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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 12/17/25 in tutte le aree
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Martedì 13 gennaio dalle ore 20:45 al CCNM (via Kramer, 32 Milano. Citofono SEIDIPIU'), conferenza di Antonio Rimoldi su "Le monete milanesi di Filippo II dal 1554 al 1577". Antonio Rimoldi è uno studioso, collezionista e commerciante numismatico specializzato nella variegata monetazione milanese. Al suo attivo diverse pubblicazioni, sia di carattere scientifico che divulgativo, questa sua ultima pubblicazione è il prosieguo della collana di monografie, il primo volume dedicato alle monete milanesi di Carlo V, dedicata alla monetazione milanese nel periodo spagnolo. La conferenza che avrà inizio dalle ore 21:00 potrà anche essere seguita da remoto, i link da utilizzare per seguire la conferenza verranno comunicati nei primi giorni di gennaio.6 punti
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Quest'anno non ho trovato nessuna moneta che mi soddisfacesse per farmi un regalo di Natale e quindi mi sono dato alla filatelia. Un piccolo lotto di antichi stati + 2 lettere che vi posterò prossimamente.4 punti
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A quanto è dato sapere dagli articoli di stampa, non è stata inibita la società ma il suo legale rappesentante, che sarà già stato sostituito nella carica da altra persona. Per quanto attiene l'asta dei doni "di Stato" ricevuti dalla Presidente Meloni, la stessa è stata sospesa (non annullata) per evidenti e facilmente intuibili ragioni, non essendo "opportuno" - in questo frangente -, che lo Stato affidi la vendita dei suddetti doni ad una Casa d'aste il cui legale rappresentante è stato raggiunto da una misura cautelare interdittiva. Ma, ancora una volta, non conoscendo gli atti dell'indagine, si può solo tirare ad indovinare (per quel che serve). M.4 punti
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Io ho solo doppia di Vittorio Amedeo III e Carlo Emanuele IV Carlo Emanuele III manca Allego una delle due richieste3 punti
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Nonostante una pioggia battente ci siamo trovati un bel numero di presenti, molte monete e gettoni da catalogare e vedere...bellissima serata che la nostra passione ci può dare. Al termine della serata taglio del panettone e brindisi per gli auguri di buone feste3 punti
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È più bella l'aratrice o la vetta? A voi l'ardua sentenza2 punti
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DE GREGE EPICURI Un sacco di belle ( e meno belle...) monete da identificare. Molti buoni risultati e anche un po' di dubbi. E poi tante belle monete ben identificate da vedere e commentare. Sono rimasto stupito per il successo delle mie "monete" di Seborga!2 punti
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No, non è vero… si schiacciano solo i pezzi che cadono di nuovo sui pieni del conio e si salvano quelli che ricadono in un vuoto del conio Detto ciò, mi pare che le ribattiture siano tre e non due2 punti
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Ciao, Apamea di Frigia con Marsias al rovescio https://www.acsearch.info/search.html?id=15146605 @Alex Siamo d’accordo 😉2 punti
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Ciao ARES III. Direi che la moneta presenta un errore di conio causato da ribattitura associata a rotazione (rotated double-strike) che lo mette in bella evidenza. La ribattitura osservata sullo statere presentato circa un mese fa nella Bertolami Fine Art E-Auction 354, per esempio, ha prodotto un effetto molto meno appariscente. Riguardo allo statere in discussione, penso che con tutta probabilità sia classificabile come Pegasi 408 (Ravel Period V, 1046). Non sono in grado di pronunciarmi sull’autenticità della moneta, mentre non ho dubbi nel ritenere che i connotati del povero Sileno sono stati completamente stravolti dal conio. apollonia P.S. Ti ricordi di Alessandro? Ho appena appreso da mia figlia che proprio oggi ha superato l’esame di “Gestione industriale della qualità” con il massimo dei voti e la lode.2 punti
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Gli Stati Uniti, però, si trovarono ad entrare in guerra completamente impreparati, soprattutto per quanto riguardava le operazioni di terra. L'esercito regolare contava poco meno di 28.000 uomini, sparsi in piccoli distaccamenti in tutto il paese e abituati solo a sedare le rivolte indiane. Furono chiamati in servizio 200.000 volontari, ma il ministero della guerra creò un caos incredibile nel mobilitarli, addestrarli ed equipaggiarli. Le truppe, imbarcate per una spedizione ai tropici in piena estate, erano vestite con pesanti uniformi di lana (vengono in mente i nostri alpini, mandati, invece, nell'inverno russo, con le scarpe risuolate col cartone ), la maggioranza degli uomini disponeva solo di obsoleti fucili a un colpo solo, il cibo era immangiabile. Contro un nemico determinato, gli Stati Uniti non avrebbero potuto evitare il disastro, ma per fortuna trovarono nella Spagna un avversario ancora più impreparato e incompetente di loro e così il ministro degli esteri John Hay potè definire quella che seguì "una splendida piccola guerra", durata appena dieci settimane, e che costò agli americani meno di 400 morti in battaglia (ma altri 5000 furono vittime di malattie e infezioni ). A fare la differenza fu la marina, troppo grande il divario, a favore della prima, tra quella americana e quella spagnola, mentre l'esercito, aiutato da un'incredibile fortuna, trionfò in ogni scontro. Le truppe spagnole a Cuba si arresero il 16 luglio, nel frattempo era stata occupata anche Puerto Rico. Altri scontri erano avvenuti nel Pacifico, dove gli americani avevano conquistato le Filippine. Il 12 agosto venne siglato l'armistizio, mentre con il trattato di pace, firmato a Parigi il 10 dicembre 1898, la Spagna riconosceva l'indipendenza di Cuba, e cedeva agli Stati Uniti le Filippine, Puerto Rico e l'isola di Guam, nel Pacifico. Quest'ultime due isole sono oggi U.S. Territories , Territori degli Stati Uniti, e in quanto tali sono state celebrate nel 2009 con due monete della serie degli State quarters. Queste due monete, come noterete, presentano iscrizioni in lingue diverse dall'inglese. E se sul quarto di dollaro di Puerto Rico la scritta in spagnolo "Isla del Encanto", non ha bisogno di spiegazioni, queste sono senz'altro necessarie per la moneta di Guam, la cui scritta recita "Guahan I Tanó ManChamorro", ovvero "Guam terra dei Chamorro", l'etnia che popola l'isola e nella cui lingua è scritta la frase. petronius2 punti
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Intanto non è un 5 lire ma una piastra da 120 grana del 1834 coniata a Napoli durante il regno di Ferdinando II di Borbone,per dare risposta alle tue domande ci vogliono immagini nitide,dritte e realizzate con luce naturale...2 punti
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@Carlo. buona sera. Non vi ritengo pazzi, ma il mio intervento aveva proprio lo scopo di ottenere una risposta come la tua. Sono pienamente concorde sul far esperimenti casalinghi, anche io ho iniziato così, rovinando tante monete (di nessun valore) ma soprattutto di mettere in guardia sull'uso facile di sostanze. Ho sempre evitato l'impiego di prodotti chimici ( anche se alle superiori, una vita fa, me la cavavo niente male in chimica), perchè ritengo che una reazione chimica si sa come inizia ma non è sempre controllabile, tranne che si abbiano le conoscenze adeguate (e a volte non basta), mentre il bisturi c'è l'ho sempre sotto controllo. Quindi continua ed amplia le tue prove, ti assicuro che la soddisfazione che si ha a riportare in vita questi tondelli è veramente notevole. Cordialmente.2 punti
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La guerra ispano-americana Vignetta di Grant E. Hamilton a favore dell’intervento a Cuba pubblicata il 6 febbraio 1897: Liberty, personificazione femminile degli USA, tende la mano a Cuba oppressa, mentre lo Zio Sam siede bendato, rifiutandosi di intervenire. Dopo la tragedia del Maine, però, "lo Zio Sam", cioè il Presidente McKinley, non potè continuare a far finta di niente. La richiesta di entrare in guerra aveva assunto toni isterici, e il Presidente, dopo settimane di esitazione, decise infine di intervenire. Messo il governo spagnolo di fronte a un ultimatum, questo accettò di sottoscrivere un armistizio immediato con i ribelli e di smantellare i campi di concentramento, rifiutando però di garantire l'indipendenza cubana. E così McKinley, l'11 aprile 1898, inviò al Congresso un messaggio in cui richiedeva la guerra. Il 20 aprile il Congresso approvò a grande maggioranza una risoluzione che riconosceva l'indipendenza cubana e autorizzava il presidente a fare uso della forza per cacciare gli spagnoli dall'isola. Ma fu anche approvato l'emendamento Teller, dal nome del senatore democratico Henry Teller, che vediamo nella foto. Negando qualunque intenzione di annettere Cuba, tale emendamento rifletteva la crociata idealista che stava alle spalle della guerra: "...con la presente si esime da ogni volontà di esercitare sovranità, competenza, o controllo di detta isola tranne che per la pacificazione della stessa, e si afferma la determinazione, quando questa fosse compiuta, di lasciare il governo e il controllo dell'isola al suo popolo" Isola della quale vediamo un'altra cartolina (da collezione privata), risalente ai primi del '900, con un soggetto ancora una volta insolito, i docks del porto de L'Avana. La cartolina, stavolta, non è viaggiata, non c'è dunque nulla da aggiungere dal punto di vista filatelico. Continua...2 punti
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Penso che si tratti dell’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino (Elagabalo), con la scritta al rovescio ΝΙΚΟΠΟΛΙΤΩΝ ΠΡΟϹ ΙϹΤΡΟΝ (dei Nicopolitani sul (o presso il ) Danubio). apollonia2 punti
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DE GREGE EPICURI Fondata come città da Traiano, sarebbe meglio chiamarla "Nicopoli presso l'Istro", dato che si trova a molti chilometri a sud dell'Istro (Danubio); il termine greco ΠΡΟΣ ΙΣΤΡΟΝ significa infatti "presso l'Istro". Il magistrato della città viene chiamato a volte ηγεμονεοντοσ, cioè governatore, a volte υπατεγοντοσ, ossia legato (imperiale). Sulle monete, troviamo per indicare la città due genitivi diversi: ΝΙΚΟΠΟΛΙΤΩΝ oppure ΝΙΚΟΠΟΛΕΙΤΩΝ per significare "dei Nicopolesi". Si trova nel nord della Bulgaria, a 20 km da Veliko Tarnovo; la sua origine fu un campo militare, stabilito da Traiano contro i Roxolani. Elevata al rango di città fra il 102 e il 106 d.C., col nome di Ulpia Nicopolis; dopo il 136 troviamo la dizione "Ulpia Nicopolis ad Istrum". Ampliata da Antonino Pio, del quale sono note molte emissioni monetali. Si trovava in una zona sempre a rischio di invasioni e scorrerie, e nel 170 d.C. venne saccheggiata dai Costoboci, contro i quali fu inviato il generale romano Velio Giuliano; questi la circondò di mura nel 171. Prosperò sotto i Severi, ma fu osteggiata da Caracalla. Nei pressi della città Traiano Decio vinse i Goti nel 250 d. C. Molti dei suoi edifici furono restaurati e abbelliti da Costantino. Si dice che nel IV secolo il vescovo Wulfila mise a punto proprio qui l'alfabeto gotico; gradualmente, la lingua gotica prese il sopravvento in questa zona sul latino e sul greco, fino a quando fu spazzata via dall'arrivo delle popolazioni slave. Oggi nel territorio della città antica sono attivi molti scavi archeologici. Dal punto di vista numismatico, la città ha coniato solo metallo vile, dai numerari più piccoli (corrispondenti al quadrante o forse al semisse) fino ai multipli dell'assarion , indicati allora con lettere greche (B=2, Δ=4, E=5, ecc.) E dopo questa carrellata introduttiva, vi presento la prima moneta. E' di Gordiano III, presentato con le consuete titolature. Al rovescio, un grosso serpente intrecciato si leva verso destra. La moneta misura 25 mm e pesa 13,3g.1 punto
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Ma dai! Non è una figura in piedi su un piedistallo con lancia nella mano destra?? Anche di questa domani provo a fare altre foto.. Intanto ecco la prima girata.1 punto
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Se sono 44 grammi (e non 50 come dichiarato per la medaglia in argento), si fa più concreta la possibilità che il cartellino indichi DUE medaglie diverse, e quindi quanto in suo possesso probabilmente è la medaglia in similoro (di cui non viene infatti dichiarato il peso). Certo che, come ho detto, se fosse davvero così sarebbe roba quasi da denuncia per l'Istituto Poligrafico: dal cartellino uno è convinto di acquistare un oggetto in argento, e si trova invece con la copia in similoro... Mah... Per la calamita: nè l'argento nè il bronzo (o quello che è) sono ferromagnetici. Vengono invece esclusi ferro e nickel1 punto
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Nella seconda potrebbe essere una mazza. Diciamo una figura generica verticale entro corona. Nella prima il rilievo, al tatto, lo ricordo solo a destra, come fosse fortemente decentrata.. ma a questo punto rinviamo a domani con nuove foto... Intanto caricherò un'altra monetina..1 punto
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Ciao @Ajax bronzo seleucide di Siria di Acheo ,generale e re di una parte dell' impero (usurpatore). Zecca di Sardis. https://www.acsearch.info/search.html?term=ΑΧΑΙΟ&category=1-2&lot=&date_from=&date_to=&thesaurus=1&images=1&en=1&de=1&fr=1&it=1&es=1&ot=1¤cy=usd&order=01 punto
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Ciao, per la conservazione andrebbe vista in mano, io azzarderei mb o qualcosina in più,aspettiamo magari qualcuno di più ferrato. Il 34 è l'anno delle varianti, purtroppo non è questo il caso. Saluti tutti Raffaele.1 punto
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Bella serata di chiusura anno. Ringrazio tutto il CCNM per questi martedì che diventano occasione di apprendimento anche senza conferenze. Auguri a tutti ed arrivederci al prossimo anno.1 punto
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Salve a tutti Oggi al mercatino domenicale ho acquistato questa bella medaglia in bronzo che trovo interessante. Mi ha molto colpito lo stile artistico ancora molto legato a quello delle medaglie del Ventennio che cozza con il tema resistenziale. Ho provato a cercarla qui sul forum ma non ne ho trovato altre attestazioni. Dallo stile la darei anni '40, ma aspetto qualche consiglio, osservazione in merito. Qualcuno ne sa qualcosa in più? Grazie in anticipo per ogni commento e osservazione in merito!1 punto
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Ho provato su una medaglietta in bronzo, nessun risultato ne in meglio ne in peggio1 punto
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Siete off-topic, create una discussione a parte. Grazie!1 punto
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Da "tasto ricarica" L cola TA = data storica ricalcolata. Buonanotte!1 punto
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Ciao, non sono esperto, ma dico la mia opinione. Dalle foto che hai messo anche a me non fa una bella impressione, soprattutto il bordo, ma anche l’ossidazione. Inoltre in questo stato di conservazione dovrebbe essere piena di segni di coniazione, mentre fatico a vederli. L’unico dubbio me lo fa venire la frattura. Prova a guardarla meglio dal vivo, se è “riempita”, non va bene.1 punto
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Mai detto questo... Sbagliare è umano, perseverare... Come ogni mercato è un business,se il collezionista vuole una variante ed è disposto a pagarla allora gliela danno... Ecco,tu sei una potenziale vittima di questo business...1 punto
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grazie mille nell' articolo ho inserito i manifesti che la croce rossa esponeva per la vendita dei gettoni ma anche il manifesto/ lettera che il comitato centrale mandava ai singoli comitati1 punto
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Ciao È impossibile fare esempi in generale come chiedi tu, andrebbe esaminato sempre caso per caso.1 punto
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Buonasera pontetto, grazie mille 😀 La tua 20 lire d'oro non é da meno... Complimenti anche a te! Grazie mille Ric! Ora tocca cercare la versione stemma😬 ... Quella sì che costa. Magari piú in là. Grazie Alan! Contento che ti piaccia🙂 Grazie SS, proprio bella sí! Grazie mille anche a te! Un saluto da un altro magnogreco👋 Saluti a tutti, Ronak1 punto
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oggi mi sono arrivate e due divisionali che dire, confezione molto scadente, la copertina è di un cartone cosi' leggero che a maneggiarla si rischia di romperla ...aumentano i prezzi e poi fanno le confezioni di cartone al risparmio... no comment Va inoltre detto che anche nel mio caso (come ho già sentito detto da alcuni) sul sito segnavano "CONSEGNATO" già da alcuni giorni, cosa falsa e non allineata con la realtà.1 punto
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Credo sia inutile , a meno che @Villanoviano non ci dica quali foto sono di pezzi autentici e quali siano i falsi , postare foto di altri Assi fusi ; gia' risulta piuttosto difficile (tranne che per i tecnici di questo tipo di monetazione) riconoscere dal vivo un fuso autentico da uno falso , figuriamoci quanto piu' lo sia giudicare Assi fusi da una foto . Inoltre occorrerebbe inserire anche i pesi oltre alle foto .1 punto
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Buonasera a tutti, @Fondamentale e @motoreavapore, ovviamente tutte le ipotesi sono bene accette, anche le più stravaganti... siccome vi risulta difficile accettare una semplicissima lesione con esubero, ma siete entrambi inclini a pensare ad una sorta di modifica postuma del conio - come se si trattasse di un conio del periodo post Repubblica Napoletana -allora mi domando: cos'è che mi sfugge? Ricapitolando, secondo il vostro ragionamento, questo conio, prima sarebbe stato utilizzato per coniare un tot di monete standard e poi - mistero della fede - è stato riportato nel Gabinetto d'incisione (come se lì non ci fossero altri conii utili) dove Domenico Perger, ha poi attuato una sovra-punzonatura / incisione sul conio, precisamente sulla lettera C con uno strano simbolo (?)... per poi riportare il conio nella stanza dei torchi e continuare la coniazione di altre piastre 1795 così... "difettate". A questo punto, Vi chiedo gentilmente, di portare un solo esempio che possa supportare in qualche modo la vostra ipotesi, uno soltanto, di una sola moneta dove è presente una sovra-punzonatura CERTA di questo strano simbolo alieno al conio. Grazie. Io intanto, provo a farvi digerire la lesione con esubero, allegando le immagini di una piastra che - a mio avviso - può anche definirsi di transizione... https://acm-auctions.bidinside.com/it/lot/6709/zecche-italiane-napoli-ferdinando-iv-/ e questa è la stessa piastra condivisa dall'amico @giuseppe ballauri ... da notare il pasticcio in divenire... Saluti1 punto
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Buonasera a tutti, causa piccolo intervento di ernia, in questi giorni non ho potuto sollecitare l'Amministrazione comunale ma provvederò domani. Mi hanno comunque confermato che anche oggi il Mercato non ha avuto luogo. Un saluto e speriamo di risentirci con qualche notizia migliore.1 punto
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C'è anche un video esu youtube e alcune immagini.1 punto
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Buongiorno @Acqvavitus Con 150-200 euro (se sarà quello il prezzo finale) porti a casa 20 raccoglitori che se in buono stato valgono forse di più, (in un dei post dicevi che potrebbero servirti) inoltre avrai garantiti, giorni e giorni di sano divertimento per catalogare monete e ricercare eventuali varianti ed errori di conio, che non è poco... 😉 😀 saluti1 punto
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LA GUERRA CONTRO I CESARICIDI La morte di Cesare gettò Roma nel caos: i Senatori abbandonarono la Curia, impauriti. Gli stessi cospiratori, che avevano progettato di gettare il cadavere del dittatore nel Tevere, furono presi dal panico e fuggirono; si presentarono al popolo nel Comizio (la piazza del Foro antistante ai rostra), confidando di ottenere dal popolo manifestazioni di giubilo e riconoscenza, ma non fu così e preferirono rifugiarsi sul Campidoglio. Marco Antonio fece portare il cadavere del dittatore a casa; vedendolo passare, la folla ammutolì. La serie RRC 480 comprende ben 22 tipi diversi di monete (oltre a numerosi sottotipi); in molte di esse, tuttavia, il ritratto del dittatore è rappresentato non a testa nuda, bensì con un velo che gli copre il capo. Si ritiene che queste siano state emesse dopo la morte di Cesare: in altri termini, quando si seppe dell’assassinio la produzione continuò, ma gli incisori cambiarono i disegni dei conî aggiungendo il velo che, probabilmente, era un segno di lutto: a conferma di questa interpretazione, c’è un esemplare della stessa serie - RRC 480/22 - che riporta invece il ritratto di Marco Antonio ed ha la barba lunga, chiara manifestazione di lutto secondo la mentalità romana, oltre appunto alla testa velata. _____________________ Scomparsa la guida di Cesare, sulla scena istituzionale si affrontavano tre forze politiche differenti, che cercavano di prevalere l’una sull’altra: i cesariani (oltre a Marco Antonio, Marco Emilio Lepido, figlio dell’omonimo console ribelle), che potevano contare sulla fedeltà dei soldati di Cesare; i cesaricidi, che si proponevano come paladini della libertà repubblicana; l’aristocrazia, guidata da Cicerone, che sperava di ripristinare il governo oligarchico. In questo contesto, il Senato cercò di mantenere le fazioni divise per scongiurare sia l’insorgere di un’ulteriore guerra civile, sia l’ascesa di un nuovo “uomo forte”; questa politica spiega le decisioni, apparentemente contraddittorie, che prese e il caos che ne conseguì. I senatori confermarono quindi la legittimità dei provvedimenti assunti da Cesare (annullarli avrebbe suscitato l’ira dei tanti cui egli aveva assegnato cariche pubbliche: non solo Marco Antonio, ma anche Bruto, Decimo Bruto e Cassio), ma decretarono anche un’amnistia per evitare che i cesaricidi fossero processati per omicidio. Essendo stato deciso che Cesare aveva agito legittimamente (e non, quindi, da tiranno), fu possibile assegnargli l’onore di un funerale pubblico, che venne celebrato il 20 marzo nel Foro; la sua salma fu bruciata presso un piccolo altare eretto dal popolo stesso, che è ancora visibile oggi. A quel punto ne venne letto il testamento; si scoprì che Cesare aveva lasciato 75 denarî a ogni cittadino romano e, a questa notizia, la rabbia popolare contro i cesaricidi esplose incontenibile. Ma c’era anche una sorpresa: il suo erede non era Marco Antonio, come tutti (lui compreso) si aspettavano, bensì Gaio Ottavio Turino; addirittura, Cesare lo aveva anche adottato, talché da quel giorno si sarebbe chiamato Gaio Giulio Cesare Ottaviano. I cesaricidi abbandonarono Roma e quelli cui era stato assegnato (da Cesare stesso) il governatorato di una provincia la raggiunsero: Decimo Bruto in Gallia Cisalpina, Gaio Trebonio in Asia, Gaio Cassio Longino in Siria. Anche Bruto era stato nominato governatore (di Creta), ma preferì fermarsi ad Atene a studiare filosofia. Ottaviano, che si trovava nei Balcani per i preparativi della guerra contro i Parti, capì l’importanza degli eventi: pretese da subito di essere chiamato “Gaio Giulio Cesare” (il cognomen Ottaviano sarà usato solo da Cicerone, nelle sue lettere); sbarcò a Brundisium e, presentatosi ai legionarî là acquartierati come figlio di Cesare, ne ottenne non solo un giuramento di fedeltà, ma anche la consegna del tesoro di guerra (175 milioni di denarî); raggiunse quindi Roma e, siccome Marco Antonio temporeggiava a consegnargli il patrimonio del padre adottivo, provvide con proprie risorse a pagare i 75 denarî che Cesare aveva lasciato ai cives, guadagnandosi grandi consensi. Infine, arruolò un esercito privato (del tutto illegittimo) di 3.000 veterani, assicurando loro uno stipendio annuo di 500 denarî. Il Senato passò allora a contrastate Marco Antonio, che appariva come l’esponente politico più pericoloso. Dapprima Cicerone cercò di farlo allontanare da Roma, pronunciando contro di lui le vementi orazioni denominate “Filippiche” e cercando l’appoggio di Ottaviano. Poi però i senatori, intimoriti da Decimo Bruto, inviarono proprio Marco Antonio a cacciarlo della Gallia Cisalpina; siccome Decimo Bruto non obbedì, Marco Antonio lo cinse d’assedio a Mutina (odierna Modena). Allora il Senato cambiò di nuovo orientamento e, nel 43 a.C., inviò i due nuovi consoli e Ottaviano a muovere guerra contro Marco Antonio. La battaglia di Mutina, nel 43 a.C., fu l’apogeo del caos (Ottaviano, cesariano, combatté contro Marco Antonio, cesariano, per liberare Decimo Bruto, cesaricida) e si concluse in aprile con la sconfitta e la fuga di Marco Antonio, ma anche con la morte dei due i consoli. Nel frattempo, in Oriente, Trebonio fu ucciso da Dolabella che, in qualità di ex console (aveva infatti sostituito Cesare nell’incarico, l’anno prima) pretendeva sottrargli il governatorato della provincia d’Asia; fu il primo dei cesaricidi a morire. Allora il Senato incaricò Cassio (che già si trovava nella penisola anatolica) di combattere Dolabella; al suo arrivo Dolabella fuggì in Siria, per cui Cassio poté insediarsi a Smyrna (attuale Smirne), capitale della provincia d’Asia. In seguito, Dolabella si suicidò. A questo punto Ottaviano riuscì a spostare definitivamente la politica romana a favore della fazione cesariana: tornato a Roma, pretese e ottenne di essere nominato consul suffectus (“console sostituto”, che veniva nominato alla morte di uno dei titolari) unitamente al cugino Quinto Pedio; fece quindi approvare la lex Pedia, che revocava l’amnistia ai cesaricidi, e poi la lex Titia, che nominava lui stesso, Marco Antonio e Lepido triumviri rei publicae constituendae consulari potestate (“triumviri con potere consolare per la ricostituzione dello Stato”) per la durata di 5 anni. I cesaricidi persero ogni speranza di poter vivere pacificamente; Decimo Bruto cercò di fuggire in Gallia, ma fu riconosciuto e ucciso da un alleato di Marco Antonio; Bruto, che ancora si attardava in Grecia, si recò a Smyrna, per preparare una difesa congiunta insieme a Cassio[1]. I processi avviati grazie alla lex Pedia si conclusero con la condanna in contumacia dei cesaricidi e i triumviri si prepararono a muovere guerra contro di loro. _____________________ Bruto e Cassio saccheggiarono le province asiatiche, per costituire un forte esercito da opporre a quello dei triumviri, e fecero emettere moltissimi aurei e denarî con il metallo razziato, fra cui la moneta più famosa di tutto il periodo repubblicano: RRC 508/3, il denario con cui Bruto si vantò di aver ucciso Cesare. Narra Cassio Dione (XLVII, 25) che Bruto “coniò monete su cui era raffigurato un pileo tra due pugnali, per dichiarare, con le figure e anche con la scritta, che egli, d’accordo con Cassio, aveva dato la libertà alla Patria”. RRC 508/3 reca, infatti, il ritratto di Bruto al dritto, un pileus (berretto che veniva posto sul capo degli schiavi affrancati e, quindi, simbolo di libertà) e due pugiones (pugnali da guerra) al rovescio, mentre la legenda recita BRVT. IMP e L. PLAET. CEST (Lucius Plaetorius Cestianus, un monetiere non altrimenti noto) al dritto, EID MAR (idibus martiis, “alle idi di marzo”) al rovescio. Questa iconografia rivela la pochezza e l’ipocrisia di Bruto: è infatti l’apologia di un tradimento, l’unico caso (come ha osservato Belloni) in cui un antagonista politico viene infamato su una moneta; inoltre, Bruto non disdegna di far apporre il proprio ritratto, sebbene avesse ucciso Cesare anche per aver fatto altrettanto. Dopo la sconfitta dei cesaricidi questo denario sarà fatto ritirare dalla circolazione e, quindi, ne sono sopravvissuti pochi esemplari: Campana ha contato 88 esemplari noti ritenuti autentici; in aggiunta a essi, tuttavia, esistono molti falsi, prodotti negli anni perché è un esemplare molto ambito dai collezionisti (nel 2019, un esemplare è stato acquistato a un’asta per 200.000 €, più 50.000 € di spese). ________________________ Marco Antonio, volendosi vendicare delle “Filippiche”, pretese che Cicerone fosse proscritto e, quindi, condannato a morte; Ottaviano, per non far fallire la loro alleanza, non si oppose. Il grande oratore, saputolo, fuggì nella sua villa di Astura (odierna Torre Astura); non sentendosi ancora al sicuro, dopo alcuni giorni si imbarcò per Formia. Fu tuttavia raggiunto e ucciso dai sicarî di Marco Antonio; era il 7 dicembre del 43 a.C. _____________________ Il conflitto tra triumviri e cesaricidi si concluse nell’ottobre del 42 a.C., a Philippi (odierna Kavala, in Grecia settentrionale). Fu uno scontro titanico: combatterono 19 legioni (a ranghi completi) comandate da Ottaviano e Marco Antonio contro 17 legioni (a ranghi ridotti, ma rinforzate da truppe alleate) comandante da Bruto e Cassio; in tutto, compresa la cavalleria, circa 200.000 soldati. Fra quelle le legioni che combattevano per i triumviri erano presenti la X Equestresis (la “favorita di Cesare”) e la VI Ferrata. Il 3 ottobre le truppe di Marco Antonio riuscirono ad aprirsi una strada nelle paludi e attaccarono alle spalle quelle di Cassio, infliggendo loro una grave sconfitta; nel frattempo, tuttavia, le legioni di Bruto assaltarono di sorpresa quelle di Ottaviano, sopraffacendole. A fine giornata la situazione era di nuovo in stallo ma Cassio, credendo che la sconfitta fosse irrecuperabile, si suicidò, lasciando Bruto solo al comando. I due eserciti continuarono a fronteggiarsi sino al 23 ottobre, subendo la fame e le difficoltà che derivavano dalla difficoltà di approvvigionamento; alla fine i soldati di Bruto, esausti per le privazioni, pretesero di scendere a battaglia. Il genio tattico di Marco Antonio fu decisivo: una sua brillante manovra permise di vincere la battaglia; a fine giornata anche Bruto, definitivamente sconfitto, si suicidò. A due anni e mezzo dall’assassinio di Cesare, il disegno dei cesaricidi era definitivamente tramontato, grazie alle abili manovre politiche di Ottaviano (che aveva saputo, fra l’altro, domare e sfruttare la furia bellica di Marco Antonio); di 21 cospiratori ne restava in vita uni solo, tale Gaio Cassio Parmense, un oscuro poeta. Sarà infine rintracciato e messo a morte da Ottaviano nel 31 a.C. _____________________ Dopo la battaglia i due eserciti furono fusi, sotto il comando dei triumviri e i veterani più anziani poterono quindi essere congedati; molti rimasero proprio a Philippi, ove fondarono una colonia. Occorre qui precisare che alcuni legionarî, scelti fra i più fidati e valorosi, avevano il compito di proteggere il comandante in battaglia; alla fine della Repubblica, invalse l’uso di denominare “pretorie” le coorti in cui essi erano inquadrati[2] (perché destinate a proteggere il “pretorio”, ossia l’alloggiamento del comandante[3]). Dopo il 27 a.C. proprio alcuni reduci di coorti pretorie (probabilmente, quelle stesse che erano state incaricate di proteggere Ottaviano), rimasti a vivere a Philippi, emisero un bronzo provinciale che commemorava la battaglia, RPC I 1651; essa reca al dritto l’immagine di una statua della Vittoria (statua che, forse, era stata là innalzata) e la legenda VIC AVG (victoria Augusti), al rovescio tre insegne militari decorate di cornicula e phalerae e la legenda COHOR PRAE PHIL (cohortes praetoriae - Philippi). È interessante notare che manca, nell’iconografia, l’aquila legionaria, perché appunto l’emissione era intitolata ad alcune coorti, non a una intera legione. Alcuni numismatici moderni ritengono che la moneta sia stata emessa durante il principato dello stesso Augusto; altri, sulla base del metallo utilizzato (la cui composizione sembra analoga a quella di metallo presente in miniere macedoni scoperte solo successivamente) ne spostano la datazione all’epoca di Claudio o Nerone NOTE [1] L’incontro fra i due, che poco si sopportavano pur essendo cognati (Tertulla, moglie di Cassio, era figlia di Servilia), non fu sereno; racconta infatti Plutarco che “c'era stata qualche differenza di vedute ed erano state scambiate accuse reciproche … cominciarono a darsi la colpa l'un l'altro; poi passarono a recriminazioni ed accuse. Questo ben presto portò a rimproveri indignati e lacrime e i loro amici, stupiti dalla veemenza e dall'amarezza della loro rabbia, temevano che la lite degenerasse in violenza”. [2] Prendendo spunto da questi reparti, Augusto istituirà nove “coorti pretorie” stanziate in Italia (a Roma, per precisione, all’interno del Castro Pretorio, una fortificazione ancora esistente) e incaricate di proteggere la persona dell’imperatore: si tratta dei celeberrimi “pretoriani”, che avranno un ruolo importante nella storia dell’impero e saranno sciolti da Costantino. [3] È interessante sottolineare come la tenda del comandante di una legione si chiamasse “praetorium”. I Romani erano convinti, che sin dalla sua fondazione, la Repubblica fosse stata governata da due consoli; in realtà, molti storici moderni, studiando le fonti, sono giunti alla conclusione che nei primissimi anni il rex fosse stato sostituito da un unico praetor cui, solo in seguito, furono sovraordinati due consoli (perché la duplicità dell’incarico dava maggiori garanzie contro eventuali derive autoritarie). Il fatto che il luogo da cui veniva comandata una legione (funzione tipica dei consoli, nella storia romana più antica) si chiamasse “[tenda] del pretore” costituisce una reminiscenza di quel tempo remoto, in cui tale comando era invece esercitato da un pretore. ILLUSTRAZIONI 44 a.C., denario RRC 448/13. L’iconografia è analoga a quella di altre monete della serie, ma la testa di Cesare è coperta con un velo. 44 a.C., denario RRC 480/22. Al dritto, Marco Antonio con velo e barba lunga. Al rovescio, un desultor (un tipo di acrobata che si esibiva con due cavalli). 43 a.C., denario RRC 508/3. 27 a.C. - 68 d.C., bronzo RPC I 16511 punto
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IL BELLUM CIVILE Durante la campagna gallica Cesare non fece coniare monete imperatoriali: evidentemente, riceveva un costante flusso di finanziamenti da Roma. Passato in armi il Rubicone, tuttavia, egli divenne un hostis publicus e dovette finanziare la prosecuzione delle operazioni da sé; il metallo prezioso del resto non gli mancava, avendo razziato abbondantemente in Gallia, a titolo di preda bellica. Nel 49 a.C., quindi, le legioni di Cesare realizzarono la prima delle sue monete itineranti, una delle emissioni più abbondanti di tutta la Repubblica, il denario RRC 443/1, divenuto simbolo stesso di Cesare e della guerra civile. Esso raffigura al dritto un elefante che calpesta un animale strisciante (un serpente, un dragone oppure addirittura un carnyx); si tratta di un’allegoria di Cesare stesso che schiaccia i suoi nemici: infatti, una delle etimologie che all’epoca veniva proposta per il cognomen Caesar era “caesai”, che nella lingua della Mauretania significava appunto “elefante”[1]. Per quanto riguarda i nemici calpestati, potrebbero essere i Germani (se è raffigurato un dragone, loro simbolo militare), i Galli (se è un carnyx) o generici avversarî (se è un serpente). Al rovescio, invece, sono raffigurati gli strumenti usati dai pontefici e dagli àuguri: culullus (brocca), aspergillum (aspersorio, ossia un pennello per spruzzare il sangue delle vittime sacrificali), securis (ascia) e apex (berretto cerimoniale); Cesare infatti era il pontifex maximus, e ricordarlo sulla moneta significava rassicurare i soldati sul fatto che stavano agendo secondo il volere degli dei. È interessante notare come questa fosse, formalmente, una moneta illegittima, emessa da un privato: avendo infatti invaso il suolo italico, Cesare aveva perso l’imperium e non deteneva più alcun potere che giustificasse l’emissione di moneta. Negli anni successivi, come si vedrà, le legioni produssero molte altre emissioni itineranti, spesso recanti allusioni alle vittorie in Gallia. Uno solo dei suoi grandi generali lo abbandonò per unirsi a Pompeo, e fu una sorpresa per tutti: Tito Labieno, “amico tra i più intimi e luogotenente di Cesare, che aveva lottato al suo fianco con grande coraggio durante tutte le guerre in Gallia”[2]. Malgrado la defezione, Cesare gli fece portare i suoi bagagli e il suo denaro. _________________ L’azzardo compiuto da Cesare nel passare il Rubicone causò sconcerto, a Roma: non si sapeva quanti soldati avesse portato al seguito e si temeva che fossero molti di più della realtà (in effetti, cinque coorti erano solo mezza legione: altre truppe, convocate da Cesare, stavano sopraggiungendo). Nell’anno precedente i Senatori avevano chiesto a Pompeo perché non organizzasse un esercito idoneo a difendere l’Italia ed egli, con sicumera, aveva risposto che non aveva bisogno di prepararsi in anticipo, perché gli bastava battere un piede per terra affinché ne sorgessero soldati pronti a mettersi ai suoi ordini; adesso, per metterne a nudo l’incapacità, gli chiesero dove fossero tali soldati. Pompeo non poté fare altro che dirigersi a Capua, ove c’erano i centri d’addestramento, per reclutare e preparare in tutta fretta nuove legioni. I preparativi di guerra del Senato furono frenetici, e ce li testimonia un denario: RRC 441/1, che al dritto reca il ritratto di Saturno e la legenda NERI. Q. VRB (Nerius, quaestor urbanus), al rovescio copia l’iconografia militare introdotta da Valerio Flacco e la legenda L. LENT C. MARC COS (Lucius [Cornelius] Lentulus et Gaius [Claudius] Marcellus consules). Questa moneta quindi afferma che Nerio, il questore urbano del 49 a.C., fu incaricato di attingere all’aerarium (ossia il tesoro dello Stato, custodito nel tempio di Saturno che, pertanto, è raffigurato al dritto) per finanziare l’arruolamento di nuove legioni (rappresentate al rovescio). La custodia dell’aerarium era, infatti, una precisa responsabilità del questore urbano. Per quanto riguarda la citazione dei due consoli (assolutamente anomala), Crawford suggerisce che si tratti di una data (sappiamo infatti che i Romani erano soliti individuare gli anni con il nome dei cosiddetti “magistrati eponimi”, ossia i consoli stessi); sembra tuttavia plausibile un’altra spiegazione: essa testimonianza che, in un momento di grave caos istituzionale, i consoli stessi fecero emettere a Roma una moneta imperatoriale (firmata quindi anche dal questore, urbano in questo caso); un caso del tutto eccezionale. Un ultimo cenno merita la rappresentazione, qui particolarmente dettagliata, delle insegne militari. Oltre all’aquila legionaria, infatti, si possono distinguere dall’alto in basso, sui due assi di sostegno laterali, i vexilla (stendardi in stoffa), i cornicula (decorazioni a forma di mezza luna) e le phalerae (decorazioni a forma di disco, simili alle odierne medaglie); infine, come già sull’emissione di Valerio Flacco, le lettere “H” e “P”, rispettivamente per hastati e principes. _________________ Da Ariminum (odierna Rimini), dove si era insediato, Cesare inviò emissarî a Capua (ove erano presenti sia Pompeo sia i consoli in carica) rinnovando la proposta che fossero fatti congedare i soldati di entrambi i condottieri, ma la risposta fu di nuovo negativa e, anzi, Pompeo rifiutò anche di incontrarlo di persona. Ricevuto il diniego, Cesare inviò i proprî soldati a occupare tutte le principali città circostanti e in ben quattro occasioni[3] le truppe del Senato, che avrebbero dovuto contrastarlo, preferirono invece ribellarsi ai proprî comandanti per unirsi a lui, l’eroe che aveva conquistato la Gallia, il popularis che proteggeva i poveri. La defezione delle proprie truppe, più ancora dell’avanzata di Cesare, gettò gli optimates nel panico: Pompeo, i consoli e la gran parte dei senatori scapparono a Brundisium (odierna Brindisi) con l’intenzione di fuggire nella penisola balcanica; saputolo, Cesare (che ormai poteva servirsi di sei legioni, di cui tre reduci dalla campagna gallica e tre costituite con le truppe sottratte ai nemici) si gettò a inseguirlo; a Brundisium cercò di bloccare il porto, facendo costruire un’immensa fortificazione attraverso il mare, ma le navi di Pompeo riuscirono a sfuggire al blocco e trasferirono in Epiro, oltre a lui, i suoi figli Gneo iunior e Sesto, Cicerone, Catone, Bruto, i generali Tito Labieno (cui fu affidata la cavalleria) e Gaio Cassio Longino (che invece fu messo al comando della flotta), i cosoli e gran parte dei senatori e dei magistrati in carica. Il 1° aprile del 49 a.C. Cesare fece ritorno a Roma, da cui mancava ormai da un decennio, e scoprì che nella fretta di scappare i consoli avevano lasciato le risorse dell’aerarium a sua disposizione. Egli riorganizzò il governo della capitale con i pochi senatori che vi erano rimasti, inviò emissarî in tutte le città costiere affinché gli inviassero navi in Puglia (onde usarle, poi, per inseguire Pompeo) e, dopo appena una settimana, si mise in marcia alla volta dell’Hispania, intenzionato a cacciarne i pompeiani prima che vi si rafforzassero. Lungo la strada, lasciò Decimo Giunio Bruto Albino e Gaio Trebonio ad assediare (rispettivamente, su terra e dal mare) Massilia, che si era schierata con Pompeo; giunto in Hispania riuscì a sbaragliare gli eserciti pompeiani e, ottenuta la loro resa, lasciò i soldati liberi di scegliere se passare ai suoi comandi oppure tornare privati cittadini, senza scatenare alcuna vendetta contro di loro. Tornando in Italia ottenne la resa di Massilia e giunse a Roma a dicembre del 49, facendosi nominare dittatore sino a fine anno. Fu poi eletto console per il 48 e avviò immediatamente una serie di riforme, prima fra tutte una legge per alleggerire il peso dei debiti contratti dai cittadini più poveri. _________________ Nel 48 a.C. un monetiere, Lucio Hostilio Saserna, emise una serie di denarî che inneggiavano alle grandi vittorie ottenute da Cesare nella Gallia. Uno di essi, RRC 448/2, è particolarmente interessante: reca infatti al rovescio la rappresentazione di un carro da guerra (strumento bellico in uso a molte popolazioni celtiche), al dritto invece il ritratto di un uomo con lunga barba, palesemente affranto, e l’immagine di uno scudo gallico alle sue spalle: Babelon, Amisano e molti altri autori sono convinti che questo sia l’unico ritratto contemporaneo di Vercingetorige , che all’epoca era incarcerato a Roma. Merita qui una precisazione: sia l’iconografia monetale, sia la scultura dimostrano che, in questo periodo, l’arte a Roma pervenne a un elevato livello di realismo: i ritratti non erano più astratti o edulcorati, ma cercavano di riprodurre con minuzia e precisione le espressioni e gli stessi difetti delle persone. Da un lato, questa tendenza è giustificata dalla volontà di far riconoscere i potenti dai cittadini dello Stato romano (in un’epoca in cui non esistevano le fotografie); dall’altro, è evidente che i nobili e le persone illustri si facevano un vanto di non dover nascondere i proprî difetti, che evidentemente non minavano il loro senso di superiorità. Grazie a questa corrente artistica, le monete ci restituiscono ritratti fedeli (fatti alcuni in vita, altri dopo morte) di Silla, Cesare, Pompeo, Marco Antonio, Ottaviano, Cleopatra e tanti altri, fra cui appunto Vercingetorige. _________________ A gennaio del 48 a.C. Cesare, con le navi inviate dalle città a lui fedeli, poté raggiungere la penisola balcanica con sette legioni, inseguendo Pompeo. I due eserciti si incontrarono a luglio a Dyrrhachium (odierna Durazzo) e ne nacque una guerra di trincea: entrambi gli schieramenti costruivano fortificazioni per tagliare le linee di rifornimento del nemico, mentre lo tempestavano con proiettili scagliati da arcieri e frombolieri (soldati armati di fionda). Pompeo era in posizione di vantaggio: disponeva di 9 legioni contro le 7 dell’avversario e, soprattutto, riceveva costanti rifornimenti di cibo via mare, mentre i soldati di Cesare dovettero abituarsi a mangiare una specie di pane fatto di radici, non avendo altro. Alla fine Cesare fu sconfitto, ma riuscì a ritirarsi senza gravi perdite grazie al valore dei suoi veterani: Marco Cassio Sceva, centurione della VI legione “Ferrata”[4], con la sola I coorte (1.000 uomini) e benché ferito a occhio, coscia e spalla respinse l’assalto di ben 4 legioni nemiche. Muovendosi attraverso la Grecia, Cesare e Pompeo tornarono a fronteggiarsi in Tessaglia: il primo, avendo distaccato parte delle sue truppe per proteggere le vie di rifornimento, disponeva solo di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri, ma tutti veterani; il secondo invece poteva contare su oltre 45.000 fanti e 7.000 cavalieri, ma prevalentemente reclute. Capendo che i suoi uomini non erano all’altezza di quelli avversarî Pompeo optò per una tattica di logoramento, colpendo le linee di rifornimento del nemico senza affrontarlo direttamente; i nobili che lo seguivano, tuttavia, erano convinti che sarebbe stato facile schiacciare Cesare in battaglia e desideravano farlo prima possibile, per cui tacciarono Pompeo di viltà con tanta petulanza da convincerlo, infine, a scendere in battaglia, a Farsalo. La cavalleria pompeiana si scontrò violentemente con la X legione, comandata da Marco Antonio, ma Cesare fece intervenire una riserva appositamente tenuta nascosta per colpire, al momento opportuno, i cavalieri; la manovra riuscì e il combattimento si risolse in una grande vittoria dei cesariani. Terminata la battaglia, Cesare proclamò che qualunque cittadino romano si fosse arresto sarebbe stato perdonato, senza subire punizioni. Questo suo atteggiamento divenne famoso con il nome di clementia Caesaris; in realtà si trattava non di bontà d’animo, ma di uno specifico progetto politico: Cesare sperava di interrompere così la spirale di vendette reciproche che aveva trasformato il confronto fra optimates e populares in una sorta di sanguinosa faida. Alla fine di quell’anno le legioni Cesare emisero pertanto un aureo e un denario (RRC 452/2) che raffiguravano proprio la personificazione della Clemenza (e, al rovescio, un trofeo di armi galliche); particolare curioso, la legenda comprende un misterioso IIT: l’ipotesi più accreditata (poco convincente, ma non ne esistono di migliori) è che sia in realtà , grafia arcaica per LII, e indichi l’età di Cesare. ________________ I soldati di Pompeo approfittarono dell’opportunità loro concessa, arrendendosi in massa a Cesare. Dopo lo scontro di Filippi i capi degli optimates si disgregarono: Bruto, appena terminata la battaglia, corse nella tenda di Cesare a invocarne la clemenza; Cicerone tornò in Italia e là aspettò Cesare, che infine perdonò anche lui; Gaio Cassio Longino rimase per un periodo al comando di quel che rimaneva della flotta, poi anch’egli raggiunse Cesare e ne ottenne il perdono; Catone e Tito Labieno si rifugiarono in Africa, ove potevano contare sull’alleanza di Giuba, re di Numidia; Gneo Pompeo iunior, figlio del Magno, si recò prima in Africa, poi in Hispania, ove ricostituì un esercito. Pompeo Magno e il figlio Sesto fuggirono invece per mare e, dopo alcune peripezie, giunsero in Egitto; qui tuttavia, il 28 settembre del 48, il padre fu ucciso e decapitato su ordine di Potino, potente consigliere del re Tolomeo XIII, che sperava così d’ingraziarsi il benvolere di Cesare; il figlio Sesto fuggì di nuovo, ricongiungendosi con Catone e Labieno in Africa. Tre giorni dopo sbarcò in Egitto Cesare, che inseguiva i fuggitivi insieme alla VI legione. Quando gli offrirono in dono la testa di Pompeo, ne fu rattristato e inferocito, per tante ragioni: perché comunque quell’uomo era stato suo genero; perché desiderava lui stesso perdonarlo, onde mettere fine alle divisioni interne; perché infine riteneva inconcepibile che un grande generale di Roma fosse ucciso, a tradimento, da un barbaro. Si installò allora nel palazzo reale di Alessandria, fece convocare i due fratelli che all’epoca si contendevano il trono - Tolomeo XIII e sua sorella, Cleopatra Tèa Filpàtore - e, nel nome di Roma, ordinò loro di cessare ogni ostilità reciproca e governare insieme. Potino tuttavia non gradì l’ingerenza e, da dentro lo stesso palazzo, ordinò all’esercito egiziano di convergere su Alessandria per cacciarne i Romani; Cesare allora si asserragliò nel palazzo reale, fece uccidere Potino e attese l’arrivo di rinforzi . Le truppe posero quindi l’assedio al palazzo, appoggiate dagli stessi cittadini, ostili ai Cesare; il loro comando fu assunto da Arsinoe, sorella minore di Tolomeo e Cleopatra, poi dallo stesso Tolomeo, che Cesare lasciò libero nella speranza - vana - di placare gli animi. Tra la fine del 48 a.C. e gli inizî del 47 giunsero infine i rinforzi attesi da Cesare: la XXVII legione via mare e le truppe alleate di Pergamo e Giudea via terra. Dopo aver subito una serie di sconfitte, Tolomeo decise di muovere tutte le sue truppe contro gli eserciti che giungevano via terra; tolse allora l’assedio di Alessandria per mettersi in marcia verso oriente ma Cesare ne approfittò e, fatte uscire le legioni dal palazzo, lo raggiunse e lo sconfisse prima ancora che riuscisse a entrare in contatto con gli eserciti di Pergamo e Giudea. Tolomeo morì in battaglia e Cleopatra fu confermata regina d’Egitto (insieme a un altro suo giovanissimo fratello). _________________ Nel frattempo a Roma, nell’ottobre del 48 a.C., Cesare fu nominato dittatore una seconda volta, per la durata di dodici mesi, ed eletto console per il 47. Finché restò fuori dall’Italia non assunse, tuttavia, i poteri di console. Uno dei monetieri del 47 a.C., Lucio Plauzio Planco emise una moneta di grande bellezza, RRC 453/1, che raffigura al dritto la testa di Medusa, al rovescio una dea alata che avanza frontalmente trascinando alcuni cavalli. La legenda, molto piccola, recita L. PLAVTIVS da un lato, PLANCVS dall’altro. Di questa complessa iconografia sono state proposte due spiegazioni. Amisano, Babelon, Borghesi e Grueber vedono al dritto una maschera teatrale, al rovescio la dea Aurora e propongono che sia qui ricordato un evento narrato da Livio e Ovidio: nel 312 a.C. il censore Gaio Plauzio Venox aveva vietato ai tibicines (suonatori di flauto) di mangiare dentro al tempio di Giove Capitolino e quelli, per protesta, si erano trasferiti a Tivoli, lasciando Roma priva dell’accompagnamento musicale (indispensabile per i riti sacri); allora Plauzio Venox aveva ordinato che fossero fatti ubriacare e poi, con i volti coperti da maschere teatrali, riportati furtivamente a Roma, ove giunsero di prima mattina (quindi, appunto, all’aurora). Crawford identifica invece al rovescio la dea Vittoria e ritiene che sia qui riprodotto un famoso quadro di Nicomaco (pittore tebano del IV secolo a.C.) del valore di milioni di sesterzi, che secondo quanto ci riferisce Livio nel 40 a.C. sarà donato a un tempio da Lucio Munazio Planco, fratello del monetiere[5]. In quest’ottica, la scelta di riprodurre la Vittoria (seppur nella forma del quadro) sarebbe un omaggio a Cesare. _________________ Nel 47 a.C. Cesare si fermò sei mesi in Egitto insieme a Cleopatra, di cui si era invaghito e con cui ebbe un figlio, Tolomeo Filpàtore Filomètore Cesare, detto Cesarione; poi, a fine estate, con una rapidissima marcia raggiunse il Ponto, dove il re Farnace (figlio di Mitridate) aveva approfittato della guerra civile romana per invadere i regni circostanti, facendo uccidere un gran numero di cittadini dell’Urbe. Farnace non si aspettava che Cesare potesse presentarsi così presto: fu colto impreparato e rapidamente vinto in battaglia a Zela (odierna Zile, in Turchia). Questo intervento fu tanto rapido e risolutivo che il generale, in una lettera, lo riassunse con la celeberrima frase “veni, vidi, vici”. In autunno Cesare tornò in Italia, ove assunse i poteri di console. Là, la situazione stava degenerando: quattro legioni si erano ribellate al loro comandante, Marco Antonio, pretendendo dopo 15 anni di servizio l’honesta missio (il congedo) e un donativum (un premio in denaro); nelle more, razziavano e distruggevano campagne e abitazioni e ogni sforzo di riportarli alla calma e all’obbedienza era risultato vano. Cesare si presentò da loro senza scorta; ascoltatene le richieste, rispose chiamandoli “cives” anziché “comites” (“cittadini” anziché “commilitoni”, dato che avevano chiesto di essere congedati) e garantendo che avrebbero avuto il donativum, ma solo dopo che egli, con altri soldati, avesse sbaragliato le ultime sacche di resistenza pompeiana. I legionarî ammutolirono: avevano bluffato nel pretendere il congedo[6]; sentire Cesare, che per anni aveva marciato, vissuto e combattuto con loro, trattarli con disprezzo e sufficienza li disorientò. Chiesero quindi subito di essere perdonati e si rimisero a suoi ordini. Nel 47 a.C. Cesare fu nominato dittatore per la terza volta, per un periodo di 10 anni; utilizzò il potere dittatoriale (come già aveva fatto Silla) per scegliere i magistrati e nominò sè stesso console per il 46, il 45 e il 44. Già nel 54 a.C. egli aveva ideato la realizzazione, nel cuore di Roma, di una grande piazza circondata su tre lati da un portico e sul quarto da un tempio, destinata a fungere da ampliamento dello storico Foro (diventato ormai troppo angusto per le esigenze della capitale); sappiamo da Cicerone che solo l’acquisto dei terreni era costato almeno 15 milioni di denarî (forse addirittura 25), pagati dallo stesso Cesare. I lavori erano iniziati nel 51 ma solo nel 47 Cesare rivelò a chi avrebbe dedicato il tempio: Venus Genitrix, Venere “genitrice” di Iulo (figlio di Enea) e quindi - in un certo senso - di tutti i Romani, dato che Romolo era un discendente dello stesso Iulo. Cesare affermò che adempiva a un voto alla dea, fatto prima dello scontro di Farsalo; in realtà, coglieva l’occasione per affermare che egli stesso discendeva dagli dei, dato che Iulo era anche capostipite della gens Iulia. La nuova piazza sarà inaugurata il 26 settembre del 46 e diverrà nota come Foro di Cesare. Riorganizzate le sue forze, a dicembre del 47 a.C. Cesare sbarcò in Africa, determinato a debellare i pompeiani. _________________ In Africa sono stati rinvenuti diversi esemplari di un altro denario imperatoriale, RRC 458/1, che per questa ragione Crawford ritiene essere stato coniato appositamente per finanziare la spedizione contro i pompeiani. Coerentemente con tale datazione, al dritto è raffigurata appunto Venus Genitrix; al rovescio invece è rappresentato Enea che fugge da Troia, portando il padre Anchise in spalla e il Palladio in mano. La raffigurazione al rovescio aveva un triplice scopo: ricordava al popolo che Cesare (tramite Iulo) discendeva da Enea, grande e nobilissimo eroe, e quindi anche - come detto - dalla dea Venere, con cui quegli aveva concepito un figlio; comunicava (con la raffigurazione di un figlio che salva il padre) che Cesare teneva in gran conto la pietas filiale, virtù molto considerata dai Romani; evidenziava che il Palladio, simbolo del potere di governare il mondo, era giunto nell’Urbe grazie agli antenati di Cesare. Il Palladio era infatti uno dei sette pignora imperii (oggetti sacri che gli dei avevano fatto pervenire nelle mani dei Romani quali garanzie - “pignora” - del loro potere; se fossero andati perduti, sarebbe stata la rovina per la Città Eterna); si trattava, secondo la mitologia, di una statua lignea che Atena aveva realizzato in ricordo di Pallade, sua cara amica uccisa per errore, e aveva le sembianze della dea perché ella stessa - per il dolore - si era identificata nella mortale, tanto da essere appunto chiamata Pallade Atena. Il Palladio aveva dapprima ornato il trono di Zeus, divenendo così una potente fonte di protezione divina, invincibilità e potere militare; un giorno tuttavia Atena, infuriata con il padre, l’aveva ripreso e scagliato sulla terra, a Troia. Rimase in questa città sino alla guerra, quando scomparve; secondo i Romani era giunto nell’Urbe ed era custodito dalle Vestali. Sarà da loro bruciato nel 394 d.C., per non farlo cadere nelle mani dei Cristiani. La menzione dei pignora imperii merita una digressione per narrare di uno di essi: la pietra nera ritenuta materializzazione della dea Cibele[7], probabilmente un meteorite, portata a Roma nel 204 a.C. Attorno al 220 d.C. l’imperatore Eliogabalo la collocò nel palazzo imperiale, ove sopravvisse a distruzioni e saccheggi, ma nel 1730 fu rinvenuta da un archeologo incompetente, monsignor Bianchini, che non capì di cosa si trattasse (e quindi, probabilmente, la distrusse)[8]. Per poco, un pignus imperii non è giunto sino a noi. _________________ Lo scontro fra Cesare e i pompeiani, appoggiati dalle truppe numide del re Giuba, si ebbe il 6 aprile del 46 a.C. a Tapso (attuale Ras Dimas, in Tunisia). Fu una netta vittoria di Cesare, a seguito della quale la Numidia venne ridotta a provincia romana; Labieno e Sesto Pompeo fuggirono in Hispania, presso Gneo Pompeo, mentre Catone si uccise a Utica (città costiera, oggi scomparsa) e, da allora, fu ricordato come “l’Uticense”. Il 25 luglio del 46 a.C. Cesare tornò nell’Urbe, ove lo raggiunsero Cleopatra e Cesarione (ma la regina non fu autorizzata a varcare il pomerium, per cui soggiornarono in una villa sul Gianicolo), e celebrò quattro trionfi successivi per le vittorie conseguite contro i Galli, gli Egiziani di Tolomeo XIII, i Pontici di Farnace e i Numidi di Giuba. La cerimonia del trionfo era un onore molto ambìto dai Romani, concesso dal Senato ai comandanti dotati di imperium quando terminavano una campagna bellica contro una popolazione straniera; non era quindi ammesso se gli sconfitti erano schiavi, come Spartaco, oppure Romani stessi, in caso di guerra civile (per questo, Cesare presentò la vittoria di Tapso come una vittoria contro i Numidi). Nell’occasione il comandante - già acclamato imperator - era eccezionalmente autorizzato a entrare con l’esercito in armi dentro al pomerium; adornato come se fosse Giove in persona, sfilava con i soldati lungo la Via Sacra, dal Circo Massimo attraverso il Foro sino al Campidoglio, mostrando ai concittadini esultanti il bottino e i prigionieri ottenuti. In una società guerriera, era la più bella esperienza che un mortale potesse vivere; pertanto, per compensare l’inebriamento che poteva dare, i soldati erano autorizzati a canzonare il proprio generale[9], mentre una persona al suo fianco gli sussurrava costantemente “hominem te memento” (“ricorda che tu sei [solo] un uomo”). Nel 46 a.C. Cesare adottò la più longeva delle sue riforme: il calendario giuliano. Occorre premettere che il più antico calendario romano aveva solo 10 mesi[10]; già in epoca regia era stato portato a 12 mesi, ma con una durata di soli 355 giorni, e per compensare lo scostamento rispetto alle stagioni il pontefice massimo aggiungeva - quando necessario - un tredicesimo mese, “mercedonio”, dopo febbraio. Questo sistema complesso si era tuttavia inceppato durante le guerre civili, quando i pontefici massimi (compreso lo stesso Cesare) avevano trascurato di apportare le modifiche necessarie, tanto che il solstizio d’inverno arrivava ormai a marzo. Cesare dispose che l’anno 46 a.C. durasse ben 445 giorni e che, dal 1° gennaio 45, entrasse in vigore il calendario di 365 giorni, con previsione di anno bisestile, ancora oggi in uso (con una piccola rettifica apportata da papa Gregorio XIII nel 1582). In occasione dei trionfi del 46 a.C. i legionarî ebbero il donativum loro promesso, pari a 6.000 denarî (più un appezzamento di terra da coltivare), mentre i cittadini di Roma ricevettero un munus (dono) di 100 denarî. A tal fine, Cesare assunse l’insolita iniziativa di utilizzare un denario ad hoc, RRC 467/1, che al rovescio reca la lettera D se destinato al donativum, M se al munus. L’iconografia comprende al dritto il ritratto di Cerere (allusione alle iniziative assunte da Cesare per garantire gli approvvigionamenti di grano alla popolazione), al rovescio gli strumenti rituali usati dal pontefice massimo e dagli àuguri (culullus e aspergillum, già visti su RRC 443/1 e brocca e lituus, già visti su RRC 359/2). Particolarmente interessante è la legenda, che enuncia le cariche politiche di Cesare al dritto (DICT. ITER - COS. TERT.), quelle religiose al rovescio (AVGVR - PONT. MAX.). Poiché Cesare - come già detto - fu dittatore “per la seconda volta” (“iterum”) dall’ottobre 48 all’ottobre 47 e assunse i poteri del suo terzo consolato tra settembre e ottobre 47, la produzione di questa moneta (benché sia datata da Crawford al 46, anno dei quattro trionfi) deve essere iniziata nell’autunno del 47: ciò significa che quando Cesare arringava le legioni ammutinatesi, garantendo che avrebbero avuto il donativum, non faceva (come alcuni storici hanno ipotizzato) una promessa a vuoto, avendo già avviato la necessaria emissione di denarî. _________________ In Hispania Gneo Pompeo aveva riorganizzato i sostenitori del defunto padre, instaurando di fatto una repubblica secessionista e organizzando un nuovo, potente esercito. La sua volontà di presentarsi come detentore della legittimità repubblicana, in contrasto con Cesare, presentato come un usurpatore, si riflette sulla monetazione: nella penisola iberica, infatti, circolavano molte monete di bronzo di produzione locale, necessarie a sopperire alla mancanza di contante ufficiale (l’ultimo asse era stato emesso da Silla nell’82 a.C. e, dopo di esso, Roma non aveva più coniato monete di bronzo); Gneo Pompeo fece allora emettere una moneta, RRC 471/1, con l’antica iconografia di Giano al dritto e della prora navis al rovescio (e la legenda CN. MAG IMP), con il chiaro intento di presentarsi come vero rappresentante delle tradizioni della Repubblica. Si tratta di monete molto diverse l’una dall’altra, con peso variabile da 15 a 37 grammi; peraltro, in alcune (ma non in tutte) i profili delle due facce di Giano hanno le sembianze di Pompeo Magno. Benché presentino il segno di valore “I”, come gli antichi assi, Amisano ha supposto che possano essere dupondî o addirittura sesterzî, in analogia alle emissioni cesariane di poco successive (RRC 476/1 e 550/2). _________________ Alla fine del 46 a.C. Cesare partì con otto legioni alla volta della Hispania, determinato a estirpare una volta per tutte la resistenza pompeiana. Si trattò della più difficile e sanguinosa fra tutte le campagne belliche che aveva combattuto: aiutati dal terreno favorevole e da una popolazione che li appoggiava, gli avversarî riuscirono a infliggere pesanti perdite alle sue truppe, mettendolo più volte in difficoltà. Per finanziare la campagna, egli fece produrre un’altra emissione itinerante: il denario RRC 468/1, che raffigura al dritto il ritratto di Venere (con un piccolo Cupido sulla spalla), al rovescio un trofeo di armi galliche sotto cui giacciono una donna in lacrime e un uomo barbuto con le mani legate. Babelon ritiene che la donna sia la personificazione della Gallia, l’uomo invece Vercingetorige; per Crawford sono invece generici prigionieri gallici. La rievocazione della guerra in Gallia aveva uno scopo ben preciso: ricordare ai soldati (molti dei quali, reduci da quella guerra) ciò che erano riusciti a fare sotto il comando dello stesso Cesare, per tenerne alto il morale e infondere loro coraggio e fiducia in un momento di grave difficoltà. Lo scontro decisivo si ebbe a Munda (odierna Osuna), nella primavera del 45 a.C.: Cesare sorprese l’esercito di Gneo Pompeo e Tito Labieno accampato in cima a una collina e, stanco di una serie apparentemente infinita di scontri fratricidi, decise - contro ogni regola tattica - di giocare il tutto per tutto, attaccando in salita e in forte inferiorità numerica (disponeva di 40.000 uomini contro i 70.000 degli avversarî). All’inizio sembrò una disfatta, tanto che lo stesso Cesare arrivò a pensare di suicidarsi; decise comunque di morire in modo onorevole e, sceso da cavallo, raggiunse i ranghi della X legione per combattere insieme ai suoi soldati preferiti. La presenza di cesare galvanizzò tuttavia i legionarî della X, che cominciarono a combattere con tanto ardore da guadagnare terreno; allora Gneo Pompeo tolse una sua legione dal fianco opposto e la mandò contro la X. Fu una mossa falsa: Cesare, pronto a cogliere l’occasione, inviò subito la sua cavalleria ad attaccare nel punto in cui, essendo stata distolta una legione, si era creato un buco nello schieramento avversario; contro ogni aspettativa, vinse così anche questa sua ultima battaglia. Alla vittoria contribuì anche un suo giovane parente, che egli aveva voluto con sé proprio per valutarne le capacità militari: Gaio Ottavio Turino. Labieno morì in combattimento; Gneo Pompeo fu catturato e ucciso poco dopo. Sesto riuscì invece a fuggire in Sicilia, dove continuerà ad agire in quasi totale autonomia, in alcuni anni con il consenso del Senato (che nel 43 a.C. lo nominerà praefectus classis et orae maritimae, comandante supremo delle flotte militari) ma più spesso in conflitto con Roma. _________________ Cesare tornò finalmente a Roma, ove commise un grave errore politico: infrangendo una tradizione plurisecolare, celebrò il trionfo per aver sconfitto i soldati di Gneo Pompeo, ossia dei concittadini. La sanguinosa campagna iberica l’aveva cambiato: era frustrato e inferocito per il fatto che, malgrado la sua politica di clemenza, i pompeiani avessero continuato a osteggiarlo; probabilmente pensò quindi di umiliarne la memoria, trattandoli come barbari debellati. Per il popolo, tuttavia, la guerra civile restava un evento forse necessario, ma sicuramente doloroso ed esecrabile: mostrando di vantarsi di aver ucciso cives Romani, Cesare perse parte del suo consenso. In quel periodo furono emesse due monete in oricalco, una lega di bronzo e zinco, di colore simile all’oro, che a Roma veniva usata per la prima volta. Le due tipologie sono molto simili: la prima, RRC 476/1, reca al dritto il ritratto di Vittoria e al rovescio l’immagine di Minerva che avanza con un trofeo sulla spalla (e un serpente ai piedi); la seconda invece, RRC 550/2 (oggi molto rara) il ritratto di Venere al dritto, l’immagine di Vittoria che avanza con un ramo di palma in spalla al rovescio. La prima è sicuramente databile al 47-44 grazie alla legenda CAESAR DIC TER (Cesare detenne la terza dittatura tra l’ottobre del 47 e il marzo del 44) e C. CLOVI PRAEF: Gaio Clovio, personaggio storico proco noto, fu governatore della Gallia Cisalpina nel 44 a.C. e quindi, probabilmente, prefetto nel 45. La datazione della RRC 550/2 è invece molto discussa: la legenda recita Q. OPPIVS PR. e l’unico Quinto Oppio noto fu governatore della Cilicia nell’88 a.C.; molti numismatici tuttavia (fra cui Alföldi, Woytek e Marta Barbato) ritengono che anche questa moneta, viste le grosse similitudini con la precedenza, sia stata emessa da un un altro dei prefetti (oppure anche da un pretore) del 45. In quest’ottica, è probabile che la prima moneta, e forse anche la seconda, siano state emesse in occasione del trionfo del 45 a.C. per disporre di spiccioli da distribuire al popolo durante la processione. Per quanto riguarda il valore, Grueber ipotizza che fossero assi, McCabe invece dupondî. Nei pochi mesi in cui governò indisturbato, Cesare avviò molte riforme per modernizzare Roma e il suo Stato: fra l’altro, concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della Gallia Cisalpina, elevò da 600 a 900 il numero dei senatori e fece entrare in Senato molti nobili di origine spagnola e gallica. Molti suoi sforzi furono profusi in campo urbanistico, nel tentativo di rendere l’Urbe una vera metropoli: propose una legge (approvata dopo la sua morte) che vietava la circolazione dei carri nelle ore diurne, per rendere più sicuri i pedoni; avviò la realizzazione di molti monumenti, che saranno conclusi dopo la sua morte (il teatro di Marcello, la basilica Giulia, il tempio di Marte Ultore, uno stadio per naumachie), compresa una nuova Curia, per sostituire quella distrutta nel 52; ipotizzò di rettificare il tratto urbano del Tevere (tra l’attuale ponte Cavour e l’isola Tiberina), per ridurre le esondazioni; infine fece razionalizzare la disposizione dei monumenti dell’antico Foro, facendo sostituire la tradizionale pedana dei rostra, che aveva andamento semicircolare, con una di pianta rettangolare. Forse, quindi, fu anche per nostalgia che un monetiere del 45 a.C., tale Palicano, emise il denario RRC 473/1 che immortalava i rostra nella loro vecchia forma semicircolare, con sopra il subsellium (sedile in uso ai tribuni della plebe). Sicuramente, egli voleva anche commemorare un suo parente, Marco Lollio Palicano, tribuno nel 71 a.C., che da quella tribuna aveva ardentemenmte perorato l’abrogazione delle leggi con cui Silla aveva limitato i diritti della plebe. Al dritto è invece raffigurata la Libertà (con didascalia LIBERTATIS), probabilmente in omaggio a Cesare che aveva “liberato” la Repubblica dai pompeiani. _________________ Nel 44 a.C. Cesare, oltre a ricoprire il consolato insieme a Marco Antonio, fu nominato dictator perpetuus (dittatore a vita), una forzatura ancora più grande di quella che era stata fatta per Silla (la cui nomina “a tempo indeterminato” presupponeva che prima o poi si sarebbe dimesso, come effettivamente avvenne): era ormai chiaramente determinato a governare con potere monarchico, seppur nell’interesse del popolo, situazione paradossale che il grande Mommsen ha riassunto con l’ossimoro “monarchia democratica”. Molti temevano che volesse farsi addirittura rex, un azzardo assolutamente inaccettabile per la mentalità romana; gli indizî in tal senso erano tanti (ad esempio, scelse di portare i calzari rossi simbolo degli antichi re di Alba Longa, giustificando che gli competevano quale discendente di Iulo e quindi ultimo erede di quella mitica dinastia), ma quello che fu forse ritenuto eccessivo ebbe natura numismatica. Il dittatore infatti preparò una grande campagna militare contro i Parti, per vendicare la disfatta di Carre, e a tal fine fece coniare una grande quantità di denarî, oggi raccolti nella serie RRC 480 e, con un incredibile strappo alla tradizione, fece apporre il suo ritratto[11], un’iniziativa che richiamava i monarchi ellenistici. Il giorno delle idi di marzo il Senato, essendo indisponibile la vecchia Curia, si riunì in quella che Pompeo aveva fatto realizzare presso il suo teatro; là Cesare fu raggiunto dai congiurati e pugnalato a tradimento. Tentò di difendersi, ma quando si avvide che fra i suoi assassinî c’erano amici (Decimo Bruto Giunio Albino e Gaio Trebonio), avversarî che lui stesso aveva perdonato (Gaio Cassio Longino) e persino Bruto, deluso gli disse “καὶ σὺ, τέκνον” (“anche tu, figlio”)[12]; si coprì volto e ginocchia, per morire in modo decoroso, e cadde trafitto ai piedi della statua di Pompeo. Quella statua esiste ancora: recuperata nel 1553, è ora esposta a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. Particolare numismatico interessante: la produzione delle monete della serie RRC 480 continuò, ma in quelle emesse dopo la sua morte Cesare è rappresentato con un velo sulla testa, in segno di lutto. NOTE [1] Secondo la Historia Augusta (al capitolo “Vita di Elio”, II, 3), testo storiografico redatto nel III secolo d.C., un antenato di Cesare si sarebbe guadagnato questo cognomen per aver ucciso in guerra un elefante cartaginese. Va precisato che esistevano, già all’epoca, altre ipotesi tra cui quella, più realistica, di “nato con parto cesareo” (che veniva praticato in caso di morte della madre). [2] Plutarco, Vita di Cesare, 34. [3] A Iguvium (odierna Gubbio), Osimo, Ausculum (odierna Ascoli Piceno), Firmum (odierna Fermo) e Terracina. [4] Il soprannome derivava dall’armamento pesante, in ferro, dei suoi legionarî. [5] Il monetiere infatti era nato come Gaio Munazio Planco, cambiando poi praenomen e nomen a seguito di adozione. Lucio Plauzio sarà messo a morte con le liste di proscrizione del secondo triumvirato; è possibile che il quadro fosse suo e che, alla sua morte, Lucio Munazio se ne sia appropriato, per poi offrirlo agli dei in memoria dello sventurato fratello. [6] La richiesta di congedo era stata un bluff, perché significava “dateci i soldi o ce ne andiamo”, ma in realtà era interesse degli stessi legionarî restare sino a guerra conclusa (perché i generali vittoriosi elargivano donativa molto più consistenti). Rimasero quindi spiazzati dalla risposta di Cesare, che sostanzialmente significava “bene, andatevene pure; troverò altri soldati”. [7] Gli altri cinque erano: l’ancile, un antichissimo scudo donato da Marte (e di cui esistevano 11 copie identiche, per evitare che l’originale fosse riconosciuto e rubato); lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia; il velo di Iliona, sua figlia; le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone; la quadriga di Giove Capitolino, collocata sulla sommità del suo tempio. [8] L’episodio è narrato da un altro archeologo, Rodolfo Amedeo Lanciani (nel libro Ancient Rome in the light of recent discoveries del 1890), che l’ha inutilmente cercata un secolo dopo. [9] Sappiamo che i soldati di Cesare, ad esempio, ne dileggiarono la presunta omosessualità cantando “ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem” (“ecco, ora che trionfa Cesare che ha sottomesso la Gallia, [ma] non trionfa Nicomede che ha sottomesso Cesare”). Nicomede era stato l’ultimo re di Bitinia; quando aveva solo 19 anni, nell’81 a.C., Cesare era stato mandato come ambasciatore alla sua corte e si diceva che avesse avuto una relazione con lui. [10] Secondo Carandini, illustre archeologo e antiquario romano, perché l’anno veniva assimilato a un ciclo di fertilità umana: nove mesi di gestazione più uno di infertilità. Di questa antichissima scansione del tempo resta memoria nei nomi degli ultimi mesi dell’anno. [11] Alcuni autori, citando Cassio Dione, sostengono che questo privilegio gli sia stato concesso dai senatori ma lo storico dice solo che “πατέρα τε αὐτὸν τῆς πατρίδος ἐπωνόμασαν” (Storia Romana, 44), “appellarono lui stesso padre della patria e incisero sopra le monete”: chiaramente, significa che fecero apporre su alcune monete il titolo di parens patriae, non il ritratto. [12] Svetonio, Cesare, 82; Cassio Dione, Storia Romana, 44. La versione latina “tu quoque, Brute, fili mi” è un’invenzione moderna. ILLUSTRAZIONI Denario RRC 443/1 Denario RRC 441/1 Denario RRC 448/2 Denario RRC 452/2 Denario RRC 453/1 Denario RRc 458/1 Denario RRC 467/1. Questa moneta è stata usata durante il trionfo di Cesare, per farne dono (“munus”) a un cittadino di Roma. Bronzo RRC 471/1 Denario RRC 468/1. Bronzi RRC 476/1 e 550/2. Denario RRC 473/1 Ricostruzione della tribuna dei “rostra” nella vecchia forma semicircolare Denario RRC 480/9 Statua di Pompeo di Palazzo Spada a Roma1 punto
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IL PRIMO TRIUMVIRATO I Romani, benché fossero una società guerriera, svilupparono una teoria del bellum iustum, cioè della “guerra conforme al diritto “; sappiamo infatti da Cicerone che un bellum era considerato “iniustum … atque inpium” ( “contrario al diritto e al volere degli dei”) se iniziato senza giusta causa (ad esempio, respingere un’invasione, difendere popoli alleati o vendicare l’uccisione di cittadini) o comunque senza aver preventivamente tentato, tramite ambasciatori, una conciliazione pacifica[1]. Sebbene sia oggi evidente che le regole del bellum iustum siano state spesso applicate con ipocrisia e che la spinta espansionistica di Roma sia stata alimentata da vere guerre di annessione, scatenate per motivi pretestuosi, il fatto stesso che in un’epoca così remota i Romani abbiano elaborato una dottrina giuridica tesa a limitare i conflitti, dichiarando contrarî al volere divino quelli scatenati per mera volontà di dominio[2], costituisce un grande merito per la loro cultura. Nel 62 a.C. Gaio Giulio Cesare, trovandosi a Gades (odierna Cadice) durante l’anno della sua pretura[3], vide una statua di Alessandro Magno e scoppiò in lacrime, frustrato del fatto che - pur avendo superato l’età del grande condottiero macedone - non avesse compiuto alcuna impresa gloriosa: egli aspirava dunque alla fama, ma sapeva di poter solo sperare che, prima o poi, gli si presentasse l’occasione di combattere un bellum iustum. __________________ Nel 60 a.C. Cesare, saputo che Pompeo, deluso dal Senato, cercava di stipulare un’alleanza politica con Crasso, si propose da mediatore. I tre allora raggiunsero un accordo passato alla storia come “primo triumvirato” (anche se aveva la natura di un mero patto fra privati): Pompeo, con la sua fama, e Crasso, con le sue ricchezze, avrebbero sostenuto la candidatura di Cesare al consolato per il 59; in cambio egli, dopo l’elezione, avrebbe promosso leggi per ottenere quanto agognato dai suoi due alleati, ossia l’assegnazione di terre ai veterani di Pompeo e riforme economiche favorevoli all’ordo equestris (il ceto dei cavalieri; di fatto, in termini moderni, la borghesia commerciale). A margine, per rinforzare l’alleanza, Pompeo sposò Giulia, unica figlia di Cesare. Il patto ebbe successo: Cesare assunse il consolato nel 59 e promosse un programma di riforme rivoluzionario, aiutando non solo i veterani e i cavalieri, ma anche i cittadini più poveri. Una delle leggi del 59 incaricò Cesare stesso di governare per i 5 anni successivi (dal 58 a.C. al 54 compreso), come proconsole, le province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico, presidiate da tre legioni; fu poi aggiunta la provincia della Gallia Narbonense (il cui governatore era deceduto), ove era presente un’ulteriore legione, la X[4]. Cesare era un signorino: amava vestire alla moda, passava ore ad acconciarsi e a curare la propria immagine, si dedicava alla vita mondana ed era noto perché aveva molte relazioni amorose (fra cui, come s’è detto, quella con Servilia), alcune delle quali - si mormorava - omosessuali; pertanto, quando in Senato dichiarò che avrebbe compiuto grandi imprese militari, un suo detrattore rispose: “Non sarà facile, per una donna”. Clodio aspirava candidarsi a tribuno della plebe, ma come patrizio non poteva e aveva allora deciso di farsi adottare da un plebeo. La rinuncia allo status patrizio, quasi assurda per la mentalità dell’epoca, aveva implicazioni di natura religiosa (molte funzioni cultuali erano riservate ai soli patrizî), per cui occorreva il preventivo assenso del pontifex maximus; glie lo diede nel 59 lo stesso Cesare (che era stato eletto al sommo sacerdozio nel 63, alla morte del balbuziente Metello). I due divennero così alleati politici, malgrado i dissapori causati dalla vicenda di Pompea, e Clodio fu eletto tribuno per il 58. __________________ Agli inizi del 58 a C., prima di lasciare Roma, Cesare volle assicurarsi che i maggiori esponenti degli optimates fossero allontanati dall’Urbe, onde evitare che approfittassero per esautorarlo dal comando (com’era successo a Silla e Lucullo). Il suo più intransigente avversario politico era Marco Porcio Catone, ed era un avversario scomodo: assolutamente onesto, privo di vizî, incorruttibile, imparziale e non ricattabile, voleva incarnare con inflessibilità e intransigenza le antiche virtù romane e si ispirava al nonno, il celeberrimo Censore, passato alla storia per il carattere severo, l’austero moralismo e le battaglie contro il lusso e il decadimento dei costumi. Cesare ottenne che il Senato lo inviasse a Cipro, quale primo governatore della neonata provincia e Catone, che era fratello uterino di Servilia, portò con sé il nipote Bruto (che nel frattempo si era fatto adottare da un altro parente di cui noi nulla sappiamo e, pertanto, aveva mutato il nome da Marco Giunio Bruto a Quinto Servilio Cepione Bruto[5]), una persona volubile e travagliata, amante della filosofia, della poesia e dell’arte, che subiva l’influenza e le pressioni dell’inflessibile zio senza, tuttavia, averne lo spessore morale. Clodio provvide invece a far allontanare un altro importante esponente degli optimates, Cicerone (di cui si considerava nemico personale): fece infatti approvare un plebiscito che lo condannava all’esilio. __________________ Nel 58 a.C. tornò a Roma vittorioso e assunse la carica di edile curule Marco Emilio Scauro, che era aveva combattuto in Oriente con Pompeo[6]. Nel 62 il Senato, malgrado la sua giovane età (aveva solo 20 anni), lo aveva incaricato di fermare Areta III, re di Nabatea, che aveva invaso la Giudea, regno vassallo di Roma; Scauro aveva condotto una campagna militare fulminea, sbarcando ad Alessandria, ponendo l’assedio Petra, capitale del regno nemico e accettando la resa di Areta solo dopo che aveva pagato un riscatto di 40 talenti. La sua impresa fu quindi celebrata su un particolarissimo denario di quell’anno, RRC 422/1. Si tratta di una moneta ricca di iscrizioni[7]: quelle del dritto ci informano che fu emessa dagli edili curuli (fatto eccezionale) su autorizzazione del Senato (EX S.C) per commemorare la sconfitta di Areta (REX ARETAS, raffigurato in ginocchio, a fianco del suo cammello, mentre offre un ramoscello d'ulivo) a opera di Scauro (M. SCAVR, AED CVR). Al rovescio invece l’altro edile curule, Publio Plauzio Hypseo (P. HVPSAEVS, AED. CVR) celebra la conquista di Priverno (PREIVER CAPTVM) compiuta nella seconda metà del IV secolo a.C. da un suo antenato, il console Gaio Plauzio Hypseo (C. HVPSAE. COS). La particolarità di questa emissione non è solo nella complessità grafica, ma anche nel fatto che segna un ulteriore passo avanti nella lunga evoluzione dell’iconografia monetale romana: per la prima volta, infatti, non viene più raffigurato un evento passato, allegoria di fatti contemporanei (come nel caso di Ulisse o di Marsia), né una rappresentazione genericamente allusiva al presente (come nel caso del trionfo di Mario e della statua equestre di Silla), ma direttamente un evento contemporaneo, con tanto di didascalia (REX ARETAS): si tratta di una piccola rivoluzione. La fine di Scauro sarà ingloriosa: pretore nel 56 a.C., poi governatore della Sardegna, accusato di estorsione (de repetundis) nel 54 si salverà solo grazie alla difesa di Cicerone; nuovamente accusato di brogli elettorali nel 53, sarà invece condannato ed esiliato. I rotoli del Mar Morto fanno cenno alla sua morte. __________________ Il 28 marzo del 58 a.C., mentre ancora era a Roma, Cesare venne a sapere che 370.000 Elvezi[8], di cui 90.000 soldati, lasciate le loro terre si dirigevano verso la Gallia Narbonense; era praticamente sicuro che l’avrebbero razziata. Si compì allora di nuovo l’incredibile trasformazione già manifestatasi con Silla e Lucullo: il nobilotto romano amante del lusso, dell’ozio e della vita dissoluta cambiò pelle repentinamente, dimostrandosi un soldato capace, coriaceo, determinato e coraggioso. Da allora e per tutti i 14 anni successivi Cesare, la “donna” ritenuta incapace di affrontare il pericolo, insieme ai suoi soldati avrebbe marciato a piedi, sopportato il gelo, dormito sul terreno nudo, mangiato radici selvatiche e combattuto in prima fila. Il proconsole lasciò Roma con la massima urgenza e dopo soli 5 giorni (tempo impensabilmente breve per l’epoca, sintomo di galoppate sfrenate) fu in Gallia Narbonense, ove fronteggiò gli Elvezi con la sola X legione; sopraggiunte infine le altre tre legioni a sua disposizione, li sconfisse in battaglia e li costrinse a tornare nelle loro terre d’origine. Stupiti da questa inaspettata vittoria, gli stessi Galli gli chiesero di ricacciare un altro invasore, i Germani del re Ariovisto, che aveva occupato il nord della Gallia. Cesare capì che era la sua tanto attesa occasione di combattere un bellum iustum; inviò due ambascerie al re, ma quegli rispose che i Romani non dovevano intromettersi e che le minacce di Cesare non lo spaventavano, perché “nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani”; inoltre, “se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto”. I legionarî avvertirono Cesare che non avrebbero accettato di combattere contro i Germani, descritti come guerrieri possenti, di statura imponente e ferocia impareggiabile; Cesare non si scompose: ribattè che se così era, avrebbe marciato contro di loro con la sola X legione, che era la più valorosa. Questa dichiarazione colse di sorpresa tutti i soldati: inorgogliti, i legionarî della X non osarono contraddirlo; umiliati, quelli delle altre legioni si dissero altrettanto pronti a combattere. Il proconsole accettò l’invito di Ariovisto e si recò a parlargli scortato solo da un manipolo di legionari della X che, per l’occasione, furono fatti montare a cavallo; da allora, la legione fu soprannominata Equestris e passò alla storia come la preferita di Cesare. I colloqui tuttavia fallirono e si giunse a battaglia: fu una vittoria schiacciante dei Romani, grazie anche a un tempestivo intervento della cavalleria comandata dal giovane Publio Licinio Crasso, figlio del triumviro. Il vittorioso intervento contro i Germani rese Cesare, di fatto, il protettore della Gallia: era il primo passo per diventarne il conquistatore. Lasciò le legioni[9] sparse sul territorio e sconfisse, una per volta, le popolazioni che, avendo capito il pericolo di perdere la propria libertà, gli si ribellarono contro, soprattutto, i Belgi (nel 57 a.C.) e i Veneti, tribù dell’attuale Bretagna (nel 56). Questi ultimi in particolare, popolo di marinai, furono sconfitti grazie a una serie di battaglie navali brillantemente condotte da un altro validissimo generale di Cesare, Decimo Giunio Bruto Albino (non imparentato, malgrado il nome, con Bruto figlio di Servilia). Memore delle accuse rivolte a Lucullo di portare avanti la guerra senza motivo, Cesare inviò periodicamente al Senato sintetici e obiettivi “resoconti sull’andamento della guerra in Gallia”, commentarii de bello Gallico: scritti con stile asciutto e lineare, venivano letti in pubblico e finirono per essere apprezzati e attesi dal popolo, appassionatosi al racconto di quegli avvenimenti in terre lontane e selvagge. I commentarii saranno poi raccolti in un unico libro che diverrà uno dei testi più famosi della letteratura occidentale, il De Bello Gallico. __________________ Durante l’anno in cui fu tribuno, Clodio promosse molte leggi tese a limitare il potere del Senato, a vantaggio delle assemblee popolari. Nel 57 a.C., terminata la carica, per evitare che l'aristocrazia senatoria facesse invalidare le sue riforme raccolse attorno a sé una banda di violenti facinorosi, con cui scatenò numerosi disordini facendo insorgere, nell'Urbe, un clima di terrore e violenza. Gli si oppose allora un tribuno della plebe di quell’anno, Tito Annio Milone, suo acerrimo nemico e vicino alle posizioni degli optimates, che organizzò un’altra banda armata per contrastare, con altrettanta violenza e spregiudicatezza, quella di Clodio. Nel frattempo Pompeo si crucciava del rischio di essere messo in ombra dalle grandi imprese belliche di Cesare; non essendo capace di costruirsi un base politica propria si riavvicinò agli optimates e al Senato. Grazie al suo appoggio passò una legge che consentiva il ritorno di Cicerone dall'esilio; l'oratore sbarcò a Brindisi il 5 agosto del 57 e trovò ad accoglierlo, oltre ad amici e familiari, la sua adorata figlia Tullia (da lui affettuosamente chiamata Tulliola) che, quel giorno, festeggiava il compleanno. Alla fine del 57 una grave emergenza colpì Roma: dalle importazioni non giungeva più grano sufficiente a sfamare il popolo. Gli optimates diedero la colpa a Clodio: infatti una sua lex frumentaria aveva reso del tutto gratuite le distribuzioni di grano ai poveri[10] (che sino allora, e dal tempo dei Gracchi, erano state fatte a prezzo calmierato) e si affermò che ne era conseguita una crescita incontrollata della domanda; per converso, i populares sostennero che la penuria fosse stata creata ad arte dai loro avversari, per sabotare proprio la legge in questione. Sull’orlo di nuovi scontri di piazza, il Senato incaricò Pompeo di risolvere il problema, affidandogli per 5 anni la cura annonae (ossia la gestione degli approvvigionamenti). Il triumviro si dedicò all’incarico con la passione e la competenza che gli erano proprie: girò personalmente i mercati di frumento del Mediterraneo facendo affluire a Roma grandi quantità di grano; divenne famosa l’occasione in cui, salito a bordo di una nave mercantile e pretendendo che salpasse malgrado una bufera in arrivo, spiegò al capitano che “navigare necesse est, vivere non est necesse”. __________________ In quegli anni, probabilmente nel 56 a.C., fu triumviro monetale Fausto Silla, figlio del defunto dittatore. Egli emise un denario, RRC 426/1, che celebra l’azione con cui il padre era riuscito a farsi consegnare l’infido Giugurta: al rovescio è infatti raffigurato Bocco, in ginocchio, che offre un ramo d’ulivo a Silla (identificato dalla didascalia FELIX), mentre lo stesso Giugurta giace, in ginocchio anch’egli, con le mani legate dietro la schiena, in segno di impotenza dinanzi al potere di Roma. Sappiamo che la medesima scena fu scolpita su un bassorilievo d’oro che Bocco inviò a Roma (e Silla offrì al popolo, con una cerimonia al Campidoglio che fece infuriare Mario) ed era impressa sul sigillo personale dello stesso Silla. Al dritto della moneta è invece raffigurata Venere, dea prediletta dal dittatore. __________________ Nel 56 a.C., conclusa la campagna contro i Veneti, Cesare tornò in Italia e incontrò gli altri triumviri a Lucca, con l’intento di confermare e rinsaldare l’alleanza stipulata quattro anni priva. Fu allora deciso che Crasso e Pompeo si sarebbero ricandidati al consolato per il 55 e Cesare li avrebbe aiutati, mandando a votare un gran numero dei suoi soldati; terminato il consolato Pompeo avrebbe assunto il governatorato delle colonie iberiche, Crasso invece della Siria, da cui voleva lanciare una campagna militare contro i Parti. A Cesare, invece, sarebbe stato rinnovato per altri 5 anni il mandato nelle Gallie. L’accordo funzionò e Pompeo e Crasso furono eletti consoli. Pompeo ne approfittò per inaugurare un’opera pubblica assolutamente grandiosa, da lui stesso voluta, finanziata e avviata 6 anni prima. Occorre premettere, al riguardo, che a Roma gli spettacoli teatrali erano molto amati ma il Senato aveva vietato di realizzare teatri in muratura, temendo che diventassero un covo di sediziosi; ogni anno, pertanto, venivano costruite e poi smontate strutture provvisorie in legno. Pompeo ideò uno stratagemma: fece costruire un tempio dedicato a Venere Vincitrice, sopra a un’immensa scalinata di pianta semicircolare; scalinata talmente ampia che, sui suoi gradini, potevano sedersi 40.000 cittadini, rivolti verso la base. La scalinata andò così a costituire, di fatto, il primo teatro in muratura dell’Urbe, il Teatro di Pompeo, di cui l’odierna Via di Grotta Pinta ripete il tracciato semicircolare. Ma non era finito: davanti alla scalinata-teatro si estendeva un grande giardino rettangolare, ornato di statue e circondato da un porticato che arrivava sino all’attuale Largo Argentina; qui si ergeva un sontuoso edificio destinato a ospitare le riunioni del Senato, la Curia di Pompeo, al cui interno campeggiava una grande statua di Pompeo stesso che reggeva il globo (gesto che simboleggiava il dominio sul mondo). __________________ Nel 55 a.C. fu emessa un’ingente quantità di denarî, stimata in 19 milioni di pezzi, molti dei quali peraltro riportavano la legenda S.C., indicatrice di emissioni straordinarie, ordinate dal Senato. Si ritiene che questa grande emissione sia stata fatta per pagare gli approvvigionamenti eccezionali di grano, che Pompeo, sempre attento nell’espletamento della cura annonae, stava facendo affluire a Roma. Una di esse, RRC 427/2, è firmata da Gaio Memmio (probabilmente, il figlio della sorella di Pompeo Magno) e reca, al dritto, il ritratto di un anziano barbuto con lo sguardo solenne, che la didascalia identifica in QVIRINVS. Si tratta quindi di Quirino, antichissimo dio sabino; secondo Bernoulli (ma Crawford non concorda) sarebbe qui rappresentata la statua di Romolo (al quale fu, in epoca tarda, associato il dio Quirino: “Romulum quem quidam eundem esse Quirinum putant” riferisce Cicerone) che, secondo le fonti, esisteva al Campidoglio. Al rovescio è invece rappresentata Cerere e la legenda ricorda che i primi giochi dedicati alla dea furono indetti da un Memmio, edile curule, antenato del monetale: MEMMIVS AED. CERIALIA PREIMVS FECIT. Altro denario interessante del 55 a.C. è RRC 428/3, firmato da tale Quinto Cassio, che raffigura al dritto il ritratto di un giovane con lo scettro sulla spalla e al rovescio l’aquila ad ali spiegate, con il fulmine negli artigli, affiancata da un lituo e un vaso sacrificale. Come ha osservato Amisano, sono questi gli elementi potenza militare di Roma: l’esercito (l’aquila, simbolo delle legioni e del favore a esse accordato da Giove), la potenza delle armi (il fulmine, strumento di Giove), l’attività augurale con cui il comandante accertava il favore degli dei (il lituo), la religiosità delle truppe (il vaso), la disciplina (lo scettro) e la scelta del caso favorevole (il Bonus Eventus, in cui egli identifica il ritratto al dritto; Crawford ritiene invece che sia il Genius Populi Romani). Terza moneta di interesse, è il denario RRC 430/1, che raffigura Venere al dritto e un cavaliere in armatura al rovescio. Reca la legenda S.C ed è firmata, al retro, da P. CRASSVS. M. F, ossia il giovane e valoroso comandante di cavalleria, figlio del triumviro, artefice della storica vittoria su Ariovisto. _____________________ Nel frattempo in Gallia continuavano i combattimenti. Nel 55 a.C. altri popoli germanici vi penetrarono, ma Cesare fu rapido nel fronteggiarli e, quando essi si rifiutarono di ritirarsi, ne fece grande strage attaccandoli a tradimento; ordinò poi alle legioni di costruire un ponte di legno sul Reno, vera meraviglia di ingegneria campale (il fiume è largo più di 500 metri), e condusse una spedizione punitiva in Germania, al termine della quale il ponte fu smontato. Decise allora di spingersi ove nessun Romano aveva mai messo piede, nella misteriosa isola di Britannia, con il pretesto che i suoi abitanti avevano aiutato le ribellioni dei Galli; fece costruire ottanta navi e, con esse, portò due legioni nell’attuale penisola del Kent. L’esercito dei Britanni tuttavia li aspettava sulla costa e i legionari avevano timore a sbarcare; li convinse l’aquilifero della X che si buttò in acqua gridando “Desilite, commilitones, nisi vultis aquilam hostibus prodere”[11] ( “Sbarcate, commilitoni, se non volete abbandonare l’aquila ai nemici”). I Britanni furono ripetutamente sconfitti e siglarono un trattato di pace; pago del risultato ottenuto, Cesare tornò in Gallia. A Roma la narrazione delle spedizioni e delle vittorie conseguite in Germania e, soprattutto, nella lontana e misteriosa Britannia suscitarono grande scalpore; fu infatti, per l’epoca, uno sforzo organizzativo, militare e tecnologico impressionante. Catone invece (che era tornato a Roma) rimase sconcertato dalla notizia della strage dei Germani e propose per Cesare una punizione severissima, ma il Senato, al contrario, decretò a suo favore un ringraziamento pubblico. Nel 54 a.C. giunse in Gallia anche il figlio di una cugina di secondo grado di Cesare, Marco Antonio. Orfano di padre aveva trascorso la gioventù in povertà e dissolutezza, ma nel 57 in Siria aveva dimostrando non comuni capacità militari; Cesare lo aveva allora chiamato alle sue dipendenze e il giovane dimostrò subito grandi doti di coraggio, abilità tattica e aggressività in battaglia. Quello stesso anno Cesare decise di tornare in Britannia, dato che gli abitanti dell’isola avevano tradito il trattato di pace. Questa volta si mosse con ben 800 navi e 5 legioni; fu attaccato dai Britanni del re Cassivellauno, li sconfisse in due diverse battaglie e decise di portare la guerra nell’entroterra nemico, con un attacco fulmineo al di là del Tamigi. Cassivellauno si arrese, accettando di inviare periodicamente a Roma un tributo e degli ostaggi; Cesare di nuovo tornò in Gallia ma lasciò sull’isola una rete di alleanze che sarà sfruttata un secolo dopo dagli eserciti dell’impero, quando torneranno per conquistarla definitivamente. __________________ Nel 54 a.C. Bruto, tornato da Cipro, fu triumviro monetale ed emise il denario RRC 433/2, che raffigura i due grandi tirannicidi del passato suoi antenati: al dritto Lucio Bruto, al rovescio Servilio Ahala, entrambi identificati da una didascalia. Egli voleva così proporsi come il paladino della legittimità repubblicana contro la tirannide e il suo messaggio era rivolto contro Pompeo, che stava assumendo atteggiamenti autoritarî. Sappiamo da Plutarco che nel 44 a.C., per incitare Bruto ad aderire alla congiura contro Cesare, gli furono recapitati biglietti anonimi con scritto “Tu non sei un vero Bruto”, “Oh se Bruto fosse vivo!” e “Bruto tu dormi”: chi gli scriveva, chiaramente, lo esortava a onorare la promessa implicitamente fatta con questa moneta. Vale la pena, qui, fare una considerazione sulla differente statura storica di Cesare e di due dei suoi principali oppositori, Pompeo e Bruto. Il primo risultò sempre coerente nel suo disegno politico, nel perseguimento dei suoi obiettivi e nel tentativo di mantener salde le sue alleanze; gli altri, invece, si schierarono ora con lui, ora contro di lui e arrivarono anche (come attesta questa moneta) a detestarsi reciprocamente. Appaiono quindi come due opportunisti, privi di una propria strategia politica, disposti a cambiare schieramenti e alleati mossi solo dalla ricerca della gloria Pompeo, da un animo inquieto e instabile Bruto. Bruto, peraltro, si proponeva come paladino della legittimità, ma (a differenza di suo zio Catone) dimostrò di essere tutt’altro che una persona onesta e integerrima. Nel 53 a.C. infatti si recò con l’incarico di questore in Cilicia; Cicerone, quando due anni dopo giunse in quella stessa provincia come governatore, rimase sconcertato nello scoprire che Bruto vi aveva praticato l’usura arrivando a pretendere un tasso d'interesse del 48%, in aperta violazione alle leggi romane. Tale era stata la disperazione dei suoi debitori che, addirittura, cinque senatori del luogo erano morti per fame, per ripagarlo. Alla permanenza di Cicerone in Cilicia risale l’unica emissione che reca il suo nome: un cistoforo (oggi rarissimo) che reca al rovescio tre legende, M. CICERO PRO COS., AΠA. (abbreviazione di Apamea, città non più esistente, nell’odierna Siria settentrionale) e ΘΕOΠΡOΠOΣ AΠOΛΛΩΝΙΟΥ (Theopropo di Apollonio, il magistrato emittente). __________________ In Gallia alla fine del 54 Ambiorige, re della tribù degli Eburoni, sperimentò una nuova tecnica di guerra: colpire le legioni mentre erano isolate, negli accampamenti invernali. Cinse d'assedio l’accampamento di Atuatuca (odierna Tongeren), convinse con l’inganno i soldati a uscirne, li aggredì e distrusse così un’intera legione; l’aquilifero, Lucio Petrosidio, per non far cadere l’insegna nelle mani nemiche la lanciò lontano, prima di cadere ucciso[12]. Spinto dal successo Ambiorige riprovò la stessa tattica contro un altro accampamento ma il comandante di questo, Quinto Tullio Cicerone (fratello dell’oratore) riuscì a far avvisare Cesare e resistette eroicamente sino al suo arrivo; il proconsole non poté tuttavia evitare che i suoi nemici fuggissero. Contemporaneamente un’altra tribù, i Treviri, attaccarono una terza legione ma il suo comandante, il valentissimo Tito Labieno, li sconfisse duramente malgrado lo svantaggio numerico. Il furore di Cesare per la perdita della legione fu grande: in segno di lutto, promise che non si sarebbe più rasato finché non l’avesse vendicata. Suddivise il suo esercito in tre tronconi e li fece convergere sull’esercito degli Eburoni, chiudendoli in trappola e sconfiggendoli, ma Ambiorige e il suo seguito fuggirono in Germania. Allora, nel 53, fece costruire un nuovo ponte sul Reno e lanciò una seconda spedizione punitiva nel territorio germanico; ritirandosi ordinò di lasciare in piedi il ponte, a perenne monito della potenza romana (a eccezione della parte terminale, abbattuta per impedirne l’uso da parte dei nemici). __________________ Due eventi luttuosi portarono alla rottura del delicato equilibrio politico che manteneva uniti i triumviri. Nel 54 a.C. morì di malattia Giulia, moglie di Pompeo; svaniva così il legame familiare fra lui e Cesare. Nel 53 a.C. morì invece Crasso. Egli infatti, dopo aver preso possesso della provincia di Siria, mosse guerra ai Parti, formalmente per sostenere un pretendente al trono spodestato dal fratello. Poteva valersi di un esercito di 7 legioni, per complessivi 40.000 uomini, e di validi subalterni, fra cui suo figlio Publio, appositamente rientrato dalla Gallia, e Gaio Cassio Longino, un capacissimo generale; poteva inoltre contare sull’alleanza con il re d’Armenia. Crasso ideò allora una manovra strategica a tenaglia: l’esercito armeno sarebbe calato dal nord, mentre quello romano avrebbe tagliato il deserto siriano a sud, entrambi diretti alla capitale nemica. Fu un gravissimo errore: il re dei Parti aveva previsto e prevenuto il suo piano, attaccando direttamente l’Armenia per impedirle di portare aiuto ai Romani; le legioni invece furono fatte penetrare indisturbate in profondità nel deserto e poi, quando furono nei pressi di Carre (odierna Harran), lontano dalla via di fuga dell’Eufrate, attaccate a sorpresa da un nutrito contingente di agili arcieri a cavallo, al comando dell’abilissimo generale Surena. La cavalleria romana tentò un contrattacco, ma cadde in trappola e fu annientata: il suo stesso comandante, Publio figlio del triumviro, fu ucciso. Di fronte a questa tragedia, Crasso apostrofò le truppe con grande contegno, dicendo loro “Questo è un mio lutto personale, o Romani, ma la grande gloria e il grande destino di Roma risiedono in voi … Roma è arrivata a un potere tanto grande non grazie alla fortuna, ma perché i Romani hanno affrontato i pericoli con coraggio e ostinazione”. Malgrado le esortazioni di Crasso, si verificò un fatto unico nella storia della Repubblica: spesso infatti è avvenuto che le legioni siano state sconfitte, sopraffatte e distrutte, oppure si siano arrese al nemico o ribellate al comandante, ma solo a Carre è accaduto che abbiano perso la volontà di combattere. Probabilmente fu una combinazione di cause a determinare questo effetto: la stanchezza della marcia, la sete nel deserto, la superstizione (si erano verificati molti presagi infausti), la sfiducia nel condottiero (Crasso poteva vantare come suo unico successo, seppur rilevante, la vittoria di Porta Collina), la paura di un nemico sfuggente, l’inesperienza (molti soldati erano reclute); fatto sta che l’esercito di Roma, improvvisamente, si rivelò incapace di reagire. Crasso ordinò la ritirata dentro le mura della città fortificata di Carre. A Carre si verificò lo scontro fra il triumviro e Longino: il primo voleva ritirarsi verso nord, per raggiungere le montagne dell’Armenia, il secondo a sud, per tornare in Siria, strada più difficile ma meno prevedibile. Aveva ragione Longino: lo seguirono 10.000 legionarî e riuscirono ad arrivare in Siria, unici sopravvissuti della cruenta battaglia di Carre. Il resto dell’esercito si mosse invece verso nord e fu raggiunto da Surena in persona, che offrì di discutere un armistizio. Crasso subdorò un’altra trappola, ma l’esercito lo obbligò ad accettare; egli allora disse loro: “se vi salverete, riferite a tutti che Crasso cadde perché ingannato dal nemico, non perché tradito dai propri concittadini”. E così fu: l’iniziativa di Surena era un tranello; Crasso fu ucciso e i legionarî sopravvissuti fatti prigionieri. Ormai convinto di aver debellato l’esercito romano Surena attaccò la Siria, deciso a conquistarla, ma Longino, con i suoi pochi e demoralizzati legionarî, lo sconfisse duramente, obbligandolo a tornare in Mesopotamia. Morti Giulia e Crasso, la rivalità tra Cesare e Pompeo degenerò in gelosie e reciproci sospetti; ne approfittò Catone, che architettò una coalizione di optimates, in funzione anticesariana, e convinse Pompeo (che non aveva mai raggiunto l’Hispania, governando scandalosamente le province assegnategli senza allontanarsi da Roma) a svolgere, di nuovo, la funzione di difensore del Senato. __________________ Mentre Romani e Parti combattevano in oriente, a Roma Clodio presentò la sua candidatura per la pretura, Milone quella per il consolato. Il confronto politico fra i due divenne rapidamente uno scontro violento fra le rispettive bande armate, tanto che il Senato dovette sospendere le elezioni e rinviarle ai primi mesi del 52. Il 18 gennaio, tuttavia, i due avversarî si incontrarono casualmente sulla via Appia, presso Bovillae (probabilmente, nell’odierno comune di Marino), entrambi scortati da schiavi armati; ne nacque uno scontro e Clodio rimase ucciso. Quando il suo cadavere fu portato a Roma la folla, inferocita, lo volle cremare nella vecchia sede del Senato, la Curia Hostilia, causando un incendio che la distrusse. Impauriti dall’ondata di violenza incontrollata che ne seguì, il Senato adottò un senatus consultum ultimum (il primo, dall'epoca della congiura di Catilina) e nominò Pompeo consul sine collega incaricandolo di riportare l’ordine in città, cosa che egli fece. Milone, processato, fu condannato all’esilio. __________________ Alla fine del 53 a.C. presso Cenabum (odierna Orleans) i Galli uccisero alcuni commercianti e funzionarî romani. Ne approfittò un nobile della tribù degli Arverni, che si pose a capo di una fazione contraria al dominio di Roma e si fece proclamare re; di lui conosciamo solo più il soprannome, “Potente Re Guerriero”, in lingua celtica “Vercingetorige”[13]. In breve tempo Vercingetorige convinse molte altre tribù a unirsi a un’alleanza anti-romana. Cesare, che si trovava in Gallia Cisalpina, capì immediatamente il pericolo: raggiunse velocemente Narbo e da là, fra i mesi di gennaio e febbraio del 52, con una mossa audace e imprevedibile attraversò i valichi innevati delle montagne Cevenne, in pieno territorio nemico, ricongiungendosi con le legioni stanziate più a nord prima che restassero isolate. Riunite le truppe, il proconsole mosse contro gli insorti ma Vercingetorige, capito che il tallone d’Achille delle legioni era la possibilità di approvvigionarsi di cibo presso i grandi agglomerati urbani, distrusse tutte le città galliche che si trovavano sul loro cammino. Una sola città fu risparmiata, Avarico (odierna Bourges), e quando Cesare vi giunse la cinse d’assedio; probabilmente questa mossa fu prevista dallo stesso Vercingetorige[14], che sperava così di inchiodare le legioni nel lungo e logorante assedio di una città ritenuta inespugnabile, ma aveva sottovalutato i Romani. Le legioni riuscirono a costruire un terrapieno alto quanto le possenti mura di Avarico e, così, la conquistarono; le scorte di cibo che vi trovarono permisero ai soldati di sopravvivere alla guerra di logoramento. Malgrado questo insuccesso, il prestigio di Vercingetorige cresceva di giorno in giorno e riuscì a portare dalla propria parte anche gli Edui, una delle più potenti tribù galliche che era, da circa un secolo, fedele alleata di Roma; ormai, quasi tutti i popoli della Gallia erano uniti contro l’invasore. Lo scontro fra esercito romano e gallico si ebbe presso Gergovia, capitale degli Averni (città non più esistente), e fu una sconfitta per Cesare. Un secondo gruppo di legioni si trovava a Lutetia (attuale Parigi), ai comandi di Labieno; Cesare, rimasto senza alleati, capì che era necessario riunire tutte le sue truppe e gli ordinò di avvicinarsi. Labieno si trovò circondato da nemici, a causa dell’improvvisa sollevazione di tribù sino allora rimaste pacifiche, ma seppe rompere l’accerchiamento e si ricongiunse a Cesare presso Agendicum (attuale Sens); l’esercito romano comprendeva ora 11 o 12 legioni, prive però di truppe ausiliarie, e quindi ammontava a soli 50.000 soldati. Impossibilitato a difendersi in un territorio divenuto interamente ostile, Cesare cercò di ritirarsi presso la provincia della Gallia Narbonense e allora Vercingentorige commise un errore fatale: credette che le legioni fossero ormai stremate, dalla fame e dai combattimenti, e potessero essere definitivamente debellate; le affrontò così con un esercito quasi doppio, 80.000 soldati, ma fu sconfitto e si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia (cittadina non più esistente), in attesa che arrivasse l’esercito di rinforzo, forte di 250.000 combattenti. Cesare capì che lì si giocava il tutto per tutto: cinse la collina di Alesia con una linea fortificata, per impedire la fuga di Vercingetorige, e poi fece costruire una seconda linea fortificata più ampia e più esterna, per difendersi dai rinforzi che sarebbero giunti; dopo di che, attese. Lo aiutavano molti validissimi generali: fra gli altri, Tito Labieno, Marco Antonio, Decimo Giunio Bruto Albino e un homo novus, Gaio Trebonio. L’esercito di rinforzo arrivò forse a inizî ottobre e coordinò i suoi attacchi con quello chiuso ad Alesia. Per giorni interi le fortificazioni dei Romani, al tempo stesso assedianti e assediati, furono assalite contemporaneamente dall’interno e dall’esterno; in questa situazione, “I Romani erano terrorizzati dal grido che si alzava alle loro spalle mentre combattevano, poiché capivano che il pericolo dipendeva dal valore di coloro che proteggevano le loro spalle”[15]. Il momento più critico si ebbe quando 60.000 soldati galli, scelti fra i più valorosi, assaltarono il campo romano posto a settentrione, che rappresentava il punto più debole della cinta fortificata; intervenne Cesare personalmente e, per essere riconosciuto dalle sue truppe, cinse il mantello rosso (simbolo del suo imperium proconsolare), incurante del fatto che lo rendeva visibile anche al nemico. Malgrado l’enorme sproporzione di forze (50.000 legionarî contro 330.000 Celti), le difese romane ressero. L’esercito di rinforzo si ritirò e si disperse, i Galli sopravvissuti tornarono alle loro tribù. Vercingetorige uscì da Alesia, solo, gettò le proprie armi ai piedi di Cesare e si inginocchiò, in segno di resa incondizionata. La Gallia era stata definitivamente conquistata; nel 50 a.C. fu dichiarata provincia romana e divenne una delle regioni più profondamente romanizzate d’Europa. __________________ Nel 51 a.C. morì la sorella di Cesare, Giulia. L'orazione funebre fu pronunciata da suo nipote (figlio della figlia Azia), un giovane di soli 12 anni con lineamenti delicati e grande cultura, Gaio Ottavio Turino. __________________ Cesare sapeva che, quando avesse perso l’imperium proconsolare (che gli garantiva l’immunità processuale), i suoi avversari politici lo avrebbero processato per le molte stragi compiute in Gallia. Pensò allora di candidarsi a console per il 49 a.C. (per assicurarsi nuovamente l’imperium), ma per presentare la sua candidatura avrebbe dovuto entrare a Roma e quindi varcare il pomerium, gesto che avrebbe fatto decadere l’imperium proconsolare. Chiese allora di potersi candidare in absentia, ma il Senato gli negò questa possibilità (sebbene concessa in passato ad altri comandanti militari, come Gaio Mario). Tentò un’altra strada per tutelarsi dalla vendetta dei suoi avversarî: propose che sia lui sia Pompeo sciogliessero tutte le proprie legioni, ma il Senato non acconsentì e, anzi, ingiunse a entrambi di cedere una propria legione a favore di una futura campagna contro i Parti; obbedirono, ma Pompeo cedette proprio quella che aveva precedentemente “prestato” a Cesare, talché questi si vide privato di due legioni. Chiese nuovamente di potersi candidare in absentia, ma la risposta del Senato - sobillato da Catone - fu tranciante: se alla fine del 50 a.C. non avesse sciolto tutte le legioni rimastegli e non si fosse presentato nell’Urbe da privato cittadino sarebbe stato dichiarato hostis publicus. Alcuni tribuni della plebe tentarono di difendere le sue posizioni, ma furono cacciati da Roma. Cesare non aveva più altre strade. Il 10 gennaio del 49 a.C. ordinò a cinque coorti di attraversare in armi il fiume Rubicone, che segnava il confine della sua provincia, e si affidò all’incertezza di una nuova guerra civile: come egli stesso disse, “alea iacta est” ( “il dado è stato lanciato”). NOTE [1] Che effettivamente veniva compiuta (come nei casi, citati, di Brenno, Taranto, Filippo V, Lega Achea, Cimbri e Tigrane II). [2] Come aveva fatto, invece, Alessandro Magno, determinato a raggiungere la fine delle terre emerse. [3] Così dice Plutarco; Svetonio invece colloca il fatto nel 69 a.C., quando Cesare si era già recato nella penisola iberica da questore. [4] In antichità le legioni di Roma erano 4, per console, numerate da I a IV. Quando le esigenze militari crebbero, e con esse il numero delle legioni, l’assegnazione dei numeri fu un po’ caotica; non è quindi sempre semplice determinare se una determinata legione, citata dalle fonti con riferimento a un episodio, sia la stessa citata, con la uguale numerazione, in un altro caso. [5] È probabile che fosse stato privato dei diritti civili per la ribellione del padre (vd. pag. 66) e sia ricorso all’espediente di farsi adottare per ridiventare civis Romanus. [6] Che ne aveva sposato la sorella (subito morta di parto) nell’82 a.C. [7] Alcune lettere possono mancare, nelle molte varianti di questa moneta. [8] Popolazione celtica che abitava l’odierna Confederazione Elvetica; ne facevano parte i Tigurini, già alleati dei Cimbri (vd. pag. 51). [9] Negli anni Cesare aumentò progressivamente il numero delle legioni a sua disposizione (arruolandone di nuove e ricevendone una là distaccata da Pompeo), che arrivarono sino a un massimo di 10. [10] Sappiamo che per finanziarle Clodio destinò un quinto delle tasse, pari a 64 milioni di sesterzî: possiamo così stimare in 80 milioni di denarî (320 milioni di sesterzî) le entrate annue del fisco repubblicano. [11] De Bello Gallico, IV, 22. [12] Alcuni autori moderni ritengono che Petrosidio fosse lo stesso aquilifero autore dello sbarco in Britannia, ma è improbabile: infatti, quello apparteneva alla X legione, che non fu sicuramente distrutta ad Atuatuca (probabilmente, la legione distrutta fu la XIV). [13] Il suffisso -rix, -rigis, comune ad altri nomi tramandatici dal De Bello Gallico (come il predetto Ambiorige), equivale al latino rex, regis e dimostra che questi non sono veri nomi di persona, ma titoli nobiliari o soprannomi. [14] Secondo il De Bello Gallico, invece, Avarico non fu distrutta per ragioni sentimentali, essendo l’antica capitale della tribù dei Biturigi, ma sembra una motivazione inconsistente. [15] De Bello Gallico, VII, 84. ILLUSTRAZIONI 58 a.C, denario RRC 422/1 56 a.C, denario RRC 426/1 Ricostruzione grafica del Teatro di Pompeo e via di Grotta Pinta a Roma, che ne ripete la forma Tre denari del 55 a.C.: nell'ordine, RRC 427/2, RRC 428/3 e RRC 430/1 54 a.C., denario RRC 433/2 51-50 a.C., cistoforo di Cicerone1 punto
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LA MONETE CON SIMBOLI E LETTERE Studiando le monete della fine della Repubblica, è chiaramente evidente che i Romani ne consideravano ufficiali e legittime due tipologie differenti: quelle emesse sotto la supervisione dei tresviri, probabilmente previa autorizzazione del Senato, e quella emesse invece in forza dell’imperium. Poiché infatti l’imperium era concepito come un potere quasi assoluto (soprattutto fuori Roma), si consideravano valide le monete che i magistrati cum imperio avevano ordinato di coniare; cosa che, normalmente, essi facevano quando si trovavano fuori dall’Urbe, per finanziare campagne militari, servendosi di zecche ausiliarie (o addirittura dei tecnici delle legioni[1]), talvolta delegandone la supervisione a questori o proquestori[2]. Le monete emesse in forza dell’imperium sono dette oggi “imperatoriali”, con riferimento all’ultimo cinquantennio della Repubblica (quando il fenomeno crebbe di importanza), o “itineranti” (perché prodotte da zecche che si spostavano sul territorio, al seguito delle truppe), con riferimento alle epoche precedenti. Da un punto di vista teorico, tuttavia, non c’è differenza fra imperatoriali e itineranti. Precisato quanto sopra, ci si chiede quando il fenomeno della monetazione itinerante sia nato; infatti, se la moneta non reca il nome del magistrato che ne ha ordinato l’emissione (come avverrà spesso - ma non sempre - per le imperatoriali), è difficile distinguerla da un’emissione ordinaria. Viene qui però in evidenza un altro fenomeno: alcuni quadrigati e alcuni bronzi precedenti alla riforma sestantale presentano un simbolo al rovescio, una spiga di grano[3]; con l’introduzione del denario e del vittoriato la varietà di simboli cresce enormemente (oltre alla spiga, ancora, apex, pentagramma, crescente, bastone, etc.) e, inoltre, compaiono molte monete con una lettera o un piccolo gruppo di lettere (M, C, VB, MA, AVR, etc.). È opinione comune (corroborata dai rinvenimenti nei ripostigli) che questi simboli e lettere siano stati introdotti proprio per distinguere le monete emesse fuori Roma[4] da quelle invece prodotte nella zecca dell’Urbe; poiché inoltre - come si è visto - tutte queste monete sono normalmente datate all’epoca della Seconda Guerra Punica[5], se ne deduce che il fenomeno della monetazione itinerante sia nato in quel periodo, per evitare spostamenti di denaro tra l’Urbe e i suoi eserciti, attraverso territorî resi insicuri dalla presenza di truppe cartaginesi. In altri termini, le prime emissioni con simboli o lettere costituiscono l’esempio più antico di monete prodotte e usate direttamente dai legionarî. Secondo Crawford, le emissioni con simboli o lettere che si devono considerare come itineranti, per le esigenze della Seconda Guerra Punica, sono quelle che egli ha raggruppato nelle serie da RRC 59 a RRC 111 e da RRC 125 a RRC 131. In seguito tuttavia, seppur terminata la guerra, si continuò a produrre monete con simboli, anche presso la zecca di Roma. Probabilmente, distinguere le proprie monete mediante apposizione di simboli era diventato una specie di “moda”, che piacque e fu seguita anche dai tresviri, come si vedrà in seguito[6]. NOTE [1] Un esempio di conio utilizzato dalle legioni è quello illustrato a pag. 5. [2] Per questo, alcune monete imperatoriali recano la legenda “Q” o “PRO Q”, eventualmente col nome del questore. [3] Come nel caso del sestante raffigurato a pag. 30. [4] In particolare, simboli e monete potrebbero indicare la zecca (ad esempio, la spiga di grano potrebbe fare riferimento alla Sicilia, l’ancora alla zecca di una flotta) oppure il magistrato che ha ordinato l’emissione (ad esempio, AVR potrebbe stare per Aurunculeius). [5] Compresi i quadrigati con spiga di grano, RRC 42/1, che costituirebbero una delle ultime emissioni di questa moneta (Crawford li data al 214-212 a.C.). [6] È possibile che non solo levlettere, ma anche alcuni simboli servissero a identificare il monetiere: ad esempio, l’asino presente sui bronzi della serie RRC 195 (datata 169-158 a.C.) potrebbe alludere, secondo Grueber, al cognomen Silanus (perché, nella mitologia greca, Sileno viaggiava spesso in sella a un asino). ILLUSTRAZIONI Vittoriato RRC 95/1. Al retro, monogramma "VB". Secondo Crawford questa moneta fu emessa nel 211-208 per finanziare la guerra annibalica; secondo Thomsen, invece, nel 215-214 per preparare la spedizione contro Filippo V di Macedonia. Il monogramma al rovescio (VB) potrebbe indicare la zecca di Vibo Valentia oppure (secondo Thomsen) di Vibinum (città apula, oggi scomparsa). Denario RRC 172/1. Le monete di questa serie sono di verosimile provenienza sarda, come dimostra il fatto che sono state prevalentemente rinvenute sull’isola e che i bronzi di questa serie sono spesso ribattuti su monete sardo-puniche. Crawford le data al 199-170 a.C. e le attribuisce a Publio Manlio Vulsone, pretore in Sardegna nel 210; è difficile, però, ammettere che le emissioni portassero ancora la sigla MA in un periodo che va da 10 ad addirittura 40 anni dopo la sua pretura (anche ammettendo che Vulsone sia rimasto alcuni anni sull’isola dopo la fine del suo mandato, come propretore). Breglia, invece, attribuisce queste monete ad Aulo Cornelio Mammula, che fu propretore in Sardegna proprio nel 217-216 a.C., e ritiene che siano state emesse in seguito alla disfatta di Canne, che comportò una riduzione dei finanziamenti provenienti da Roma. Datare questo denario al 216 a.C., tuttavia, imporrebbe di riconsiderare la cronologia stessa del denario: infatti, poiché il peso medio degli assi di questa serie è di 1 oncia, non di 2, la riforma sestantale (e quindi l’introduzione del denario, sicuramente coeva) anderebbe datata al 230 a.C., se non addirittura al 250 (come appunto Breglia credeva). Asse RRC 173/1, con al retro legenda "C SAX", sciolto in Gaius Clovius Saxula, come il pretore del 173 a.C. (di cui, forse, questo monetiere era figlio).1 punto
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Inserisco con piacere l'ultima moneta entrata in collezione. Mezzo scudo da 6 tarì 1611 della zecca di Messina, acquistato stamane dalla numismatica Fonseca presso il convegno di Catania. Moneta costata parecchio per le mie tasche, ma molto meno dei prezzi che sta facendo ultimamente in asta, per me inarrivabili. Vi chiedo, anche solo per curiosità, un parere sulla conservazione e un parere sul valore di mercato della moneta in questa conservazione.1 punto
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Sono convinto che il 90% dei miei colleghi archeologi (quelli che conosco io, ovvio), se facessi finta di trovare una moneta su uno scavo, la prenderebbero per buona a prescindere, e dopo, pubblicherebbero sia foto che ritrovamento. Sinceramente non vedo cosa ci sia di male se la moneta è coerente col contesto di ritrovamento. Ovviamente la moneta andrebbe studiata come il resto di tutti i materiali di scavo. Se invece che una moneta buttassi una patera in sigillata in una tomba romana non vedo perchè la dovrei ritenere falsa, se non vi fossero prove lampanti della sua falsità. In uno scavo con centinaia, migliaia di reperti bisognerebbe partire coll'idea che ciascuno di essi potrebbe essere un falso? Mi sembra un'idea un pò assurda e che anche in questo caso causerebbe la paralisi degli studi. Certo se trovassi una moneta di Cesare nella tomba di Tutankhamon qualche dubbio me lo porrei... Non tutti gli archeologi sono numismatici e non tutti i numismatici accademici sono a conoscenza delle tematiche di falsificazione e si limitano a: "trovata in scavo=buona". Anche non tutti i numismatici, anzi molto pochi, al contrario sono archeologi. Trovata in scavo=buona. In linea di massima direi proprio di sì. Non è che c'è un Black Sea Hoard al giono... Quando faccio uno studio, è mia premura prima vedere se ciò di cui sto parlando è autentico o meno... ottima cosa teoricamente,altrettanto se stai studiando 20 monete e tutte sotto mano... ma se devi fare uno studio complessivo su un'intera monetazione con migliaia di monete sparse in tutto il mondo, di alcune delle quali magari disponi solo di una pessima fotografia, non puoi fare altro che fidarti degli studiosi che se ne sono occupati e le hanno potute vedere di persona. Altrimenti è meglio che studi qualcosa d'altro... ho il terrore di fare figuracce stratosferiche. :-) questa invece è una pessima cosa: Every year new discoveries are constantly helping us to fill in this and the other feature, to sharpen the perspective and even to remove the accretions of a faulty tradition. Historical science, no less than history itself, represents a continual process of integration; and the validity of any formulation is directly related to the contemporary state of knowledge. (F.W.Walbank) La paura di sbagliare è come un bastone infilato tra le gambe di un corridore... l'importante è fare le cose al meglio delle nostre possibilità attuali, migliorarsi sempre più e non avere paura, nè vergogna di riconoscere propri eventuali errori... Tu dici: Bella discussione...però ho notato una cosa abbastanza strana........si prende per appurato che gli esemplari museali siano autentici...perché, appunto, museali. Io ti rispondo: si prende per appurato che gli esemplari museali siano autentici ( e comunque come ho detto con riserva)...non perché, appunto, museali, ma perchè essendo museali sono stati studiati e visionati direttamente dagli esperti che in quei musei li hanno accettati. Si dice sempre che non si può giudicare da una sola foto, ma bisogna avere la moneta in mano... dunque in linea di massima tu invece dai più peso alla tua lettura di una moneta attraverso una foto, piuttosto che al parere di un numismatico che quella moneta l'ha potuta maneggiare? E che mi dici delle monete che invece non sono neppure corredate da foto? Devo presumere che nei tuoi studi monete del genere non potrebbero nemmeno entrare, dato che non hai possibilità di giudicarle tu stesso e che invece, mi pare di capire lavorando tu come archeologo (buon per te, io ho purtroppo preso altre strade...), tu ti occupi solamente di studiare monete che ti vengono affidate direttamente per studiarle. E per i confronti come fai? Occupandoti tu soprattutto di romane, come fai a definire una moneta in base al RIC? Come fai a verificare ogni singola moneta, laddove tra l'altro di molte non c'è la foto? Tu hai detto: È un po' come fare una tesi, citare le fonti o bibliografie varie, senza controllarne la veridicità. Ma tu catalogando una moneta in base al RIC stai facendo proprio ciò che neghi di fare... ossia ti stai affidando a uno studio condotto da chi ti ha preceduto senza poterne controllare la veridicità. Ciò è giusto al 100%? No, ma è l'unico modo possibile se si vuole fare ricerca e non semplicemente stabilire l'autenticità o meno di una moneta che si ha in mano... Come vedi ognuno ha i suoi modi di lavorare ma come ti ho scritto, preferisco prevenire che curare...e dover smentire uno studio di mesi solo perché ho dato per appurato che gli esemplari citati fossero autentici senza poter dare un mio giudizio critico e anzi, senza interessarmi minimamente di voler dare un giudizio critico, lo troverei alquanto brutto e per quanto mi riguarda sarebbe e rimarrebbe una bella figuraccia.1 punto
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Stasera leggo le greche... :-D che volete che vi dica, non so che fare. Bella discussione...però ho notato una cosa abbastanza strana........si prende per appurato che gli esemplari museali siano autentici...perché, appunto, museali. Non sarebbe nuovo uno studio basato su falsi museali... I falsi ce li hanmo eccome...e anche loro, come noi, non sono infallibili e qualcuno gli scappa. Un paio del British glieli ho sgamati... :-P1 punto
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