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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 08/20/25 in tutte le aree
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Buonasera...giusto per risollevare questa "discussione/carrellata" di monete napoletane...vi propongo questa...patina marrone-blu bella antica...qualche traccia di malachite, ma un 3 grana con un bel pò di dignità. Dignità nonostante le debolezze e le fratture di conio...ma trattasi di moneta rara, e mio avviso tutto sommato ben conservata. Parlavo con alcuni amici, di come provvederò a metterla in bagno con olio di vaselina puro e cercherò di togliere quelle intrusioni di malachite...per il resto un 3 grana ◇rombo...in questo caso spostato verso l'alto, rami senza bacche, punto di compasso bello evidente e come dicevo fratture di conio che a memoria ho visto solo su un altro esemplare esitato da Ranieri, molto più bello di questo ma con il secondo 1 di 1810 rotto come questo... a memoria ricordo solo questi due ... già il rombetto dopo GRANA nei cataloghi la fa r2...ma da collezionista scrivo che sono più comuni i rombi allineati con GRANA e quelli posti dopo date con le cifre cicciotte... a voi la moneta... leggerò e guarderò volentieri foto di altri esemplari uguali p.s. la posterò anche nella mia discussione "maniacale" ...noche3 punti
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Carissimi, in queste calme (e calde!) giornate agostane sono felice di condividere per la prima volta con voi un acquisto di diversi mesi fa, che mi ha spinto a fare un approfondimento sul tesoro "della centrale a gas" di Limoges scoperto nel 1926. Sul forum ho notato diverse discussioni volte a raccogliere informazioni sul tesoro in oggetto (ad es. qui IL TESORETTO DI LIMOGES). Spero queste mie righe possano essere utili per tutta l'utenza. La moneta La moneta, acquistata in "retail" presso la francese CGB (Comptoir Général de la Bourse), è un comunissimo denario di Settimio Severo (RIC 150) dal peso di 3.28 gr e dal diametro di 19.5 mm. Al diritto, un ritratto dell'imperatore ancora gradevole, con legenda SEVERUS AUG PART MAX. Al rovescio, la Vittoria alata che sorvola uno scudo posto su un cippo, e la legenda PM TR P VIII COS III PP. Di seguito una foto (credits Cgb.fr). La moneta era messa in vendita insieme a un cartellino identificativo da collezione, di cui vi posto le foto qui di seguito, con catalogazione di Occo (rif. p. 274 linea 8). Era la prima volta che acquistavo una moneta con "pedigree" e, intrigato da questo fatto, mi sono subito messo a cercare notizie sul tesoro. Tuttavia, come altri prima di me, inizialmente non sono riuscito a trovare informazioni rilevanti e di "prima mano". Poi un giorno, consultando il sito "Coin hoards of the Roman Empire" (https://chre.ashmus.ox.ac.uk/reference/1155), mi è apparso il nome di un tale Henri HUGON, che avrebbe scritto un articolo a riguardo nella rivista "BSAHL" del 1927. Facendo ricerche su tale Hugon, mi sono imbattuto nella Société Archéologique et Historique du Limousin (SAHL), di cui tale Hugon faceva parte. Ho finalmente compreso che la B di BSAHL stava per "Bollettino", e sono riuscito a trovare sul sito della Biblioteca Nazionale di Francia, il "Bulletin de la Société" del 1927, in cui figura lo studio di Henri Hugon, che fu incaricato insieme ai Sig.ri Delage e Martinaud di realizzare l'analisi del tesoro. Il Bollettino del 1927 è leggibile e scaricabile al seguente link (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6552329x/f66.item). Lo studio sul tesoro va da p. 60 a p. 71. Il tesoretto "della centrale del gas" di Limoges (1926). Di seguito una mia sintesi dello studio realizzato dal Sig. Henry Hugon, pubblicato nel 1927. Il tesoro è stato scoperto il 7 maggio 1926 à Limoges, presso i terreni appartenenti alla Società anonima del gas e dell'elettricità di Lione, proprietaria anche della centrale a gas di Limoges. Durante dei lavori edili, gli operai della Società urtano una giara di tipo "dolium" alta 40 cm, che si rompe e rivela il suo contenuto ossidato. Compreso il contenuto, gli operai presenti (non sappiamo quanti) si riempiono le tasche di denari e disperdono dunque una parte del tesoro (ancora oggi si ignora il numero totale delle monete disperse in quei primi momenti). Alcune monete verranno in seguito recuperate dalla Società in cambio del pagamento di una somma in denaro per il ritrovamento. La cosa interessante è che, per calcolare il peso dell'argento contenuto nei denari (e quantificare l'indennizzo), la Società farà analizzare il metallo contenuto in alcuni denari presi a campione. Questo il risultato: Denario Settimio Severo: AR 48.7% Denario Julia Domna: AR 48.8% Denario Caracalla: AR 47.3% Denario Geta: AR 45.1% Denario Alessandro Severo: AR 37.8% Denario Julia Mamea: AR 36.7% Raccolto l'insieme, la Società incarica la SAHL di realizzare un inventario dettagliato della scoperta. Purtroppo, l'articolo pubblicato nel bollettino non fornisce nel dettaglio le tipologie dei denari trovati, ma soltanto un riassunto del numero di monete e tipologie per imperatore. In totale sono state trovate 6.393 monete, tutti denari d'argento tranne quattro antoniani, che vanno da Antonino Pio a Postumo. I tre personaggi più presenti sono Caracalla (2.126 denari, 16 tipologie di diritto e 72 di rovescio), Settimio Severo (1.453 denari, 6 tipologie di diritto e 55 di rovescio) e Julia Domna (1.031 denari, 5 tipologie di diritto e 28 di rovescio). Ad eccezione di Annia Faustina, è presente tutta la dinastia severiana. Di seguito la tabella riassuntiva. Hugon nell'articolo precisa di aver realizzato un inventario più dettagliato per l'insieme delle tipologie, consegnato alla Società del gas e in duplice 2copia alla SAHL, di cui tuttvia non sono riuscito a trovare traccia in internet. In compenso, Hugon descrive in maniera narrativa alcuni dei pezzi più rari trovati nella giara: alcune monete di Pertinace, Clodio Albino, ma sopratutto un denario "ibrido" (mule?) mai recensito, con al diritto il busto di Settimio Severo e al rovescio il busto e i titoli di Caracalla infante. Data la presenza dei quattro antoniani (1 di Treboniano Gallo, due di Valeriano e uno di Postumo), Hugon ipotizza l'esistenza di almeno un'altra giara andata perduta, contenente le monete più contemporanee di chi ha nascosto il tesoro. Infatti, i lavori di scavo hanno permesso di stabilire che la giara era stata posta in un ampio spazio scavato in una parete di tufo. Un crollo parziale di questa cavità avrebbe permesso a questa giara di denari di non essere vista e quindi di rimanere dov'era. Realizzato lo studio, Hugon accenna che una parte del tesoro fu donata dalla Società a diversi musei d'oltralpe, senza però dare maggiori dettagli. Incrociando queste informazioni con quelle riportate nel seguente articolo del "Corpus des Trésors Monétaires Antiques de la France", p. 76, (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bd6t5370037z.image) possiamo avere un'idea più dettagliata del numero di monete donate: 324 monete al Museo municipale di Limoges, altrettante al Museo nazionale delle Antichità di Lione e al Museo delle antichità di Parigi. 16 al piccolo Museo di Gueret e 15 alla "Società degli Antiquari di Poitiers". In totale, circa un migliaio di monete furono donate al "pubblico", le restanti sono rimaste alla Società negli uffici centrali di Lione e nella Centrale a gas di Limoges. Non sono riuscito a trovare maggiori informazioni sulle tipologie dei pezzi donati ai musei. Inoltre, non ho trovato notizie sul destino che gli abbia fatto fare la Società del gas: le ha vendute in asta? Le ha distribuite agli azionisti? Sono state tenute dall'Amministratore delegato o dal Direttore della centrale di Limoges come "bonus"? L'insieme di queste ipotesi? Secondo Hugon, la scoperta del tesoro di Limoges ha posto le basi per ridisegnare la storia della regione. Fino a quel momento infatti, nella regione dell'antica Augustoritum (Limoges) non erano stati ritrovati tesori importanti, e questo aveva spinto numerosi studiosi a ipotizzare un declino della città per cause naturali. Hugon nel suo studio ipotizza invece come il tesoro della centrale a gas sia da inquadrare negli anni turbolenti dell'ascesa di Postumo (di cui è stata trovata una singola moneta nel ripostiglio) e della nascita "dell'impero delle Gallie". Due parole vorrei spenderle sul numismatico Henri Hugon, classico erudito di fine Ottocento, che fu chiamato a gestire la classificazione del tesoretto. Alto funzionario pubblico francese, diventa Direttore Generale dell'Agricoltura in Tunisia, all'epoca protettorato francese. In Tunisia, scrive il primo trattato di numismatica del Paese, "Numismatique Beylicale", che diventerà la referenza per le monete dei Bey di Tunisi. In pensione, va a vivere nel limosino dove si dedica interamente alle attività storico-archeologiche della SAHL, di cui diventerà presidente. Mi sembrava giusto rendergli omaggio. I "passaggi" della moneta e l'etichetta da collezione Un altro fatto curioso ma importante riguarda i vari passaggi che la moneta ha effettuato. CGB nel pedigree aveva inserito unicamente la provenienza dal tesoretto di Limoges. Tuttavia, sono riuscito a individuare almeno due altri passaggi: nel 2017, è stata messa all'asta dal sito "La galerie des monnaies .fr" che ha gestito la vendita di un ampio lotto di monete romane per conto della casa d'aste Prado Falques di Marsiglia (Monnaies Romaines LES SÉVÈRES (193-235 après J.-C.). Insieme alla mia moneta, altri 50 pregevoli pezzi provenienti dallo stesso tesoro. La cosa interessante, tuttavia, è che tra queste 51 monete figura anche il denario con al diritto il busto di Settimio Severo e al rovescio il busto di Caracalla infante, considerato un ibrido unico, descritto nello studio di Hugon (vedi sopra) come il pezzo più raro trovato nella giara. Con ragionevole certezza, pensavo poter affermare che questo lotto di monete, (tra cui anche la mia), facesse parte di quelle catagolate da Hugon nel 1926, poi "tenute" dalla Società del gas di Limoges e quindi disperse chissà come. Poi però ho notato che tra le monete esitate, figura un denario di Gordiano Africano, non recensito dallo studio di Hugon: che fosse una delle monete intascate dagli operai e acquistate dal collezionista? Che ci sia stato un errore in sede di inventario da parte di Hugon? Nel frattempo, ho scritto una email al sito "La galerie des monnaies", chiedendo se potessero rivelare maggiori dettagli sulla provenienza del lotto di monete in questione. Vi farò sapere se dovessero mai rispondermi (tentar non nuoce). Alcune delle monete vendute nel dicembre 2017 sono riapparse nel 2018 da CGB, tra cui il denario ibrido/mule con i busti di Settimio Severo e Caracalla, che ha rivenduto nella Live auction del 5 giugno 2018. Nel 2024, la mia moneta insieme ad altre 8 (sempre tutte precedentemente passate da Prado Falques/La galerie des monnaies) è poi riapparsa tale e quale nell'E-Auction 8 di MDC del 9 marzo 2024. CGB ha nuovamente fatto incetta e le ha acquistate tutte e messe in boutique. Cercando in rete, sono riuscito a trovare un'altra etichetta di una moneta proveniente dalla stessa collezione esitata da Prado Falques e poi da MDC (Finally: a type I've wanted for years! - Roman Empire - Numis Forums), e un'altra etichetta del 1914 che potrebbe essere dello stesso collezionista, proprio su questo forum (https://www.lamoneta.it/topic/169001-aureliano-comune-ma-con-pedigree/#comment-2120863), che però non ho ritrovato sul catalogo online "La galerie des monnaies" del 6 dicembre 2017. Considerazioni personali finali Mi sono divertito molto a fare queste richerche. Questo è stato uno dei primi acquisti e mi ha spinto ad approfondire tanti aspetti non prettamente "numismatici" che però mi hanno ugualmente entusiasmato. Credo di aver pagato un po' troppo (200 EUR), soprattutto considerata la tipologia e qualità di conservazione della moneta. Cercando i vari "passaggi" del pezzo ho infatti notato come solamente nel marzo 2024, nell'asta MDC, il prezzo di aggiudicazione fu di soli 50 EUR. Forse i prezzi MDC erano un po' bassi, ma quello che ho pagato trovo sia un tantino alto. In compenso, la moneta mi piace molto e ha una storia particolare da raccontare (oltre alla storia initrinseca della sua coniazione). Spero questo mio (lungo) intervento vi abbia entusiasmato quanto ha entusiasmato me scriverlo. Rimango ovviamente in attesa di commenti, info aggiuntive, considerazioni o critiche. Grazie mille per l'attenzione e un caro saluto a tutti. K3 punti
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Buongiorno, vorrei presentarvi una delle mie rare monete che ho comprato periziate ed è l'unica che custodisco con la perizia: Tallero Eritrea 1896. Periziato Bazzoni nel lontano 1993. Il venditore mi consigliò di non estrarla dalla bustina e di conservarla così, per il valore aggiunto del cartellino.1 punto
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Buongiorno @Saturno, questa è una bella moneta ed anche periziata dal grande Bazzoni ( 1952-2010 ).1 punto
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Anche in questo ulteriore esemplare, è presente il “graffio”. Asta NAC 30/2005 Lotto 824.1 punto
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In realta’ neppure io ho mai ricevuto mail da UPS; semplicemente controllo dal tracking se il mio pacchetto se la passa bene chiedi cosa bisogna fare? Io domani riscrivo a quegli stronzi di CFN incollando lo screenshot dello storico del mio ordine che risulta consegnato; e chiedendo cortesemente spiegazioni aggiungerò letteralmente se mi stanno prendendo per il culo!! poi voi fate come volete; capisco chi ha buone maniere.. io le ho smarrite rispetto a questi debosciati senza vergogna1 punto
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Sto cercando notizie sull'esistenza della mezza doppia romana da 17 paoli e questo mi è sembrato il contesto adatto per porre il quesito. Infatti sto studiando il peso monetale di cui allego foto Non riesco ad identificare lo stemma ma secondo la mia interpretazione della legenda potrebbe essere un peso per la "mezza (M) doppia (D) romana (R) da 17 paoli (P 17)"; diametro 22 mm e massa 3,09 g. Finora non mi risultavano però monete papali da 17 paoli o meglio doppie da valore diverso dai 30 paoli e mezze dal valore diverso da 15 paoli. Leggendo una interessante discussione sulla doppia in questa sezione, ho visto invece che ciò sarebbe possibile. La mia interpretazione della legenda è quindi plausibile? Oppure sono completamente fuori strada? Qualcuno gentilmente potrebbe chiarirmi le idee? Grazie in anticipo per i vostri interventi1 punto
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Si è molto probabile. Per me conta principalmente l'autenticità della moneta 🙂. Parlo della mia che è sicuramente coniata è molto probabilmente autentica. Poi se proviene o meno da Limoges non è importante, è entrata in collezione unicamente perché mi piaceva questa tipologia di Vittoria rappresentata sul rovescio. La tua, per me coniata e quindi autentica ( cosi come sembra anche il cartellino), messa in vendita da una casa d'aste conosciuta ed affidabile penso che sicuramente appartenga al ritrovamento 🙂 ANTONIO1 punto
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Ma si, è impossibile conoscere esattamente la storia di questi esemplari che hanno transitato suL mercato. le mie erano considerazioni puramente personali, amando i testi antichi e questi particolari come i cartellini d epoca. quando si acquistano questi esemplari con queste provenienze, senza documentazione fotografica, è normale porsi delle domande, sulla reale provenienza, possono venire dei dubbi, ma serve anche dare fiducia in chi l ha venduta. grazie a te per aver postato il tutto.1 punto
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IL PRIMO TRIUMVIRATO I Romani, benché fossero una società guerriera, svilupparono una teoria del bellum iustum, cioè della “guerra conforme al diritto “; sappiamo infatti da Cicerone che un bellum era considerato “iniustum … atque inpium” ( “contrario al diritto e al volere degli dei”) se iniziato senza giusta causa (ad esempio, respingere un’invasione, difendere popoli alleati o vendicare l’uccisione di cittadini) o comunque senza aver preventivamente tentato, tramite ambasciatori, una conciliazione pacifica[1]. Sebbene sia oggi evidente che le regole del bellum iustum siano state spesso applicate con ipocrisia e che la spinta espansionistica di Roma sia stata alimentata da vere guerre di annessione, scatenate per motivi pretestuosi, il fatto stesso che in un’epoca così remota i Romani abbiano elaborato una dottrina giuridica tesa a limitare i conflitti, dichiarando contrarî al volere divino quelli scatenati per mera volontà di dominio[2], costituisce un grande merito per la loro cultura. Nel 62 a.C. Gaio Giulio Cesare, trovandosi a Gades (odierna Cadice) durante l’anno della sua pretura[3], vide una statua di Alessandro Magno e scoppiò in lacrime, frustrato del fatto che - pur avendo superato l’età del grande condottiero macedone - non avesse compiuto alcuna impresa gloriosa: egli aspirava dunque alla fama, ma sapeva di poter solo sperare che, prima o poi, gli si presentasse l’occasione di combattere un bellum iustum. __________________ Nel 60 a.C. Cesare, saputo che Pompeo, deluso dal Senato, cercava di stipulare un’alleanza politica con Crasso, si propose da mediatore. I tre allora raggiunsero un accordo passato alla storia come “primo triumvirato” (anche se aveva la natura di un mero patto fra privati): Pompeo, con la sua fama, e Crasso, con le sue ricchezze, avrebbero sostenuto la candidatura di Cesare al consolato per il 59; in cambio egli, dopo l’elezione, avrebbe promosso leggi per ottenere quanto agognato dai suoi due alleati, ossia l’assegnazione di terre ai veterani di Pompeo e riforme economiche favorevoli all’ordo equestris (il ceto dei cavalieri; di fatto, in termini moderni, la borghesia commerciale). A margine, per rinforzare l’alleanza, Pompeo sposò Giulia, unica figlia di Cesare. Il patto ebbe successo: Cesare assunse il consolato nel 59 e promosse un programma di riforme rivoluzionario, aiutando non solo i veterani e i cavalieri, ma anche i cittadini più poveri. Una delle leggi del 59 incaricò Cesare stesso di governare per i 5 anni successivi (dal 58 a.C. al 54 compreso), come proconsole, le province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico, presidiate da tre legioni; fu poi aggiunta la provincia della Gallia Narbonense (il cui governatore era deceduto), ove era presente un’ulteriore legione, la X[4]. Cesare era un signorino: amava vestire alla moda, passava ore ad acconciarsi e a curare la propria immagine, si dedicava alla vita mondana ed era noto perché aveva molte relazioni amorose (fra cui, come s’è detto, quella con Servilia), alcune delle quali - si mormorava - omosessuali; pertanto, quando in Senato dichiarò che avrebbe compiuto grandi imprese militari, un suo detrattore rispose: “Non sarà facile, per una donna”. Clodio aspirava candidarsi a tribuno della plebe, ma come patrizio non poteva e aveva allora deciso di farsi adottare da un plebeo. La rinuncia allo status patrizio, quasi assurda per la mentalità dell’epoca, aveva implicazioni di natura religiosa (molte funzioni cultuali erano riservate ai soli patrizî), per cui occorreva il preventivo assenso del pontifex maximus; glie lo diede nel 59 lo stesso Cesare (che era stato eletto al sommo sacerdozio nel 63, alla morte del balbuziente Metello). I due divennero così alleati politici, malgrado i dissapori causati dalla vicenda di Pompea, e Clodio fu eletto tribuno per il 58. __________________ Agli inizi del 58 a C., prima di lasciare Roma, Cesare volle assicurarsi che i maggiori esponenti degli optimates fossero allontanati dall’Urbe, onde evitare che approfittassero per esautorarlo dal comando (com’era successo a Silla e Lucullo). Il suo più intransigente avversario politico era Marco Porcio Catone, ed era un avversario scomodo: assolutamente onesto, privo di vizî, incorruttibile, imparziale e non ricattabile, voleva incarnare con inflessibilità e intransigenza le antiche virtù romane e si ispirava al nonno, il celeberrimo Censore, passato alla storia per il carattere severo, l’austero moralismo e le battaglie contro il lusso e il decadimento dei costumi. Cesare ottenne che il Senato lo inviasse a Cipro, quale primo governatore della neonata provincia e Catone, che era fratello uterino di Servilia, portò con sé il nipote Bruto (che nel frattempo si era fatto adottare da un altro parente di cui noi nulla sappiamo e, pertanto, aveva mutato il nome da Marco Giunio Bruto a Quinto Servilio Cepione Bruto[5]), una persona volubile e travagliata, amante della filosofia, della poesia e dell’arte, che subiva l’influenza e le pressioni dell’inflessibile zio senza, tuttavia, averne lo spessore morale. Clodio provvide invece a far allontanare un altro importante esponente degli optimates, Cicerone (di cui si considerava nemico personale): fece infatti approvare un plebiscito che lo condannava all’esilio. __________________ Nel 58 a.C. tornò a Roma vittorioso e assunse la carica di edile curule Marco Emilio Scauro, che era aveva combattuto in Oriente con Pompeo[6]. Nel 62 il Senato, malgrado la sua giovane età (aveva solo 20 anni), lo aveva incaricato di fermare Areta III, re di Nabatea, che aveva invaso la Giudea, regno vassallo di Roma; Scauro aveva condotto una campagna militare fulminea, sbarcando ad Alessandria, ponendo l’assedio Petra, capitale del regno nemico e accettando la resa di Areta solo dopo che aveva pagato un riscatto di 40 talenti. La sua impresa fu quindi celebrata su un particolarissimo denario di quell’anno, RRC 422/1. Si tratta di una moneta ricca di iscrizioni[7]: quelle del dritto ci informano che fu emessa dagli edili curuli (fatto eccezionale) su autorizzazione del Senato (EX S.C) per commemorare la sconfitta di Areta (REX ARETAS, raffigurato in ginocchio, a fianco del suo cammello, mentre offre un ramoscello d'ulivo) a opera di Scauro (M. SCAVR, AED CVR). Al rovescio invece l’altro edile curule, Publio Plauzio Hypseo (P. HVPSAEVS, AED. CVR) celebra la conquista di Priverno (PREIVER CAPTVM) compiuta nella seconda metà del IV secolo a.C. da un suo antenato, il console Gaio Plauzio Hypseo (C. HVPSAE. COS). La particolarità di questa emissione non è solo nella complessità grafica, ma anche nel fatto che segna un ulteriore passo avanti nella lunga evoluzione dell’iconografia monetale romana: per la prima volta, infatti, non viene più raffigurato un evento passato, allegoria di fatti contemporanei (come nel caso di Ulisse o di Marsia), né una rappresentazione genericamente allusiva al presente (come nel caso del trionfo di Mario e della statua equestre di Silla), ma direttamente un evento contemporaneo, con tanto di didascalia (REX ARETAS): si tratta di una piccola rivoluzione. La fine di Scauro sarà ingloriosa: pretore nel 56 a.C., poi governatore della Sardegna, accusato di estorsione (de repetundis) nel 54 si salverà solo grazie alla difesa di Cicerone; nuovamente accusato di brogli elettorali nel 53, sarà invece condannato ed esiliato. I rotoli del Mar Morto fanno cenno alla sua morte. __________________ Il 28 marzo del 58 a.C., mentre ancora era a Roma, Cesare venne a sapere che 370.000 Elvezi[8], di cui 90.000 soldati, lasciate le loro terre si dirigevano verso la Gallia Narbonense; era praticamente sicuro che l’avrebbero razziata. Si compì allora di nuovo l’incredibile trasformazione già manifestatasi con Silla e Lucullo: il nobilotto romano amante del lusso, dell’ozio e della vita dissoluta cambiò pelle repentinamente, dimostrandosi un soldato capace, coriaceo, determinato e coraggioso. Da allora e per tutti i 14 anni successivi Cesare, la “donna” ritenuta incapace di affrontare il pericolo, insieme ai suoi soldati avrebbe marciato a piedi, sopportato il gelo, dormito sul terreno nudo, mangiato radici selvatiche e combattuto in prima fila. Il proconsole lasciò Roma con la massima urgenza e dopo soli 5 giorni (tempo impensabilmente breve per l’epoca, sintomo di galoppate sfrenate) fu in Gallia Narbonense, ove fronteggiò gli Elvezi con la sola X legione; sopraggiunte infine le altre tre legioni a sua disposizione, li sconfisse in battaglia e li costrinse a tornare nelle loro terre d’origine. Stupiti da questa inaspettata vittoria, gli stessi Galli gli chiesero di ricacciare un altro invasore, i Germani del re Ariovisto, che aveva occupato il nord della Gallia. Cesare capì che era la sua tanto attesa occasione di combattere un bellum iustum; inviò due ambascerie al re, ma quegli rispose che i Romani non dovevano intromettersi e che le minacce di Cesare non lo spaventavano, perché “nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani”; inoltre, “se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto”. I legionarî avvertirono Cesare che non avrebbero accettato di combattere contro i Germani, descritti come guerrieri possenti, di statura imponente e ferocia impareggiabile; Cesare non si scompose: ribattè che se così era, avrebbe marciato contro di loro con la sola X legione, che era la più valorosa. Questa dichiarazione colse di sorpresa tutti i soldati: inorgogliti, i legionarî della X non osarono contraddirlo; umiliati, quelli delle altre legioni si dissero altrettanto pronti a combattere. Il proconsole accettò l’invito di Ariovisto e si recò a parlargli scortato solo da un manipolo di legionari della X che, per l’occasione, furono fatti montare a cavallo; da allora, la legione fu soprannominata Equestris e passò alla storia come la preferita di Cesare. I colloqui tuttavia fallirono e si giunse a battaglia: fu una vittoria schiacciante dei Romani, grazie anche a un tempestivo intervento della cavalleria comandata dal giovane Publio Licinio Crasso, figlio del triumviro. Il vittorioso intervento contro i Germani rese Cesare, di fatto, il protettore della Gallia: era il primo passo per diventarne il conquistatore. Lasciò le legioni[9] sparse sul territorio e sconfisse, una per volta, le popolazioni che, avendo capito il pericolo di perdere la propria libertà, gli si ribellarono contro, soprattutto, i Belgi (nel 57 a.C.) e i Veneti, tribù dell’attuale Bretagna (nel 56). Questi ultimi in particolare, popolo di marinai, furono sconfitti grazie a una serie di battaglie navali brillantemente condotte da un altro validissimo generale di Cesare, Decimo Giunio Bruto Albino (non imparentato, malgrado il nome, con Bruto figlio di Servilia). Memore delle accuse rivolte a Lucullo di portare avanti la guerra senza motivo, Cesare inviò periodicamente al Senato sintetici e obiettivi “resoconti sull’andamento della guerra in Gallia”, commentarii de bello Gallico: scritti con stile asciutto e lineare, venivano letti in pubblico e finirono per essere apprezzati e attesi dal popolo, appassionatosi al racconto di quegli avvenimenti in terre lontane e selvagge. I commentarii saranno poi raccolti in un unico libro che diverrà uno dei testi più famosi della letteratura occidentale, il De Bello Gallico. __________________ Durante l’anno in cui fu tribuno, Clodio promosse molte leggi tese a limitare il potere del Senato, a vantaggio delle assemblee popolari. Nel 57 a.C., terminata la carica, per evitare che l'aristocrazia senatoria facesse invalidare le sue riforme raccolse attorno a sé una banda di violenti facinorosi, con cui scatenò numerosi disordini facendo insorgere, nell'Urbe, un clima di terrore e violenza. Gli si oppose allora un tribuno della plebe di quell’anno, Tito Annio Milone, suo acerrimo nemico e vicino alle posizioni degli optimates, che organizzò un’altra banda armata per contrastare, con altrettanta violenza e spregiudicatezza, quella di Clodio. Nel frattempo Pompeo si crucciava del rischio di essere messo in ombra dalle grandi imprese belliche di Cesare; non essendo capace di costruirsi un base politica propria si riavvicinò agli optimates e al Senato. Grazie al suo appoggio passò una legge che consentiva il ritorno di Cicerone dall'esilio; l'oratore sbarcò a Brindisi il 5 agosto del 57 e trovò ad accoglierlo, oltre ad amici e familiari, la sua adorata figlia Tullia (da lui affettuosamente chiamata Tulliola) che, quel giorno, festeggiava il compleanno. Alla fine del 57 una grave emergenza colpì Roma: dalle importazioni non giungeva più grano sufficiente a sfamare il popolo. Gli optimates diedero la colpa a Clodio: infatti una sua lex frumentaria aveva reso del tutto gratuite le distribuzioni di grano ai poveri[10] (che sino allora, e dal tempo dei Gracchi, erano state fatte a prezzo calmierato) e si affermò che ne era conseguita una crescita incontrollata della domanda; per converso, i populares sostennero che la penuria fosse stata creata ad arte dai loro avversari, per sabotare proprio la legge in questione. Sull’orlo di nuovi scontri di piazza, il Senato incaricò Pompeo di risolvere il problema, affidandogli per 5 anni la cura annonae (ossia la gestione degli approvvigionamenti). Il triumviro si dedicò all’incarico con la passione e la competenza che gli erano proprie: girò personalmente i mercati di frumento del Mediterraneo facendo affluire a Roma grandi quantità di grano; divenne famosa l’occasione in cui, salito a bordo di una nave mercantile e pretendendo che salpasse malgrado una bufera in arrivo, spiegò al capitano che “navigare necesse est, vivere non est necesse”. __________________ In quegli anni, probabilmente nel 56 a.C., fu triumviro monetale Fausto Silla, figlio del defunto dittatore. Egli emise un denario, RRC 426/1, che celebra l’azione con cui il padre era riuscito a farsi consegnare l’infido Giugurta: al rovescio è infatti raffigurato Bocco, in ginocchio, che offre un ramo d’ulivo a Silla (identificato dalla didascalia FELIX), mentre lo stesso Giugurta giace, in ginocchio anch’egli, con le mani legate dietro la schiena, in segno di impotenza dinanzi al potere di Roma. Sappiamo che la medesima scena fu scolpita su un bassorilievo d’oro che Bocco inviò a Roma (e Silla offrì al popolo, con una cerimonia al Campidoglio che fece infuriare Mario) ed era impressa sul sigillo personale dello stesso Silla. Al dritto della moneta è invece raffigurata Venere, dea prediletta dal dittatore. __________________ Nel 56 a.C., conclusa la campagna contro i Veneti, Cesare tornò in Italia e incontrò gli altri triumviri a Lucca, con l’intento di confermare e rinsaldare l’alleanza stipulata quattro anni priva. Fu allora deciso che Crasso e Pompeo si sarebbero ricandidati al consolato per il 55 e Cesare li avrebbe aiutati, mandando a votare un gran numero dei suoi soldati; terminato il consolato Pompeo avrebbe assunto il governatorato delle colonie iberiche, Crasso invece della Siria, da cui voleva lanciare una campagna militare contro i Parti. A Cesare, invece, sarebbe stato rinnovato per altri 5 anni il mandato nelle Gallie. L’accordo funzionò e Pompeo e Crasso furono eletti consoli. Pompeo ne approfittò per inaugurare un’opera pubblica assolutamente grandiosa, da lui stesso voluta, finanziata e avviata 6 anni prima. Occorre premettere, al riguardo, che a Roma gli spettacoli teatrali erano molto amati ma il Senato aveva vietato di realizzare teatri in muratura, temendo che diventassero un covo di sediziosi; ogni anno, pertanto, venivano costruite e poi smontate strutture provvisorie in legno. Pompeo ideò uno stratagemma: fece costruire un tempio dedicato a Venere Vincitrice, sopra a un’immensa scalinata di pianta semicircolare; scalinata talmente ampia che, sui suoi gradini, potevano sedersi 40.000 cittadini, rivolti verso la base. La scalinata andò così a costituire, di fatto, il primo teatro in muratura dell’Urbe, il Teatro di Pompeo, di cui l’odierna Via di Grotta Pinta ripete il tracciato semicircolare. Ma non era finito: davanti alla scalinata-teatro si estendeva un grande giardino rettangolare, ornato di statue e circondato da un porticato che arrivava sino all’attuale Largo Argentina; qui si ergeva un sontuoso edificio destinato a ospitare le riunioni del Senato, la Curia di Pompeo, al cui interno campeggiava una grande statua di Pompeo stesso che reggeva il globo (gesto che simboleggiava il dominio sul mondo). __________________ Nel 55 a.C. fu emessa un’ingente quantità di denarî, stimata in 19 milioni di pezzi, molti dei quali peraltro riportavano la legenda S.C., indicatrice di emissioni straordinarie, ordinate dal Senato. Si ritiene che questa grande emissione sia stata fatta per pagare gli approvvigionamenti eccezionali di grano, che Pompeo, sempre attento nell’espletamento della cura annonae, stava facendo affluire a Roma. Una di esse, RRC 427/2, è firmata da Gaio Memmio (probabilmente, il figlio della sorella di Pompeo Magno) e reca, al dritto, il ritratto di un anziano barbuto con lo sguardo solenne, che la didascalia identifica in QVIRINVS. Si tratta quindi di Quirino, antichissimo dio sabino; secondo Bernoulli (ma Crawford non concorda) sarebbe qui rappresentata la statua di Romolo (al quale fu, in epoca tarda, associato il dio Quirino: “Romulum quem quidam eundem esse Quirinum putant” riferisce Cicerone) che, secondo le fonti, esisteva al Campidoglio. Al rovescio è invece rappresentata Cerere e la legenda ricorda che i primi giochi dedicati alla dea furono indetti da un Memmio, edile curule, antenato del monetale: MEMMIVS AED. CERIALIA PREIMVS FECIT. Altro denario interessante del 55 a.C. è RRC 428/3, firmato da tale Quinto Cassio, che raffigura al dritto il ritratto di un giovane con lo scettro sulla spalla e al rovescio l’aquila ad ali spiegate, con il fulmine negli artigli, affiancata da un lituo e un vaso sacrificale. Come ha osservato Amisano, sono questi gli elementi potenza militare di Roma: l’esercito (l’aquila, simbolo delle legioni e del favore a esse accordato da Giove), la potenza delle armi (il fulmine, strumento di Giove), l’attività augurale con cui il comandante accertava il favore degli dei (il lituo), la religiosità delle truppe (il vaso), la disciplina (lo scettro) e la scelta del caso favorevole (il Bonus Eventus, in cui egli identifica il ritratto al dritto; Crawford ritiene invece che sia il Genius Populi Romani). Terza moneta di interesse, è il denario RRC 430/1, che raffigura Venere al dritto e un cavaliere in armatura al rovescio. Reca la legenda S.C ed è firmata, al retro, da P. CRASSVS. M. F, ossia il giovane e valoroso comandante di cavalleria, figlio del triumviro, artefice della storica vittoria su Ariovisto. _____________________ Nel frattempo in Gallia continuavano i combattimenti. Nel 55 a.C. altri popoli germanici vi penetrarono, ma Cesare fu rapido nel fronteggiarli e, quando essi si rifiutarono di ritirarsi, ne fece grande strage attaccandoli a tradimento; ordinò poi alle legioni di costruire un ponte di legno sul Reno, vera meraviglia di ingegneria campale (il fiume è largo più di 500 metri), e condusse una spedizione punitiva in Germania, al termine della quale il ponte fu smontato. Decise allora di spingersi ove nessun Romano aveva mai messo piede, nella misteriosa isola di Britannia, con il pretesto che i suoi abitanti avevano aiutato le ribellioni dei Galli; fece costruire ottanta navi e, con esse, portò due legioni nell’attuale penisola del Kent. L’esercito dei Britanni tuttavia li aspettava sulla costa e i legionari avevano timore a sbarcare; li convinse l’aquilifero della X che si buttò in acqua gridando “Desilite, commilitones, nisi vultis aquilam hostibus prodere”[11] ( “Sbarcate, commilitoni, se non volete abbandonare l’aquila ai nemici”). I Britanni furono ripetutamente sconfitti e siglarono un trattato di pace; pago del risultato ottenuto, Cesare tornò in Gallia. A Roma la narrazione delle spedizioni e delle vittorie conseguite in Germania e, soprattutto, nella lontana e misteriosa Britannia suscitarono grande scalpore; fu infatti, per l’epoca, uno sforzo organizzativo, militare e tecnologico impressionante. Catone invece (che era tornato a Roma) rimase sconcertato dalla notizia della strage dei Germani e propose per Cesare una punizione severissima, ma il Senato, al contrario, decretò a suo favore un ringraziamento pubblico. Nel 54 a.C. giunse in Gallia anche il figlio di una cugina di secondo grado di Cesare, Marco Antonio. Orfano di padre aveva trascorso la gioventù in povertà e dissolutezza, ma nel 57 in Siria aveva dimostrando non comuni capacità militari; Cesare lo aveva allora chiamato alle sue dipendenze e il giovane dimostrò subito grandi doti di coraggio, abilità tattica e aggressività in battaglia. Quello stesso anno Cesare decise di tornare in Britannia, dato che gli abitanti dell’isola avevano tradito il trattato di pace. Questa volta si mosse con ben 800 navi e 5 legioni; fu attaccato dai Britanni del re Cassivellauno, li sconfisse in due diverse battaglie e decise di portare la guerra nell’entroterra nemico, con un attacco fulmineo al di là del Tamigi. Cassivellauno si arrese, accettando di inviare periodicamente a Roma un tributo e degli ostaggi; Cesare di nuovo tornò in Gallia ma lasciò sull’isola una rete di alleanze che sarà sfruttata un secolo dopo dagli eserciti dell’impero, quando torneranno per conquistarla definitivamente. __________________ Nel 54 a.C. Bruto, tornato da Cipro, fu triumviro monetale ed emise il denario RRC 433/2, che raffigura i due grandi tirannicidi del passato suoi antenati: al dritto Lucio Bruto, al rovescio Servilio Ahala, entrambi identificati da una didascalia. Egli voleva così proporsi come il paladino della legittimità repubblicana contro la tirannide e il suo messaggio era rivolto contro Pompeo, che stava assumendo atteggiamenti autoritarî. Sappiamo da Plutarco che nel 44 a.C., per incitare Bruto ad aderire alla congiura contro Cesare, gli furono recapitati biglietti anonimi con scritto “Tu non sei un vero Bruto”, “Oh se Bruto fosse vivo!” e “Bruto tu dormi”: chi gli scriveva, chiaramente, lo esortava a onorare la promessa implicitamente fatta con questa moneta. Vale la pena, qui, fare una considerazione sulla differente statura storica di Cesare e di due dei suoi principali oppositori, Pompeo e Bruto. Il primo risultò sempre coerente nel suo disegno politico, nel perseguimento dei suoi obiettivi e nel tentativo di mantener salde le sue alleanze; gli altri, invece, si schierarono ora con lui, ora contro di lui e arrivarono anche (come attesta questa moneta) a detestarsi reciprocamente. Appaiono quindi come due opportunisti, privi di una propria strategia politica, disposti a cambiare schieramenti e alleati mossi solo dalla ricerca della gloria Pompeo, da un animo inquieto e instabile Bruto. Bruto, peraltro, si proponeva come paladino della legittimità, ma (a differenza di suo zio Catone) dimostrò di essere tutt’altro che una persona onesta e integerrima. Nel 53 a.C. infatti si recò con l’incarico di questore in Cilicia; Cicerone, quando due anni dopo giunse in quella stessa provincia come governatore, rimase sconcertato nello scoprire che Bruto vi aveva praticato l’usura arrivando a pretendere un tasso d'interesse del 48%, in aperta violazione alle leggi romane. Tale era stata la disperazione dei suoi debitori che, addirittura, cinque senatori del luogo erano morti per fame, per ripagarlo. Alla permanenza di Cicerone in Cilicia risale l’unica emissione che reca il suo nome: un cistoforo (oggi rarissimo) che reca al rovescio tre legende, M. CICERO PRO COS., AΠA. (abbreviazione di Apamea, città non più esistente, nell’odierna Siria settentrionale) e ΘΕOΠΡOΠOΣ AΠOΛΛΩΝΙΟΥ (Theopropo di Apollonio, il magistrato emittente). __________________ In Gallia alla fine del 54 Ambiorige, re della tribù degli Eburoni, sperimentò una nuova tecnica di guerra: colpire le legioni mentre erano isolate, negli accampamenti invernali. Cinse d'assedio l’accampamento di Atuatuca (odierna Tongeren), convinse con l’inganno i soldati a uscirne, li aggredì e distrusse così un’intera legione; l’aquilifero, Lucio Petrosidio, per non far cadere l’insegna nelle mani nemiche la lanciò lontano, prima di cadere ucciso[12]. Spinto dal successo Ambiorige riprovò la stessa tattica contro un altro accampamento ma il comandante di questo, Quinto Tullio Cicerone (fratello dell’oratore) riuscì a far avvisare Cesare e resistette eroicamente sino al suo arrivo; il proconsole non poté tuttavia evitare che i suoi nemici fuggissero. Contemporaneamente un’altra tribù, i Treviri, attaccarono una terza legione ma il suo comandante, il valentissimo Tito Labieno, li sconfisse duramente malgrado lo svantaggio numerico. Il furore di Cesare per la perdita della legione fu grande: in segno di lutto, promise che non si sarebbe più rasato finché non l’avesse vendicata. Suddivise il suo esercito in tre tronconi e li fece convergere sull’esercito degli Eburoni, chiudendoli in trappola e sconfiggendoli, ma Ambiorige e il suo seguito fuggirono in Germania. Allora, nel 53, fece costruire un nuovo ponte sul Reno e lanciò una seconda spedizione punitiva nel territorio germanico; ritirandosi ordinò di lasciare in piedi il ponte, a perenne monito della potenza romana (a eccezione della parte terminale, abbattuta per impedirne l’uso da parte dei nemici). __________________ Due eventi luttuosi portarono alla rottura del delicato equilibrio politico che manteneva uniti i triumviri. Nel 54 a.C. morì di malattia Giulia, moglie di Pompeo; svaniva così il legame familiare fra lui e Cesare. Nel 53 a.C. morì invece Crasso. Egli infatti, dopo aver preso possesso della provincia di Siria, mosse guerra ai Parti, formalmente per sostenere un pretendente al trono spodestato dal fratello. Poteva valersi di un esercito di 7 legioni, per complessivi 40.000 uomini, e di validi subalterni, fra cui suo figlio Publio, appositamente rientrato dalla Gallia, e Gaio Cassio Longino, un capacissimo generale; poteva inoltre contare sull’alleanza con il re d’Armenia. Crasso ideò allora una manovra strategica a tenaglia: l’esercito armeno sarebbe calato dal nord, mentre quello romano avrebbe tagliato il deserto siriano a sud, entrambi diretti alla capitale nemica. Fu un gravissimo errore: il re dei Parti aveva previsto e prevenuto il suo piano, attaccando direttamente l’Armenia per impedirle di portare aiuto ai Romani; le legioni invece furono fatte penetrare indisturbate in profondità nel deserto e poi, quando furono nei pressi di Carre (odierna Harran), lontano dalla via di fuga dell’Eufrate, attaccate a sorpresa da un nutrito contingente di agili arcieri a cavallo, al comando dell’abilissimo generale Surena. La cavalleria romana tentò un contrattacco, ma cadde in trappola e fu annientata: il suo stesso comandante, Publio figlio del triumviro, fu ucciso. Di fronte a questa tragedia, Crasso apostrofò le truppe con grande contegno, dicendo loro “Questo è un mio lutto personale, o Romani, ma la grande gloria e il grande destino di Roma risiedono in voi … Roma è arrivata a un potere tanto grande non grazie alla fortuna, ma perché i Romani hanno affrontato i pericoli con coraggio e ostinazione”. Malgrado le esortazioni di Crasso, si verificò un fatto unico nella storia della Repubblica: spesso infatti è avvenuto che le legioni siano state sconfitte, sopraffatte e distrutte, oppure si siano arrese al nemico o ribellate al comandante, ma solo a Carre è accaduto che abbiano perso la volontà di combattere. Probabilmente fu una combinazione di cause a determinare questo effetto: la stanchezza della marcia, la sete nel deserto, la superstizione (si erano verificati molti presagi infausti), la sfiducia nel condottiero (Crasso poteva vantare come suo unico successo, seppur rilevante, la vittoria di Porta Collina), la paura di un nemico sfuggente, l’inesperienza (molti soldati erano reclute); fatto sta che l’esercito di Roma, improvvisamente, si rivelò incapace di reagire. Crasso ordinò la ritirata dentro le mura della città fortificata di Carre. A Carre si verificò lo scontro fra il triumviro e Longino: il primo voleva ritirarsi verso nord, per raggiungere le montagne dell’Armenia, il secondo a sud, per tornare in Siria, strada più difficile ma meno prevedibile. Aveva ragione Longino: lo seguirono 10.000 legionarî e riuscirono ad arrivare in Siria, unici sopravvissuti della cruenta battaglia di Carre. Il resto dell’esercito si mosse invece verso nord e fu raggiunto da Surena in persona, che offrì di discutere un armistizio. Crasso subdorò un’altra trappola, ma l’esercito lo obbligò ad accettare; egli allora disse loro: “se vi salverete, riferite a tutti che Crasso cadde perché ingannato dal nemico, non perché tradito dai propri concittadini”. E così fu: l’iniziativa di Surena era un tranello; Crasso fu ucciso e i legionarî sopravvissuti fatti prigionieri. Ormai convinto di aver debellato l’esercito romano Surena attaccò la Siria, deciso a conquistarla, ma Longino, con i suoi pochi e demoralizzati legionarî, lo sconfisse duramente, obbligandolo a tornare in Mesopotamia. Morti Giulia e Crasso, la rivalità tra Cesare e Pompeo degenerò in gelosie e reciproci sospetti; ne approfittò Catone, che architettò una coalizione di optimates, in funzione anticesariana, e convinse Pompeo (che non aveva mai raggiunto l’Hispania, governando scandalosamente le province assegnategli senza allontanarsi da Roma) a svolgere, di nuovo, la funzione di difensore del Senato. __________________ Mentre Romani e Parti combattevano in oriente, a Roma Clodio presentò la sua candidatura per la pretura, Milone quella per il consolato. Il confronto politico fra i due divenne rapidamente uno scontro violento fra le rispettive bande armate, tanto che il Senato dovette sospendere le elezioni e rinviarle ai primi mesi del 52. Il 18 gennaio, tuttavia, i due avversarî si incontrarono casualmente sulla via Appia, presso Bovillae (probabilmente, nell’odierno comune di Marino), entrambi scortati da schiavi armati; ne nacque uno scontro e Clodio rimase ucciso. Quando il suo cadavere fu portato a Roma la folla, inferocita, lo volle cremare nella vecchia sede del Senato, la Curia Hostilia, causando un incendio che la distrusse. Impauriti dall’ondata di violenza incontrollata che ne seguì, il Senato adottò un senatus consultum ultimum (il primo, dall'epoca della congiura di Catilina) e nominò Pompeo consul sine collega incaricandolo di riportare l’ordine in città, cosa che egli fece. Milone, processato, fu condannato all’esilio. __________________ Alla fine del 53 a.C. presso Cenabum (odierna Orleans) i Galli uccisero alcuni commercianti e funzionarî romani. Ne approfittò un nobile della tribù degli Arverni, che si pose a capo di una fazione contraria al dominio di Roma e si fece proclamare re; di lui conosciamo solo più il soprannome, “Potente Re Guerriero”, in lingua celtica “Vercingetorige”[13]. In breve tempo Vercingetorige convinse molte altre tribù a unirsi a un’alleanza anti-romana. Cesare, che si trovava in Gallia Cisalpina, capì immediatamente il pericolo: raggiunse velocemente Narbo e da là, fra i mesi di gennaio e febbraio del 52, con una mossa audace e imprevedibile attraversò i valichi innevati delle montagne Cevenne, in pieno territorio nemico, ricongiungendosi con le legioni stanziate più a nord prima che restassero isolate. Riunite le truppe, il proconsole mosse contro gli insorti ma Vercingetorige, capito che il tallone d’Achille delle legioni era la possibilità di approvvigionarsi di cibo presso i grandi agglomerati urbani, distrusse tutte le città galliche che si trovavano sul loro cammino. Una sola città fu risparmiata, Avarico (odierna Bourges), e quando Cesare vi giunse la cinse d’assedio; probabilmente questa mossa fu prevista dallo stesso Vercingetorige[14], che sperava così di inchiodare le legioni nel lungo e logorante assedio di una città ritenuta inespugnabile, ma aveva sottovalutato i Romani. Le legioni riuscirono a costruire un terrapieno alto quanto le possenti mura di Avarico e, così, la conquistarono; le scorte di cibo che vi trovarono permisero ai soldati di sopravvivere alla guerra di logoramento. Malgrado questo insuccesso, il prestigio di Vercingetorige cresceva di giorno in giorno e riuscì a portare dalla propria parte anche gli Edui, una delle più potenti tribù galliche che era, da circa un secolo, fedele alleata di Roma; ormai, quasi tutti i popoli della Gallia erano uniti contro l’invasore. Lo scontro fra esercito romano e gallico si ebbe presso Gergovia, capitale degli Averni (città non più esistente), e fu una sconfitta per Cesare. Un secondo gruppo di legioni si trovava a Lutetia (attuale Parigi), ai comandi di Labieno; Cesare, rimasto senza alleati, capì che era necessario riunire tutte le sue truppe e gli ordinò di avvicinarsi. Labieno si trovò circondato da nemici, a causa dell’improvvisa sollevazione di tribù sino allora rimaste pacifiche, ma seppe rompere l’accerchiamento e si ricongiunse a Cesare presso Agendicum (attuale Sens); l’esercito romano comprendeva ora 11 o 12 legioni, prive però di truppe ausiliarie, e quindi ammontava a soli 50.000 soldati. Impossibilitato a difendersi in un territorio divenuto interamente ostile, Cesare cercò di ritirarsi presso la provincia della Gallia Narbonense e allora Vercingentorige commise un errore fatale: credette che le legioni fossero ormai stremate, dalla fame e dai combattimenti, e potessero essere definitivamente debellate; le affrontò così con un esercito quasi doppio, 80.000 soldati, ma fu sconfitto e si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia (cittadina non più esistente), in attesa che arrivasse l’esercito di rinforzo, forte di 250.000 combattenti. Cesare capì che lì si giocava il tutto per tutto: cinse la collina di Alesia con una linea fortificata, per impedire la fuga di Vercingetorige, e poi fece costruire una seconda linea fortificata più ampia e più esterna, per difendersi dai rinforzi che sarebbero giunti; dopo di che, attese. Lo aiutavano molti validissimi generali: fra gli altri, Tito Labieno, Marco Antonio, Decimo Giunio Bruto Albino e un homo novus, Gaio Trebonio. L’esercito di rinforzo arrivò forse a inizî ottobre e coordinò i suoi attacchi con quello chiuso ad Alesia. Per giorni interi le fortificazioni dei Romani, al tempo stesso assedianti e assediati, furono assalite contemporaneamente dall’interno e dall’esterno; in questa situazione, “I Romani erano terrorizzati dal grido che si alzava alle loro spalle mentre combattevano, poiché capivano che il pericolo dipendeva dal valore di coloro che proteggevano le loro spalle”[15]. Il momento più critico si ebbe quando 60.000 soldati galli, scelti fra i più valorosi, assaltarono il campo romano posto a settentrione, che rappresentava il punto più debole della cinta fortificata; intervenne Cesare personalmente e, per essere riconosciuto dalle sue truppe, cinse il mantello rosso (simbolo del suo imperium proconsolare), incurante del fatto che lo rendeva visibile anche al nemico. Malgrado l’enorme sproporzione di forze (50.000 legionarî contro 330.000 Celti), le difese romane ressero. L’esercito di rinforzo si ritirò e si disperse, i Galli sopravvissuti tornarono alle loro tribù. Vercingetorige uscì da Alesia, solo, gettò le proprie armi ai piedi di Cesare e si inginocchiò, in segno di resa incondizionata. La Gallia era stata definitivamente conquistata; nel 50 a.C. fu dichiarata provincia romana e divenne una delle regioni più profondamente romanizzate d’Europa. __________________ Nel 51 a.C. morì la sorella di Cesare, Giulia. L'orazione funebre fu pronunciata da suo nipote (figlio della figlia Azia), un giovane di soli 12 anni con lineamenti delicati e grande cultura, Gaio Ottavio Turino. __________________ Cesare sapeva che, quando avesse perso l’imperium proconsolare (che gli garantiva l’immunità processuale), i suoi avversari politici lo avrebbero processato per le molte stragi compiute in Gallia. Pensò allora di candidarsi a console per il 49 a.C. (per assicurarsi nuovamente l’imperium), ma per presentare la sua candidatura avrebbe dovuto entrare a Roma e quindi varcare il pomerium, gesto che avrebbe fatto decadere l’imperium proconsolare. Chiese allora di potersi candidare in absentia, ma il Senato gli negò questa possibilità (sebbene concessa in passato ad altri comandanti militari, come Gaio Mario). Tentò un’altra strada per tutelarsi dalla vendetta dei suoi avversarî: propose che sia lui sia Pompeo sciogliessero tutte le proprie legioni, ma il Senato non acconsentì e, anzi, ingiunse a entrambi di cedere una propria legione a favore di una futura campagna contro i Parti; obbedirono, ma Pompeo cedette proprio quella che aveva precedentemente “prestato” a Cesare, talché questi si vide privato di due legioni. Chiese nuovamente di potersi candidare in absentia, ma la risposta del Senato - sobillato da Catone - fu tranciante: se alla fine del 50 a.C. non avesse sciolto tutte le legioni rimastegli e non si fosse presentato nell’Urbe da privato cittadino sarebbe stato dichiarato hostis publicus. Alcuni tribuni della plebe tentarono di difendere le sue posizioni, ma furono cacciati da Roma. Cesare non aveva più altre strade. Il 10 gennaio del 49 a.C. ordinò a cinque coorti di attraversare in armi il fiume Rubicone, che segnava il confine della sua provincia, e si affidò all’incertezza di una nuova guerra civile: come egli stesso disse, “alea iacta est” ( “il dado è stato lanciato”). NOTE [1] Che effettivamente veniva compiuta (come nei casi, citati, di Brenno, Taranto, Filippo V, Lega Achea, Cimbri e Tigrane II). [2] Come aveva fatto, invece, Alessandro Magno, determinato a raggiungere la fine delle terre emerse. [3] Così dice Plutarco; Svetonio invece colloca il fatto nel 69 a.C., quando Cesare si era già recato nella penisola iberica da questore. [4] In antichità le legioni di Roma erano 4, per console, numerate da I a IV. Quando le esigenze militari crebbero, e con esse il numero delle legioni, l’assegnazione dei numeri fu un po’ caotica; non è quindi sempre semplice determinare se una determinata legione, citata dalle fonti con riferimento a un episodio, sia la stessa citata, con la uguale numerazione, in un altro caso. [5] È probabile che fosse stato privato dei diritti civili per la ribellione del padre (vd. pag. 66) e sia ricorso all’espediente di farsi adottare per ridiventare civis Romanus. [6] Che ne aveva sposato la sorella (subito morta di parto) nell’82 a.C. [7] Alcune lettere possono mancare, nelle molte varianti di questa moneta. [8] Popolazione celtica che abitava l’odierna Confederazione Elvetica; ne facevano parte i Tigurini, già alleati dei Cimbri (vd. pag. 51). [9] Negli anni Cesare aumentò progressivamente il numero delle legioni a sua disposizione (arruolandone di nuove e ricevendone una là distaccata da Pompeo), che arrivarono sino a un massimo di 10. [10] Sappiamo che per finanziarle Clodio destinò un quinto delle tasse, pari a 64 milioni di sesterzî: possiamo così stimare in 80 milioni di denarî (320 milioni di sesterzî) le entrate annue del fisco repubblicano. [11] De Bello Gallico, IV, 22. [12] Alcuni autori moderni ritengono che Petrosidio fosse lo stesso aquilifero autore dello sbarco in Britannia, ma è improbabile: infatti, quello apparteneva alla X legione, che non fu sicuramente distrutta ad Atuatuca (probabilmente, la legione distrutta fu la XIV). [13] Il suffisso -rix, -rigis, comune ad altri nomi tramandatici dal De Bello Gallico (come il predetto Ambiorige), equivale al latino rex, regis e dimostra che questi non sono veri nomi di persona, ma titoli nobiliari o soprannomi. [14] Secondo il De Bello Gallico, invece, Avarico non fu distrutta per ragioni sentimentali, essendo l’antica capitale della tribù dei Biturigi, ma sembra una motivazione inconsistente. [15] De Bello Gallico, VII, 84. ILLUSTRAZIONI 58 a.C, denario RRC 422/1 56 a.C, denario RRC 426/1 Ricostruzione grafica del Teatro di Pompeo e via di Grotta Pinta a Roma, che ne ripete la forma Tre denari del 55 a.C.: nell'ordine, RRC 427/2, RRC 428/3 e RRC 430/1 54 a.C., denario RRC 433/2 51-50 a.C., cistoforo di Cicerone1 punto
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Incredibile ma vero mi hanno rispedito la moneta senza nemmeno avvisarmi via email. UPS l'ha consegnata stamattina e il pacco era intonso....a differenza del precedente corriere. In circa 1 mese si è risolta la questione del furto...veramente incredibile.1 punto
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Un guerriero di 7,5 centimetri emerge dalla città dei celti: il raro bronzetto armato di Manching svela tecniche, riti di confine e la vita nell’oppidum Sembrava solo un grumo di metallo verde, imprigionato da croste di corrosione. Le radiografie hanno svelato un’altra storia: un guerriero celtico in passo d’attacco, scudo alto, spada tesa, una piccola asola sulla testa come a chiedere di essere appeso. È venuto alla luce a Manching, in Baviera, dentro un fossato che gli archeologi interpretano come limite o canale, e con ceramiche associate al III secolo a.C. Un oggetto minuscolo, 7,5 cm per 55 g, ma raro, complesso e senza paralleli diretti noti: un indizio prezioso per capire come si fondava il bronzo in età lateniana e cosa poteva rappresentare un piccolo guerriero al margine della città. Il luogo e il quadro storico Manching, l’oppidum tra Paar e Danubio; una capitale del mondo celtico dell’Europa centrale L’oppidum di Manching sorge a sud-est di Ingolstadt, tra i fiumi Paar e Danubio. La frequentazione inizia a fine IV secolo a.C.; tra II e I secolo a.C. il sito diventa un centro politico ed economico di primo piano a nord delle Alpi. Attorno al 140/130 a.C. viene costruita la grande cinta muraria e l’insediamento raggiunge circa 400 ettari, con una popolazione stimata fino a 10.000 abitanti. A metà del I secolo a.C. il centro declina gradualmente, con il progressivo ritiro degli abitanti. La scoperta: un cantiere, un fossato, un piccolo capolavoro Scavare per la sicurezza stradale e incontrare un confine antico Tra 2021 e 2024, prima di un intervento sulla statale B16, il Bayerisches Landesamt für Denkmalpflege (BLfD) ha indagato 6.800 m² del settore orientale dell’oppidum, documentando 1.300 contesti e recuperando oltre 40.000 reperti. Il bronzetto è emerso dalla riempitura di un fosso datato al III secolo a.C. Il ritrovamento è stato seguito da indagini conservative e diagnostiche centralizzate a Monaco: più di 15.000 frazioni metalliche recuperate a Manching sono state registrate tramite 2.034 radiografie, un protocollo che oggi consente di leggere tecniche, leghe, difetti e riusi. Un guerriero alto 7,5 cm: iconografia e dettagli Capelli portati all’indietro, baffi, scudo e spada; e un anello in testa come traccia d’uso Liberata dalle incrostazioni, la figurina mostra un guerriero celtico in affondo: scudo al braccio sinistro, spada nella destra, capelli lunghi pettinati all’indietro e baffi. In sommità, una piccola asola fusa in un sol pezzo con la figura suggerisce l’uso come pendente o sospensione (gioiello, insegna personale, elemento di un oggetto composito). L’RX ha rivelato un particolare curioso: la spada è stata colata con un difetto, indizio diretto del comportamento del metallo e dell’alimentazione della colata. Perché è raro Una miniatura «senza paralleli diretti» e di fattura insolitamente fine Le raffigurazioni umane in ambito lateniano esistono, ma bronzetti così minuti, a pieno metallo, con resa dinamica del gesto e dettagli del volto e dei capelli, sono poco comuni nel corpus dell’Europa centrale. A Manching, già noto per altre immagini antropomorfe, questo pezzo spicca per la complessità formale e la finezza dell’esecuzione; gli specialisti lo considerano privo di paralleli diretti nel quadro regionale. La combinazione tra scala ridotta, qualità scultorea e funzione sospesa (l’anello) ne fa un oggetto d’élite, non seriale, probabilmente uscito da una bottega con competenze elevate. Come avveniva la fusione: la cera persa spiegata semplice Dalla cera al bronzo: cosa vuol dire «vollguss», colata piena Il bronzetto è stato realizzato con la tecnica della cera persa («Wachsausschmelzverfahren») in colata piena (vollguss). In pratica: 1) si modella un originale in cera, con tutti i dettagli (capelli, baffi, dita, bordi dello scudo); 2) lo si ingloba in un involucro refrattario (argilla/terra) lasciando canali di colata e di sfiato; 3) si riscalda l’insieme finché la cera fonde ed esce, lasciando il negativo del modello; 4) si versa bronzo liquido (lega di rame con stagno e, talvolta, piombo) che riempie la cavità; 5) a raffreddamento avvenuto si rompe il guscio e si rifinisce. La cera persa può produrre fusioni cave (il bronzo forma una «pelle» attorno a un’anima) o fusioni piene: qui, le radiografie mostrano chiaramente una massa piena, coerente con le dimensioni ridotte dell’oggetto. La colata piena garantisce robustezza e una certa inerzia al tatto, ma richiede controllo dei canali (sprue) e della temperatura per evitare vuoti locali: il difetto della spada è probabilmente dovuto a una alimentazione insufficiente o a un raffreddamento troppo rapido nella parte sottile. Cosa rappresenta: status, protezione, rito? Pendente personale, insegna guerriera o offerta di confine L’anello sommitale suggerisce una sospensione: un ciondolo da portare al collo, fissare a un cinturone, appendere a un finimento equestre o a un elemento ligneo (scudo, cassa, porta). L’iconografia guerriera – gesto d’attacco, scudo e spada – rimanda a valori di status e protezione; in ambito celtico, miniaturizzazioni di armi e figure sono talora legate a sfere votive. Il contesto di rinvenimento in un fossato che fungeva da limite rafforza l’ipotesi di una offerta di confine: un gesto propiziatorio o apotropaico al margine dell’abitato. Non si esclude, tuttavia, un semplice smarrimento o lo scarto di una produzione difettosa rientrata nel ciclo del riciclo. Il laboratorio dentro l’oppidum RX, scarti e riciclo: cosa dicono i metalli di Manching Le indagini BLfD hanno radiografato in totale 2.034 oggetti metallici, parte di oltre 15.000 frazioni recuperate. Oltre a utensili, elementi di finimento e chiodi, la massa degli scarti e delle gocce di colata racconta una produzione e riparazione attiva in bottega, con una cultura del riciclo (ceramica, legno, metalli) che consente di risparmiare risorse e di rifondere sistematicamente. In questo quadro, il bronzetto – nonostante il difetto di colata alla spada – non appare un esercizio da apprendista, ma un manufatto di alto profilo tecnico. Mangiare e vivere a Manching Pesci, bovini, suini; cavalli anziani e greggi per latte e lana La stessa campagna di scavo ha fornito la prima prova archeologica esplicita del consumo di pesce nell’oppidum (lische e squame), accanto a bovini e suini destinati soprattutto alla carne. I cavalli venivano abbattuti in età avanzata – quindi non come alimento primario –, mentre ovini e caprini erano allevati per risorse rinnovabili (lana, latte). Il quadro che emerge è quello di una città specializzata, con aree residenziali e settori artigianali, e una rete di scambi che beneficiava della posizione fluviale. Cronologia e datazione del bronzetto III secolo a.C. per il contesto, tarda età del Ferro per la cultura materiale Il fossato di rinvenimento è datato al III secolo a.C. sulla base del vasellame associato. L’iconografia e la tecnologia rientrano nella tradizione La Tène dell’Europa centro-occidentale. La parabola dell’oppidum – dalla crescita del II secolo a.C. all’apice tra 140/130 a.C. e il declino a metà del I secolo a.C. – offre la cornice per collocare produzione, uso e deposizione del pendente. Un pezzo che apre domande Oggetto personale o gesto collettivo? Arte miniaturizzata o segno magico? Gli specialisti sottolineano l’assenza di paralleli diretti: questo rende il pezzo prezioso proprio perché costringe a riformulare le domande. Chi lo indossava? Un guerriero? Un artigiano che esibiva il proprio saper fare? Un devoto che “portava” il dio della guerra? Gli scavi hanno chiarito molto, ma alcune risposte restano sospese – come il bronzetto, forse appeso a un collo, forse a un finimento – tra identità, protezione e rito. https://stilearte.it/un-guerriero-di-75-centimetri-emerge-dalla-citta-dei-celti-il-raro-bronzetto-armato-di-manching-svela-tecniche-riti-di-confine-e-la-vita-nelloppidum/1 punto
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LA TERZA GUERRA MITRIDATICA [1] In Asia Minore, a oriente del Ponto, si estendeva l’Armenia il cui sovrano, Tigrane II, ne aveva grandemente espanso i confini, che ormai si estendevano dalla Fenicia al Mar Caspio. Egli aveva anche fondato una nuova e splendida capitale, Tigranocerta, piena di monumenti, giardini e parchi e protetta da alte mura, con un palazzo reale circondato da un immenso parco e, per ogni eventuale esigenza di sicurezza, un imprendibile forte. Avendo inglobato molti regni indipendenti, aveva assunto il titolo di “re dei re” e obbligava i re vassalli a permanere alla sua corte, come se fossero suoi giullari. Mitridate preparò con cura l’ulteriore scontro con Roma, capendo che sarebbe stato decisivo: strinse un’alleanza matrimoniale con Tigrane II, dandogli in moglie sua figlia, assicurandosi così il necessario retroterra strategico; raccolse un’armata ingente e ben preparata e rafforzò i confini con una rete di fortificazioni; si alleò con Sertorio ricevendone alcuni consulenti militari (ex Senatori romani che avevano tradito la patria). Nel 74 a.C. l’irriducibile re del Ponto invase la Bitinia, che l’ultimo re aveva da poco lasciato in eredità al popolo romano, assediandone la capitale, Cizico, mentre i suoi eserciti dilagavano nella penisola anatolica. Quell’anno era console Lucio Licinio Lucullo che, immediatamente, partì da Roma con una legione; siccome, malgrado la sua lunga militanza, non aveva mai diretto una campagna, si imbarcò con tutti i trattati militari che riuscì a reperire e studiò lungo il tragitto. Sbarcato in Asia raccolse altre quattro legioni (comprese le due Fimbriane), arrivando così a una forza di circa 30.000 fanti[2] e 1600 cavalieri. Giunto nei pressi di Cizico, Lucullo seppe dai disertori pontici che le schiere nemiche contavano ben 300.000 uomini, dieci volte i suoi. Studiò allora il terreno, e occupò un’altura che gli consentiva non solo di difendersi con facilità, ma soprattutto anche di colpire le vie di approvvigionamento dell’immenso esercito di Mitridate; dopo di che si limitò ad attendere che fosse la fame a indebolire il nemico. Trascorse così l’inverno, mentre le difficoltà di approvvigionamento rendevano sempre più precaria la posizione dell’esercito pontico, che cominciò a sfaldarsi; una notte del 73 a.C. Mitridate stesso, ormai disperato, si diede alla fuga via mare; il suo esercito tolse l’assedio e cercò di raggiungerlo via terra, ma fu attaccato e distrutto dalle truppe di Lucullo. Le forze romane trascorsero il resto dell’anno a liberare altre località dell’Anatolia dopo di che, nel 72 a.C., Lucullo si mosse per catturare Mitridate direttamente nel suo territorio e varcò quindi i confini del Ponto. Il re nemico aveva organizzato una nuova armata e cercò di fermarne l’avanzata ma, preso dallo sconforto per un’ulteriore vittoria romana, fuggì, mentre le sue truppe si sfaldavano, e si andò a rifugiare in Armenia, presso il genero Tigrane. Questi gli concesse un palazzo ove vivere, ma credendosi superiore a lui rifiutò di riceverlo di persona. Nel 70 a.C. giunse presso Tigrane un legato di Lucullo (nonché suo cognato[3]), Appio Claudio Pulcro. Il “re dei re” lo ricevette nel suo magnificente palazzo, per impressionarlo e intimidirlo con tanto lusso; tuttavia (narra Plutarco[4]) “Appio non era spaventato o stupito di tutto questo sfarzo e spettacolo, ma non appena ebbe udienza, disse chiaramente al re che egli era venuto a riprendere Mitridate […], in alternativa era costretto a dichiarare guerra contro Tigrane”. Dal canto suo Tigrane (già “indispettito da Lucullo il quale nella sua lettera lo aveva nominato con il titolo di ‘re’ soltanto, e non di ‘re dei re’”) “anche se fece ogni sforzo per ascoltare questo discorso con viso apparentemente sereno ed un sorriso forzato, non poté nascondere ai presenti la sua sconfitta alle audaci parole del giovane”; allora “inviò splendidi doni ad Appio”, per comprarne la benevolenza, ma “Appio accettò solo una ciotola, non volendo che il suo rifiuto fosse interpretato come una forma di inimicizia personale verso il re, restituì il resto e marciò con grande velocità per raggiungere il suo comandante”. Nel 69 a.C. si presentò da Tigrane un messaggero, annunciando che le legioni si stavano avvicinando a Tigranocerta; il “re dei re” lo giudicò un bugiardo disfattista, ritenendo impossibile che i Romani penetrassero così tanto, e così velocemente, nel grande regno armeno, e lo fece uccidere. Pochi giorni dopo invece Lucullo, al comando dei suoi soldati, giunse in vista della splendida capitale armena. Si ripeté quanto avvenuto tre anni prima con Mitridate: Tigrane mandò un esercito a fermare Lucullo, ma fu sconfitto; allora il “re dei re” scappò per avere modo di riorganizzare le proprie forze e lasciò la capitale all’assedio romano. Tigrane organizzò con cura il contrattacco; dopo essersi fatto inviare truppe da tutti i regni suoi vassalli tornò a Tigranocerta con una forza immane: 150.000 fanti con armamento pesante, 55.000 cavalieri di cui 17.000 catafratti (muniti, cioè, di corazza), 20.000 arcieri e frombolieri, 35.000 ausiliari[5]. A Lucullo, che aveva disperso le sue forze lungo la penisola anatolica, restavano solo 16.000 legionarî e poche migliaia di cavalieri. Avendo visto avanzare l’esercito armeno, divise ulteriormente le truppe: lasciò 6.000 fanti a proseguire l’assedio di Tigranocerta e mosse contro l’armata nemica con soli 10.000 legionarî e 1.000 cavalieri. Il 6 ottobre del 69 a.C. i due eserciti si fronteggiarono; a dividerli, solo un corso d’acqua. Nel campo armeno Mitridate, finalmente ammesso alla presenza del genero, gli consigliò di stare lontano dall’accampamento di Lucullo, ma Tigrane si prese gioco della sua pavidità e, vedendo che le forze romane erano tanto esigue, fece a favore degli astanti una battuta di spirito, passata alla storia: “Se sono qui come ambasciatori sono troppi, se invece sono qui come nemici sono troppo pochi”[6]. Nel campo romano, i luogotenenti di Lucullo tentarono di dissuaderlo dal combattere, osservando che il 6 ottobre era un giorno infausto, ma egli si limitò a ribattere che, con la sua vittoria, lo avrebbe trasformato in fausto. Lucullo aveva individuato una collina, posta alle spalle di Tigrane, che gli avrebbe procurato un ottimo vantaggio tattico e quindi spinse il suo cavallo in avanti, per attirare l’attenzione su di sé. Narra Plutarco[7]: “Tigrane chiamò a sé [il generale] Tassile e gli disse ridendo: ‘Non vedi che l’invincibile armata romana sta scappando?’ ma Tassile gli rispose: ‘Oh Re, mi piacerebbe [...] ma quando questi uomini sono in marcia, essi non indossano abbigliamenti splendenti, né usano scudi o elmi lucenti; invece, ora essi mostrano le armi, avendone rimosso le coperture in pelle’. E quando ancora Tassile stava parlando, giunse alla loro vista un’aquila romana, mentre Lucullo si dirigeva al fiume con le coorti che si disponevano in manipoli, pronte alla traversata. Poi, all’ultimo, come se fosse stato inebetito dallo stupore, Tigrane gridò due o tre volte ‘Sono i Romani ad attaccare noi???’ [... ... Lucullo] attraversò il fiume, e si aprì la strada contro il nemico di persona. Indossava una corazza d’acciaio a scaglie scintillanti, e un mantello con nappe, e allo stesso tempo sguainò la spada dal fodero [...] mentre i suoi soldati lo seguivano con tutte le loro forze, perché avevano visto che il loro comandante era davanti a loro con l’armatura, sopportando come tutti la fatica di un normale fante [...] condusse i suoi uomini contro i cavalieri catafratti [...] il nemico non si aspettava l’arrivo dei Romani, ma al contrario, con alte grida e nella maggior parte con una fuga vergognosa, si lanciarono insieme ai loro cavalli al galoppo con tutto il loro peso, oltre le file della propria fanteria, prima ancora di aver cercato anche solamente di resistere”. Con la sua manovra di aggiramento, condotta personalmente, Lucullo spinse i catafratti contro il loro stesso esercito e la massa di quegli uomini coperti di metallo si abbatté sulle fila della fanteria armena, seminando il caos più totale e causando una rotta completa dell’esercito. Lo stesso Tigrane si diede subito alla fuga: per non essere riconosciuto lasciò persino la corona al figlio, che a sua volta la diede a uno schiavo. In una delle più incredibili vittorie della storia militare di tutti i tempi, i Romani persero 5 soldati, gli Armeni 100.000. Mitridate raggiunse Tigrane in fuga ed entrambi i grandi re che avevano osato sfidare Roma si abbracciarono, e piansero della loro sventura. Tigrane e Mitridate si rifugiarono nella vecchia capitale dell’Armenia, Artaxata. Lì Lucullo giunse nell’estate del 68 a.C. e di nuovo si scontrarono: 70.000 Armeni contro due sole legioni. Fu un’altra, schiacciante vittoria romana e i due re dovettero di nuovo fuggire sulle montagne del Caucaso. _______________ Delle epiche gesta di Lucullo in Asia non resta memoria sulle monete, salvo forse una piccola eco. Nel 69 a.C. infatti, mentre lui combatteva a Tigranocerta, un monetario, Marco Pletorio Cestiano, emise una serie di denarî di cui uno, RRC 409/1, presenta al dritto una figura femminile ignota, sicuramente non una dea romana, e al rovescio l’aquila sul fulmine. Crawford ipotizza che la figura sia Iside e che l’aquila rappresenti la dinastia tolemaica (di cui era simbolo); forse però, visti i grandi avvenimenti che stavano accadendo in Asia Minore, c’è da chiedersi se la figura al dritto non possa essere un’allegoria dell'Anatolia e, quindi, l’aquila rappresenti (come spesso accade, nell’iconografia romana), il potere militare di Roma, arrivato a mettere ordine in quelle terre lontane. _______________ Mentre la guerra imperversava nell’Oriente, a Roma si verificavano grandi e repentini stravolgimenti politici. Per il 70 a.C. furono eletti consoli Pompeo, generale ormai amato dalle folle, e Crasso, che godette dell'appoggio di Cesare, sempre più benvoluto dai popolari[8]. Appena entrati in carica essi avviarono una campagna di riforme legislative mirate a depotenziare quelle precedentemente adottate a Silla, limitando il potere del Senato e restaurando quello dei tribuni della plebe. Nello stesso anno il giovane avvocato homo novus che aveva osato contrastare un liberto di Silla, Cicerone, assunse l’accusa contro l’ex governatore della Sicilia, Verre, non solo facendolo condannare, ma mettendo a nudo la corruzione che dilagava fra i nobili. Poco per volta, così, il potere della vecchia aristocrazia (cui anche Lucullo apparteneva) andava erodendosi. Nel 67 a.C. fu deciso di debellare la piaga della pirateria, che era ormai divenuta insostenibile; a tal fine furono concessi amplissimi poteri a Pompeo che, in pochi mesi, riuscì con rara competenza organizzativa[9] a predisporre ed eseguire una manovra navale, in tutto il Mediterraneo, individuando e distruggendo i covi dei pirati. _______________ Mentre inseguiva i re nemici Lucullo fu abbandonato da Roma stessa, a causa della sua inflessibile serietà. I primi a voltargli le spalle furono i suoi soldati. In un mondo ove i territori nemici erano visti come fonte di razzie e arricchimento, il proconsole era forse l’unico Romano che vietava tassativamente ai proprî soldati di saccheggiare le città conquistate; inizialmente i legionari accettarono e pazientarono, convinti che sarebbe arrivato il loro momento, ma Lucullo rimase inflessibile, impedendo loro di fare razzia. Pertanto nel 68 a.C., quando sulle montagne dell’Armenia arrivò il gelo e cominciò a nevicare, i soldati si rifiutarono di proseguire la marcia; Lucullo dovette tornare indietro e attendere la primavera in pianura e Mitridate e Tigrane ne approfittarono, per riprendere possesso di porzioni dei rispettivi regni. In seguito scoppiarono altre ribellioni fra i legionarî, aizzate addirittura da un altro cognato di Lucullo (fratello di Appio Claudio Pulcro) che si faceva chiamare Publio Clodio (anziché Claudio) per ostentare vicinanza al popolo[10]. Clodio era un pessimo elemento, che trovava appagamento nel seminare e fomentare il caos; peraltro di una delle sue tre sorelle[11], bellissima e dissoluta, si innamorò il poeta che andava allora in voga a Roma, Catullo, che ne rese immortale il ricordo con lo pseudonimo di Lesbia. Ma il tradimento più grave arrivò direttamente dal Senato. Occorre premettere che Lucullo era noto, fra le popolazioni delle province, per essere un magistrato giusto e magnanimo. Nel 70 a.C. si era recato a riorganizzare la provincia d’Asia, trovandola devastata dai debiti, causati sia dalla guerra, sia soprattutto dalla rapacità dei publicani[12]; aveva quindi limitato il tasso di interesse superiore all’1% mensile e adottato una serie di altre misure di equità grazie alle quali, in circa quattro anni, tutti i debiti furono saldati. Tale fu la fama della sua imparzialità che le province limitrofe chiesero a Roma di averlo, anch’esse, come governatore. Queste misure, giuste ma severe, gli causarono tuttavia molte inimicizie fra publicani e usurai, che godevano, a Roma, del sostegno politico dei populares e corruppero alcuni tribuni della plebe affinché lo accusassero di protrarre inutilmente la guerra, solo per potersi arricchire. Tanto fecero, che furono creduti; nel 66 a.C. un una legge, appoggiata pubblicamente da Cesare e Cicerone, tolse il comando della guerra a Lucullo e lo attribuì a Pompeo, reduce dalla vittoria contro i pirati. _______________ Pompeo proseguì la campagna militare sino al 63 a.C.; ottenne la resa di Tigrane, che tornò a governare sulla sola Armenia, ma non quella di Mitridate. Il re del Ponto infatti, disposto a giocare il tutto per tutto, si alleò con un re dei Galli e decise di invadere l’Italia marciando lungo il Danubio; fu infine ucciso da un soldato del suo stesso figlio, stufo che i deliranti disegni paterni continuassero ad alimentare l’ira di Roma. All’esito della guerra gran parte dell’Asia Minore cadde sotto il dominio romano: Bitinia, Ponto e Siria furono costituiti in provinciae nel 64 a.C., Giudea e Armenia furono ridotte a regni vassalli. In Bitinia fu emesso un bronzo di Nicea, che bene attesta la diffusione del potere di Roma Al rovescio infatti è raffigurata une figura femminile seduta su una pila di scudi, che regge in una mano Vittoria, nell’altra la lancia; la didascalia in esergo, ΡΟΜΗ, consente di identificarla nella personificazione della Città Eterna. La legenda inoltre, ΕΠΙ ΓΑΙΟΥ ΠΑΠΙΡΙΟΥ ΚΑΡΒΟΝΟΣ, informa che l’emissione è avvenuta “sotto Gaio Papirio Carbone”, governatore della neonata provincia. Al dritto è invece ritratto Dioniso e sono presenti la legenda ΝΙΚΑΙΕΩΝ e la data (in lettere greche[13]), che consente di collocarlo con sicurezza nei primi anni di dominio romano. Lucullo tornò a Roma, celebrò il trionfo nel 63 e abbandonò la politica. Disprezzato dalla patria che aveva così brillantemente servito, per ironia della sorte fu ricordato dai posteri per i suoi pasti abbondanti, lui che era stato uno dei più abili generali di Roma. Fu uno degli ultimi esempi della grandezza della vecchia aristocrazia Romana: come Silla (e Cesare dopo di loro), rivelò incredibili capacità tattiche e strategiche senza avere precedenti esperienze; come Scipione, seppe condurre attacchi fulminei e devastanti contro il punto debole del nemico; come il Cunctator[14], capì il momento in cui una strategia attendista era più efficace dello scontro diretto; come Cincinnato, si ritirò a vita privata quando la repubblica non ebbe più bisogno di lui. In più, fu forse l’unico dei suoi contemporanei a trattare le popolazioni soggette con umanità e a trattenere risolutamente gli istinti rapaci dei suoi soldati; pagò proprio questo. Pompeo, dal canto suo, era la terza volta che si presentava a “sconfiggere” un nemico (dopo Sertorio e Spartaco) già fiaccato da un altro generale ... _______________ Nel 63 a.C. assunse il consolato Cicerone. Era un uomo particolare, di cui - grazie al suo epistolario - conosciamo non solo le capacità, ma anche le umane debolezze: gli fu offerto di cambiare cognomen, visto che il suo era offensivo, e risposte che avrebbe invece reso celebre quello che aveva (cosa che, in effetti, è successa); fu eletto grazie a una particolare congiuntura politica, sostanzialmente perché era ritenuto così debole da non dare fastidio ad alcuna delle fazioni in campo, ma credette che fossero state riconosciute le sue grandi doti di statista; proveniva da una famiglia assolutamente estranea alla vita politica romana, ma fece di tutto per essere accettato come esponente degli optimates, proprio lui che (nel processo a Verre) aveva messo a nudo la decadenza dalla vecchia casta aristocratica. Durante il suo consolato Cicerone scoprì un complotto ordito da un nobile decaduto, Lucio Sergio Catilina, e lo trattò come se fosse stato l’inizio di una nuova guerra civile, ovviamente scongiurata grazie alle sue grandi doti politiche. Cinque cospiratori, appartenenti a facoltose famiglie romane, furono incarcerati e si discuteva se giustiziarli o esiliarli; Cicerone, di fronte a una folla mossa da sentimenti contrastanti (molti volevano la salvezza dei cinque detenuti), diede infine una prova sublime della sua abilità oratoria limitandosi ad annunciare: “Vixerunt” (“vissero”; l’uso del tempo perfetto, tuttavia, indica un’azione conclusa: Cicerone ne annunciava quindi la morte, usando la delicatezza di non dirlo esplicitamente). Gli altri congiurati fuggirono in Etruria, ove costituirono un esercito di disperati che fu definitivamente sconfitto nel gennaio del 62 a.C., a Pistoia. Quell’anno un monetiere non ben identificato, Lucius Scribonius Libo (forse, il padre dell’omonimo che sarà console nel 34 a.C.), emise un denario particolare, RRC 416/1. Esso al dritto raffigura il Bonus Eventus (identificato dalla didascalia), divinità legata al mondo agricolo. Al rovescio, invece, è rappresentato il Puteal Scribonianum, monumento con una storia curiosa. Le fonti infatti narrano come nel Foro fosse originariamente presente un piccolo altare del dio Vulcano, presso cui Romolo teneva le prime adunanze di popolo. L’altare fu poi colpito da un fulmine e la cavità così formatasi fu lasciata aperta in segno di rispetto verso gli dei che avevano voluto scagliare il fulmine. Infine, agli inizî del II secolo a.C., un appartenente alla gens Scribonia l’aveva monumentalizzata in forma di pozzo, il Puteal Scribonianum appunto. Presso tale pozzo, peraltro, il pretore teneva i processi per usura. Questa moneta è interessante per due motivi: dal punto di vista storico, è interessante l’opinione di Crawford, secondo cui la scelta del Puteal - costruito dove s’era abbattuto un fulmine - probabilmente celebrava la vittoria contro i seguaci di Catilina; dal punto di vista iconografico, invece, rileva lo stile poco elaborato, che attesta un’evoluzione (in atto nell’arte romana) dagli influssi ellenistici, per i quali in precedenza si era prediletta la ricerca del bello, a canoni estetici più vicini al realismo, che invece miravano a trasmettere il messaggio con maggior immediatezza, prediligendone il significato alla forma. _______________ Sempre nel 62 a.C. Cesare assunse la carica di pretore e dimostrò grande equilibrio, nei contrasti fra popolo e Senato. Accadde inoltre che una notte Clodio si introdusse in casa sua mentre erano presenti solo donne (per espletare una funzione religiosa); quando la cosa si scoprì, suscitando grande scandalo, egli ripudiò la moglie (Pompea, nipote di Silla, che aveva sposato dopo la morte di Cornelia Cinna) pur ritenendola innocente, perché “mulier Caesaris etiam suspicione vacare debet” (“la moglie di Cesare deve essere esente anche da sospetto”). L’anno dopo Pompeo entrò in contrasto con il Senato (di cui, sino allora, era stato il paladino) che non volle riconoscere adeguate ricompense ai suoi soldati, e cercò l’appoggio politico di Cesare e di Crasso. Si gettavano così le basi del primo triumvirato. NOTE [1] Questa viene denominata “terza guerra mitridatica” perché una “seconda”, inconcludente, si ebbe fra l’83 a.C. e l’81, quando Lucio Licinio Murena, lasciato da Silla a capo delle legioni Fimbriane, si scontrò con Mitridate, che ne uscì vittorioso. [2] È difficile determinare quanti uomini corrispondano a “una legione”, per due ragioni: primo, benché le legioni avessero una forza teorica di 3.840 fanti, la loro consistenza pratica dipendeva da molti fattori contingenti (perdite, congedamenti, rinforzi, etc.); secondo, le fonti spesso non citano le forze alleate (che, in teoria, dovevano essere di entità uguale a quelle di Roma). Ne consegue che “una legione” può significare un numero che varia da 8.000 fanti (una legione a ranghi completi più una pari unità alleata) a soli 2.000 (la sola legione, a ranghi ridotti). In questo caso, sono le fonti a dirci che erano 5 legioni pari a 30.000 fanti. [3] Lucullo aveva sposato una delle sue tre sorelle. [4] Vita di Lucullo, 21. [5] Queste stime, riportate dalle fonti antiche, sono verosimilmente esagerate, per far apparire ancora più eroica l’impresa dei Romani. È comunque sicuro che gli Armeni fossero in grandissima superiorità numerica. [6] Appiano, Guerre mitridatiche, 85; Plutarco, Vita di Lucullo, 27. [7] Vita di Lucullo, 27-28. [8] Fra l’altro, nel 69 o 68 a.C. morì di parto la sua giovane sposa, Cornelia Cinna, ed egli volle commemorarla pronunciando una laudatio funebris dai rostra. Fu un’attestazione d’amore che colpì il popolo perché un simile onore era riservato, all’epoca, ai soli personaggi importanti (anche donne, ma solo anziane matronae). [9] Ebbe anche la lungimiranza di destinare i prigionieri e le loro famiglie a una vita da agricoltori nelle coloniae, affinché si convertissero a uno stile di vita onesto. [10] È questa la testimonianza che già all’epoca la pronuncia popolare del dittongo -au- era mutata in -o-, come poi ereditato dall’Italiano. [11] Non si sa esattamente quale delle tre, verosimilmente non la moglie di Lucullo. [12] In quella provincia, a causa della sua lontananza, Roma sperimentò per la prima volta un sistema di esazione delle tasse che consisteva nel farsi anticipare il dovuto da alcuni appaltatori, detti publicani, che poi riscuotevano le tasse dai cittadini. Si rivelò un sistema fallimentare e vessatorio: i publicani pretendevano dai cittadini il doppio di quel che versavano a Roma e, a chi non aveva disponibilità, applicavano interessi usurarî. [13] ΔΚΣ, ossia 224. Il conteggio di questi anni decorreva dalla morte del diadoco Lisimaco, considerato come anno 1 (= 282-281 a.C.), talché la moneta è stata emessa nel 59-58 a.C. [14] Soprannome di Quinto Fabio massimo, che aveva sfiancato Annibale proprio con una strategia cauta e attendista. ILLUSTRAZIONI 69 a.C, denario RRC 409/1 59 a.C., bronzo di Nicea 62 a.C., denario RRC 416/11 punto
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Buonasera a tutti, la mia Napoletana di Oggi è uno schieramento di granate di Rame Borbonico. Messi insieme fanno la loro sporca figura, conservazione non proprio il top ma sono comunque il frutto di anni di collezionismo. A me piacciono così come sono, sicuramente avrei potuto comprarne di meno, spendendo gli stessi stessi soldi e avendo dei pezzi migliori. Ormai è andata così, facciamo progetti per il futuro. Vediamoli. Saluti Alberto1 punto
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Buongiorno e Buona domenica a tutti, stamattina ho pensato di far prendere un po' di aria agli argenti Borbonici. Ho approfittato per fare una foto di gruppo ma solo del diritto, un discreto numero con più esemplari per lo stesso millesimo. Mancano ancora alcuni millesimi per completare la serie senza contare le varianti. Per alcuni, 1837/1849 temo ci vorrà molto tempo. Saluti Alberto1 punto
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