberto II Fausto Solaro del Borgo Febbraio 1983: In occasione di uno dei miei incontri con S.M. il Re Umberto II a Ginevra, nel febbraio del 1982, il Re mi accennò al problema delle monete della collezione donata da Suo Padre, il Re Vittorio Emanuele III, al Popolo Italiano (con lettera al Presidente del Consiglio, On. Alcide De Gasperi, scritta a Napoli il 9 maggio 1946), rimaste in Suo possesso dopo la morte del Genitore. Si trattava di due cassette contenenti i pezzi più preziosi, in quanto più antichi, che il vecchio Re, partendo per l’esilio in Egitto, portò con se (rilasciandone regolare ricevuta alla Presidenza del Consiglio) al fine di riordinarne la catalogazione. Queste monete si trovavano ad Alessandria d’Egitto al momento della morte del Re Vittorio Emanuele III, avvenuta il 28 dicembre 1947, quattro giorni prima della entrata in vigore della nuova Costituzione che prevedeva l’avocazione dei beni dell’ex Sovrano. Esse rappresentavano l’unico bene patrimoniale importante su cui la Famiglia Reale, che rischiava di restare senza mezzi di sostentamento, potesse contare sicché fu deciso di non procedere alla restituzione. Il 9 maggio del 1946 il vecchio Re dalla lancia che lo avrebbe portato verso l’esilio, tornando col pensiero a quella che era stata la più grande passione della sua vita, donava la propria collezione al POPOLO ITALIANO. Il Re Umberto mi precisò che intendeva affidare a me l’incarico di concordare con il Governo Italiano la restituzione delle due cassette conservate nel caveau del Credit Suisse di Losanna, che doveva essere effettuata in via riservata senza coinvolgere alcuno dei Suoi Consiglieri e Familiari, tutti ancora contrari a restituire un bene di così rilevante importanza patrimoniale al Paese che aveva espropriato l’intero patrimonio del Sovrano. All’inizio dell’estate 1982, in occasione della mia visita a Cascais del 27 luglio, fu deciso che avrei avviato in autunno i contatti con il Governo Italiano per individuare le procedure per la restituzione. L’aggravamento della malattia del Re ai primi di agosto e il Suo ricovero a Londra provocò, come tutti ricorderanno, un’ondata di simpatia per il Malato in esilio, sicché da molte parti si invocava un provvedimento del Parlamento che consentisse ad Umberto II di morire in Italia. In relazione a ciò, con la signorilità, la sensibilità e la bontà che hanno sempre caratterizzato le Sue azioni, il Re mi invitò ad astenermi dall’avanzare proposte di restituzione delle monete, perché non voleva che un tale Suo spontaneo gesto venisse interpretato come una forma di “do ut des”. Nei mesi dell’autunno 1982 non parlammo della questione nei nostri incontri alla clinica londinese, se non saltuariamente, sempre sentendomi confermare la preoccupazione per una possibile interpretazione che il gesto fosse legato all’ipotetico rientro in Italia. Da parte mia continuavo a notare un peggioramento delle condizioni di salute del Re con il rischio conseguente che, con la Sua scomparsa, le monete per le quali non avevo disposizioni scritte non venissero, dagli Eredi, più restituite all’Italia. Il 23 gennaio 1983, in occasione di una delle mie visite alla London Clinic, presi il coraggio a due mani e feci capire al Re che, date le circostanze ed i rischi connessi ad ulteriori rinvii, occorreva procedere e quindi aprire il negoziato con il Governo. L’amor di Patria e la grande delicatezza del Re Umberto II si manifestarono ancora una volta quando volle suggerirmi di contattare, per un consiglio sulla procedura da seguire, il Sen. Giovanni Spadolini, all’epoca Ministro della Difesa del Governo Fanfani, dicendomi “Ė il presidente del partito repubblicano, ma sono certo che, da uomo di cultura, metterà da parte in questa occasione le sue idee politiche”. Mi diede anche la precisa disposizione che unica condizione da porre era che nessuna notizia in merito alla riconsegna fosse data prima della Sua morte. Tornato a Roma, tramite un’amica che lo conosceva molto bene, chiesi un incontro con il Ministro della Difesa. Il Sen. Spadolini, per incontrarmi, mi fece chiedere di che cosa intendevo parlargli e, saputolo, mi fece dire che “non vedeva la ragione perché ci si rivolgesse a lui per una questione che riguardava Casa Savoia”. Chiusa questa porta, non avendo rapporti con il mondo politico, mi rivolsi all’amico Marcello Sacchetti che mi propose di incontrare l’On. Nicola Signorello, Ministro del Turismo e Spettacolo. Eravamo intanto arrivati al 18 febbraio e l’On. Signorello, che mi ricevette subito, udito quello di cui si trattava mi disse che ne avrebbe parlato in via confidenziale con il Presidente del Consiglio Sen. Fanfani che doveva incontrare, di lì a poco, in Consiglio dei Ministri. Questo avveniva intorno alle ore 16 del venerdì 18 febbraio. Descrivo sinteticamente la cronologia degli avvenimenti che portarono al rientro in Italia delle monete mancanti alla collezione donata al Popolo Italiano dal Re Vittorio Emanuele III. Sabato 19 febbraio. - Ore 9,00: mi chiama al telefono il Professor Damiano Nocilla, Capo dell’Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pregandomi di recarmi a Palazzo Chigi. - Ore 10,30: incontro il Prof. Nocilla, il quale mi comunica di aver avuto incarico dal Presidente Fanfani di chiedermi chiarimenti su quanto a lui comunicato, il pomeriggio precedente, dal Ministro Signorello. Dopo avermi ascoltato mi chiese - essendo completamente all’oscuro su quanto concerneva la donazione del Re Vittorio Emanuele III che risaliva al 1946 - qualche ora di tempo per aggiornarsi sulla pratica. - Ore 15,00: seconda convocazione a Palazzo Chigi da parte del Prof. Nocilla, il quale nel frattempo aveva trovato gli incartamenti originali della donazione, compresa la ricevuta con la quale il Re Vittorio Emanuele dichiarava di portare con se le due cassette per l’aggiornamento della catalogazione, sicché potemmo finalmente affrontare nei dettagli l’esame della procedura da seguire per la riconsegna. Durante il colloquio mi chiese di allontanarsi per andare a riferire al Presidente Fanfani che, indisposto, era a letto nell’ appartamento di Palazzo Chigi riservato al Presidente del Consiglio. - dopo circa mezz’ora il Prof. Nocilla mi informa che il Presidente Fanfani, pur febbricitante, era sceso nel suo studio e desiderava parlare con me. - Ore 16: il Presidente, che da anni era in rapporti molto amichevoli con mio Padre Alfredo, mi accoglie nel suo ufficio con grande cordialità, esprimendo tutta la sua ammirazione per il gesto che il Re morente intendeva fare nei confronti del Popolo Italiano e, dopo essersi fatto esporre in dettaglio la situazione, con la mia richiesta di riservatezza sul mantenimento della quale mi diede la sua personale assicurazione, mi comunicò che intendeva assentarsi e mi pregava di attendere il suo rientro. - Intorno alle 17 il Presidente Fanfani rientra a Palazzo Chigi e mi informa che il Presidente della Repubblica Pertini, dal quale si era nel frattempo recato, anche lui riconoscente per il gesto di Umberto II, aveva disposto che la riconsegna delle monete avvenisse nel più breve tempo possibile, mettendo a mia disposizione l’aereo presidenziale per il loro trasporto a Roma. - Da questo momento in poi, seduto davanti alla sua scrivania, ho l’occasione di sperimentare l’efficienza dell’uomo Fanfani: § Siamo ormai nel tardo pomeriggio, ed il Presidente del Consiglio chiama alla Farnesina l’Ambasciatore Malfatti, Segretario Generale del Ministero Affari Esteri, il quale arriva nel giro di un quarto d’ora. § Nel frattempo concorda con il Prof. Nocilla le modalità legali per la consegna da farsi, a Losanna, attraverso l’Ambasciatore d’Italia a Berna. § Chiede che l’Ambasciatore a Berna, Rinieri Paulucci di Calboli Barone, venga convocato a Roma e, a seguito dell’osservazione dell’Amb. Malfatti che si poteva parlargli per telefono, saputo che io lo conoscevo bene, lo chiama direttamente e, senza fornirgli spiegazioni, gli da disposizioni di recarsi a Losanna con il suo Cancelliere il martedì successivo per incontrarsi con me e fare quanto gli avrei indicato. § Concorda con i presenti, per salvaguardare le disposizioni di massima segretezza dell’intera operazione, fino alla morte di Umberto II, di rivolgersi ai Carabinieri: il Presidente Fanfani chiama al telefono il Comandante Generale dell’Arma e gli chiede di organizzare il deposito a Roma. - Intorno alle 19,30 mi congedo dal Presidente Fanfani assicurandogli che avrei fatto il possibile per concludere l’operazione entro il martedì successivo e ricordo bene che lo stesso, avendo appreso da me delle gravissime condizioni in cui versava il Re Umberto, mi disse “Caro Solaro, faccia in modo che il tutto avvenga prima della morte di Umberto II e si ricordi che, se questo non dovesse avvenire, sarà solo colpa sua”. - Dopo aver definito meglio con il Prof. Nocilla gli aspetti legali da osservare, e predisposta una bozza di verbale di riconsegna, lascio Palazzo Chigi intorno alle 22. Viene deciso che, per garantire la massima regolarità, non avendo io alcun mandato scritto del Re, la parte formale sarebbe stata svolta da mio Padre nella sua qualità di Procuratore Generale di Umberto II, ed anche perché, non volendo coinvolgere l’Amministratore del Sovrano, era l’unico ad avere accesso al caveaudel Credit Suisse dove si trovavano le cassette. Domenica 20 febbraio. Il Presidente Fanfani mi fa pervenire una lettera indirizzata a mio Padre, quale Procuratore Generale del Re, confermando l’accettazione delle monete ed esprimendo la riconoscenza del Governo e del Paese per il gesto del Sovrano morente. Martedì 22. Alle nove mi incontro all’Hotel Palace di Losanna con l’Ambasciatore d’Italia a Berna, Rinieri Paulucci de Calboli Barone, che trovo abbastanza seccato per il modo in cui era stato trattato dal Presidente del Consiglio e, senza mezzi termini, mi dichiara che mai durante la sua carriera gli era stato chiesto di mettersi a disposizione di un “laico”, portando con se il Cancelliere Capo dell’Ambasciata, il sigillo e la ceralacca. Gli spiego tutto quanto era stato concordato a Roma ed i motivi, purtroppo molto tristi, che avevano richiesto l’adozione di una procedura di particolare urgenza con tempi brevissimi a disposizione. Con lui e con il Cancelliere mi reco al Credit Suisse, dove incontriamo mio Padre e l’Avvocato dello Stato addetto alla Presidenza del Consiglio, Raffaele Tamiozzo, accompagnato dal Colonnello dei Carabinieri Giovanni Danese, arrivati da Roma con l’aereo presidenziale. La consegna non richiede molto tempo in quanto io avevo preteso ed ottenuto a Roma che le cassette venissero aperte solo dopo la morte del Re, in mia presenza. Terminata l’apposizione dei sigilli ai due contenitori e la sottoscrizione del verbale da parte di mio Padre per la consegna, dell’Ambasciatore d’Italia per il ritiro, e dei due funzionari presenti, le cassette sono caricate sulla macchina dell’Ambasciata, vengono trasportate all’aeroporto di Ginevra e imbarcate sul DC9 presidenziale. All’arrivo a Ciampino le cassette vengono prese in consegna dal Colonnello Comandante della Legione Carabinieri di Roma e portate nella Caserma del Reparto Operativo di Via Garibaldi, dove concludono il loro periglioso peregrinare durato 37 anni da Roma ad Alessandria d’Egitto, a Cascais, a Ginevra e, finalmente, di nuovo a Roma. Il 25 febbraio, vedendo avvicinarsi la fine, i Figli organizzarono il trasporto del Genitore in Svizzera all’Hôpital Cantonal di Ginevra, e il 13 marzo i medici mi permisero di entrare nella Sua stanza per comunicargli l’avvenuta riconsegna delle monete; ricordo le poche parole che riuscii ad udire “Grazie… è la più bella notizia che potevi darmi” che mi confermarono, ancora una volta, che gli unici pensieri di quell’Uomo in fin di vita erano per il Suo Paese. Il Re Umberto II muore a Ginevra il 18 marzo 1983. La Sua ultima parola percepita è stata “Italia”. Il 21 dello stesso mese il Governo Italiano emette un comunicato ufficiale con il quale, dando notizia dell’avvenuta consegna delle due cassette di monete, ricorda la generosità del gesto compiuto dal Re prima della Sua morte. Il giorno 28 vengo convocato per l’apertura delle due cassette, che avviene alla presenza del Colonnello Ivo Sassi, Comandante della Legione Carabinieri di Roma, del Professor Damiano Nocilla, Capo dell’Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Dottoressa Silvana Balbi de Caro, Direttrice del Museo Nazionale Romano, Museo delle Terme, e di altri Funzionari del Ministero degli Esteri e dell’Avvocatura dello Stato. La storia non finisce ancora in quanto, una volta aperte le due cassette dalla Direttrice del Museo, Dottoressa Balbi de Caro, comincia l’esame delle monete seguendo il vecchio catalogo del Re Vittorio Emanuele III (Corpus Nummorum Italicorum) e, dove dovevano esservi delle monete d’oro, si trovavano solo delle bustine vuote. Dopo circa mezz’ora in cui, proseguendo nella ricerca, si continuavano a trovare bustine vuote, nell’imbarazzo generale, si decide di sospendere il trasferimento delle cassette dalla Caserma dei Carabinieri al Museo delle Terme, per riferire al Presidente del Consiglio. Io non potevo nemmeno considerare l’ipotesi che il Re Umberto avesse trattenuto le monete d’oro senza farmene cenno; comunque, dovevo arrendermi all’evidenza. Alcuni giorni dopo mi chiama personalmente al telefono il Presidente Fanfani, che aveva saputo del mio dramma da Nocilla, e mi informa che tutte le monete erano state trovate in una parte della cassetta dove, evidentemente, il Re Vittorio Emanuele le aveva raggruppate per la nuova catalogazione. L'allora presidente del consiglio, Alcide De Gasperi, inviò a Re Vittorio Emanuele III il seguente telegramma ad Alessandria d'Egitto per ringraziarlo della donazione.: SM Vittorio Emanuele - Alessandria d’Egitto ho letto al Consiglio dei Ministri la lettera con la quale VM annunciava la cessione della raccolta numismatica allo Stato italiano. Il Consiglio dei Ministri, il quale sa apprezzare tutto il valore del dono per la storia del nostro Paese, mi ha incaricato di esprimere a VM la gratitudine del Governo. Adempiendo a tale gradito incarico, La prego di accogliere i sensi del mio profondo ossequio. Alcide De Gasperi Finalmente, con la sottoscrizione di un ultimo verbale e con il trasferimento delle monete al Museo delle Terme, dove era conservato il resto della collezione donata dal Re Vittorio Emanuele III, finisce il mio coinvolgimento in una operazione fortemente voluta dal Re Umberto che mai aveva pensato di appropriarsi di quanto donato da Suo Padre al popolo italiano. Una decina di giorni dopo ricevetti una telefonata da Palazzo Chigi: il Presidente del Consiglio Fanfani mi comunicava che, a seguito di una valutazione del complesso dei beni da me riportati in Italia per conto di un Signore a cui la Repubblica aveva confiscato tutto il patrimonio, era stato appurato che il loro valore superava i venti miliardi di lire. Alla mia domanda se si conosceva il valore dell’intera collezione, il Presidente Fanfani mi disse che lo stesso superava i cento miliardi (anno 1983).10 punti
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Buongiorno e Buona domenica a tutti, stamattina ho pensato di far prendere un po' di aria agli argenti Borbonici. Ho approfittato per fare una foto di gruppo ma solo del diritto, un discreto numero con più esemplari per lo stesso millesimo. Mancano ancora alcuni millesimi per completare la serie senza contare le varianti. Per alcuni, 1837/1849 temo ci vorrà molto tempo. Saluti Alberto9 punti
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Ciao a tutti, mi ricollego al post #82 dove si parlava di metodi di stampa, in particolare io citavo una laser, metodo di stampa che praticamente si riconosce ad occhio nudo https://www.lamoneta.it/topic/223096-varianti-di-colore-o-alchimie/page/4/#findComment-2522137 passando dal post https://www.lamoneta.it/topic/223096-varianti-di-colore-o-alchimie/page/4/#findComment-2551477 con la mille lire sdoppiata, fatta però con una stampante a getto d'inchiostro, che come qualità supera la laser di parecchio e "mischia" colori liquidi (non pigmenti asciutti). Adesso ho tirato fuori il microscopio scolastico di mia figlia e ho dato un'occhiata ad una 500 lire mercurio questa è una E di cinquEcEnto (una delle due, non ho segnato quale 🤣, anche perché sono rotate di 180° quando le guardi) e si vede benissimo una struttura tridimensionale della stampa, che purtroppo in foto non risalta così bene. Poi ho fatto una prova con una inkjet come quella di @jaconico e l'ho messa sotto le lenti: A = Originale Marco Polo / B = Stampa fai da te I colori dell'originale sono molto, molto più nitidi ed omogenei, non si vede bene, ma l'anima dell'uno ha un bel col bronzo dal vivo, La stampa fatta in casa anche qui si riconosce sotto un buon ingrandimento. @jaconico scriveva che addirittura un esemplare di questi era stato periziato, ma adesso mi / vi chiedo: ma oltre alla lente d'ingrandimento di rito, perchè su questi oggetti non si usa un microscopio?9 punti
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Buon pomeriggio passeggiatina al Serafico, in cerca di ciotole. Solo pochi banchi ne avevano. Da uno ci stava la ciotola a 1 euro per tre monete, pescato queste:8 punti
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Premettiamo prima di tutto che l'errore può starci, nessuno è perfetto e sbagliare è, ovviamente, umano. Senza fare di tutta l'erba un fascio, è pacifico che ci troviamo in una situazione "poco chiara" per il collezionista che vuol iniziare. La soggettività del grading, unita alla facilità con cui ciascuno può aprire una ditta (non parliamo dei bagarini!) e diventare commerciante anche con poca esperienza, purtroppo, stanno dando i risultati (ovviamente non mi riferisco al commerciante che ha sigillato la moneta). Il mio stringatissimo commento al riguardo, preciso, non voleva alimentare questa diffidenza verso tutti gli addetti ai lavori, ma solo prendere atto del detto, oggi più che mai salvifico: "fidarsi e bene, ma non fidarsi è meglio" (specie se ci sono i soldi dietro, aggiungerei...) e credo sarete tutti concordi con me su questo; non è quindi per fare alcuna polemica. Ci sono Professionisti che oltre alla loro pluridecennale Professionalità, operano e si distinguono per Signorilità, cortesia e disponibilità. Ecco, imparare a capire chi questi siano, offre possibilità di acquistare serenamente nei primi momenti del collezionismo. Anche questo è un saggio consiglio. Imparare da chi ne sa di più è uno dei punti fondamentali. Certe cose si imparano solo osservando e confrontando, e se ti aiuta un Amico (disinteressato), è cosa importantissima e fondamentale. Sono d'accordissimo con te, ma qui parliamo di un due lire quadriga veloce... insomma, è tra le prime monete del Regno che si impara. Sono stati fatti anche dei confronti che... parlano da soli. Ma già anche senza il confronto: lo sguardo nel ritratto del sovrano è da zombie, la spallina (mai vista una decorazione con quegli incusi così brutti e pronunciati), la basetta, son totalmente sbagliati i dettagli. Le fattezza dello stile dell'italia, con lo scudo, i cavalli, l'usura incompatibile (i cavalli sono usurati, e l'orecchio no?), insomma, era già strana al primo sguardo. Poi, in foto si può sbagliare e io sono il primo a dirlo (perchè di sbagli ne ho fatti), e se mi conoscete, sapete che sono molto molto cauto nell'esprimere un parere di autenticità tramite foto; ma qui, insomma, qui le cose sembrerebbero abbastanza palesi: - o mi sono venute le travergole (cosa che non escluderei MAI) - o sto prendendo un granchio talmente colossale... Grazie per la stima. Ma non ti fidare manco di me...7 punti
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QUANDO A ROMA GOVERNAVANO I RE In origine, a Roma si diffuse l’idea che anziché barattare le merci fra loro, fosse più utile scambiarle con un bene prezioso e durevole; nacque così l’idea di barattare il bronzo con le merci. Questa cosa la sappiamo per quattro motivi: perché è stato così in tutte le civiltà di cui si hanno notizie (seppure usando beni-rifugio differenti: argento, conchiglie, etc.); perché ce lo riferisce Plinio (“rudi usos Romae”); perché ne resta memoria nel diritto romano, che prevede una serie di accordi compiuti “per aes et libram” (letteralmente “per mezzo del bronzo e di una bilancia”, ossia quindi “pesando il bronzo ricevuto in cambio”); e, infine, perché ci sono importanti testimonianze archeologiche, dato che sussistono diversi casi in cui i pezzi informi di bronzo sono stati rinvenuti insieme a monete vere e proprie. Interessantissimo, in proposito, è il deposito votivo scoperto nel 1852 a Vicarello e ora parzialmente ricostruito nei sotterranei del Museo Nazionale Romano: infatti, si trattava di un pozzo dove i fedeli gettavano una moneta (come oggi si fa a Fontana di Trevi) e lo strato più basso era composto da pezzi di bronzo informe; subito sopra di essi c’erano monete del tipo “aes grave” (di cui si dirà nel prosieguo), a testimonianza che i pezzi informi avevano effettivamente una funzione di tipo monetale ed erano in uso prima dell’aes grave. Per questo tipo di proto-moneta si usa oggi il termine di aes rude (sulla base del citato passo di Plinio, “rudi …”); il suo utilizzo è attestato in contesti archeologici databili dall’VIII secolo a.C. (forse, addirittura dall’XI) sino al IV. Quando Romolo fondava Roma, gli scambi si facevano con l’aes rude. Fra i pezzi di bronzo rinvenuti in contesti archeologici alcuni non sono informi, ma presentano forme ben precise, di natura geometrica (gocce, barre, lingotti, dischi, etc.) o naturalistica (ghiande, astragali, etc.). Non c’è alcunché di strano: se il bronzo veniva scambiato a peso, ben si poteva utilizzare anche metallo dotato di una forma, magari anche per immagazzinarlo meglio. Peraltro, fra quelli di forma geometrica, molti risultano frammenti, ossia sono stati tagliati (a caldo) per ottenere lo specifico peso di cui c’era bisogno. Alcuni studiosi usano la locuzione (inventata) aes formatum per distinguere queste proto-monete da quelle informi, ma sono solo un tipo di aes rude. È importante fare una precisazione: qualunque pezzo di bronzo poteva essere scambiato a peso, per cui oggi c’è un unico modo per distinguere un vero aes rude o formatum da un qualunque altro pezzo di bronzo, ossia ritrovarlo in un preciso contesto archeologico (come a Vicarello); poiché tuttavia i reperti archeologici non possono essere liberamente venduti, ne consegue che non c’è alcun modo di sapere se i pezzi in bronzo venduti da negozi e case d’asta siano effettivamente aera ruda o meno. Si possono inserire in collezione al fine di “riempire un vuoto”, ma occorre sapere che non c’è alcuna possibilità di avere certezza che siano antichi e, quand’anche lo fossero, di sapere se siano stati veramente scambiati a peso (e quindi effettivamente utilizzati come aera ruda) o fossero solo residui di fonderia. Un discorso a parte deve essere fatto per molti oggetti a forma di conchiglia, spesso in piombo e talvolta in bronzo, che vengono rinvenuti in scavi archeologici (databili ai secoli VI-III a.C.) eseguiti nella Pianura Padana e nell’area governata dagli Etruschi. Alcuni studiosi (ad esempio Franco Pezzi, Conchiglie di piombo, Mantova 2010) ipotizzano che siano proto-monete (e, quindi, aes formatum), ma altri non sono d’accordo e propongono che si tratti di oggetti votivi (spesso presentano un forellino di sospensione; la conchiglia simboleggiava la vulva, quindi la fecondità), oppure proiettili asimmetrici per le fionde o ancora pesi per le bilance. L’ipotesi più probabile è che si trattasse di decorazioni o paracolpi per utensili fittili, cui venivano saldate con mastici, argilla o di piombo fuso (spesso infatti presentano tracce di terracotta sulla faccia piatta), oppure di piedini per pentole metalliche. Comunque sia, nulla esclude che le conchiglie in bronzo venissero anch’esse scambiate a peso, come aes formatum, quando occorreva. ________________________________________ A partire da una certa data, ai pezzi di aes rude e formatum cominciano ad aggiungersi altri, che recano un segno inciso nel metallo. Si parla al riguardo, sulla base del citato brano di Plinio, di aes signatum; sotto questo nome si distinguono, tuttavia, tre categorie di oggetti abbastanza differenti. La prima categoria è composta pezzi di bronzo sostanzialmente informi, che recano tuttavia una o più contromarche (cioè, disegni elementari o lettere incise nel metallo). I più diffusi, rinvenuti sia in varie località dell’Italia centrale sia nei Balcani, presentano due contromarche sulle facce contrapposte, una costituita da un punto centrale e 4 raggi che se ne dipartono, l’altra da un arco di cerchio; si ritiene che raffigurino rispettivamente il sole e la luna. Haeberlin, importante numismatico tedesco del XIX secolo, dopo aver esaminato numerosi esemplari di questa tipologia di aes precisa che su altri pezzi esistono anche le combinazioni sole/nulla, sole/sole e luna/luna. Una seconda categoria, molto interessante, è quella del cosiddetto “ramo secco”. Si tratta di lingotti di bronzo a forma di parallelepipedo schiacciato, di peso variabile e fattura grezza, che recano un'immagine in rilievo somigliante a un ramo privo di foglie (più raramente sono presenti altri segni, altrettanto grezzi: lisca di pesce, clava, delfino, crescente lunare), la cui esatta natura è tuttavia discussa (secondo alcuni autori sono un espediente tecnico per far fuoriuscire i gas durante la fusione, oppure segni utili a facilitarne la frammentazione). I lingotti con “ramo secco” sono stati rinvenuti in tutta la penisola e in Sicilia, interi o (più spesso) tagliati in frammenti; quelli interi hanno pesi compresi fra 0,8 e 2,1 kg. Il fascino del “ramo secco” è quello di costituire un oggetto sicuramente utilizzato a Roma (esemplari sono stati infatti rinvenuti in scavi eseguiti in città) e sicuramente databile all’epoca in cui i re governavano sull’Urbe: infatti, un frammento di 0,425 kg rinvenuto presso il santuario di Bitalemi (Sicilia), in uno strato sigillato databile al periodo 570-540 a.C.[1], dimostra l’esistenza di questi manufatti nel VI secolo a.C. Una terza categoria di aes signatum è costituito da un altro genere di lingotti di bronzo, che si distinguono dai “ramo secco” per una iconografia più varia ed elaborata, una forma più definita, un peso più leggero ma anche più omogeneo (tra i 1,8 e 1,2 kg), definiti correntemente “quadrilateri”. A differenza dei “ramo secco”, sono molto rari. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che siano stati prodotti a Roma (un tipo presenta anche la legenda “ROMANOM”, forma arcaica per Romanorum); Crawford, inoltre, è convinto che avessero funzione monetale, per cui li elenca nel RRC. Giova comunque precisare che altri studiosi non sono così sicuri che i quadrilateri fossero monete, sebbene indubbiamente alcuni siano stati rinvenuti in ripostigli[2] (a Santa Marinella, La Bruna, Ariccia) assieme a esemplari di aes grave. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se uno dei tipi di aes formatum noti possa essere quello di cui parla Plinio, inventato da Servio Tullio (che avrebbe regnato dal 578 al 535 a.C.), e permetta così di affermare che la moneta, a Roma, è nata nel VI secolo a.C.; la risposta, tuttavia, sembra essere negativa. In primo luogo, se quella testimonianza fosse attendibile la prima moneta romana dovrebbe essere stata un lingotto con pecora, ma un simile lingotto non è stato rinvenuto (il che ovviamente rende improbabile, ma non impossibile, che sia esistito). I lingotti romani che ci sono pervenuti - ossia i quadrilateri -, peraltro, sono molto posteriori all’epoca regia, probabilmente dell’epoca compresa fra la fine del IV secolo a.C. e gli inizi del III, come dimostrano i ripostigli[3], la legenda ROMANOM (che, ancorché arcaica, appare molto posteriore al Latino di epoca regia, attestato dal lapis niger e dalla fibula praenestina) e la circostanza che un tipo rechi l’elefante (animale ignoto ai Roma prima della guerra contro Pirro, iniziata nel 280 a.C.). Certo, il “ramo secco” esisteva già all’epoca di Servio Tullio, ma non è affatto sicuro che avesse uno scopo monetale (è stato rinvenuto in contesti votivi a Bitalemi e a Terravecchia di Grammichele, ma qualunque oggetto d'arte o di valore, non solo le monete, può costituire l'offerta a un dio) e comunque la sua ampia diffusione fa ritenere che non fosse un manufatto esclusivamente romano (Roma, ai tempi di Servio Tullio, esercitava la sua influenza politica e commerciale su un territorio molto più piccolo). Il passo di Plinio non può quindi essere accettato alla lettera; probabilmente non è vero che la moneta, in Italia, sia stata inventata da Servio Tullio. ________________________________________ Come detto, varie civiltà arcaiche usavano un sistema proto-monetale consistente nel baratto tra le merci e un metallo prezioso; la moneta vera e propria nacque quando alcune autorità statali decisero di far punzonare questi metalli, per garantirne il peso (e quindi il valore) e velocizzare, così, i commerci (perché diveniva inutile pesare il metallo). Questa evoluzione si verificò dapprima in Cina (tra l’VIII e il VII secolo a.C.), poi, in modo separato e indipendente, in Asia Minore. Qui infatti era tradizione scambiare le merci con palline di elettro (una lega di argento e oro); a un certo punto (secondo la tradizione, nel VI secolo a.C., a opera di Creso re della Lidia; secondo gli studiosi moderni prima, attorno alla metà del VII secolo a.C.) i governanti cominciarono a far punzonare queste palline, che presentavano quindi un segno “in incuso” (cioè incavato, rispetto alla superficie della moneta). Poco dopo si cominciò ad apporre un segno anche sull’incudine e nacque, così, la tecnica della coniazione; inoltre, furono prodotte anche monete d’argento, oltre che di elettro. La moneta ricosse subito un grande successo; tutte le città greche dell’Asia Minore cominciarono a produrla e a diffonderla, attraverso la loro fitta rete di contatti commerciali, in tutto il mediterraneo, occidente compreso. Tornando alla Roma arcaica, sembra strano che all’epoca dei re dentro l'Urbe non si usassero monete (come si vedrà in seguito, le prime monete romane, aes grave e monete romano-campane, sono probabilmente databili alla fine del IV secolo a.C.) e ci si limitasse a ricorrere al baratto fra le merci e il bronzo a peso (aes rude e formatum). Si ritiene, infatti, che il tempio eretto nel Foro Boario nel 495 a.C. (l’Ara massima di Ercole) non fosse altro che la monumentalizzazione di un altare preesistente (e, quindi, risalente all’epoca regia), dedicato a una divinità locale assimilata al fenicio Melqart, protettore dei mercanti; sarebbe quindi questa una testimonianza indiretta che in quel luogo in epoca antichissima, addirittura prima della fondazione di Roma, esistesse un sito di scambio fra merci portate dai mercanti fenici e prodotti locali, ma è tuttavia difficile immaginare l’esistenza di scambi commerciali di portata addirittura internazionale senza l’utilizzo di un qualche genere di moneta. Per queste ragioni, uno studioso[4] ha ipotizzato che la Roma arcaica non abbia emesso proprie monete perché utilizzava proprio monete greche arcaiche; non c’è alcuna prova archeologica al riguardo, però c’è un importante indizio. Infatti, tra il 1862 e il 1867 sono stati rinvenuti una serie di ripostigli di piccole monete di tipo ionico, risalenti al VI-V secolo a.C., a Morella e Pont de Molins (in Spagna), Auriol[5] (presso Marsiglia, città fondata dai Greci) e Volterra, città etrusca; ciò dimostra che gli Etruschi utilizzavano monete greche. Siccome a Roma, nel VI secolo a.C., dominava una stirpe etrusca (i Tarquini), è molto probabile che monete analoghe siano state utilizzate anche nell’Urbe. NOTE [1] Si definisce “sigillato”, in archeologia, uno strato di terreno che appare chiaramente separato dagli strati sovrastanti (generati da eventi o attività successivi), senza interruzioni o intrusioni (causate da riutilizzo del terreno, erosione, contaminazione o distruzione) che potrebbero averne alterato il contesto originario. Gli oggetti rinvenuti in uno strato sigillato sono sicuramente databili all’epoca dello strato. Su questi scavi ha scritto Piero Orlandini in “Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica”, 1965-1967. [2] È molto frequente trovare gruppi di monete duranti gli scavi, perché nell’antichità nasconderle era un modo per conservare i propri risparmi; tali gruppi sono oggi definiti “ripostigli” o “tesoretti”. [3] È bene notare, tuttavia, che i ripostigli, anche quando possono essere datati con relativa sicurezza (come negli strati sigillati), forniscono solo indizi e non certezze sull’epoca di emissione delle monete, perché non si sa per quanto tempo esse abbiano circolato prima di essere state nascoste. [4] Amisano, La storia di Roma antica e le sue monete, vol. 1, 2004. [5] Siccome il rinvenimento di Auriol è il più numeroso (circa 2.130 monete), si parla al riguardo di “monetazione tipo Auriol”. ILLUSTRAZIONI Esposizione di aes del Museo nazionale Romano. Al centro, frammenti di aes rude raccolti in una bilancia. In alto, due quadrilateri, RRC 4/1 (con pegaso e ROMANOM) e RRC 7/1 (con raffigurazione di uno scudo). A destra, un “ramo secco” Ricostruzione del deposito di Vicarello, dal Museo Nazionale Romano Ramosecco del Museo Civico Archeologico "A.C. Simonini" Il "ramosecco" rinvenuto a Bitalemi Monetazione "tipo Auriol" rinvenuta a Volterra7 punti
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Buongiorno a tutti e Buona Festa della Repubblica. La Festa della Repubblica Italiana è la festa nazionale italiana istituita per ricordare la nascita della Repubblica Italiana. Si festeggia ogni anno il 2 giugno, data del referendum istituzionale del 1946. Sono passati 79 anni da allora. Circa 177 anni fa invece la situazione era quella che passo a descrivervi. Fonte Web. Preambolo.. Nella notte fra il 14 e 15 maggio, mentre i deputati tentavano le ultime negoziazioni col Re, nelle strade di Napoli iniziarono a sorgere delle barricate e in particolare, come vediamo nell’incisione allegata, in via Toledo al fianco del Palazzo Cirella, che si vede ad angolo sulla destra, e forse la più importante poichè posta di fronte al Palazzo Reale sede del Re e delle contrattazioni per la costituzione. Quando gli scontri iniziarono verso le 10, un primo assalto alla barricata delle truppe regie venne respinto ma subito dopo dovette cedere sotto il fuoco dell’artiglieria e due compagnie di Cacciatori Svizzeri che, una volta superato l’ostacolo, sfondarono il portone di Palazzo Cirella invadendolo e trucidando tutti coloro che vennero trovati nel suo interno con le armi in pugno. Il Palazzo fu saccheggiato dal popolo favorevole al re, i prigionieri vennero condotti alla Darsena e rinchiusi a bordo di una nave della Marina borbonica attrezzato a galera e nello stesso momento Ferdinando sciolse il Parlamento e la guardia nazionale, nominò un nuovo governo e proclamò lo stato d’assedio. La repressione causò circa 500 morti. Il 2 giugno 1848 a Napoli, Ferdinando II delle Due Sicilie, dopo essere stato costretto a concedere una Costituzione, la revoca, sciogliendo la Camera dei Deputati e nominando un nuovo governo. Dettagli: • Concessione della Costituzione: Ferdinando II era stato costretto a concedere una Costituzione a seguito dei moti rivoluzionari del 1848, che avevano portato alla "primavera dei popoli" in tutta Europa. • Nuovo governo: Il nuovo governo, guidato dal principe di Cariati, modificò ulteriormente la legge elettorale, mantenendo una soglia censitaria più bassa per gli elettori e per gli eleggibili. • Contesto storico: Questo evento segnò un momento cruciale nel processo di unificazione italiana, poiché la revoca della Costituzione da parte di Ferdinando II dimostrò la fragilità della monarchia borbonica e il fallimento della "primavera dei popoli" in alcune regioni italiane. • Rivoluzione siciliana: La rivoluzione siciliana era già in corso da gennaio 1848 e i moti rivoluzionari si erano diffusi in tutta Italia. • Prima guerra d'indipendenza: La revoca della Costituzione e il fallimento dei moti rivoluzionari contribuirono all'inizio della prima guerra d'indipendenza italiana nel 1848. Cosa ne pensate di fare una carrellata delle nostre Piastre del 1848? Inizio io con due miei esemplari. Lascio a voi le considerazioni e se volete aggiungere altro per ricordare ricordare quel periodo. Saluti Alberto7 punti
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Un augurio di una felice Festa della Repubblica a tutti! (Foto dal web, la mia messa decisamente peggio!)7 punti
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Ciao Alberto, Anno sicuramente difficile per quel periodo. Apri sempre discussioni utili e interessanti. Ecco le mie. 8 su 7 8 su 7 e HIER.. La reimpressa. HIER senza punto. Un saluto Raffaele.7 punti
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Mio nonno paterno ( Giordano ) era sergente maggiore degli alpini, divisione Julia battaglione Vicenza ( se ne salvò qualche decina e persero anche la bandiera ) Ferito fu fatto prigioniero dei russi ed internato in campo di concentramento dove morì. Lo stato italiano lo ha elargito con la medaglia d'argento al v.m.6 punti
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Buonasera a Tutti i Filatelici, condivido con Voi questo bel esemplare di Napoli come Regno delle due Sicilie. Si tratta di un francobollo rosa-brunastro con annullo, prime emissioni del 1858, valore 10 grana. Presenta uno stemma diviso in tre campi : il cavallo sfrenato che rappresentava Napoli, la Trinacria che rappresentava la Sicilia ed i tre gigli simbolo dei Borbone. Cat. Sassone 10. Questa affrancatura ha una simpatica particolarità : emissione prima tavola, ovvero a destra della cifra 10, nello spazio bianco tra la linea di contorno e il disegno c'è una piccolissima lettera " I " dell'incisore G. MAS I NI. Un segno segreto pare per evitare le frodi. Ho appreso questo, dai cataloghi e quindi come già discusso nei precedenti posts, servono ! Servono soprattutto per studiare gli esemplari ed apprendere in merito. Grazie dell'attenzione.6 punti
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Essendo uscito il mio ultimo lavoro tra le diverse "novità" presenti vorrei segnalare questo Bezzo da 6 l'esemplare, fino ad oggi non segnalato (al momento sono censiti 3 esemplari*) di questo bezzo da sei bagattini presenta S. Marco in piedi e la legenda ✿ S • MΛRCVS ✿ ✿ VENETVS ✿6 punti
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Amici Filatelici Buon Sabato e Buon pomeriggio ! Il Regno delle due Sicilie comprendeva il Regno di Napoli ed il Regno di Sicilia. I due Regni furono poi riuniti in un solo Stato retto dalla dinastia dei Borboni, per effetto del trattato di Vienna del 1815. Oggi condivido un francobollo del 1859 Sicilia, da 20 grana, colore ardesia-grigio, privo di annullo, effigie del Re Ferdinando II° ( che morì proprio a Maggio del 1859 ). Sul retro la firma dei periti fil. S. Sorani e P. Vaccari. La serie ( prima emissione del Regno di Sicilia ), fu emessa il 01.01.1859, poco più di un anno prima dello sbarco dei Mille di Garibaldi, è composta da 7 esemplari di diverso colore e valore, detti comunemente anche "testoni"; è ricercata in quanto considerata una delle serie più belle della filatelia classica. Chiamo per cortesia al commento gli esperti @fapetri2001 e @PostOffice ma anche altri appassionati del settore. Grazie.6 punti
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Perdonatemi una battuta: Da tutti i post che vedo su questi fantomatici errori di conio, mi viene da pensare che se tutte le ore perse dagli italiani a ricercarli fossero utilizzate a lavorare alzerebbero di due punti il PIL!6 punti
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Buonasera, Volevo condividere questo bellissimo denario di Caracalla, battuto per la consacrazione del padre Settimio Severo. Al rovescio il classico disegno dell'aquila imperiale rivolta a destra con legenda Consecratio, mentre al dritto l'imperatore è rappresentato con la testa nuda e rivolto a destra, con la legenda Divo Severo Pio. Peso 2.92 g per 19.8 mm di diametro. Atexano6 punti
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La Zecca di Charlotte continuò a coniare i dollari d'oro del primo tipo, il cosiddetto Liberty Head, fino al 1853: naturalmente, a partire dal 1850 tutti i rovesci furono close wreath. Il record di produzione venne toccato nel 1851, con 41.267 esemplari. Ma, quello stesso anno, a Philadelphia se ne coniarono più di 3 milioni, e 290.000 a New Orleans. Anche per queste monete la produzione di Charlotte fu sempre piuttosto limitata, non raggiungendo, in più di un'occasione, i 10.000 pezzi annui. Il minimo arrivò proprio alla fine, nel 1859, ultimo anno di Charlotte per la tipologia, quando le monete coniate furono appena 5.235. A quel punto i dollari erano quelli del secondo tipo, gli Indian Princess Head, che, come abbiamo visto nella precedente discussione, di "indiano" avevano ben poco. A Charlotte si incominciò a coniarli nel 1855, poi ancora nel 1857, e infine nel 1859. (foto da Heritage Auctions) I dollari d'oro continuarono a essere coniati nelle altre Zecche anche durante gli anni della guerra civile, ma per Charlotte la loro storia finiva lì... la nostra, invece, no petronius6 punti
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Buonasera a tutti, Qualche giorno fa, in un off topic in una discussione su un pezzo presentato, per l'appunto, da @caravelle82, ho osservato che a mio avviso l'orientamento delle bandierine era corretto nella Prova e, invece, sbagliato nella serie ordinaria. Questo mio appunto, per una volta, nasce dall'esperienza e dall'osservazione ragionata del fenomeno: chiunque sia stato su una barca a vela, o ancor meglio abbia navigato su un veliero (io ho avuto la fortuna di farlo per ben 4 volte da ragazzo) sa che il vento in poppa è una sorta di chimera: la navigazione (a differenza delle regate) richiede il mantenimento della rotta o un minimo discostamento dalla stessa, quindi il vento favorevole non sempre (o meglio, quasi mai) è disponibile. in aggiunta, una nave a più alberi a vele quadre non navigherà mai con il vento completamente in poppa, poiché le vele verso prua non prenderebbero vento. Nell'immagine la riproduzione della Niña, da wikipedia. L'angolazione ottimale per la navigazione a vele quadre è il vento di traverso, ovvero perpendicolare alla rotta della nave. Dopo un doveroso (e minimo) approfondimento tecnico, arriviamo quindi alla moneta del contendere, la famosa 500 Lire Caravelle Prova del 1957. immagine da Numista, credits @ numismatica varesi Nella rappresentazione riportata sulla moneta, le bandierine (che in scala sono bandierone) sono spesso riportate come "controvento". A mio modestissimo avviso, e spero di essere smentito, la rappresentazione della Prova è quella corretta, per alcuni motivi che elenco: 1. Come scritto sopra, è altamente improbabile la navigazione con vento in poppa, in particolare per navi con vele quadre; 2. La prospettiva delle navi e il posizionamento della relativa velatura induce a pensare che la direzione del vento sia "uscente" dalla moneta e non "da sinistra a destra"; 3. È noto che la bandiera delle navi è posizionata a poppavia: quale comandante di nave a vela mai la manterrebbe in quella posizione se il vento in poppa la porterebbe addosso al timoniere? immagine da web Non per nulla, nell'immagine sopra riportata del nostro orgoglio nazionale, l'Amerigo Vespucci, si nota che la bandiera non sventola "in avanti", nonostante le vele siano al vento. Saluti a chi ha avuto voglia di leggere queste mie riflessioni fino a questo punto, Carlo. Non avendo trovato una discussione analoga, la apro: nel caso reindirizzatemi a quella esistente. Questa riflessione nasce giusto perché mi è passato davanti il Vespucci poco fa.. Purtroppo c'è un po' di maccaia.6 punti
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Scusate se intervengo,in primo luogo credo che Tinia non debba dare giustificazioni o quantomeno discolparsi,su un parere espresso,in quanto è vero che “sottolinea”,almeno in casi più insidiosi,il fatto che la moneta/e vanno sempre visionate dal vivo per un giudizio definitivo. Le sue disamine sono sempre “ricche”di spunti su cui ragionare e far ragionare dall’altra parte,utenti più o meno esperti,in confronti,che a dir il vero,il più delle volte,a parte qualche caso,non vengono ribattuti neanche all’altezza,e a tutto campo( fusi,repubblicane,imperiali)ergo,è meglio darsi una calmata e tornare con i piedi per terra. Senza che la minima polemica,ma era doveroso dirlo,buona giornata.6 punti
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Vi presento un 1 dollaro della Banca di Poyais del 1828. Cosa ha di interessante questa banconota? Seguite la storia e lo saprete! Il colonnello MacGregor, a Londra, nel 1820 annuncia di aver ottenuto, dal re George Fredric Augustus I, i territori del Principato di Poyas nel golfo dell'Honduras. Nel 1821 apre gli uffici della Legislazione di Poyais aLondra, Glasgow ed Edimburgo. Nel settembre del 1822 parte da Londra la prima nave di coloni con destino Poyais, i viaggiatori avevano scambiato sterline con dollari di Poyais (vedi fotografia) ad ottobre dello stesso anno Macgregor emette 2000 obbligazioni del Governo di Poyais in cambio di 200.000 sterline. A gennaio 1823 parte un'altra nave e, al posto di trovare le decantate ricchezze minerarie e agricole trovano i coloni della prima nave provati dalle malattie tropicali. Dopo un anno ritorneranno a Londra 47 persone su 240 partite. Il colonnello MacGregor "trasforma Payais da regno a repubblica" e riesce comunque a fare affari tra la Francia e Londra per 300.000 sterline in obbligazioni della "Repubblica". Tra un arresto e una denuncia il suddetto affarista riesce a piazzare altre 800.000 sterline di obbligazioni tra il 1828 e il 1837. Macgregor aveva inventato tutto: parlamento "tricamerale", coniato la moneta, disegnato mappe… ovviamente era un paese ricco di oro, argento, rame, frutteti… il futuro era laggiù! Storia tratta dal libro: "I maestri della truffa - Quando l'inganno è una questione di stile" Morelli - Schiavano Fotografie prese dai seguenti siti: https://auctions.stacksbowers.com/lots/view/3-5YHC1/honduras-bank-of-poyais-1-hard-dollar-161828-p-nl https://en.numista.com/catalogue/exonumia404385.html6 punti
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Buongiorno a tutti, recentemente ho avuto modo di visionare approfonditamente dal vivo e sotto microscopio il denario di Galba in questione e sono del parere che sia assolutamente autentico con tanto di cristallizzazioni e concrezioni reali e naturali. Tra l'altro ancora più bello e incisivo dal vivo ... Un cordiale saluto Enrico6 punti
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Io, al tempo, comprai gli album della Mara predisposti per tenere blister e cartincini e mantenere così la cronologia delle emissioni. Le prime commemorative, però, erano in oblò per cui, messe da parte le confezioni, le monete le tengo nelle tasche di plastica dell'album così queste le posso estrarre , toccare e "annusare"... Ecco quelle libere:6 punti
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Anche le half eagles furono coniate a Charlotte quasi tutti gli anni, con l'unica eccezione del 1845, anno in cui, come abbiamo visto sopra, non vennero coniate nemmeno le quarter eagles: c'è un motivo, e ne parliamo nel prossimo post La maggiore utilità delle half eagles e la loro più diffusa popolarità tra i depositanti dell'oro fecero sì che il numero di esemplari coniati fosse decisamente superiore a quello delle quarter eagles. Il record di produzione venne toccato nel 1847, con 84.151 esemplari, e in generale raramente si scese sotto i 20.000 pezzi annui, con il record negativo raggiunto solamente nel 1861, ultimo anno di attività della Zecca, con appena 6.879 esemplari. Nella foto (da Ira & Larry GoldBerg Auction), una half eagle modello Liberty Head del 1841. Come potete notare, il marchio di Zecca si trova ora al rovescio. Venne mantenuto al dritto solo per il 1839 nelle monete disegnate da Gobrecht, per poi passare nel 1840, e fino al 1908 (ultimo anno di produzione per la tipologia) al rovescio, nella stessa posizione già vista per le quarter eagles. A Charlotte non furono mai coniate le monete d'oro più prestigiose, eagles e double eagles, e nemmeno la strana moneta da 3 dollari. Diede invece un importante contributo alla produzione delle minuscole monete da 1 dollaro. E proprio tra queste va ricercato il "santo Graal" della Zecca del North Carolina, la moneta più rara e, tanto per cambiare, misteriosa petronius6 punti
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Oggi ciotola abbastanza ricca, comincio con questi tre pezzi in ottima conservazione da 2, 5 e 10 centesimi del Congo Belga5 punti
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Buonasera Genny, @gennydbmoney certamente che si, anche se non credo che servirà a molto. Approfitto del post per citare pure i due curatori della Sezione @sandokan e @borghobaffo e naturalmente tutti coloro i quali possono aiutarmi. Grazie sempre in anticipo, Sergio.5 punti
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Buon caldo Pomeriggio Amici della Filatelia, piccola nota storica : tra Bologna e Imola, lungo la via Emilia che dal capoluogo va verso est, scorre il confine storico tra l'Emilia e la Romagna. Prima dell'unità nazionale, invece, il termine Emilia era riservato ai Ducati padani di Parma e Modena, mentre con Romagne si identificava il territorio soggetto allo stato pontificio, che comprendeva quindi anche Bologna. In seguito agli sviluppi della Seconda Guerra d'Indipendenza ( dal 27/4 al 12/7/1859 ), le Romagne riuscirono a liberarsi dal dominio del Papa e formarono un governo provvisorio in attesa di riunirsi al Regno di Vittorio Emanuele II°. Una delle azioni che sancì l'indipendenza di queste provincie fu l'emissione di una serie di francobolli che andavano a sostituire quelli emessi dallo Stato Pontificio : un atto fortemente simbolico in virtù dell'importanza che questi avevano per le comunicazione dell'epoca. Oggi condivido questo francobollo di colore giallo paglia da 2 bajocchi del 01.09.1859 - catalogo Sassone 3, non annullato, siglato sul retro dal perito filatelico Paolo Vaccari, classificato qualità A . Stampa tipografica in nero su carta a macchina colorata, fogli da 120 esemplari. Grazie dell'attenzione. SEGUIRA' PROSSIMO STATO PREUNITARIO ...5 punti
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Buonasera Gapox, di seguito posto la pagina introduttiva della mia collezione di Tessere di Riconoscimento Postale, se poi ti fa piacere a te o a qualche altro amico di vederne qualcuna le posto, sono tante pertanto ad eventuale richiesta, saluti Posto questa tessera che è probabilmente unica,5 punti
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Secondo me bisognerebbe creare una nuova sezione dedicata da aggiugere alle esistenti dove andranno a confluire le discussioni come questa in corso, almeno così ogni tanto si vanno a rileggere per allentare la tensione Una sezione tipo:5 punti
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Ciao, Certamente potrebbe essere un’eventualità. Però, come collezionisti ci deve interessare più la “morale” di tutta questa storia anziché gli ipotetici retroscena. Come già scritto, lo ribadisco, la cosa migliore da fare è quella di guardare sempre, comunque e solo la moneta anziché il cartellino / la perizia / la descrizione del venditore / … /… /… Giusto per dirvene una: ad inizio anno in un’asta (per discrezione non cito quale, ma ho comunque conservato tutti i riferimenti che lo screenshot) era in vendita un littore palesemente falso (un falso d’epoca, come probabilmente credo potrebbe essere questo 2 lire in questione). Ho telefonato all’ufficio (con grande margine temporale dalla scadenza) e parlato con una segretaria; non è cambiato nulla, la moneta è rimasta in vendita con la medesima stringatissima descrizione ed è anche stata venduta. In chiusura: come in ogni altro aspetto della vita, se si è preparati in materia è molto meglio5 punti
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Buongiorno, ho acquisito un Grana 3 che presenta un bel ritratto di Murat con tanto di barba evidente. Dalla mia esperienza, di solito, questo particolare si vede poco per l'usura. Un caro amico mi ha fatto notare che la moneta presenta una Variante non descritta dai principali Manuali: al Rovescio la scritta FRANCIA è in realtà FRNNCIA con N ribattuta su A. Bisogna anche dire che questo conio è gravato da notevoli imprecisioni nella legenda: ad esempio la N di PRINCIPE potrebbe essere formata da 2 I unite da un trattino che sembra una correzione. Ecco la moneta: Precedentemente la stessa variante è stata descritta sul sito “CollectOnline”: Lascio a voi interpretare la moneta e sarei felice se qualcuno intervenisse. Saluti, Beppe5 punti
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Il primo deposito d'oro sotto la nuova autorità venne ricevuto dalla Zecca di Charlotte il 1° maggio 1861: l'ultimo appena tre settimane dopo, il 21 maggio. Non è chiaro se furono i depositanti a smettere di portare il loro oro alla Zecca o Caldwell a rifiutarsi di riceverne altro. In ogni caso, quasi tutti i depositanti furono pagati, in monete d'oro, entro la fine del mese. Monete come questa half eagle, una delle 6.879 coniate nell'ultimo anno di attività della Zecca. (foto da Heritage Auctions) Alla chiusura dell'anno fiscale, il 30 giugno, la Zecca aveva in cassa poco più di 4.000 dollari in monete d'oro, una riserva da utilizzare per i salari degli impiegati e rimborsare i pochi depositanti rimanenti. La Zecca era passata sotto la Confederazione tre giorni prima, e il 24 agosto veniva riclassificata come assay office, ufficio di analisi. Gli impiegati furono pagati per tre quarti di quell'anno 1861, dopodichè la Zecca cessò ufficialmente di esistere come tale... il marchio C non comparirà più sulle monete degli Stati Uniti Il 12 ottobre, il Segretario al Tesoro della Confederazione, Christopher Memminger, ordinò a Caldwell di consegnare tutti i beni in oro e argento dell'ex Zecca di Charlotte all'Assistente Tesoriere a Charleston. Dopodichè, anche il ruolo di assay office perse di significato, non essendoci più niente da analizzare. La struttura venne utilizzata nei primi tempi della guerra civile per laminare fogli di rame per la fabbricazione delle capsule a percussione, e il seminterrato e gli annessi furono trasformati in magazzini per le forniture navali arrivate da Norfolk, Virginia. I cittadini di Charlotte la usarono anche per varie funzioni sociali, essendo uno degli edifici più grandi della città. Ma il sovrintendente Caldwell, coadiuvato da pochi impiegati, continuò a occuparsi in qualche modo di essa fino alla sua morte, il 10 luglio 1864. petronius5 punti
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LA GUERRA CONTRO TARANTO E CONTRO CARTAGINE L’allargamento del dominio romano verso l’Apulia, realizzato proprio con la deduzione della colonia di Luceria, impensierì la più potente città magno-greca, Taranto, unica colonia fondata da Sparta fuori dal Peloponneso. Dopo un primo limitato scontro Roma inviò propri ambasciatori, chiedendo la pace, ma furono apertamente scherniti dalla popolazione; il Senato dichiarò allora guerra e nel 281 a.C. un esercito romano strinse d’assedio la città nemica. Rimasta senza alleati in Italia (Neapolis aveva stretto il foedus di alleanza con Roma, i Sanniti erano stati sconfitti), Taranto chiese l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, cugino di Alessandro Magno (più esattamente, erano cugini i loro genitori) e famoso generale che aveva già, al suo attivo, numerose vittorie. Pirro sbarcò in Italia 280 a.C. con oltre 30.000 soldati (compresi i rinforzi ricevuti dalla Magna Grecia) e 20 elefanti da guerra, convinto che avrebbe emulato, contro i “barbari” dell’occidente, le epiche gesta con cui suo cugino aveva sottomesso i popoli dell’Asia. Roma, che nel medesimo periodo conduceva anche un’altra guerra contro gli Etruschi, mobilitò circa 72.000 soldati (8 legioni e altrettanti socii), ma solo 18.000 di essi poterono essere mandati contro Pirro. Nel primo scontro, a Eraclea, gli elefanti impaurirono i Romani che subirono così una sconfitta; l’esercito nemico lasciò tuttavia sul campo ben 4.000 morti, talché Pirro commentò amaramente “Un'altra vittoria come questa e sono rovinato”. Il re inviò allora ambasciatori al Senato, proponendo una tregua, ma l’ormai anziano Appio Claudio Cieco convinse i compatrioti a non accettare. Rimasto in gravi difficoltà logistiche, Pirro si spostò in Sicilia, deciso a cacciare dall’isola i Cartaginesi, che tuttavia si arroccarono a Lilybaeum (odierna Marsala); tornò in Italia per aiutare Taranto, nuovamente posta sotto assedio dalle legioni, ma fu pesantemente sconfitto nel 275 a.C. a Maleventum (da allora ribattezzata Beneventum) e decise di tornare in Epiro. All’improvviso, in tutto il Mediterraneo si diffuse la fama di questa remota città “barbara” che aveva sconfitto e umiliato il cugino di Alessandro Magno; nel 273 giunsero a Roma gli ambasciatori di Tolomeo Filadelfo, re d’Egitto e figlio del diadoco, che chiesero e ottennero di stipulare un trattato di amicizia. Taranto fu conquistata nel 272 a.C., dopo tre anni d’assedio; Rhegium (odierna Reggio Calabria), ultima città magno-greca indipendente, nel 271. Roma era padrona dell’Italia. ____________________ Nel 265 a.C. i Mamertini (un gruppo di mercenarî campani impadronitisi del governo di Messana, odierna Messina), minacciati da entrambe le due potenze che si spartivano il governo dell’isola, Cartagine e Siracusa, chiesero l’aiuto di Roma. Il Senato rimise la decisione ai comizî, e il popolo decise di intervenire; nel 264 a.C. le legioni sbarcavano a Messina. Era iniziata la prima guerra punica. Nel 263 a.C. Siracusa, posta sotto assedio, decise di capitolare e firmò un trattato di alleanza con Roma; ne nacque un’amicizia salda e duratura. L’esercito cartaginese, invece, si ritirò sino ad Akragas (odierna Agrigento), che pure fu posta sotto assedio ed espugnata con la forza nel 261 a.C. Una moneta romana, oggi rarissima, è testimone di questi epici avvenimenti: la didracma RRC 22/1 che reca al dritto (forse, per la prima volta nella storia romana) la personificazione di Roma e al rovescio, invece, la Vittoria che offre un ramo di palma. Sappiamo da Livio che l’uso di offrire rami di palma ai vincitori di gare atletiche (come oggi si fa con le coppe) fu introdotto in occasione dei Ludi Romani del 293, per cui possiamo dedurre che questa moneta celebri una grande vittoria di Roma, successiva a tale data, ma ci si domanda quale. Per Breglia essa celebra la vittoria del lago di Sentino; per Amisano, la conquista di Akragas. Per Crawford, che la data al 265-242 a.C., è invece un messaggio propagandistico nell’ambito della Prima Guerra Punica, con il significato di “Roma trionferà!”. Pedroni e Coarelli ritengono invece che essa celebri i due avvenimenti che avevano sancito l’ascesa di Roma a potenza mediterranea, l’accordo d’amicizia con l’Egitto e la presa di Taranto; sarebbero infatti state coniate ad Alessandria, in attuazione di clausole contenute nel trattato, con l’argento depredato alla città Magno-Greca nel 272[1]. ____________________ Vinte le battaglie su terra, la Repubblica doveva riuscire a contrastare il dominio cartaginese sul mare. Accortasi che le quinqueremi puniche erano molto superiori alle proprie, poche navi da guerra, Roma ne individuò una affondata a la recuperò dal fondo del mare, per studiarne la fattura; dopodiché avviò la costruzione delle proprie quinqueremi, mentre in contemporanea addestrava 30.000 futuri rematori (in massima parte contadini non avvezzi al mare) su finte navi realizzate sulla spiaggia. Il primo scontro navale, nel 260 alle isole Lipari, fu un disastro, ma subito dopo Roma prevalse sconfiggendo duramente la flotta cartaginese al largo di Mylae (odierna Milazzo). Fu un evento incredibile: l’Urbe aveva inventato una flotta da guerra praticamente dal nulla, e aveva sopraffatto la più grande potenza navale dell’epoca. Rinvigoriti dai successi, i Romani decisero di attaccare direttamente Cartagine e nel 256 a.C. un esercito di circa 10.000 uomini, al comando di Attilio Regolo, dopo aver forzato il blocco navale cartaginese (vincendo la più grande battaglia sul mare dell’antichità presso Capo Ecnomo, ove si scontrarono oltre 700 navi) sbarcò in Africa. Possiamo solo immaginare lo stato d’animo dei Romani: poco più di 100 anni prima i loro avi combattevano per la sopravvivenza della propria stessa città nella battaglia dell’Aniene, praticamente quindi alle porte di casa; ora essi, conquistata tutta la penisola e la Sicilia, si trovavano sulla spiaggia di un altro continente, decisi ad affrontare un nemico feroce e temuto. Inizialmente la campagna volse a favore delle legioni, che sconfissero i difensori e occuparono Tunisi. A questo punto, la Fortuna voltò le spalle ai Romani: il Senato, convinto che la fine della guerra fosse a portata di mano, fece tornare in Italia parte dell’esercito; Cartagine, dal canto suo, ottenne l’aiuto di Santippo, generale spartano, che prese la guida delle truppe puniche; Regolo, infine, fu precipitoso nello scendere a battaglia, nel timore che un altro generale sarebbe arrivato da Roma a rubargli una vittoria che riteneva ormai prossima. Fu una pesante sconfitta per le legioni, distrutte dai nemici; Attilio Regolo fu fatto prigioniero. Nel frattempo la guerra continuava in Sicilia: non solo i Cartaginesi, guidati da un nuovo e valente generale, Amilcare Barca (futuro padre di Annibale), ottennero numerosi successi, ma Roma perse anche centinaia di navi da guerra in due disastrose tempeste (nel 253 e nel 249). Nel 243 a.C., dopo oltre 20 anni di guerra, le due città erano allo stremo, prive di navi e di risorse. Fu allora che giunse in patria Attilio Regolo, inviato da Cartagine affinché convincesse i compatrioti a pattuire una tregua: davanti al Senato, tuttavia, egli rivelò che le condizioni economiche del nemico erano disperate e consigliò di trovare un modo per proseguire la guerra e abbatterlo; dopo di che, da vero Romano, tornò spontaneamente a Cartagine, affinché lo mettessero a morte per aver violato l’impego di chiedere la pace. Il Senato tentò una mossa disperata: chiese ai cittadini romani di prestare tutte le loro ricchezze per la costruzione di una nuova flotta. I Romani risposero all’appello: si narra di ricchi possidenti che offrivano il loro denaro trasportandolo addirittura con i carri (riferimento implicito, ma chiaro, al fatto che si trattava di aes grave); furono così allestite 219 nuove quinqueremi. Colti di sorpresa da questo ennesimo, incredibile atto di resilienza i cartaginesi furono duramente sconfitti nel 241 a.C. nella battaglia navale delle isole Egadi e si arresero. Ancora oggi, gli archeologi subacquei recuperano rostri di navi puniche e armi cartaginesi dal fondale marino di quelle isole. ____________________ Una delle serie di monete più belle e più rappresentative della storia repubblicana è costituita dall’aes grave con la prora navis al rovescio, RRC 35. Si tratta di una serie di monete che recano tutte, al rovescio, la raffigurazione di una prua di nave da guerra; al dritto, invece, c’è una testa di divinità: Giano (asse), Saturno (semisse), Minerva (triente), Ercole (quadrante), Mercurio (sestante) o Roma (oncia). Esiste anche un unico quincusse, di dubbia autenticità, che reca anch’esso la raffigurazione di Giano. L’impatto culturale di queste monete fu sicuramente enorme: infatti, mentre l’iconografia degli argenti, come già detto, dopo una certa data cominciò a cambiare ogni anno, quella dei bronzi rimase quasi immutata sino alla fine della Repubblica (l’asse RRC 479/1, datato 45 a.C., reca ancora una testa gianiforme al dritto e una prora navis al rovescio). Addirittura, nel V secolo d.C. Macrobio, nei Saturnalia narra ancora che “pueri denarios in sublime iactantes capita aut navia lusu teste vetustatis exclamant” (“i fanciulli, gettando in aria le monete, gridano «teste o nave», essendo il gioco una prova di antichità”). Ma cosa aveva di tanto speciale questa iconografia, per imprimersi tanto nella tradizione romana? Per quanto riguarda il dritto, è probabile la sequenza con cui compaiono gli dei non fosse casuale: non solo Ianus e Saturnus iniziano con la stessa lettera che è simbolo del valore delle rispettive monete, ma esiste forse anche un collegamento con la più antica mitologia romana, secondo la quale i colli del Tevere furono abitati all’origine dei tempi da Giano; in seguito vi avevano vissuto Saturno e, dopo, Ercole (che aveva ucciso, un mostro malvagio là insediatosi, Caco); ultima, era arrivata Roma. Ben più interessante è il rovescio. Perché una potenza terrestre come Roma decise di riportare, su tutti i suoi bronzi, il disegno stilizzato di una prua di nave da guerra? Viene naturale pensare che la Repubblica celebrasse, così, un’importante vittoria sul mare, un evento in seguito al quale la prora navis era divenuta simbolo della consapevolezza che il potere marittimo avrebbe aperto a Roma nuovi orizzonti di conquista e di consolidamento del potere. Tre eventi antichi rispondono a questo requisito e, per conseguenza, tre date si possono proporre per l’adozione di queste monete: battaglia di Anzio del 338 a.C., la battaglia di Mylae del 260 oppure quella delle Egadi del 240[2]. L’ipotesi più probabile sembra essere la battaglia di Mylae, che deve essere sembrata un evento prodigioso: infatti, si scontrarono una potenza marittima contro una terrestre, le migliori navi esistenti contro le copie di un relitto recuperato dal fondo del mare, i marinai più esperti contro contadini addestratisi facendo finta di remare sulla spiaggia; eppure, vinse Roma. Per quella vittoria fu concesso il trionfo a Gaio Duilio, che lo celebrò nel 258 a.C.; nell’occasione (come sappiamo dal suo elogio funebre, che ci è pervenuto), “praedad popolom [donavit]” (“distribuì la preda bellica al popolo”, in Latino arcaico), probabilmente come parziale risarcimento delle ingenti tasse (tributa) che erano state imposte per finanziare la guerra. È probabile che egli abbia distribuito proprio queste monete, fuse (per l’appunto, tra il 260 e il 258) con il bronzo sottratto ai Cartaginesi sconfitti. NOTE [1] Infatti, la didracma presenta che un sistema di simboli di controllo che risultano del tutto identici a quelli adottati, ad Alessandria, per coniare monete dedicate ad Arsinoe II, figlia e sorella di Tolomeo II Filadelfo, che vengono datate proprio al 272 a.C. I simboli di controllo sono piccoli disegni che venivano talvolta inseriti nelle monete, in aggiunta alla loro iconografia standard; si ritiene che fossero diversi per ogni conio e servissero, quindi, a controllare quanti pezzi potevano esser prodotti con ognuno di essi. [2] Propendono per il 338 Hill, Cesano, Breglia, Alteri, Panvini Rosati (Forzoni ritiene che siano addirittura più antiche). Alteri, in particolare, spiega il basso peso medio (circa 273 g per l’asse) ipotizzando che la libra osco-latina da 240 scrupoli sia stata la più antica, introdotta in Campania dai Focesi e utilizzata prima che i Romani “inventassero” quella da 288 scrupoli (che, quindi, Varrone definisce “noster”. Propendono invece per il 260-258 Mattingly, Thomsen, Zehnacker, Pedroni e Coarelli, per il 240 Thurlow e Vecchi. Crawford, convinto che l’aes grave sia più recente, propone la data (che non sembra realistica) del 225 a.C. ILLUSTRAZIONI La didracma RRC 22/1 Rostro punico recuperato alle Egadi nel 2022 L'asse RRC 35/15 punti
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Arrivata fresca fresca ieri dall'ultima asta Bolaffi voglio condividere la nuova acquisizione. Si tratta di un testone di Carlo I del secondo tipo, per intenderci quello con la spada in verticale, con le sigle GG di Nicola Gatti per la zecca di Cornavin. Sul volume del Cudazzo classificato al 266b come inedita per la variante in legenda al rovescio che termina con IMP. In una nota il Cudazzo indica questa variante con un peso calante, 7,20 gr. parecchio inferiore allo standard di questa tipologia, anche questa da me acquistata ha un peso basso, 7,92 gr. ma potrebbe essere solo una causalità visto che non mi risultano ordinanze con variazioni di peso. È comunque, il testone di Carlo I, la prima moneta sabauda con il ritratto del duca, se non consideriamo il bianco dozzeno di Amedeo VI che voleva riprodurre il penny inglese e, a differenza delle altre monete con ritratto del periodo, riproduce il duca con un busto e non solo con la "testa" da cui il nome "testoni". Presa all'asta ad una cifra veramente bassa, non avevo mai visto un testone essere venduto a questo prezzo, quindi anche se non perfetto devo ammettere di essere stato veramente soddisfatto! Le mancanze al diritto, poi, sembrano date più da una debolezza di conio che da un'usura prolungata, colpevole forse il peso ridotto e quindi lo spessore del tondello. Tutti i commenti sono graditi...5 punti
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INTRODUZIONE La storiografia romana antica è carente e contraddittoria in materia di monetazione. L’unico riferimento alle origini è un passo di Plinio[1], in cui si afferma che “Servius rex primus signavit aes. Antea rudi usos Romae Timaeus tradit. Signatum est nota pecudum unde et pecunia appellata” (“Il re Servio [Tullio] per primo segnò il[2] bronzo. Timeo[3] riferisce che a Roma, in precedenza, era in uso il[4] [bronzo] rude[5]. [Il bronzo] fu segnato con un’immagine di pecore e perciò [le monete] furono chiamate «pecunia»”). Questo passo è tuttavia ritenuto attendibile solo in ordine al fatto che venisse usato bronzo rude e poi segnato, mentre il riferimento a Servio Tullio è oggi ritenuto leggendario. La moneta più importante della storia di Roma, che continuò a essere emessa per molti secoli e si diffuse in tutto il mondo antico, fu il denario, moneta in argento. La data di introduzione del denario è molto dibattuta, come si vedrà; anche riguardo a essa abbiamo due testimonianze di Plinio[6], che però non aiutano perché sono molto oscure e parzialmente contraddittorie. La prima testimonianza afferma “Populus Romanus ne argento quidem signato ante Pyrrhum regem devictum usus est” (“Il popolo romano neppure usò argento segnato prima della sconfitta del re Pirro”, avvenuta nel 275 a.C.). La seconda invece riferisce che “Argentum signatum anno urbis CCCCLXXXV Q. Ogulnio C. Fabio coss. quinque annis ante primum Punicum bellum. Et placuit denarium pro X libris aeris valere” (“L’argento [fu] segnato quando erano consoli Quinto Ogulnio e Gaio Fabio, nell’anno 485 della città, cinque anni prima della prima guerra punica. E si decise che il denario avesse valore di 10 libre di bronzo”; l’anno indicato è il 269 a.C.): si noti che le due frasi, quella sull’ “argentum signatum” e quella sul “denarium”, sono giustapposte; considerato che l’opera di Plinio è estremamente sintetica, non è detto che egli parli in entrambre della stessa moneta. A partire da un certo anno in poi si verificò a Roma un fenomeno unico nella storia antica (e forse anche moderna): l’iconografia[7] dei denarî cambiava ogni anno; la città che dominava ormai il mondo poteva infatti permettersi il lusso di emettere migliaia di monete differenti e nessuno, nel suo vasto impero, dubitava che quei dischetti d’argento provenissero dall’Urbe. Questa mutevolezza si spiega con la volontà dei nobili che prestavano la loro opera come monetieri (ossia la magistratura preposta all’emissione delle monete, in Latino “tresviri aere argento auro flando feriundo”, “tre uomini responsabili di fondere e battere bronzo, argento e oro”), di utilizzare le immagini impresse sulle monete per fare pubblicità alla propria gens (e quindi, indirettamente, a sé stessi). Questa situazione ha portato gli studiosi moderni a cercare di indovinare l’anno esatto di emissione di ogni moneta (tenendo conto che in uno stesso anno potevano esserne emesse anche più di una); non c’è alcuna sicurezza su queste datazioni, però sono state ottenute incrociano una serie indizi[8] e pertanto si possono ritenere abbastanza indicative, per il periodo più antico (fine del IV e III secolo a.C.), e sostanzialmente attendibili, per quello più recente (II e I secolo a.C.). Questi sforzi sono stati raccolti e compendiati da Michael Crawford in un’opera fondamentale, Roman Republican Coinage, edito nel 1974, in cui egli elenca tutte le monete note al suo tempo (alcune, rarissime, sono state scoperte dopo[9]), le raccoglie in “serie”, assegna loro un numero di elenco e ne propone la datazione. Quindi, quando si trova scritto nei testi di numismatica “RRC 100/1” oppure “Cr. 100/1” significa “la moneta che Crawford, nel libro «Roman Republican Coinage», elenca come la n. 1 della serie n. 100”. ________________________________________ Esistevano nell’antichità due tecniche per produrre le monete, fusione e coniazione. Nella fusione, l’immagine della moneta viene riprodotta in negativo all’interno di uno stampo (di terracotta o, in epoca moderna, di materiali sintetici), dopo di che viene fatto colare il metallo fuso all’interno dello stampo; quando il metallo si raffredda viene aperto lo stampo e se ne estrae la moneta. I disegni che nell’antichità si potevano ottenere con questa tecnica erano, tuttavia, molto molto grezzi. Nella coniazione, invece, l’immagine della moneta viene riprodotta in negativo sulla faccia di un’incudine e su quella di un martello, detto “martello di conio” o anche solo “conio”. A questo punto si appoggia sull’incudine un dischetto di metallo riscaldato, detto “tondello” (preparato prima, per fusione) e lo si batte con forza con il martello, imprimendovi così il disegno. La coniazione, a differenza della fusione, permette di realizzare monete con disegni piccolissimi e precisissimi. Osservando le differenze nei disegni delle singole monete (dovute al fatto che i conî venivano incisi a mano), si può oggi distinguere quali di esse provengono dallo stesso conio e, quindi, calcolare quanti conî sono stati usati per produrre i pezzi giunti fino a noi. Supponendo che ciascun conio di rovescio venisse sostituito, a causa dell’usura, dopo che erano state battute (secondo le diverse opinioni degli esperti moderni) da 10.000 a 30.000 monete (un po’ meno per quelli di dritto, maggiormente esposti all’usura), si può oggi stimare il volume di emissione di una moneta; talvolta, ammonta a milioni di pezzi. Quando si illustrano le due facce di una moneta, ci si riferisce a esse come “dritto” e “rovescio”. Nelle monete coniate, il dritto è la faccia risultante dal colpo di martello, il rovescio quella appoggiata sull’incudine. Siccome inoltre i Romani avevano l’abitudine di raffigurare spesso, al dritto, la testa di un dio (e in seguito quella dell'imperatore), si parla di “dritto” anche per le monete fuse, con riferimento alla faccia su cui è presente tale testa. ________________________________________ Viene naturale chiedersi, a questo punto, quanto valevano le monete romane? Possiamo farcene un’idea con riferimento alla metà del II secolo a.C. Polibio infatti narra (II, 14, 35) che in Gallia Cisalpina, ove egli si recò fra il 151 e il 150, “un medimno siciliano di frumento costa per lo più 4 oboli, uno d’orzo 1 obolo e un metrete di vino costa quanto un medimno di orzo”; egli stesso riferisce che l’obolo, moneta di tradizione greca, era cambiato per 2 assi romani. Considerato che un medimno (misura di capacità corrispondente a 51,8 l) poteva contenere circa 40 kg di grano mentre il metrete era paro a 39 l, si ricava che con una asse si potevano comprare 5 kg di grano o 20 l di vino. Si capisce tuttavia, dal resoconto di Polibio, che egli riteneva questi prezzi estremamente bassi; supponendo che a Roma essi fossero circa 5 volte più elevati[10], ne consegue che con un asse si potesse comprare 1 kg di grano oppure 4 litri di vino (non pregiato). Si può quindi affermare che a metà del II secolo a.C. un asse valeva circa 4 €[11]; per quanto riguarda il denario, non sappiamo se all’epoca fosse cambiato a 10 o 16 assi (ci fu una riforma, proprio in quegli anni), per cui poteva valere da 40 a 65 €. Ovviamente, prima di tale data l’asse valeva di più, in seguito invece di meno (perché ci fu un costante fenomeno di svalutazione, nei secoli). Sappiamo che un secolo dopo, ossia alla metà del I secolo a.C., i braccianti di Pompeo ricevevano da 5 a 16 assi al giorno. NOTE [1] Naturalis Historia, XXXIII, 3, 13. [2] Nel senso di “fece apporre un segno al”. [3] Storico di cui non ci è pervenuta l’opera. [4] Letteralmente: “riferisce gli utilizzi in precedenza, a Roma, del”. [5] Nel senso di “grezzo”. [6] Naturalis Historia, XXXIII, 42 e XXXIII, 44 [7] In numismatica, per “iconografia” o “tipologia” si intende la scelta dei “tipi”, ossia dei disegni riportati sulle due facce delle monete. [8] Fra cui: i risultati archeologici (se una moneta è rinvenuta nelle rovine di un tempio distrutto nell’anno X a.C., deve essere precedente; se due monete sono rinvenute assieme e una è nuovissima, l’altra molto usurata, è probabile che la seconda sia stata emessa prima); il peso (nei secoli, il peso delle monete è diminuito sempre più); l’identificazione del monetiere (se una moneta è firmata “Pinco Pallo” e sappiamo che un certo Pinco Pallo è stato console nell’anno X, supponendo che sia la medesima persona se ne ricava che possa essere stato monetiere alcuni anni prima di X); il significato delle immagini (una moneta che inneggia alle vittorie di Silla non può essere stata emessa quando a Roma governavano i seguaci di Mario). [9] Tutte le monete repubblicane oggi note possono essere visionate nell’archivio al link https://numismatica-classica.lamoneta.it/. [10] A conferma di questa supposizione rileva la notizia per cui, poco dopo il 124 a.C., la lex frumentaria di Gaio Gracco impose di riabbassare i prezzi del grano (che, nel frattempo, erano aumentati) a 6 assi al modio; considerato che un modio (circa 8,75 litri) poteva contenere circa 7 kg di grano, si ricava che Gracco fece riabbassare i prezzi a 1 asse per 1,15 kg. [11] Solo per dare un’idea, dato che un conto esatto imporrebbe di conoscere il prezzo di un ampio paniere di prodotti.5 punti
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La tua domanda è un po' generica, bisognerebbe capire di quali monete parli. Ti do comunque un quadro conoscitivo generale. In primo luogo, dobbiamo distinguere fra monete repubblicane "ufficiali", monete "coloniali" (emesse dalle coloniae per loro esigenze), monete "locali" (emesse da città o comunità sostanzialmente assoggettate a Roma, ma formalmente indipendenti) e monete "non ufficiali" (emesse piccole comunità, di carattere quasi privato). Moltissime monete coloniali, locali e non ufficiali provengono dalla Campania. Presumo però che tu ti riferisca alle "ufficiali" (ossia sostanzialmente, con qualche eccezione, le monete censite da Crawford nel catalogo RRC). Ebbene, anche molte "ufficiali" furono emesse zecche collocate fuori Roma, per tre ragioni diverse: 1) in origine Roma non aveva la capacità tecnica di produrre monete coniate (la zecca dell'Urbe fu inaugurata nel 269 a.C., mentre le prime monete romane coniate risalgono a 50 anni prima), per cui ne appaltava la produzione ad altri popoli italici o italioti; 2) oltre alla zecca urbana, il Governo della Repubblica si servì saltuariamente di zecche site nelle colonie (Luceria, Canusium, Narbo Martius) o nelle capitali delle province (ad esempio, il denario RRC 365/1 è attribuito a Massalia, il 393/1 a una qualche zecca ispanica, il 445/1 ad Apollonia, etc.); 3) i magistrati dotati di imperium avevano anche la potestà di emettere monete e, pertanto, quando le legioni erano in marcia coniavano proprie monete in zecche cosiddette "itineranti". Non si sa dove siano state emesse le monete della categoria (1), ma è estremamente plausibile che molte provengano dalla Campania dove Capua (all'epoca, sembra, la città più popolosa d'Italia) offrì spontaneamente sè stessa a Roma (con la cosiddetta "deditio"), diventandone parte, e portandole in dote una zecca di livello tecnico molto elevato. Non conosco monete della categoria (2) attribuite alla Campania, ma ci sono molte emissioni ritenute provenienti dall'Italia centro-meridionale; è probabile che alcune provengano quindi anche dalla Campania, ove c'erano varie colonie di diritto latino sicuramente dotate di zecca (lo sappiamo, perché coniarono monete "coloniali" per le proprie esigenze). Per quanto infine riguarda la categoria (3) ... le legioni coniavano là dove si trovavano stanziate, sicuramente sarà successo anche in Campania. Detto tutto ciò, ti chiederai su che base una moneta è attribuita a una zecca campana, piuttosto che a quella di Roma o - tanto per dire - a quella di Apollonia. I criteri sono quattro e vengono utilizzati incrociandoli tra loro: 1) i luoghi in cui le monete sono state rinvenute; 2) il loro stile (alcune hanno uno stile dei disegni chiaramente differente da altre, attribuibile alle tradizioni degli incisori - resta da capire, ovviamente, quali "mani" operassero a Roma e quali in altre località); 3) i segni e le legende presenti nell'iconografia (ad esempio, la "L" con grafia osca è attribuita a Luceria, la spiga di grano alla Sicilia); 4) l'abbinamento a fatti storici (ad esempio, RRC 359/2 reca la legenda "L. SVLLA" ed è datata all'84-83 a.C., per cui dovrebbe essere stata emessa ad Atene ove, all'epoca, Silla stazionava). Come vedi, nessuno di questi criteri fornisce risposte tassative; in materia pertanto non ci sono certezze, solo ipotesi più o meno probabili.5 punti
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Buonasera a tutti, finalmente anche io mostro una pescata al mercatino domenicale, ieri; 2 pezzi 1€, ma alla fine sono riuscito a prenderne 5 con 2€. Mi scuso in anticipo per la scarsa qualità delle foto Le prime 3 in lega di rame, forse starebbero bene nel museo degli orrori. Diez Centimos Alfonso XII 1877 1 Kreuzer (1816?) 2 sols Luigi XVI (anno indecifrabile) Poi, per restare in Terra patria, ho visto questi due pezzi con una patina (o sporcizia?) che mi ha attirato, e li ho inseriti nella pescata. 2 lire Impero 1940 Buono da 1 Lira 19245 punti
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Secondo me è un'ottima idea. Almeno per me, che non compro monete slabbate... così evito proprio di perdere tempo. 😁 Arka # slow numismatics5 punti
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@Nit97, buon giorno. Leggo con una certa sorpresa il tuo messaggio, capisco che tu possa essere deluso dal sentire da parte di una comunità di esperti che i biglietti mostrati sono frutto di alterazione truffaldina. Credimi, su questo forum ci sono praticamente tutti i massimi esperti numismatici italiani e il signor Nikita è sicuramente uno di loro! Se ti diciamo queste cose è perché crediamo che attraverso la conoscenza e la comunicazione reciproca sia possibile, se non debellare, per lo meno limitare il fenomeno delle creazioni di presunte varianti a scopo di truffa. Un fenomeno che negli ultimi anni sta crescendo in maniera esponenziale rischiando di guastare la passione di tanti che, come te, si avvicinano a questo mondo e ne restano delusi per questo. Nel caso della collezione di tuo zio, ho visto (per quanto abbia potuto vedere perché nel secondo video, che riguarda probabilmente l'album più "ricco" e interessante, non si vede niente purtroppo) tanto bel materiale, molte sostitutive e prime serie in fds, ma anche molti artefatti. Mi sembra evidente che tuo zio abbia collezionato quel materiale in buona fede, insieme al materiale invece pregiato. Se abbiamo affermato la falsità delle varianti di colore che hai mostrato non è AFFATTO per mettere in dubbio la buona fede tua e di tuo zio ma per mettere in guardia la comunità dei collezionisti dallo spendere soldi per cose che non hanno valore, se non per i truffatori che le creano. Spero che tu voglia considerare sotto questa luce le osservazioni, ben motivate e spiegate per altro pure con mezzi scientifici e prove empiriche, che abbiamo esposto. Diversamente, pazienza. Ognuno in fin dei conti crede sempre a quello a cui vuole credere. Un caro saluto5 punti
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Per moltissimi anni il dollaro d'oro 1849-C Open Wreath rimase sconosciuto al mondo del collezionismo. La prima menzione della varietà si trova nel lotto 1083 della Collezione Belden Roach (B. Max Mehl, 2/1944): "Lettera C della Zecca del 1849 sotto la corona, come tutte le altre. Questo esemplare sembra appartenere a una varietà completamente nuova. È una corona aperta e le stelle sul dritto sono più piccole; i bordi sono in rilievo, il che fa apparire la moneta leggermente più spessa rispetto all'emissione regolare. Non circolata con una brillante lucentezza. Quasi equivalente a una proof. Coniata in oro giallo chiaro. Affermo senza esitazione che questa moneta è di rarità estrema, se non unica. (Non elencata nel nuovo Catalogo Standard del 1944.)" Tre anni dopo, nella prima edizione del Red Book, la moneta veniva presentata come Unique. Non molto tempo dopo, W.W. McReynolds, un gioielliere, trovò una seconda moneta. Qualcuno pensò che la coincidenza era sospetta, e che quella di McReynolds fosse una copia, magari realizzata da lui stesso, ma le ricerche successive hanno provato senza ombra di dubbio la sua genuinità. Comunque, a McReynolds doveva importare poco della rarità del pezzo, poiché molto probabilmente lo montò su un gioiello, come dimostrano oggi i numerosi segni di montatura. In seguito, altri tre esemplari sono venuti alla luce, ma, considerando che la produzione stimata sarebbe stata di circa 125, non si può escludere che ce ne sia ancora qualcuno nascosto in un cassetto del nonno L'esemplare che presentiamo potrebbe essere quello citato da Mehl nel catalogo Balden Roach del 1944, descritto come non circolato, e questa moneta è l'unico esemplare in stato di zecca noto oggi. Le superfici mostrano dei riflessi simili a quelli di una moneta proof nei campi e gli elementi decorativi sono nitidi e dettagliati nella maggior parte delle aree, attributi che suggerirebbero che fosse, come scrisse Mehl, "Almost equal to a proof", quasi uguale a una proof. I bordi alti e le piccole stelle menzionati da Mehl sono immediatamente evidenti anche su questa moneta, ma queste caratteristiche sono comuni a tutti gli esemplari di questa varietà. Sfortunatamente, la bassa risoluzione dell'immagine nel catalogo Roach impedisce una corrispondenza conclusiva con la moneta che, in asta Heritage del 25 gennaio 2025 (dalla quale proviene la foto), stimata da PCGS in conservazione MS62, ha realizzato ben 1.560.000 dollari Le altre quattro monete sono tutte in conservazione inferiore, da Fine 15 a AU58. Anche i valori vanno di conseguenza, sebbene non si possano esattamente definire economici... l'ultimo passaggio noto della moneta più brutta, ha fruttato al proprietario 97.750 dollari petronius5 punti
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Arrivano i dollari! Quelli d'oro, naturalmente. E fin dal 1849, primo anno di emissione, tutte le Zecche attive vengono impegnate nella produzione di queste minuscole monete. Compresa la Zecca del North Carolina, che proprio tra essi annovera la sua moneta più iconica e rara, una moneta che per i collezionisti di Charlotte ha assunto proporzioni quasi mitiche... il dollaro "Open Wreath" del 1849 Per il quale debbo fare un passo indietro, e rinviarvi alla lettura di questo post della discussione precedente, che mostra chiaramente la differenza tra dollari "close wreath" e "open wreath" https://www.lamoneta.it/topic/230569-the-eagle-and-i/page/4/#comment-2548413 James Barton Longacre incise i conii per il dollaro d'oro all'inizio del 1849 e il disegno iniziale sul rovescio mostrava le estremità a corona ampiamente distanziate, lontane dal grande 1 della denominazione: lo stile noto come "Open Wreath". Le prove del disegno "open" furono coniate per la prima volta a Philadelphia il 7 maggio 1849, le prime monete per la circolazione il giorno successivo. Ma il direttore della Zecca, Robert Patterson, si oppose al disegno del rovescio, sostenendo che la molatura fosse troppo elevata e che le monete non fossero ben fatte. Longacre lo modificò creando il disegno "Close Wreath" aggiungendo un gruppo di foglie e due bacche a ciascuno dei rami della corona. Conii con il disegno "Open Wreath" erano però già stati inviati a tutte le filiali, e tutti i dollari d'oro coniati nelle Zecche di Dahlonega e New Orleans nel 1849 presentano questo disegno. Invece a Philadelphia e Charlotte furono coniate monete con entrambi i disegni sul rovescio. Due coppie di conii furono spedite dalla Zecca di Philadelphia a Charlotte il 10 e il 13 giugno 1849. Il rovescio di questi conii era apparentemente del tipo open e la coniazione dei dollari d'oro iniziò il 3 luglio 1849. Il direttore Patterson ricevette due monete dalla prima consegna per la sua ispezione ed espresse la sua opposizione al disegno nella sua risposta. Patterson informò il personale di Charlotte che sarebbero stati inviati nuovi conii e incluse due esempi del nuovo disegno, di come avrebbero dovuto apparire le monete. A quanto pare, solo un piccolo numero di monete open wreath era stato coniato prima che il messaggio di Patterson fosse ricevuto e la produzione fu sospesa fino a quando i nuovi conii non fossero stati disponibili. Degli 11.634 dollari d'oro coniati dalla Zecca di Charlotte nel 1849, si stima che non più di 125 esemplari presentassero il rovescio open wreath. La piccola tiratura iniziale subì un forte logoramento nel corso degli anni e oggi si conoscono solo cinque esemplari di dollari di questo tipo. Un omaggio, dovuto, a Robert M. Patterson, quarto direttore della Zecca degli Stati Uniti, dal luglio 1835 al luglio 1851. In fondo si deve a lui, e al suo rifiuto del disegno open, se oggi possiamo annoverare questi dollari di Charlotte tra le assolute rarità della monetazione americana I dollari? Li vediamo nel prossimo post petronius5 punti
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Salve,sperando che sia tornata una certà serenità,vorrei se mi è consentitofare una piccola considerazione.seguo questo forum da quando è nato e nonostante non fossi di primo pelo ho imparatomolte cose anche su monetazione di non mio interesse.finalmente dopo molte esitazioni mi sono iscritto inizialmente per una provinciale che mi faceva impazzire e poi per 1 tari' che non trovavo come ritratto,e qui ringrazioAle75 e altri specialisti di medievali siciliane.poi ho iniziato a confrontarmi in altre tematichesempre con modestia conscio che non è l'età che ti fa imparato.partecipando ad una discussione su un oggetto sono stato bacchettato in malo modo e accusato di dire ca...te perche avrei dovuto dire ROMEI orientali mentre è accezione comune indicare un determinato periodo come bizantino,avevo preso la decisione di non intervenire più ma poi il confronto con persone che apprezzavano i miei,anche se a volte non per tutti convincenti argomenti mi hanno aiutato a restare.questo per dire che non sappiamo con chi interagiamo e potremmo evitare saccenza e giudizi definitivi ed eventualmente motivandoli come invito sempre a fare.scusate lo sfogo,ma è per dire che nessuno ha la verità in tasca e vi assicuro che ci sono monete che ingannerebbero il più scafato di noi ,non per niente ottengono offerte strtosferiche in aste.dopo più di 50 anni di studio sul campo vi assicuro che che le delusioni sono dietro l'angolo.godiamoci serenamente questa passione,chè ci sono problemi più importanti,che questo Forum serva a distrarci e non motivo di scontro o rivalità.questi siamo e dobbiamo essere contenti.con simpatia Nino5 punti
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Buonasera a tutti, nuovo arrivato in Collezione Litra68. Rimpatriato dalla Germania, la Scuderia si espande. Intanto la descrizione della Casa D'Aste. Italy, Aquila. Ferdinando I d'Aragona (1458-1494). Æ Cavallo (19mm, 1.77g, 12h). Crowned head r. R/ Horse stepping r.; eagle before. MIR 88; Biaggi 120. Dal vivo si presenta integro, di piacevole lettura con qualche piccolo difetto ma che non ne compromette l'apprezzamento. Aspetto vostre gradite considerazioni. Saluti Alberto5 punti
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Tanti autori, giovani, meno giovani, esperti, agli inizi, tanti spunti vari in un numero secondo me sempre più ricco e che vede la partecipazione collegiale di tanti autori, e’ sicuramente motivo di soddisfazione dare la luce a questo nuovo ennesimo numero ! Grazie a tutti i numerosi partecipanti !5 punti
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Ciao, sappiamo che la quasi totalità delle monete classiche venivano prodotte tramite coniazione a braccio. Per come veniva prodotta io lo intendo in senso più lato partendo dall'oggetto "tondello" riportando tutte le notizie che lo riguardano. Per esempio i sesterzi di barra dalla forma particolare che scaturiva proprio dalla produzione del tondello, i suberati ( in collezione ne ho tre sicuri e due quasi 🙂) falsi d'epoca ( a mio modesto parere) e come venivano prodotti, il quantitativo di fino presente nella lega del metallo....insomma tutto quello che riguarda l'oggetto moneta. Colleziono esclusivamente monete dal modestissimo valore economico ( le rarità e le monete intonse le lascio molto volentieri agli altri 🙂) ma come mi preme specificare sempre ( almeno per me) dal grandissimo valore storico ed ognuna di esse ci parla e ci dice moltissimo se abbiamo voglia di ascoltarla. Io si, da molto prima che iniziassi ad acquistarle, con grande gratificazione. Per me il fascino delle classiche, che non riscontro in nessun altro tipo di monete ( è una cosa personale senza nulla togliere a tutte le altre, meglio specificarlo). Speriamo che duri sempre anche in futuro ( dopo più di cinque anni e praticamente immutato, anzi...) 🙂. ANTONIO5 punti
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Anche Giuseppe Sacchetti - verificatore alla zecca di Milano - nel 1873 riporta l'uso della lima e di altri macchinari per portare a peso il tondello, sebbene accadesse di rado. Giuseppe Sacchetti, Della coniazione monetaria e delle monete italiane del secolo XIX, p. 41.5 punti
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Più tardi, quello stesso anno, iniziò la produzione delle quarter eagles, per un totale, nel 1838, di 7.880 esemplari, che andarono ad aggiungersi a 17.179 half eagles. Questi numeri rappresentano tutta la produzione di Charlotte del primo anno. Le quarter eagles, le monete da 2,50 dollari, furono coniate a Charlotte quasi tutti gli anni dal 1838 al 1860, fanno eccezione il 1845, 1853, 1857 e 1859. Il totale annuale varia da un minimo di 3.677 nel 1855 a un massimo di 26.067 nel 1843. In un'epoca in cui la Zecca di Philadelphia produceva più di un milione di quarter eagles l'anno, è ovvio che tutte le monete di Charlotte sono da considerarsi piuttosto rare. Il disegno delle quarter eagles del 1838 e 1839, è identico a quello visto sopra per le half eagles. Nel 1840 fu sostituito da quello di Christian Gobrecht, in verità non molto dissimile, e già ampiamente descritto nella precedente discussione. Tale disegno rimarrà invariato fino all'ultimo anno di attività di Charlotte. Da notare però che, rispetto alle half eagles, il marchio di Zecca compare al rovescio, tra gli artigli dell'aquila e il valore: vediamo il particolare. (tutte le foto da Ira & Larry GoldBerg Auctions) petronius5 punti
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