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  1. Carissimi, in queste calme (e calde!) giornate agostane sono felice di condividere per la prima volta con voi un acquisto di diversi mesi fa, che mi ha spinto a fare un approfondimento sul tesoro "della centrale a gas" di Limoges scoperto nel 1926. Sul forum ho notato diverse discussioni volte a raccogliere informazioni sul tesoro in oggetto (ad es. qui IL TESORETTO DI LIMOGES). Spero queste mie righe possano essere utili per tutta l'utenza. La moneta La moneta, acquistata in "retail" presso la francese CGB (Comptoir Général de la Bourse), è un comunissimo denario di Settimio Severo (RIC 150) dal peso di 3.28 gr e dal diametro di 19.5 mm. Al diritto, un ritratto dell'imperatore ancora gradevole, con legenda SEVERUS AUG PART MAX. Al rovescio, la Vittoria alata che sorvola uno scudo posto su un cippo, e la legenda PM TR P VIII COS III PP. Di seguito una foto (credits Cgb.fr). La moneta era messa in vendita insieme a un cartellino identificativo da collezione, di cui vi posto le foto qui di seguito, con catalogazione di Occo (rif. p. 274 linea 8). Era la prima volta che acquistavo una moneta con "pedigree" e, intrigato da questo fatto, mi sono subito messo a cercare notizie sul tesoro. Tuttavia, come altri prima di me, inizialmente non sono riuscito a trovare informazioni rilevanti e di "prima mano". Poi un giorno, consultando il sito "Coin hoards of the Roman Empire" (https://chre.ashmus.ox.ac.uk/reference/1155), mi è apparso il nome di un tale Henri HUGON, che avrebbe scritto un articolo a riguardo nella rivista "BSAHL" del 1927. Facendo ricerche su tale Hugon, mi sono imbattuto nella Société Archéologique et Historique du Limousin (SAHL), di cui tale Hugon faceva parte. Ho finalmente compreso che la B di BSAHL stava per "Bollettino", e sono riuscito a trovare sul sito della Biblioteca Nazionale di Francia, il "Bulletin de la Société" del 1927, in cui figura lo studio di Henri Hugon, che fu incaricato insieme ai Sig.ri Delage e Martinaud di realizzare l'analisi del tesoro. Il Bollettino del 1927 è leggibile e scaricabile al seguente link (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6552329x/f66.item). Lo studio sul tesoro va da p. 60 a p. 71. Il tesoretto "della centrale del gas" di Limoges (1926). Di seguito una mia sintesi dello studio realizzato dal Sig. Henry Hugon, pubblicato nel 1927. Il tesoro è stato scoperto il 7 maggio 1926 à Limoges, presso i terreni appartenenti alla Società anonima del gas e dell'elettricità di Lione, proprietaria anche della centrale a gas di Limoges. Durante dei lavori edili, gli operai della Società urtano una giara di tipo "dolium" alta 40 cm, che si rompe e rivela il suo contenuto ossidato. Compreso il contenuto, gli operai presenti (non sappiamo quanti) si riempiono le tasche di denari e disperdono dunque una parte del tesoro (ancora oggi si ignora il numero totale delle monete disperse in quei primi momenti). Alcune monete verranno in seguito recuperate dalla Società in cambio del pagamento di una somma in denaro per il ritrovamento. La cosa interessante è che, per calcolare il peso dell'argento contenuto nei denari (e quantificare l'indennizzo), la Società farà analizzare il metallo contenuto in alcuni denari presi a campione. Questo il risultato: Denario Settimio Severo: AR 48.7% Denario Julia Domna: AR 48.8% Denario Caracalla: AR 47.3% Denario Geta: AR 45.1% Denario Alessandro Severo: AR 37.8% Denario Julia Mamea: AR 36.7% Raccolto l'insieme, la Società incarica la SAHL di realizzare un inventario dettagliato della scoperta. Purtroppo, l'articolo pubblicato nel bollettino non fornisce nel dettaglio le tipologie dei denari trovati, ma soltanto un riassunto del numero di monete e tipologie per imperatore. In totale sono state trovate 6.393 monete, tutti denari d'argento tranne quattro antoniani, che vanno da Antonino Pio a Postumo. I tre personaggi più presenti sono Caracalla (2.126 denari, 16 tipologie di diritto e 72 di rovescio), Settimio Severo (1.453 denari, 6 tipologie di diritto e 55 di rovescio) e Julia Domna (1.031 denari, 5 tipologie di diritto e 28 di rovescio). Ad eccezione di Annia Faustina, è presente tutta la dinastia severiana. Di seguito la tabella riassuntiva. Hugon nell'articolo precisa di aver realizzato un inventario più dettagliato per l'insieme delle tipologie, consegnato alla Società del gas e in duplice 2copia alla SAHL, di cui tuttvia non sono riuscito a trovare traccia in internet. In compenso, Hugon descrive in maniera narrativa alcuni dei pezzi più rari trovati nella giara: alcune monete di Pertinace, Clodio Albino, ma sopratutto un denario "ibrido" (mule?) mai recensito, con al diritto il busto di Settimio Severo e al rovescio il busto e i titoli di Caracalla infante. Data la presenza dei quattro antoniani (1 di Treboniano Gallo, due di Valeriano e uno di Postumo), Hugon ipotizza l'esistenza di almeno un'altra giara andata perduta, contenente le monete più contemporanee di chi ha nascosto il tesoro. Infatti, i lavori di scavo hanno permesso di stabilire che la giara era stata posta in un ampio spazio scavato in una parete di tufo. Un crollo parziale di questa cavità avrebbe permesso a questa giara di denari di non essere vista e quindi di rimanere dov'era. Realizzato lo studio, Hugon accenna che una parte del tesoro fu donata dalla Società a diversi musei d'oltralpe, senza però dare maggiori dettagli. Incrociando queste informazioni con quelle riportate nel seguente articolo del "Corpus des Trésors Monétaires Antiques de la France", p. 76, (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bd6t5370037z.image) possiamo avere un'idea più dettagliata del numero di monete donate: 324 monete al Museo municipale di Limoges, altrettante al Museo nazionale delle Antichità di Lione e al Museo delle antichità di Parigi. 16 al piccolo Museo di Gueret e 15 alla "Società degli Antiquari di Poitiers". In totale, circa un migliaio di monete furono donate al "pubblico", le restanti sono rimaste alla Società negli uffici centrali di Lione e nella Centrale a gas di Limoges. Non sono riuscito a trovare maggiori informazioni sulle tipologie dei pezzi donati ai musei. Inoltre, non ho trovato notizie sul destino che gli abbia fatto fare la Società del gas: le ha vendute in asta? Le ha distribuite agli azionisti? Sono state tenute dall'Amministratore delegato o dal Direttore della centrale di Limoges come "bonus"? L'insieme di queste ipotesi? Secondo Hugon, la scoperta del tesoro di Limoges ha posto le basi per ridisegnare la storia della regione. Fino a quel momento infatti, nella regione dell'antica Augustoritum (Limoges) non erano stati ritrovati tesori importanti, e questo aveva spinto numerosi studiosi a ipotizzare un declino della città per cause naturali. Hugon nel suo studio ipotizza invece come il tesoro della centrale a gas sia da inquadrare negli anni turbolenti dell'ascesa di Postumo (di cui è stata trovata una singola moneta nel ripostiglio) e della nascita "dell'impero delle Gallie". Due parole vorrei spenderle sul numismatico Henri Hugon, classico erudito di fine Ottocento, che fu chiamato a gestire la classificazione del tesoretto. Alto funzionario pubblico francese, diventa Direttore Generale dell'Agricoltura in Tunisia, all'epoca protettorato francese. In Tunisia, scrive il primo trattato di numismatica del Paese, "Numismatique Beylicale", che diventerà la referenza per le monete dei Bey di Tunisi. In pensione, va a vivere nel limosino dove si dedica interamente alle attività storico-archeologiche della SAHL, di cui diventerà presidente. Mi sembrava giusto rendergli omaggio. I "passaggi" della moneta e l'etichetta da collezione Un altro fatto curioso ma importante riguarda i vari passaggi che la moneta ha effettuato. CGB nel pedigree aveva inserito unicamente la provenienza dal tesoretto di Limoges. Tuttavia, sono riuscito a individuare almeno due altri passaggi: nel 2017, è stata messa all'asta dal sito "La galerie des monnaies .fr" che ha gestito la vendita di un ampio lotto di monete romane per conto della casa d'aste Prado Falques di Marsiglia (Monnaies Romaines LES SÉVÈRES (193-235 après J.-C.). Insieme alla mia moneta, altri 50 pregevoli pezzi provenienti dallo stesso tesoro. La cosa interessante, tuttavia, è che tra queste 51 monete figura anche il denario con al diritto il busto di Settimio Severo e al rovescio il busto di Caracalla infante, considerato un ibrido unico, descritto nello studio di Hugon (vedi sopra) come il pezzo più raro trovato nella giara. Con ragionevole certezza, pensavo poter affermare che questo lotto di monete, (tra cui anche la mia), facesse parte di quelle catagolate da Hugon nel 1926, poi "tenute" dalla Società del gas di Limoges e quindi disperse chissà come. Poi però ho notato che tra le monete esitate, figura un denario di Gordiano Africano, non recensito dallo studio di Hugon: che fosse una delle monete intascate dagli operai e acquistate dal collezionista? Che ci sia stato un errore in sede di inventario da parte di Hugon? Nel frattempo, ho scritto una email al sito "La galerie des monnaies", chiedendo se potessero rivelare maggiori dettagli sulla provenienza del lotto di monete in questione. Vi farò sapere se dovessero mai rispondermi (tentar non nuoce). Alcune delle monete vendute nel dicembre 2017 sono riapparse nel 2018 da CGB, tra cui il denario ibrido/mule con i busti di Settimio Severo e Caracalla, che ha rivenduto nella Live auction del 5 giugno 2018. Nel 2024, la mia moneta insieme ad altre 8 (sempre tutte precedentemente passate da Prado Falques/La galerie des monnaies) è poi riapparsa tale e quale nell'E-Auction 8 di MDC del 9 marzo 2024. CGB ha nuovamente fatto incetta e le ha acquistate tutte e messe in boutique. Cercando in rete, sono riuscito a trovare un'altra etichetta di una moneta proveniente dalla stessa collezione esitata da Prado Falques e poi da MDC (Finally: a type I've wanted for years! - Roman Empire - Numis Forums), e un'altra etichetta del 1914 che potrebbe essere dello stesso collezionista, proprio su questo forum (https://www.lamoneta.it/topic/169001-aureliano-comune-ma-con-pedigree/#comment-2120863), che però non ho ritrovato sul catalogo online "La galerie des monnaies" del 6 dicembre 2017. Considerazioni personali finali Mi sono divertito molto a fare queste richerche. Questo è stato uno dei primi acquisti e mi ha spinto ad approfondire tanti aspetti non prettamente "numismatici" che però mi hanno ugualmente entusiasmato. Credo di aver pagato un po' troppo (200 EUR), soprattutto considerata la tipologia e qualità di conservazione della moneta. Cercando i vari "passaggi" del pezzo ho infatti notato come solamente nel marzo 2024, nell'asta MDC, il prezzo di aggiudicazione fu di soli 50 EUR. Forse i prezzi MDC erano un po' bassi, ma quello che ho pagato trovo sia un tantino alto. In compenso, la moneta mi piace molto e ha una storia particolare da raccontare (oltre alla storia initrinseca della sua coniazione). Spero questo mio (lungo) intervento vi abbia entusiasmato quanto ha entusiasmato me scriverlo. Rimango ovviamente in attesa di commenti, info aggiuntive, considerazioni o critiche. Grazie mille per l'attenzione e un caro saluto a tutti. K
    14 punti
  2. Grazie! Ti posto degli scatti della moneta di cui ho accennato prima. Aveva un colpo abbastanza presente al ciglio del rovescio (a mio parere causato probabilmente all'atto della coniazione). Ma a parte questo (non trascurabile) problema, questo esemplare rientra a pieno titolo tra le più "perfette" che io abbia mai trovato nelle mie lunghe ricerche. La superficie della moneta si caratterizzava per essere molto "pulita" e nitida, rilievi molto precisi e ben evidenti (seppur nella loro bassa entità). Allego delle foto del venditore da cui la presi, con un dettaglio sulle pieghe della veste, che sono sempre uno dei punti deboli di questa tipologia. La patina invece era a dir poco fenomenale! non solo "spessa" (di vecchia collezione), ma omogeneamente estesa, coprente e con bellissime iridescenze (tipica della moneta "non circolata" che contraddistinguono spesso le monete emesse "per numismatici"). Su questa moneta, una patina con queste peculiarità non l'avevo mai vista, mentre, ad esempio, con un po di pazienza si riesce a trovare sui 20 Lire "Littore". Peccato per quel colpo, ma... la perfezione, davvero non esiste! su questa tipologia, men che meno! Ecco, nella mia personale esperienza, ritengo questo esemplare molto al di sopra della media per il conio (spiccata "pulizia" del modellato e rilievi perfetti nonostante la loro modestissima caratterizzazione; vedi la foto del dettaglio sopra inserita), per la patina, decisamente di insolita bellezza, e infine per la brillantezza veramente molto spiccata.
    11 punti
  3. Buongiorno a tutti, faccio compagnia al testone di Carlo I postato da @Andrea79 e vi presento uno dei miei ultimi acquisti sabaudi. Passata da Ratto nel 1965, da Varesi più recentemente e infine da Kruso questa primavera, dove l’ho acquistata. conservazione piacevole, dal vivo i rilievi sono alti e il metallo brillante, sotto a quella patina che a certe inclinazioni vira al blu. Buona giornata, N.
    10 punti
  4. Buonasera a tutti, in questa immagine scherzosa, elaborata da mia figlia in occasione del mio compleanno, viene raffigurata una sorta di contrappasso della figura del collezionista numismatico. Sullo sfondo della location del Mercatino del Cordusio, è rappresentata una transazione tra due monete antropomorfizzate, individuabili in un "testone" milanese e in un "ducatello" veneziano. Oggetto dello scambio sono i collezionisti. Infatti il "testone" sta trattando con il "ducatello" l'acquisto di un esemplare del 1966, rappresentato da una mia caricatura, in piedi sul raccoglitore. Da notare che il "testone" ha già acquistato un altro esemplare di collezionista che spunta dal suo "borsetto". Quest'ultimo particolare, sempre secondo mia figlia, contraddistingue ed identifica i frequentatori assidui del mercatino milanese e dei convegni numismatici che qualche volta anche lei è stata "costretta" a frequentare. Devo ammettere che quando l'ho visto mi è piaciuto molto e mi ha fatto subito sorridere. Un saluto Federico
    9 punti
  5. Generazioni a confronto Emissione 1955-1989 ed emissione small 1990-1992
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  6. E poiché, come dite a Napoli "C'a nisciuno è fesso" si chiude anche questa. E, caro @tuttologo, sarà così anche in futuro per tutte le eventuali discussioni simili.
    9 punti
  7. Ultimo arrivo. Tallero coniato a Pisa. del 1595 esistono due tipi. Uno con la legenda al dritto a caratteri più spaziati (questo), di cui esistono ancora almeno 23 esemplari, l'altro, più comune, con caratteri più ravvicinati.
    9 punti
  8. IL PRIMO TRIUMVIRATO I Romani, benché fossero una società guerriera, svilupparono una teoria del bellum iustum, cioè della “guerra conforme al diritto “; sappiamo infatti da Cicerone che un bellum era considerato “iniustum … atque inpium” ( “contrario al diritto e al volere degli dei”) se iniziato senza giusta causa (ad esempio, respingere un’invasione, difendere popoli alleati o vendicare l’uccisione di cittadini) o comunque senza aver preventivamente tentato, tramite ambasciatori, una conciliazione pacifica[1]. Sebbene sia oggi evidente che le regole del bellum iustum siano state spesso applicate con ipocrisia e che la spinta espansionistica di Roma sia stata alimentata da vere guerre di annessione, scatenate per motivi pretestuosi, il fatto stesso che in un’epoca così remota i Romani abbiano elaborato una dottrina giuridica tesa a limitare i conflitti, dichiarando contrarî al volere divino quelli scatenati per mera volontà di dominio[2], costituisce un grande merito per la loro cultura. Nel 62 a.C. Gaio Giulio Cesare, trovandosi a Gades (odierna Cadice) durante l’anno della sua pretura[3], vide una statua di Alessandro Magno e scoppiò in lacrime, frustrato del fatto che - pur avendo superato l’età del grande condottiero macedone - non avesse compiuto alcuna impresa gloriosa: egli aspirava dunque alla fama, ma sapeva di poter solo sperare che, prima o poi, gli si presentasse l’occasione di combattere un bellum iustum. __________________ Nel 60 a.C. Cesare, saputo che Pompeo, deluso dal Senato, cercava di stipulare un’alleanza politica con Crasso, si propose da mediatore. I tre allora raggiunsero un accordo passato alla storia come “primo triumvirato” (anche se aveva la natura di un mero patto fra privati): Pompeo, con la sua fama, e Crasso, con le sue ricchezze, avrebbero sostenuto la candidatura di Cesare al consolato per il 59; in cambio egli, dopo l’elezione, avrebbe promosso leggi per ottenere quanto agognato dai suoi due alleati, ossia l’assegnazione di terre ai veterani di Pompeo e riforme economiche favorevoli all’ordo equestris (il ceto dei cavalieri; di fatto, in termini moderni, la borghesia commerciale). A margine, per rinforzare l’alleanza, Pompeo sposò Giulia, unica figlia di Cesare. Il patto ebbe successo: Cesare assunse il consolato nel 59 e promosse un programma di riforme rivoluzionario, aiutando non solo i veterani e i cavalieri, ma anche i cittadini più poveri. Una delle leggi del 59 incaricò Cesare stesso di governare per i 5 anni successivi (dal 58 a.C. al 54 compreso), come proconsole, le province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico, presidiate da tre legioni; fu poi aggiunta la provincia della Gallia Narbonense (il cui governatore era deceduto), ove era presente un’ulteriore legione, la X[4]. Cesare era un signorino: amava vestire alla moda, passava ore ad acconciarsi e a curare la propria immagine, si dedicava alla vita mondana ed era noto perché aveva molte relazioni amorose (fra cui, come s’è detto, quella con Servilia), alcune delle quali - si mormorava - omosessuali; pertanto, quando in Senato dichiarò che avrebbe compiuto grandi imprese militari, un suo detrattore rispose: “Non sarà facile, per una donna”. Clodio aspirava candidarsi a tribuno della plebe, ma come patrizio non poteva e aveva allora deciso di farsi adottare da un plebeo. La rinuncia allo status patrizio, quasi assurda per la mentalità dell’epoca, aveva implicazioni di natura religiosa (molte funzioni cultuali erano riservate ai soli patrizî), per cui occorreva il preventivo assenso del pontifex maximus; glie lo diede nel 59 lo stesso Cesare (che era stato eletto al sommo sacerdozio nel 63, alla morte del balbuziente Metello). I due divennero così alleati politici, malgrado i dissapori causati dalla vicenda di Pompea, e Clodio fu eletto tribuno per il 58. __________________ Agli inizi del 58 a C., prima di lasciare Roma, Cesare volle assicurarsi che i maggiori esponenti degli optimates fossero allontanati dall’Urbe, onde evitare che approfittassero per esautorarlo dal comando (com’era successo a Silla e Lucullo). Il suo più intransigente avversario politico era Marco Porcio Catone, ed era un avversario scomodo: assolutamente onesto, privo di vizî, incorruttibile, imparziale e non ricattabile, voleva incarnare con inflessibilità e intransigenza le antiche virtù romane e si ispirava al nonno, il celeberrimo Censore, passato alla storia per il carattere severo, l’austero moralismo e le battaglie contro il lusso e il decadimento dei costumi. Cesare ottenne che il Senato lo inviasse a Cipro, quale primo governatore della neonata provincia e Catone, che era fratello uterino di Servilia, portò con sé il nipote Bruto (che nel frattempo si era fatto adottare da un altro parente di cui noi nulla sappiamo e, pertanto, aveva mutato il nome da Marco Giunio Bruto a Quinto Servilio Cepione Bruto[5]), una persona volubile e travagliata, amante della filosofia, della poesia e dell’arte, che subiva l’influenza e le pressioni dell’inflessibile zio senza, tuttavia, averne lo spessore morale. Clodio provvide invece a far allontanare un altro importante esponente degli optimates, Cicerone (di cui si considerava nemico personale): fece infatti approvare un plebiscito che lo condannava all’esilio. __________________ Nel 58 a.C. tornò a Roma vittorioso e assunse la carica di edile curule Marco Emilio Scauro, che era aveva combattuto in Oriente con Pompeo[6]. Nel 62 il Senato, malgrado la sua giovane età (aveva solo 20 anni), lo aveva incaricato di fermare Areta III, re di Nabatea, che aveva invaso la Giudea, regno vassallo di Roma; Scauro aveva condotto una campagna militare fulminea, sbarcando ad Alessandria, ponendo l’assedio Petra, capitale del regno nemico e accettando la resa di Areta solo dopo che aveva pagato un riscatto di 40 talenti. La sua impresa fu quindi celebrata su un particolarissimo denario di quell’anno, RRC 422/1. Si tratta di una moneta ricca di iscrizioni[7]: quelle del dritto ci informano che fu emessa dagli edili curuli (fatto eccezionale) su autorizzazione del Senato (EX S.C) per commemorare la sconfitta di Areta (REX ARETAS, raffigurato in ginocchio, a fianco del suo cammello, mentre offre un ramoscello d'ulivo) a opera di Scauro (M. SCAVR, AED CVR). Al rovescio invece l’altro edile curule, Publio Plauzio Hypseo (P. HVPSAEVS, AED. CVR) celebra la conquista di Priverno (PREIVER CAPTVM) compiuta nella seconda metà del IV secolo a.C. da un suo antenato, il console Gaio Plauzio Hypseo (C. HVPSAE. COS). La particolarità di questa emissione non è solo nella complessità grafica, ma anche nel fatto che segna un ulteriore passo avanti nella lunga evoluzione dell’iconografia monetale romana: per la prima volta, infatti, non viene più raffigurato un evento passato, allegoria di fatti contemporanei (come nel caso di Ulisse o di Marsia), né una rappresentazione genericamente allusiva al presente (come nel caso del trionfo di Mario e della statua equestre di Silla), ma direttamente un evento contemporaneo, con tanto di didascalia (REX ARETAS): si tratta di una piccola rivoluzione. La fine di Scauro sarà ingloriosa: pretore nel 56 a.C., poi governatore della Sardegna, accusato di estorsione (de repetundis) nel 54 si salverà solo grazie alla difesa di Cicerone; nuovamente accusato di brogli elettorali nel 53, sarà invece condannato ed esiliato. I rotoli del Mar Morto fanno cenno alla sua morte. __________________ Il 28 marzo del 58 a.C., mentre ancora era a Roma, Cesare venne a sapere che 370.000 Elvezi[8], di cui 90.000 soldati, lasciate le loro terre si dirigevano verso la Gallia Narbonense; era praticamente sicuro che l’avrebbero razziata. Si compì allora di nuovo l’incredibile trasformazione già manifestatasi con Silla e Lucullo: il nobilotto romano amante del lusso, dell’ozio e della vita dissoluta cambiò pelle repentinamente, dimostrandosi un soldato capace, coriaceo, determinato e coraggioso. Da allora e per tutti i 14 anni successivi Cesare, la “donna” ritenuta incapace di affrontare il pericolo, insieme ai suoi soldati avrebbe marciato a piedi, sopportato il gelo, dormito sul terreno nudo, mangiato radici selvatiche e combattuto in prima fila. Il proconsole lasciò Roma con la massima urgenza e dopo soli 5 giorni (tempo impensabilmente breve per l’epoca, sintomo di galoppate sfrenate) fu in Gallia Narbonense, ove fronteggiò gli Elvezi con la sola X legione; sopraggiunte infine le altre tre legioni a sua disposizione, li sconfisse in battaglia e li costrinse a tornare nelle loro terre d’origine. Stupiti da questa inaspettata vittoria, gli stessi Galli gli chiesero di ricacciare un altro invasore, i Germani del re Ariovisto, che aveva occupato il nord della Gallia. Cesare capì che era la sua tanto attesa occasione di combattere un bellum iustum; inviò due ambascerie al re, ma quegli rispose che i Romani non dovevano intromettersi e che le minacce di Cesare non lo spaventavano, perché “nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani”; inoltre, “se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto”. I legionarî avvertirono Cesare che non avrebbero accettato di combattere contro i Germani, descritti come guerrieri possenti, di statura imponente e ferocia impareggiabile; Cesare non si scompose: ribattè che se così era, avrebbe marciato contro di loro con la sola X legione, che era la più valorosa. Questa dichiarazione colse di sorpresa tutti i soldati: inorgogliti, i legionarî della X non osarono contraddirlo; umiliati, quelli delle altre legioni si dissero altrettanto pronti a combattere. Il proconsole accettò l’invito di Ariovisto e si recò a parlargli scortato solo da un manipolo di legionari della X che, per l’occasione, furono fatti montare a cavallo; da allora, la legione fu soprannominata Equestris e passò alla storia come la preferita di Cesare. I colloqui tuttavia fallirono e si giunse a battaglia: fu una vittoria schiacciante dei Romani, grazie anche a un tempestivo intervento della cavalleria comandata dal giovane Publio Licinio Crasso, figlio del triumviro. Il vittorioso intervento contro i Germani rese Cesare, di fatto, il protettore della Gallia: era il primo passo per diventarne il conquistatore. Lasciò le legioni[9] sparse sul territorio e sconfisse, una per volta, le popolazioni che, avendo capito il pericolo di perdere la propria libertà, gli si ribellarono contro, soprattutto, i Belgi (nel 57 a.C.) e i Veneti, tribù dell’attuale Bretagna (nel 56). Questi ultimi in particolare, popolo di marinai, furono sconfitti grazie a una serie di battaglie navali brillantemente condotte da un altro validissimo generale di Cesare, Decimo Giunio Bruto Albino (non imparentato, malgrado il nome, con Bruto figlio di Servilia). Memore delle accuse rivolte a Lucullo di portare avanti la guerra senza motivo, Cesare inviò periodicamente al Senato sintetici e obiettivi “resoconti sull’andamento della guerra in Gallia”, commentarii de bello Gallico: scritti con stile asciutto e lineare, venivano letti in pubblico e finirono per essere apprezzati e attesi dal popolo, appassionatosi al racconto di quegli avvenimenti in terre lontane e selvagge. I commentarii saranno poi raccolti in un unico libro che diverrà uno dei testi più famosi della letteratura occidentale, il De Bello Gallico. __________________ Durante l’anno in cui fu tribuno, Clodio promosse molte leggi tese a limitare il potere del Senato, a vantaggio delle assemblee popolari. Nel 57 a.C., terminata la carica, per evitare che l'aristocrazia senatoria facesse invalidare le sue riforme raccolse attorno a sé una banda di violenti facinorosi, con cui scatenò numerosi disordini facendo insorgere, nell'Urbe, un clima di terrore e violenza. Gli si oppose allora un tribuno della plebe di quell’anno, Tito Annio Milone, suo acerrimo nemico e vicino alle posizioni degli optimates, che organizzò un’altra banda armata per contrastare, con altrettanta violenza e spregiudicatezza, quella di Clodio. Nel frattempo Pompeo si crucciava del rischio di essere messo in ombra dalle grandi imprese belliche di Cesare; non essendo capace di costruirsi un base politica propria si riavvicinò agli optimates e al Senato. Grazie al suo appoggio passò una legge che consentiva il ritorno di Cicerone dall'esilio; l'oratore sbarcò a Brindisi il 5 agosto del 57 e trovò ad accoglierlo, oltre ad amici e familiari, la sua adorata figlia Tullia (da lui affettuosamente chiamata Tulliola) che, quel giorno, festeggiava il compleanno. Alla fine del 57 una grave emergenza colpì Roma: dalle importazioni non giungeva più grano sufficiente a sfamare il popolo. Gli optimates diedero la colpa a Clodio: infatti una sua lex frumentaria aveva reso del tutto gratuite le distribuzioni di grano ai poveri[10] (che sino allora, e dal tempo dei Gracchi, erano state fatte a prezzo calmierato) e si affermò che ne era conseguita una crescita incontrollata della domanda; per converso, i populares sostennero che la penuria fosse stata creata ad arte dai loro avversari, per sabotare proprio la legge in questione. Sull’orlo di nuovi scontri di piazza, il Senato incaricò Pompeo di risolvere il problema, affidandogli per 5 anni la cura annonae (ossia la gestione degli approvvigionamenti). Il triumviro si dedicò all’incarico con la passione e la competenza che gli erano proprie: girò personalmente i mercati di frumento del Mediterraneo facendo affluire a Roma grandi quantità di grano; divenne famosa l’occasione in cui, salito a bordo di una nave mercantile e pretendendo che salpasse malgrado una bufera in arrivo, spiegò al capitano che “navigare necesse est, vivere non est necesse”. __________________ In quegli anni, probabilmente nel 56 a.C., fu triumviro monetale Fausto Silla, figlio del defunto dittatore. Egli emise un denario, RRC 426/1, che celebra l’azione con cui il padre era riuscito a farsi consegnare l’infido Giugurta: al rovescio è infatti raffigurato Bocco, in ginocchio, che offre un ramo d’ulivo a Silla (identificato dalla didascalia FELIX), mentre lo stesso Giugurta giace, in ginocchio anch’egli, con le mani legate dietro la schiena, in segno di impotenza dinanzi al potere di Roma. Sappiamo che la medesima scena fu scolpita su un bassorilievo d’oro che Bocco inviò a Roma (e Silla offrì al popolo, con una cerimonia al Campidoglio che fece infuriare Mario) ed era impressa sul sigillo personale dello stesso Silla. Al dritto della moneta è invece raffigurata Venere, dea prediletta dal dittatore. __________________ Nel 56 a.C., conclusa la campagna contro i Veneti, Cesare tornò in Italia e incontrò gli altri triumviri a Lucca, con l’intento di confermare e rinsaldare l’alleanza stipulata quattro anni priva. Fu allora deciso che Crasso e Pompeo si sarebbero ricandidati al consolato per il 55 e Cesare li avrebbe aiutati, mandando a votare un gran numero dei suoi soldati; terminato il consolato Pompeo avrebbe assunto il governatorato delle colonie iberiche, Crasso invece della Siria, da cui voleva lanciare una campagna militare contro i Parti. A Cesare, invece, sarebbe stato rinnovato per altri 5 anni il mandato nelle Gallie. L’accordo funzionò e Pompeo e Crasso furono eletti consoli. Pompeo ne approfittò per inaugurare un’opera pubblica assolutamente grandiosa, da lui stesso voluta, finanziata e avviata 6 anni prima. Occorre premettere, al riguardo, che a Roma gli spettacoli teatrali erano molto amati ma il Senato aveva vietato di realizzare teatri in muratura, temendo che diventassero un covo di sediziosi; ogni anno, pertanto, venivano costruite e poi smontate strutture provvisorie in legno. Pompeo ideò uno stratagemma: fece costruire un tempio dedicato a Venere Vincitrice, sopra a un’immensa scalinata di pianta semicircolare; scalinata talmente ampia che, sui suoi gradini, potevano sedersi 40.000 cittadini, rivolti verso la base. La scalinata andò così a costituire, di fatto, il primo teatro in muratura dell’Urbe, il Teatro di Pompeo, di cui l’odierna Via di Grotta Pinta ripete il tracciato semicircolare. Ma non era finito: davanti alla scalinata-teatro si estendeva un grande giardino rettangolare, ornato di statue e circondato da un porticato che arrivava sino all’attuale Largo Argentina; qui si ergeva un sontuoso edificio destinato a ospitare le riunioni del Senato, la Curia di Pompeo, al cui interno campeggiava una grande statua di Pompeo stesso che reggeva il globo (gesto che simboleggiava il dominio sul mondo). __________________ Nel 55 a.C. fu emessa un’ingente quantità di denarî, stimata in 19 milioni di pezzi, molti dei quali peraltro riportavano la legenda S.C., indicatrice di emissioni straordinarie, ordinate dal Senato. Si ritiene che questa grande emissione sia stata fatta per pagare gli approvvigionamenti eccezionali di grano, che Pompeo, sempre attento nell’espletamento della cura annonae, stava facendo affluire a Roma. Una di esse, RRC 427/2, è firmata da Gaio Memmio (probabilmente, il figlio della sorella di Pompeo Magno) e reca, al dritto, il ritratto di un anziano barbuto con lo sguardo solenne, che la didascalia identifica in QVIRINVS. Si tratta quindi di Quirino, antichissimo dio sabino; secondo Bernoulli (ma Crawford non concorda) sarebbe qui rappresentata la statua di Romolo (al quale fu, in epoca tarda, associato il dio Quirino: “Romulum quem quidam eundem esse Quirinum putant” riferisce Cicerone) che, secondo le fonti, esisteva al Campidoglio. Al rovescio è invece rappresentata Cerere e la legenda ricorda che i primi giochi dedicati alla dea furono indetti da un Memmio, edile curule, antenato del monetale: MEMMIVS AED. CERIALIA PREIMVS FECIT. Altro denario interessante del 55 a.C. è RRC 428/3, firmato da tale Quinto Cassio, che raffigura al dritto il ritratto di un giovane con lo scettro sulla spalla e al rovescio l’aquila ad ali spiegate, con il fulmine negli artigli, affiancata da un lituo e un vaso sacrificale. Come ha osservato Amisano, sono questi gli elementi potenza militare di Roma: l’esercito (l’aquila, simbolo delle legioni e del favore a esse accordato da Giove), la potenza delle armi (il fulmine, strumento di Giove), l’attività augurale con cui il comandante accertava il favore degli dei (il lituo), la religiosità delle truppe (il vaso), la disciplina (lo scettro) e la scelta del caso favorevole (il Bonus Eventus, in cui egli identifica il ritratto al dritto; Crawford ritiene invece che sia il Genius Populi Romani). Terza moneta di interesse, è il denario RRC 430/1, che raffigura Venere al dritto e un cavaliere in armatura al rovescio. Reca la legenda S.C ed è firmata, al retro, da P. CRASSVS. M. F, ossia il giovane e valoroso comandante di cavalleria, figlio del triumviro, artefice della storica vittoria su Ariovisto. _____________________ Nel frattempo in Gallia continuavano i combattimenti. Nel 55 a.C. altri popoli germanici vi penetrarono, ma Cesare fu rapido nel fronteggiarli e, quando essi si rifiutarono di ritirarsi, ne fece grande strage attaccandoli a tradimento; ordinò poi alle legioni di costruire un ponte di legno sul Reno, vera meraviglia di ingegneria campale (il fiume è largo più di 500 metri), e condusse una spedizione punitiva in Germania, al termine della quale il ponte fu smontato. Decise allora di spingersi ove nessun Romano aveva mai messo piede, nella misteriosa isola di Britannia, con il pretesto che i suoi abitanti avevano aiutato le ribellioni dei Galli; fece costruire ottanta navi e, con esse, portò due legioni nell’attuale penisola del Kent. L’esercito dei Britanni tuttavia li aspettava sulla costa e i legionari avevano timore a sbarcare; li convinse l’aquilifero della X che si buttò in acqua gridando “Desilite, commilitones, nisi vultis aquilam hostibus prodere”[11] ( “Sbarcate, commilitoni, se non volete abbandonare l’aquila ai nemici”). I Britanni furono ripetutamente sconfitti e siglarono un trattato di pace; pago del risultato ottenuto, Cesare tornò in Gallia. A Roma la narrazione delle spedizioni e delle vittorie conseguite in Germania e, soprattutto, nella lontana e misteriosa Britannia suscitarono grande scalpore; fu infatti, per l’epoca, uno sforzo organizzativo, militare e tecnologico impressionante. Catone invece (che era tornato a Roma) rimase sconcertato dalla notizia della strage dei Germani e propose per Cesare una punizione severissima, ma il Senato, al contrario, decretò a suo favore un ringraziamento pubblico. Nel 54 a.C. giunse in Gallia anche il figlio di una cugina di secondo grado di Cesare, Marco Antonio. Orfano di padre aveva trascorso la gioventù in povertà e dissolutezza, ma nel 57 in Siria aveva dimostrando non comuni capacità militari; Cesare lo aveva allora chiamato alle sue dipendenze e il giovane dimostrò subito grandi doti di coraggio, abilità tattica e aggressività in battaglia. Quello stesso anno Cesare decise di tornare in Britannia, dato che gli abitanti dell’isola avevano tradito il trattato di pace. Questa volta si mosse con ben 800 navi e 5 legioni; fu attaccato dai Britanni del re Cassivellauno, li sconfisse in due diverse battaglie e decise di portare la guerra nell’entroterra nemico, con un attacco fulmineo al di là del Tamigi. Cassivellauno si arrese, accettando di inviare periodicamente a Roma un tributo e degli ostaggi; Cesare di nuovo tornò in Gallia ma lasciò sull’isola una rete di alleanze che sarà sfruttata un secolo dopo dagli eserciti dell’impero, quando torneranno per conquistarla definitivamente. __________________ Nel 54 a.C. Bruto, tornato da Cipro, fu triumviro monetale ed emise il denario RRC 433/2, che raffigura i due grandi tirannicidi del passato suoi antenati: al dritto Lucio Bruto, al rovescio Servilio Ahala, entrambi identificati da una didascalia. Egli voleva così proporsi come il paladino della legittimità repubblicana contro la tirannide e il suo messaggio era rivolto contro Pompeo, che stava assumendo atteggiamenti autoritarî. Sappiamo da Plutarco che nel 44 a.C., per incitare Bruto ad aderire alla congiura contro Cesare, gli furono recapitati biglietti anonimi con scritto “Tu non sei un vero Bruto”, “Oh se Bruto fosse vivo!” e “Bruto tu dormi”: chi gli scriveva, chiaramente, lo esortava a onorare la promessa implicitamente fatta con questa moneta. Vale la pena, qui, fare una considerazione sulla differente statura storica di Cesare e di due dei suoi principali oppositori, Pompeo e Bruto. Il primo risultò sempre coerente nel suo disegno politico, nel perseguimento dei suoi obiettivi e nel tentativo di mantener salde le sue alleanze; gli altri, invece, si schierarono ora con lui, ora contro di lui e arrivarono anche (come attesta questa moneta) a detestarsi reciprocamente. Appaiono quindi come due opportunisti, privi di una propria strategia politica, disposti a cambiare schieramenti e alleati mossi solo dalla ricerca della gloria Pompeo, da un animo inquieto e instabile Bruto. Bruto, peraltro, si proponeva come paladino della legittimità, ma (a differenza di suo zio Catone) dimostrò di essere tutt’altro che una persona onesta e integerrima. Nel 53 a.C. infatti si recò con l’incarico di questore in Cilicia; Cicerone, quando due anni dopo giunse in quella stessa provincia come governatore, rimase sconcertato nello scoprire che Bruto vi aveva praticato l’usura arrivando a pretendere un tasso d'interesse del 48%, in aperta violazione alle leggi romane. Tale era stata la disperazione dei suoi debitori che, addirittura, cinque senatori del luogo erano morti per fame, per ripagarlo. Alla permanenza di Cicerone in Cilicia risale l’unica emissione che reca il suo nome: un cistoforo (oggi rarissimo) che reca al rovescio tre legende, M. CICERO PRO COS., AΠA. (abbreviazione di Apamea, città non più esistente, nell’odierna Siria settentrionale) e ΘΕOΠΡOΠOΣ AΠOΛΛΩΝΙΟΥ (Theopropo di Apollonio, il magistrato emittente). __________________ In Gallia alla fine del 54 Ambiorige, re della tribù degli Eburoni, sperimentò una nuova tecnica di guerra: colpire le legioni mentre erano isolate, negli accampamenti invernali. Cinse d'assedio l’accampamento di Atuatuca (odierna Tongeren), convinse con l’inganno i soldati a uscirne, li aggredì e distrusse così un’intera legione; l’aquilifero, Lucio Petrosidio, per non far cadere l’insegna nelle mani nemiche la lanciò lontano, prima di cadere ucciso[12]. Spinto dal successo Ambiorige riprovò la stessa tattica contro un altro accampamento ma il comandante di questo, Quinto Tullio Cicerone (fratello dell’oratore) riuscì a far avvisare Cesare e resistette eroicamente sino al suo arrivo; il proconsole non poté tuttavia evitare che i suoi nemici fuggissero. Contemporaneamente un’altra tribù, i Treviri, attaccarono una terza legione ma il suo comandante, il valentissimo Tito Labieno, li sconfisse duramente malgrado lo svantaggio numerico. Il furore di Cesare per la perdita della legione fu grande: in segno di lutto, promise che non si sarebbe più rasato finché non l’avesse vendicata. Suddivise il suo esercito in tre tronconi e li fece convergere sull’esercito degli Eburoni, chiudendoli in trappola e sconfiggendoli, ma Ambiorige e il suo seguito fuggirono in Germania. Allora, nel 53, fece costruire un nuovo ponte sul Reno e lanciò una seconda spedizione punitiva nel territorio germanico; ritirandosi ordinò di lasciare in piedi il ponte, a perenne monito della potenza romana (a eccezione della parte terminale, abbattuta per impedirne l’uso da parte dei nemici). __________________ Due eventi luttuosi portarono alla rottura del delicato equilibrio politico che manteneva uniti i triumviri. Nel 54 a.C. morì di malattia Giulia, moglie di Pompeo; svaniva così il legame familiare fra lui e Cesare. Nel 53 a.C. morì invece Crasso. Egli infatti, dopo aver preso possesso della provincia di Siria, mosse guerra ai Parti, formalmente per sostenere un pretendente al trono spodestato dal fratello. Poteva valersi di un esercito di 7 legioni, per complessivi 40.000 uomini, e di validi subalterni, fra cui suo figlio Publio, appositamente rientrato dalla Gallia, e Gaio Cassio Longino, un capacissimo generale; poteva inoltre contare sull’alleanza con il re d’Armenia. Crasso ideò allora una manovra strategica a tenaglia: l’esercito armeno sarebbe calato dal nord, mentre quello romano avrebbe tagliato il deserto siriano a sud, entrambi diretti alla capitale nemica. Fu un gravissimo errore: il re dei Parti aveva previsto e prevenuto il suo piano, attaccando direttamente l’Armenia per impedirle di portare aiuto ai Romani; le legioni invece furono fatte penetrare indisturbate in profondità nel deserto e poi, quando furono nei pressi di Carre (odierna Harran), lontano dalla via di fuga dell’Eufrate, attaccate a sorpresa da un nutrito contingente di agili arcieri a cavallo, al comando dell’abilissimo generale Surena. La cavalleria romana tentò un contrattacco, ma cadde in trappola e fu annientata: il suo stesso comandante, Publio figlio del triumviro, fu ucciso. Di fronte a questa tragedia, Crasso apostrofò le truppe con grande contegno, dicendo loro “Questo è un mio lutto personale, o Romani, ma la grande gloria e il grande destino di Roma risiedono in voi … Roma è arrivata a un potere tanto grande non grazie alla fortuna, ma perché i Romani hanno affrontato i pericoli con coraggio e ostinazione”. Malgrado le esortazioni di Crasso, si verificò un fatto unico nella storia della Repubblica: spesso infatti è avvenuto che le legioni siano state sconfitte, sopraffatte e distrutte, oppure si siano arrese al nemico o ribellate al comandante, ma solo a Carre è accaduto che abbiano perso la volontà di combattere. Probabilmente fu una combinazione di cause a determinare questo effetto: la stanchezza della marcia, la sete nel deserto, la superstizione (si erano verificati molti presagi infausti), la sfiducia nel condottiero (Crasso poteva vantare come suo unico successo, seppur rilevante, la vittoria di Porta Collina), la paura di un nemico sfuggente, l’inesperienza (molti soldati erano reclute); fatto sta che l’esercito di Roma, improvvisamente, si rivelò incapace di reagire. Crasso ordinò la ritirata dentro le mura della città fortificata di Carre. A Carre si verificò lo scontro fra il triumviro e Longino: il primo voleva ritirarsi verso nord, per raggiungere le montagne dell’Armenia, il secondo a sud, per tornare in Siria, strada più difficile ma meno prevedibile. Aveva ragione Longino: lo seguirono 10.000 legionarî e riuscirono ad arrivare in Siria, unici sopravvissuti della cruenta battaglia di Carre. Il resto dell’esercito si mosse invece verso nord e fu raggiunto da Surena in persona, che offrì di discutere un armistizio. Crasso subdorò un’altra trappola, ma l’esercito lo obbligò ad accettare; egli allora disse loro: “se vi salverete, riferite a tutti che Crasso cadde perché ingannato dal nemico, non perché tradito dai propri concittadini”. E così fu: l’iniziativa di Surena era un tranello; Crasso fu ucciso e i legionarî sopravvissuti fatti prigionieri. Ormai convinto di aver debellato l’esercito romano Surena attaccò la Siria, deciso a conquistarla, ma Longino, con i suoi pochi e demoralizzati legionarî, lo sconfisse duramente, obbligandolo a tornare in Mesopotamia. Morti Giulia e Crasso, la rivalità tra Cesare e Pompeo degenerò in gelosie e reciproci sospetti; ne approfittò Catone, che architettò una coalizione di optimates, in funzione anticesariana, e convinse Pompeo (che non aveva mai raggiunto l’Hispania, governando scandalosamente le province assegnategli senza allontanarsi da Roma) a svolgere, di nuovo, la funzione di difensore del Senato. __________________ Mentre Romani e Parti combattevano in oriente, a Roma Clodio presentò la sua candidatura per la pretura, Milone quella per il consolato. Il confronto politico fra i due divenne rapidamente uno scontro violento fra le rispettive bande armate, tanto che il Senato dovette sospendere le elezioni e rinviarle ai primi mesi del 52. Il 18 gennaio, tuttavia, i due avversarî si incontrarono casualmente sulla via Appia, presso Bovillae (probabilmente, nell’odierno comune di Marino), entrambi scortati da schiavi armati; ne nacque uno scontro e Clodio rimase ucciso. Quando il suo cadavere fu portato a Roma la folla, inferocita, lo volle cremare nella vecchia sede del Senato, la Curia Hostilia, causando un incendio che la distrusse. Impauriti dall’ondata di violenza incontrollata che ne seguì, il Senato adottò un senatus consultum ultimum (il primo, dall'epoca della congiura di Catilina) e nominò Pompeo consul sine collega incaricandolo di riportare l’ordine in città, cosa che egli fece. Milone, processato, fu condannato all’esilio. __________________ Alla fine del 53 a.C. presso Cenabum (odierna Orleans) i Galli uccisero alcuni commercianti e funzionarî romani. Ne approfittò un nobile della tribù degli Arverni, che si pose a capo di una fazione contraria al dominio di Roma e si fece proclamare re; di lui conosciamo solo più il soprannome, “Potente Re Guerriero”, in lingua celtica “Vercingetorige”[13]. In breve tempo Vercingetorige convinse molte altre tribù a unirsi a un’alleanza anti-romana. Cesare, che si trovava in Gallia Cisalpina, capì immediatamente il pericolo: raggiunse velocemente Narbo e da là, fra i mesi di gennaio e febbraio del 52, con una mossa audace e imprevedibile attraversò i valichi innevati delle montagne Cevenne, in pieno territorio nemico, ricongiungendosi con le legioni stanziate più a nord prima che restassero isolate. Riunite le truppe, il proconsole mosse contro gli insorti ma Vercingetorige, capito che il tallone d’Achille delle legioni era la possibilità di approvvigionarsi di cibo presso i grandi agglomerati urbani, distrusse tutte le città galliche che si trovavano sul loro cammino. Una sola città fu risparmiata, Avarico (odierna Bourges), e quando Cesare vi giunse la cinse d’assedio; probabilmente questa mossa fu prevista dallo stesso Vercingetorige[14], che sperava così di inchiodare le legioni nel lungo e logorante assedio di una città ritenuta inespugnabile, ma aveva sottovalutato i Romani. Le legioni riuscirono a costruire un terrapieno alto quanto le possenti mura di Avarico e, così, la conquistarono; le scorte di cibo che vi trovarono permisero ai soldati di sopravvivere alla guerra di logoramento. Malgrado questo insuccesso, il prestigio di Vercingetorige cresceva di giorno in giorno e riuscì a portare dalla propria parte anche gli Edui, una delle più potenti tribù galliche che era, da circa un secolo, fedele alleata di Roma; ormai, quasi tutti i popoli della Gallia erano uniti contro l’invasore. Lo scontro fra esercito romano e gallico si ebbe presso Gergovia, capitale degli Averni (città non più esistente), e fu una sconfitta per Cesare. Un secondo gruppo di legioni si trovava a Lutetia (attuale Parigi), ai comandi di Labieno; Cesare, rimasto senza alleati, capì che era necessario riunire tutte le sue truppe e gli ordinò di avvicinarsi. Labieno si trovò circondato da nemici, a causa dell’improvvisa sollevazione di tribù sino allora rimaste pacifiche, ma seppe rompere l’accerchiamento e si ricongiunse a Cesare presso Agendicum (attuale Sens); l’esercito romano comprendeva ora 11 o 12 legioni, prive però di truppe ausiliarie, e quindi ammontava a soli 50.000 soldati. Impossibilitato a difendersi in un territorio divenuto interamente ostile, Cesare cercò di ritirarsi presso la provincia della Gallia Narbonense e allora Vercingentorige commise un errore fatale: credette che le legioni fossero ormai stremate, dalla fame e dai combattimenti, e potessero essere definitivamente debellate; le affrontò così con un esercito quasi doppio, 80.000 soldati, ma fu sconfitto e si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia (cittadina non più esistente), in attesa che arrivasse l’esercito di rinforzo, forte di 250.000 combattenti. Cesare capì che lì si giocava il tutto per tutto: cinse la collina di Alesia con una linea fortificata, per impedire la fuga di Vercingetorige, e poi fece costruire una seconda linea fortificata più ampia e più esterna, per difendersi dai rinforzi che sarebbero giunti; dopo di che, attese. Lo aiutavano molti validissimi generali: fra gli altri, Tito Labieno, Marco Antonio, Decimo Giunio Bruto Albino e un homo novus, Gaio Trebonio. L’esercito di rinforzo arrivò forse a inizî ottobre e coordinò i suoi attacchi con quello chiuso ad Alesia. Per giorni interi le fortificazioni dei Romani, al tempo stesso assedianti e assediati, furono assalite contemporaneamente dall’interno e dall’esterno; in questa situazione, “I Romani erano terrorizzati dal grido che si alzava alle loro spalle mentre combattevano, poiché capivano che il pericolo dipendeva dal valore di coloro che proteggevano le loro spalle”[15]. Il momento più critico si ebbe quando 60.000 soldati galli, scelti fra i più valorosi, assaltarono il campo romano posto a settentrione, che rappresentava il punto più debole della cinta fortificata; intervenne Cesare personalmente e, per essere riconosciuto dalle sue truppe, cinse il mantello rosso (simbolo del suo imperium proconsolare), incurante del fatto che lo rendeva visibile anche al nemico. Malgrado l’enorme sproporzione di forze (50.000 legionarî contro 330.000 Celti), le difese romane ressero. L’esercito di rinforzo si ritirò e si disperse, i Galli sopravvissuti tornarono alle loro tribù. Vercingetorige uscì da Alesia, solo, gettò le proprie armi ai piedi di Cesare e si inginocchiò, in segno di resa incondizionata. La Gallia era stata definitivamente conquistata; nel 50 a.C. fu dichiarata provincia romana e divenne una delle regioni più profondamente romanizzate d’Europa. __________________ Nel 51 a.C. morì la sorella di Cesare, Giulia. L'orazione funebre fu pronunciata da suo nipote (figlio della figlia Azia), un giovane di soli 12 anni con lineamenti delicati e grande cultura, Gaio Ottavio Turino. __________________ Cesare sapeva che, quando avesse perso l’imperium proconsolare (che gli garantiva l’immunità processuale), i suoi avversari politici lo avrebbero processato per le molte stragi compiute in Gallia. Pensò allora di candidarsi a console per il 49 a.C. (per assicurarsi nuovamente l’imperium), ma per presentare la sua candidatura avrebbe dovuto entrare a Roma e quindi varcare il pomerium, gesto che avrebbe fatto decadere l’imperium proconsolare. Chiese allora di potersi candidare in absentia, ma il Senato gli negò questa possibilità (sebbene concessa in passato ad altri comandanti militari, come Gaio Mario). Tentò un’altra strada per tutelarsi dalla vendetta dei suoi avversarî: propose che sia lui sia Pompeo sciogliessero tutte le proprie legioni, ma il Senato non acconsentì e, anzi, ingiunse a entrambi di cedere una propria legione a favore di una futura campagna contro i Parti; obbedirono, ma Pompeo cedette proprio quella che aveva precedentemente “prestato” a Cesare, talché questi si vide privato di due legioni. Chiese nuovamente di potersi candidare in absentia, ma la risposta del Senato - sobillato da Catone - fu tranciante: se alla fine del 50 a.C. non avesse sciolto tutte le legioni rimastegli e non si fosse presentato nell’Urbe da privato cittadino sarebbe stato dichiarato hostis publicus. Alcuni tribuni della plebe tentarono di difendere le sue posizioni, ma furono cacciati da Roma. Cesare non aveva più altre strade. Il 10 gennaio del 49 a.C. ordinò a cinque coorti di attraversare in armi il fiume Rubicone, che segnava il confine della sua provincia, e si affidò all’incertezza di una nuova guerra civile: come egli stesso disse, “alea iacta est” ( “il dado è stato lanciato”). NOTE [1] Che effettivamente veniva compiuta (come nei casi, citati, di Brenno, Taranto, Filippo V, Lega Achea, Cimbri e Tigrane II). [2] Come aveva fatto, invece, Alessandro Magno, determinato a raggiungere la fine delle terre emerse. [3] Così dice Plutarco; Svetonio invece colloca il fatto nel 69 a.C., quando Cesare si era già recato nella penisola iberica da questore. [4] In antichità le legioni di Roma erano 4, per console, numerate da I a IV. Quando le esigenze militari crebbero, e con esse il numero delle legioni, l’assegnazione dei numeri fu un po’ caotica; non è quindi sempre semplice determinare se una determinata legione, citata dalle fonti con riferimento a un episodio, sia la stessa citata, con la uguale numerazione, in un altro caso. [5] È probabile che fosse stato privato dei diritti civili per la ribellione del padre (vd. pag. 66) e sia ricorso all’espediente di farsi adottare per ridiventare civis Romanus. [6] Che ne aveva sposato la sorella (subito morta di parto) nell’82 a.C. [7] Alcune lettere possono mancare, nelle molte varianti di questa moneta. [8] Popolazione celtica che abitava l’odierna Confederazione Elvetica; ne facevano parte i Tigurini, già alleati dei Cimbri (vd. pag. 51). [9] Negli anni Cesare aumentò progressivamente il numero delle legioni a sua disposizione (arruolandone di nuove e ricevendone una là distaccata da Pompeo), che arrivarono sino a un massimo di 10. [10] Sappiamo che per finanziarle Clodio destinò un quinto delle tasse, pari a 64 milioni di sesterzî: possiamo così stimare in 80 milioni di denarî (320 milioni di sesterzî) le entrate annue del fisco repubblicano. [11] De Bello Gallico, IV, 22. [12] Alcuni autori moderni ritengono che Petrosidio fosse lo stesso aquilifero autore dello sbarco in Britannia, ma è improbabile: infatti, quello apparteneva alla X legione, che non fu sicuramente distrutta ad Atuatuca (probabilmente, la legione distrutta fu la XIV). [13] Il suffisso -rix, -rigis, comune ad altri nomi tramandatici dal De Bello Gallico (come il predetto Ambiorige), equivale al latino rex, regis e dimostra che questi non sono veri nomi di persona, ma titoli nobiliari o soprannomi. [14] Secondo il De Bello Gallico, invece, Avarico non fu distrutta per ragioni sentimentali, essendo l’antica capitale della tribù dei Biturigi, ma sembra una motivazione inconsistente. [15] De Bello Gallico, VII, 84. ILLUSTRAZIONI 58 a.C, denario RRC 422/1 56 a.C, denario RRC 426/1 Ricostruzione grafica del Teatro di Pompeo e via di Grotta Pinta a Roma, che ne ripete la forma Tre denari del 55 a.C.: nell'ordine, RRC 427/2, RRC 428/3 e RRC 430/1 54 a.C., denario RRC 433/2 51-50 a.C., cistoforo di Cicerone
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  9. Volevo brevemente ricollegarmi a questa discussione per una recente esperienza personale da riportare. Ho acquistato una moneta in asta Heritage, di basso costo. A parte i diritti d'asta abbastanza sostenuti, la cosa più seccante è stata una spesa per la spedizione di quasi 70 dollari, che rappresentavano quasi il 50% del prezzo della moneta, per non parlare degli oltre 50 euro di spese per il bonifico bancario, una vera e propria rapina. Ma pazienza! La cosa invece interessante, che si ricollega a questa discussione, è stata l'IVA. Onestamente non pensavo che l'aliquota ridotta fosse applicata immediatamente, pertanto ho inviato al corriere e conseguentemente alla dogana la solita dichiarazione che richiedeva un aliquota pari al 10%, unitamente a tutta la documentazione che provava le spese di acquisto (per loro nel valore c'è anche la spedizione e l'assicurazione, purtroppo...). Sorprendentemente, sono stato ricontattato dal corriere, il quale mi ha chiesto di rifare la dichiarazione, chiedendo l'aliquota del 5%, poiché questa è andata a sostituire la precedente del 10%. Pertanto, notizia positiva immagino per tutti, posso dire che anche sulle monete è applicata la nuova aliquota agevolata. Per chi dovesse avere bisogno della bozza del testo della dichiarazione da inviare in dogana, questo è quello che mi è stato fornito dal corriere stesso: "Il sottoscritto (cognome, nome e codice fiscale)__________ con riferimento alla spedizione n. awb____________ Dichiara trattasi di ___________, Dichiara altresi' che tale merce, in quanto avente valore numismatico rientra nell’allegato della tabella prevista dal D.L. n. 95/2025, e' soggetta ad IVA al 5%".
    9 punti
  10. Come anzidetto il Regno è in un periodo di stanca. Ma esistono delle eccezioni, specialmente se ricerchi esemplari oggettivamente di altissima qualità. Ci sono fior di conio e Fior di Conio. Il secondo, cioè quello degno di tale qualità (quello brillante e tagliente) è difficile da trovare, in particolar modo su alcune tipologie e su diversi grandi moduli, come ad esempio lo Scudo “Cinquantenario” o “Quadriga Briosa”. Non parliamo poi se si cercano esemplari con una bella patina SANA e magari anche BELLA, magari con segni di contatto limitati. Ti faccio un esempio pratico. 2 Lire 1911 “Cinquantenario”. Moneta quasi introvabile in Fior di Conio (osserva le maiuscole!). Di solito un fior di conio (osserva le minuscole), si attesta sui 350/500€ (dipende da quanto è bello). Quello che avevo in collezione, lavato, ma molto molto molto bello, ha realizzato 900€ più diritti. https://sima.bidinside.com/it/lot/1556/regno-dtitalia-vittorio-emanuele-iii-/ Un secondo esemplare, sempre della mia collezione, ben patinato, ma meno brillante, ha realizzato 460€ più diritti. https://sima.bidinside.com/it/lot/1557/regno-dtitalia-vittorio-emanuele-iii-/ Al di là del portafogli, quello che più serve, e che raccomando, SEMPRE, è di imparare a valutare da sé la qualità delle monete.
    9 punti
  11. Buonasera a tutto il Forum. Appena aggiudicata all'asta su un noto sito on-line... variante non descritta in nota. Pubblica 1788 con al dritto SICILI anziché SICIL IL Magliocca le assegna R5 come grado di rarità.
    8 punti
  12. Buon Pomeriggio a tutti, nel 1892 l'impero austro-ungarico rimpiazzò la monetazione del fiorino con la corona ( 100 hellers = 1 corona austriaca ), quest'ultima durò fino al 1918 quando l'impero fu dissolto. Gli hellers erano monete dal valore nominale di 1-2-10-20 coniate in bronzo, ferro, alpacca, nichelio. Si può notare che nei conii del 1918 a rovescio della moneta nel mezzo dello stemma imperiale, compare lo scudetto-bandiera austriaca : Francesco Giuseppe I° era mancato nel 1916 e l'Austria-Ungheria si stava via via dissolvendo. Con l'acquisto ( in Polonia ! ) di questo lotto completo quasi tutta la serie. Grazie.
    8 punti
  13. Ecco a voi la rassegna culturale completa di ciò che troverete nei due giorni del Convegno. Vi aspettiamo 👍🏻
    8 punti
  14. Buonasera a tutti, mi fa piacere vedere che questa discussione si sia ripresa dopo un po' di tempo e ne approfitto per condividere questo nuovo 8 tornesi "SICL" che sono riuscito a mettere in collezione. Purtroppo è carente proprio sulla legenda, ma è comunque discretamente visibile e, tutto sommato, non mi sembra malaccio.
    8 punti
  15. Buonasera...finalmente ho messo in collezione uno di questi tondelli. In mano una goduria...credo sia in assoluto la moneta in Rame più pesante non solo tra le siciliane ma proprio tra tutte le monete coniate negli stati preunitari...questa pesa 32,74 grammi e anche lo spessore sbalordisce. Monete, tutte quelle di questa tipologia, dal piccolo grano al maggiore da 10, veramente molto rare da trovare in conservazione bb, estremamente rare in spl e praticamente introvabili in fdc! La mia non è in conservazione eccezionale si ferma al qbb e ha la pecca di quella debolezza al centro del rovescio...per il resto datemi anche voi un parere? Non è il millesimo più raro...più rari in questa serie sono i primi due 1801 e 1802 ma moneta cmq rara e di gran fascino anche per la sua "veracità" è quasi rozza...interessante il taglio che come scrivevo si presenta di gran spessore, ma di cui non saprei bene definire il disegno...nei manuali si parla di foglie? A voi la moneta Il taglio non me lo carica!!! È troppo spesso pure per il forum🥲!! 😛
    8 punti
  16. Premesso che sono completamente d’accordo sul fatto che mantenere la privacy sul prezzo d’acquisto sia assolutamente comprensibile, capisco però molto bene anche la motivazione espressa da skuby. Anche io, nelle sezioni nelle quali scrivo abitualmente (preunitarie e Regno) a volte, per aiutare l’utente a essere più consapevole del suo acquisto, mi limito a scrivere un più generico “spero tu non l’abbia pagata troppo…”, proprio per cercare di capire l’eventuale prezzo d’acquisto semmai l’utente decidesse di condividerlo. Aiutare qualcuno meno esperto, a mio parere, significa anche renderlo maggiormente consapevole del “giusto” valore commerciale dell’esemplare acquistato. Come ex collezionista, anche io ho fatto i miei sbagli (anche grandi e importanti). È un percorso quindi che facciamo tutti… Tanto premesso, persino io, nella mia profonda inesperienza di queste tipologie, avevo notato le visibilissime tracce di cancro e i campi ritoccati (soprattutto dietro la testa come accennato da @vitellio, che ringrazio per la sua analisi molto chiara perché mi permette di imparare moltissimo). Sono stati menzionati alcuni prezzi (75, 100 euro) che seppur è stato specificato che sono a titolo di esempio, CREDO volessero esprimere questo stesso mio concetto, ovvero: se l’hai pagata “il giusto” / “non eccessivamente”, non sono quei 20 o 30 euro in più o in meno il problema. Certo, mi rendo conto che vedere non apprezzato il proprio acquisto sia molto sconfortante. Anche a me è capitato. Credo sia capitato a tutti agli inizi… Il fascino storico è indiscutibile e anche io ho apprezzato il tuo post iniziale sotto questo aspetto, ma purtroppo questa passione ci costa anche molti sacrifici, quindi, non “demonizzerei” a prescindere chi, più preparato, cerca, in un modo o nell’altro (cioè con più o meno tatto, ma di certo non con malizia. Siamo tutti diversi, e ognuno può avere il proprio modo di porsi, che può essere più o meno schietto) di capire meglio questo aspetto, sicuramente molto spinoso ma, visti i tempi e i sacrifici che ci sono dietro agli stipendi, molto importante. Non conosco il mercato, men che meno di questa tipologia. Di certo è stato un acquisto rilevante vista la rarità della moneta per cui, @Rufilius, ti inviterei a vedere i pareri “un po ruvidi” sopra espressi in maniera più distaccata, così come la moneta stessa. È vero, da collezionista mi rendo conto che questo sia qualcosa di difficile, ma ti assicuro che è di grande beneficio. Non è una cosa che scrivo solo qui, ma molto spesso lo ribadisco anche nelle sezioni che abitualmente frequento. un cordiale saluto, Fabrizio
    8 punti
  17. Direttamente dal convegno che si è tenuto oggi a Rende, una 37 senza punto dopo HIER Saluto tutti. Raffaele.
    7 punti
  18. ...e non dimentichiamo che ci sarà anche l'esposizione della Collezione dell'Amico Pierpaolo.
    7 punti
  19. Buon pomeriggio a tutti! Quest'oggi vorrei condividere con voi un paio di monete asburgiche coniate con millesimo 1807 all'interno delle zecche imperiali di Kremnitz (B) e Vienna (A) durante il regno di Francesco I d'Asburgo-Lorena: i 15 e 30 Kreutzer in rame "celebri" per il loro generoso modulo. Il pezzo da 15 misura 35,12 millimetri ed ha un peso di 13,12 grammi, mentre, il 30 Kreutzer ha un diametro di 37,50 millimetri e pesa 17,50 grammi. Queste monete, unite ai pezzi da 1 e 3 Kreutzer coniati con millesimo 1812, rappresentano le prime emissioni per il territorio austriaco successive alla caduta del Sacro Romano Impero, avvenimento accaduto il 6 Agosto 1806 in seguito all'abdicazione di Francesco II d'Asburgo-Lorena dalla carica di "Imperatore Eletto dei Romani Sempre Augusto". Dopo essersi nominato, in via preventiva, Imperatore Ereditario d'Austria già nel 1804, l'abdicatario Sacro Romano Imperatore ascende al trono austriaco con il nome di Francesco I preferendo, nei primi conii di questo turbolento periodo, essere indicato come "FRANZ KAISER VON OESTERREICH..." anzichè con la formula latina "FRANCISCUS I DEI GRATIA AUSTRIAE IMPERATOR..." (da lui adottata nelle varie emissioni in piena Età della Restaurazione) per apparire più vicino alla popolazione provando ad acquistare sempre più stima da parte dei suoi numerosi sudditi. Infatti, le iscrizioni che accompagnano l'effigie del sovrano nei conii da 15 e 30 Kreutzer sono in lingua tedesca e recitano: "FRANZ KAIS V OEST KOEN Z HUN BOEH GALIZ U LOD", ossia "Francesco Imperatore d'Austria, Re d'Ungheria, Galizia e Lodomiria" . Nella seconda faccia di queste monete appare, assieme al valore "FÜNFZEHN KREUTZER" (15), "DREYSSIG KREUTZER" (30) e al millesimo 1807, la seguente dicitura "ERBLAENDISCH WIENER ST BANCO ZEIT THEILUNGS MÜNZ" che nella nostra lingua significa "Moneta divisionale coniata per i territori ereditari della Corona Asbugica legata al corso legale del Banco di Vienna". Per comodità, aggiungo qui le varie traduzioni: ERBLAENDISCH, abbreviazione di "Habsburgischen Erblande", domini ereditari della Casa d’Asburgo (Arciducato d'Austria, Regni di Ungheria, Galizia, Lodomiria...); WIENER ST BANCO ZEIT, “Wiener Stadt Banco Zeit”, legata al corso legale del Banco della Città di Vienna. Si riferisce al fatto che la moneta era soggetta alle variazioni di valuta stabilite, in caso di forte crisi, dal Wiener Stadtbanco, la banca centrale austriaca; THEILUNGS MÜNZ, moneta divisionale e di valore frazionario Da appassionato di Storia europea ritengo che queste monete incarnino pienamente il clima tumultuoso seguito alla caduta del Sacro Romano Impero e alla nascita dell’Impero Austriaco: proprio in questo periodo Francesco I, vedendo la sua autorità più volte messa alla prova dall’esercito francese guidato dall'abilissimo Imperatore Napoleone I, avvertì la necessità di rafforzare la propria immagine agli occhi dei sudditi provando a guadagnare la loro stima anche attraverso delle monete più "popolari" e meno "distanti e ieratiche".
    7 punti
  20. Buonasera a tutti, siete tutti invitati il 20 settembre, alle ore 11:00, nel salone del Museo Civico Archeologico di Nepi, alla Presentazione dell’ultima fatica letteraria del dott. Fiorenzo Catalli: “Il Mito in tasca” Il volume ci trasporta nell’affascinante mondo della mitologia e della leggenda ma non solo anche della numismatica. Il libro che verrà presentato è una vera e propria guida “tascabile” dei miti e delle leggende dell’era antica. È un delizioso ed utilissimo libro di 156 pagine, pubblicato dalla Casa Editrice DieLLe, di Verona, con ISBN n. 9788899398835, in formato A5, la copertina è 4+4 su carta lucida da gr. 300 plastificata, con allestimento in brossura, il suo costo è di € 18,00. Il giorno della Presentazione del volume, sabato 20 settembre 2025, avremo a disposizione alcune copie, i presenti e i Soci del Circolo potranno usufruire di uno sconto considerevole, al posto di € 18,00 di copertina potranno comprarne una copia al costo di soli € 13,00, fino ad esaurimento scorte. Vi consiglio, quindi, per essere sicuri di trovarne, di prenotarne una copia fin'ora, contattando direttamente via mail il Circolo: [email protected], sarà data precedenza ai Soci del C.N.R.L. ed alle persone che saranno presenti alla Presentazione. Nel volume troviamo alcuni miti conosciutissimi, come quello di Enea e Anchise o il mito delle Dodici Fatiche di Ercole, ed altri meno conosciuti, come il mito di Erittonio o di Frisso e l’ariete. Ogni leggenda narrata è illustrata da dipinti, sculture e monete, dove è rappresentata, che rendono ancora più piacevole la lettura. Il volume è completato dall’Introduzione e dal capitolo iniziale, Mito e leggenda, dove viene spiegata anche l’origine delle due parole, da 41 capitoli, che raccontano altrettanti miti e leggende e, in chiusura, un utilissimo glossario, che racchiude tutte le denominazioni delle monete illustrate e che rende ancora più semplice ed interessante la lettura, anche per chi è digiuno dell’argomento. È un volume sicuramente da non perdere, soprattutto per gli appassionati di Storia e di Numismatica. Il dott. Fiorenzo Catalli non ha bisogno di presentazioni ma ne riporto una breve biografia, a beneficio di tutti noi: Si è laureato nel 1973 in Lettere, con Laura Breglia, presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Vincitore del concorso per Funzionario Direttivo nel ruolo Archeologi con specializzazione in Numismatica presso il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e assunto in servizio di ruolo presso la Soprintendenza Archeologica di Roma dal 16 agosto 1979 fino al 31 maggio 2015, con sede di servizio in Via di Sant’Apollinare. Tra il 1999 e il 2006 ha collaborato con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale per il riscontro inventariale, la catalogazione e la valorizzazione delle rispettive collezioni numismatiche. Dal 2007 al 2015 ha ricoperto la carica di Direttore del Monetiere del Museo Archeologico Nazionale di Firenze della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana dove ha effettuando il riscontro inventariale, la catalogazione, l’edizione a stampa e on line e la valorizzazione della collezione numismatica, attraverso la pubblicazione a stampa e l’allestimento di mostre temporanee. Dal 2015 ne è stato il Direttore Scientifico. Dal giugno 2015 ha collaborato per il riscontro e la schedatura di collezioni numismatiche con il Polo Museale della Toscana con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, con il Museo Nazionale di Arezzo, con il Museo Etrusco “Guarnacci” di Volterra e con il Museo Archeologico di S. Maria della Scala di Siena. Innumerevoli le sue pubblicazioni, tra articoli e volumi, e le conferenze effettuate.
    7 punti
  21. cari amici è da un pò di tempo che non partecipo, per varie vicissitudini personali. voglio condividere con voi le monete che ho messo in collezione in questo periodo:
    7 punti
  22. Ciao! Purtroppo concordo, e te lo dice uno che per questa tipologia ne aveva annoverati ben 4 esemplari; tutti belli, tutti non circolati, non lavati, ma, tranne per uno (molto probabilmente un esemplare tra i primi coniati… trovato con una gran botta di fortuna!) sempre caratterizzati da quelle debolezze e/o piccole imperfezioni di conio. I rilievi sono proprio bassi in partenza, e questo dettaglio, unito con l’imprecisione che ancora affliggeva il processo di coniazione, comprometteva la precisione e la nitidezza dei dettagli. Dei quattro che avevo, il suddetto l’ho venduto a trattativa privata. Gli altri due in asta, e mi sono tenuto quello a cui sono più affezionato. Ha i suoi difetti, anche vistosi, ma ha una patina da collezione che parla da sola; e come giustamente riconosci, trovarlo con una patina “di questo tipo” è cosa (già di per sé) molto rara. Ti posto la foto, anche se sicuramente l’avrai già vista @CdC Cortesemente si potrebbe spostare questa discussione in “Regno d’Italia”? L’ideale sarebbe anche rinominarla in “5 Lire 1911 in Fdc: esiste?” molte grazie
    7 punti
  23. Nel mio vagare nel mare magnum delle monete mi imbatto periodicamente in qualche particolarità,un inedito o una variante rarissima,in questo caso non si può parlare di variante ma è più corretto chiamarlo errore di punzonatura,in questo esemplare da 3 grana coniato a Napoli nel 1810 durante il regno di Gioacchino Murat troviamo un errore nella legenda al dritto che recita: GIOACCHINO NAP ♢ RE DELLE DUN SIC ... praticamente abbiamo una N anziché la E in DUE che diventa DUN... niente di eclatante ma siccome non ne ho trovate di simili ho pensato di segnalarla...
    7 punti
  24. le monete di Massimo sono rare, ma questa in asta attualmente non è solo rara, cosa che a me dice poco, ma è interessantissima per quello che comporta. la sola siliqua nota, RIC 1601 riporta SMBA - Barcellona ma questa riporta SMTR quale è dunque la novità vera... a parte il fatto che sia inedita? Solo recentemente alcune monete di Costante II, figlio di Costantino III sono state assegnate a Saragozza SMCS la 1537, oggi nota anche con il diadema a rosette, è data dal RIC a Treviri - SMTR
    7 punti
  25. AGGIORNAMENTO Per prima cosa grazie per la segnalazione, stiamo intervenendo e per semplificare il lavoro abbiamo temporaneamente sospeso la possibilità di iscriversi al forum.
    7 punti
  26. Buongiorno,è una moneta spagnola contromarcata "resellada". Il difficile è capire il valore totale con le contromarche, comunque la base dovrebbe essere un 2 maravedis di Filippo II .La contromarca IIII è del 1603 (Filippo III), la contromarca VI è del 1636 (Filippo IV) e la contromarca ReX e la S dall altro verso è di Filippo IV databile al 1658-1659. https://it.numista.com/catalogue/pieces372709.html
    7 punti
  27. Interessante. In effetti non esistono propriamente doppie da 17 Paoli. Vorrei ricordare che il termine "Doppia" nella sua accezione originaria significava "2 Scudi d'Oro" (quelli cosiddetti "delle 7 stampe", perché possedevano originariamente le stesse caratteristiche metrologiche nei sette principali stati europei - Stato Pontificio, Spagna, Francia, Napoli, Firenze, Venezia e Genova). Nel 1709 Clemente XI portò il valore dello Scudo d'oro (= mezza doppia) a 16.5 Paoli (alla sua introduzione, nel 1530, ne valeva 10, ma si rivalutò progressivamente). Clemente XII con chirografo del 12 settembre 1733 attuò una riforma monetaria che, tra gli altri provvedimenti, ridusse il peso dello Scudo d'Oro (SO) a 3.082 g (al taglio di 110/libbra) pur mantenendo il valore di 16.5 Paoli (o Giuli). Poi, dopo le coniazioni dello SO negli anni 1734 - 1738, questa moneta non fu più battuta, soppiantata nella sua funzione dallo Zecchino. Con la riforma monetaria di Pio VI furono reintrodotte la Doppia e la mezza Doppia romana (al peso, rispettivamente, di 5.469 e 2.734 g). Il 6 maggio 1786 un editto del Camerlengato portò il valore nominale della Doppia da Scudi 3 a Scudi 3.13 (cioè da Paoli 30 a Paoli 31:3); nel contempo prescrisse che entro 8 mesi tutte le monete d’oro circolanti antecedenti il 1757 fossero portate in zecca per il concambio con moneta di nuovo conio; dopo tale periodo non avrebbero avuto più valore legale ma sarebbero state ricevute al costo della pasta d’oro in esse contenuta. Nel dicembre di quell’anno il prezzo della Doppia fu ulteriormente incrementato a Scudi 3.15 ed il termine del concambio prorogato di 2 mesi e di ulteriori 2 mesi in un bando del marzo successivo (Bollettino di Numismatica on line Materiali n. 76-2019 p.5). Ora se dividiamo per 15 il peso della "mezza Doppia" e moltiplichiamo il risultato per 17 otteniamo 3,098 g, cioè circa il peso della mezza Doppia di Clemente XII dopo la riforma monetaria da lui promossa. E si tratta anche del valore in grammi del peso monetale oggetto della discussione. Posto il 1786 come data "ante quem" (con l'incremento di valore della Doppia non comparve più in essa l'indicazione di "30 P" e nella mezza Doppia quella di "15 P" che risultavano inesatte, ed immagino neppure nei pesi monetali; inoltre il ritiro delle monete pre-1757 avrebbe reso inutili quel tipo di pesi) potrebbe pertanto trattarsi di un peso prodotto e utilizzato nella prima metà del pontificato di Pio VI per valutare il peso del vecchio SO di Clemente XII (= mezza Doppia) che valeva ora 17 Paoli. Non può essere tuttavia escluso che il 17 P approssimi il valore di 16.5 P dello scudo antecedentemente a tale periodo e sia stato utilizzato dunque tra il 1734 e il 1786. Non sono in grado di riconoscere lo stemma: sembrerebbe scorgersi un leone rampante in basso, il che potrebbe richiamare Bologna, ma la definizione della foto è troppo bassa e l'esemplare consunto ...
    7 punti
  28. @Adelchi66 Ti chiarisco due aspetti fondamentali: Guadagno personale: se davvero il forum fosse legato esclusivamente a un ritorno economico (che, tra l’altro, non sarebbe neppure un reato visto che è comunque un servizio di cui usufruisci), non avresti comunque ragione. In quel caso non vedresti 3 banner, ma 200, con popup e pubblicità invasive su ogni singolo paragrafo del forum, così come accade altrove. La realtà è che qui la pubblicità è ridotta al minimo indispensabile. Servizio reciproco: Che ti piaccia o no, il forum esiste perché qualcuno lo mantiene, lo aggiorna e paga i costi da 25 anni. Ma è vero anche che vive grazie ai contenuti degli utenti e all’impegno gratuito dello staff che lo tiene in ordine. È un insieme di ingranaggi che fanno funzionare una community di queste dimensioni: ben diverso dall'orologio con un solo ingranaggio da te descritto, senza lancette né quadrante. Sono tutte figure indispensabili, se manca la prima il forum chiude, se manca la seconda il forum è vuoto, se manca la terza il forum è anarchia. Non è difficile da comprendere. Donazioni e sostenibilità: tutte le donazioni sono volontarie e nessuno è obbligato a pagare nulla. Tu stesso puoi continuare a usare il forum gratuitamente, come fai dal 2006 “senza mai cacciare una lira”, e potrai anche vantarti di questo risultato. Potrai farlo finché ci sarà la possibilità di pagare i costi. E quei costi, ti piaccia o no, sono sostenuti anche dagli utenti che hanno deciso di contribuire spontaneamente. Non perché sono stupidi, come cerchi di farli passare. Per questo, ti chiedo almeno di rispettare chi sceglie di “investire 5 / 10 € l’anno” (questa è la media delle donazioni degli utenti) per sostenere il forum. Non sono ingenui né vittime di chissà quale arricchimento personale del sottoscritto. Semplicemente questo è il modello che permette al forum di essere online da un quarto di secolo. Se non fosse sostenibile, oggi non saremmo nemmeno qui a discuterne. Ora però basta, non intendo continuare questa discussione con te. Continua pure a mantenere la linea di pensiero del 2006, non mi interessa. Se hai altro da dirmi "per smuovere" le acque (de che?) scrivimi in privato. Questa torna ad essere una segnalazione di problemi tecnici sullo "scrolling da cellulare".
    7 punti
  29. Qualche incongruenza stilistica e formale c’è: mancano il fusto dell’insegna a sinistra e manca la linea al di sopra del COS e non sono spiegabili con una occlusione di conio o con una elisione dei due particolari per via delle perfette condizioni dei relativi campi , quindi non c’erano all’origine…. Il che farebbe pensare ad una imitazione non ben compresa della rappresentazione del rovescio. Anche il ritratto ha le sue stranezze, senza considerare i 10 anni tra il rovescio censito di settimio e il dritto di Lucilla… potrebbe essere un mule tardivo, ma sarei più propenso per un altro mule falso , come diversi altri apparsi negli ultimi tempi , fatto per spillare un po’ di soldi a qualche collezionista in cerca del pezzo esclusivo .
    7 punti
  30. Buongiorno e buon Ferragosto, poiché questo thread è stato la causa della mia recente passione per il Viceregno, voglio condividere i miei acquisti.
    7 punti
  31. Condivido con gli utenti del Forum interessati alle monete romane repubblicane e non , questo mio raro Asse avente come simbolo sopra la prua di nave l' elmo romano che dovrebbe essere del tipo Montefortino . Mi sono ricordato di avere questo Asse a seguito di aver letto questa recente notizia del ritrovamento nel mare delle isole Egadi di un elmo romano perfettamente conservato , anche delle sue para guance e proprio dello stesso tipo Montefortino in voga principalmente nel periodo repubblicano tra il IV e il I secolo a. C. : https://www.msn.com/it-it/viaggi/notizie/un-elmo-romano-risalente-alla-prima-guerra-punica-è-stato-recuperato-in-sicilia/ar-AA1Moim3?ocid=msedgdhp&pc=U531&cvid=b48153d1b4a24f68aac95785618ae4cb&ei=30 L' Asse in mio possesso pesa grammi 31,1 ed e' classificato come un Cr. 118/1 , forse di conservazione MB , per questo l' ho fotografato con luce radente per meglio far risaltare i rilievi ; nonostante la bassa conservazione credo , per passione personale verso i grandi bronzi repubblicani , che nulla tolga al fascino storico di queste monete .
    6 punti
  32. Complimenti vivissimi a @jaconico per il suo articolo pubblicato su Cronaca Numismatica: https://www.cronacanumismatica.com/le-alterazioni-di-colore-nella-cartamoneta-italiana/
    6 punti
  33. Posto di seguito il mio 12 Carlini, versione con abbreviazione. Qualche segno sul collo … Al solito ogni parere e’ ben accetto! Gabriele
    6 punti
  34. Buongiorno a tutti! Quest’oggi vi presento un’altra moneta goriziana: un 2 Soldi coniato presso la Zecca di Hall (F) nel 1799 durante il regno del Sacro Romano Imperatore e Conte di Gorizia e Gradisca Francesco II d’Asburgo-Lorena. Il Catalogo Gigante, rif. 4, la riporta come moneta comune. La moneta presenta: al dritto, lo stemma ornato e coronato della Contea formato dal leone rampante di Gorizia unito alle bande di Aquileia e, al rovescio, vengono inseriti su quattro righe entro un cartiglio barocco valore, millesimo e marchio di zecca. Dati ponderali: peso 5,50 grammi, diametro 22 millimetri. Condivido con voi questo breve scritto, da me riadattato qualche tempo fa e tratto dall’articolo “La Contea di Gorizia e la sua monetazione attraverso i tempi” di Franco de Braunizer, relativo alle emissioni monetarie goriziane durante il regno di Francesco II d’Asburgo-Lorena. Nel 1792, il figlio del Sacro Romano Imperatore ed Arciduca d’Austria Leopoldo II d’Asburgo-Lorena ascende al trono con il nome di Francesco II. La situazione europea è ormai drammatica: la Rivoluzione Francese scuote profondamente il Continente e il fenomeno napoleonico è in rapida ascesa. In un simile contesto, pur gravato da enormi responsabilità, l’Imperatore Francesco II mostra attenzione anche al sistema monetario, soprattutto nelle province che da tempo non ricevono riforme in materia economica e finanziaria. La Principesca Contea di Gorizia e Gradisca, che dalla fine del regno di Carlo VI d’Asburgo riceve solo monete spicciole caratterizzate da stilemi riccamente decorati ma molto simili tra loro, è oggetto di un tentativo di riforma. Oltre alla coniazione provvisoria di pezzi da un Soldo e Mezzo Soldo nello stile dei suoi predecessori, l’Imperatore promuove la realizzazione di nuovi modelli, rielaborando quelli già esistenti all’epoca di Giuseppe II e Maria Teresa. A partire dal 1799, si avvia una piccola ma significativa riforma monetaria per la Contea: tra l’ultimo anno del XVIII secolo e il 1802 vengono emessi dei nuovi pezzi, tra cui spiccano un Soldo migliorato sotto il profilo esecutivo ed un inedito pezzo da 2 Soldi significativamente differente da quello emesso nel 1734 da Carlo VI, poiché riprende gli stilemi “semplificati” delle serie da un Soldo coniate con millesimo 1788 all’interno della Zecca di Kremnitz. Il punto culminante di questa rinnovata produzione è rappresentato dalla moneta da 15 Soldi, coniata nel 1802 in mistura d’argento: questo esemplare, frutto di una concezione moderna e di notevole qualità artigianale, segna l'apice della monetazione goriziana. Tuttavia, rappresenta anche la sua conclusione: è l’ultimo pezzo emesso prima della fine dell'autonomia politica e monetaria della Contea di Gorizia e Gradisca sancita dalla Pace di Presburgo del 1805, che porta all’annessione del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia al Regno d’Italia Napoleonico. Se qualcuno di voi è interessato, l'altra sera abbastanza sul tardi ho pubblicato qualcosa nella sezione monete moderne di zecche straniere relativamente al Kronenthaler di Giuseppe II d'Asburgo-Lorena...
    6 punti
  35. IL BELLUM CIVILE Durante la campagna gallica Cesare non fece coniare monete imperatoriali: evidentemente, riceveva un costante flusso di finanziamenti da Roma. Passato in armi il Rubicone, tuttavia, egli divenne un hostis publicus e dovette finanziare la prosecuzione delle operazioni da sé; il metallo prezioso del resto non gli mancava, avendo razziato abbondantemente in Gallia, a titolo di preda bellica. Nel 49 a.C., quindi, le legioni di Cesare realizzarono la prima delle sue monete itineranti, una delle emissioni più abbondanti di tutta la Repubblica, il denario RRC 443/1, divenuto simbolo stesso di Cesare e della guerra civile. Esso raffigura al dritto un elefante che calpesta un animale strisciante (un serpente, un dragone oppure addirittura un carnyx); si tratta di un’allegoria di Cesare stesso che schiaccia i suoi nemici: infatti, una delle etimologie che all’epoca veniva proposta per il cognomen Caesar era “caesai”, che nella lingua della Mauretania significava appunto “elefante”[1]. Per quanto riguarda i nemici calpestati, potrebbero essere i Germani (se è raffigurato un dragone, loro simbolo militare), i Galli (se è un carnyx) o generici avversarî (se è un serpente). Al rovescio, invece, sono raffigurati gli strumenti usati dai pontefici e dagli àuguri: culullus (brocca), aspergillum (aspersorio, ossia un pennello per spruzzare il sangue delle vittime sacrificali), securis (ascia) e apex (berretto cerimoniale); Cesare infatti era il pontifex maximus, e ricordarlo sulla moneta significava rassicurare i soldati sul fatto che stavano agendo secondo il volere degli dei. È interessante notare come questa fosse, formalmente, una moneta illegittima, emessa da un privato: avendo infatti invaso il suolo italico, Cesare aveva perso l’imperium e non deteneva più alcun potere che giustificasse l’emissione di moneta. Negli anni successivi, come si vedrà, le legioni produssero molte altre emissioni itineranti, spesso recanti allusioni alle vittorie in Gallia. Uno solo dei suoi grandi generali lo abbandonò per unirsi a Pompeo, e fu una sorpresa per tutti: Tito Labieno, “amico tra i più intimi e luogotenente di Cesare, che aveva lottato al suo fianco con grande coraggio durante tutte le guerre in Gallia”[2]. Malgrado la defezione, Cesare gli fece portare i suoi bagagli e il suo denaro. _________________ L’azzardo compiuto da Cesare nel passare il Rubicone causò sconcerto, a Roma: non si sapeva quanti soldati avesse portato al seguito e si temeva che fossero molti di più della realtà (in effetti, cinque coorti erano solo mezza legione: altre truppe, convocate da Cesare, stavano sopraggiungendo). Nell’anno precedente i Senatori avevano chiesto a Pompeo perché non organizzasse un esercito idoneo a difendere l’Italia ed egli, con sicumera, aveva risposto che non aveva bisogno di prepararsi in anticipo, perché gli bastava battere un piede per terra affinché ne sorgessero soldati pronti a mettersi ai suoi ordini; adesso, per metterne a nudo l’incapacità, gli chiesero dove fossero tali soldati. Pompeo non poté fare altro che dirigersi a Capua, ove c’erano i centri d’addestramento, per reclutare e preparare in tutta fretta nuove legioni. I preparativi di guerra del Senato furono frenetici, e ce li testimonia un denario: RRC 441/1, che al dritto reca il ritratto di Saturno e la legenda NERI. Q. VRB (Nerius, quaestor urbanus), al rovescio copia l’iconografia militare introdotta da Valerio Flacco e la legenda L. LENT C. MARC COS (Lucius [Cornelius] Lentulus et Gaius [Claudius] Marcellus consules). Questa moneta quindi afferma che Nerio, il questore urbano del 49 a.C., fu incaricato di attingere all’aerarium (ossia il tesoro dello Stato, custodito nel tempio di Saturno che, pertanto, è raffigurato al dritto) per finanziare l’arruolamento di nuove legioni (rappresentate al rovescio). La custodia dell’aerarium era, infatti, una precisa responsabilità del questore urbano. Per quanto riguarda la citazione dei due consoli (assolutamente anomala), Crawford suggerisce che si tratti di una data (sappiamo infatti che i Romani erano soliti individuare gli anni con il nome dei cosiddetti “magistrati eponimi”, ossia i consoli stessi); sembra tuttavia plausibile un’altra spiegazione: essa testimonianza che, in un momento di grave caos istituzionale, i consoli stessi fecero emettere a Roma una moneta imperatoriale (firmata quindi anche dal questore, urbano in questo caso); un caso del tutto eccezionale. Un ultimo cenno merita la rappresentazione, qui particolarmente dettagliata, delle insegne militari. Oltre all’aquila legionaria, infatti, si possono distinguere dall’alto in basso, sui due assi di sostegno laterali, i vexilla (stendardi in stoffa), i cornicula (decorazioni a forma di mezza luna) e le phalerae (decorazioni a forma di disco, simili alle odierne medaglie); infine, come già sull’emissione di Valerio Flacco, le lettere “H” e “P”, rispettivamente per hastati e principes. _________________ Da Ariminum (odierna Rimini), dove si era insediato, Cesare inviò emissarî a Capua (ove erano presenti sia Pompeo sia i consoli in carica) rinnovando la proposta che fossero fatti congedare i soldati di entrambi i condottieri, ma la risposta fu di nuovo negativa e, anzi, Pompeo rifiutò anche di incontrarlo di persona. Ricevuto il diniego, Cesare inviò i proprî soldati a occupare tutte le principali città circostanti e in ben quattro occasioni[3] le truppe del Senato, che avrebbero dovuto contrastarlo, preferirono invece ribellarsi ai proprî comandanti per unirsi a lui, l’eroe che aveva conquistato la Gallia, il popularis che proteggeva i poveri. La defezione delle proprie truppe, più ancora dell’avanzata di Cesare, gettò gli optimates nel panico: Pompeo, i consoli e la gran parte dei senatori scapparono a Brundisium (odierna Brindisi) con l’intenzione di fuggire nella penisola balcanica; saputolo, Cesare (che ormai poteva servirsi di sei legioni, di cui tre reduci dalla campagna gallica e tre costituite con le truppe sottratte ai nemici) si gettò a inseguirlo; a Brundisium cercò di bloccare il porto, facendo costruire un’immensa fortificazione attraverso il mare, ma le navi di Pompeo riuscirono a sfuggire al blocco e trasferirono in Epiro, oltre a lui, i suoi figli Gneo iunior e Sesto, Cicerone, Catone, Bruto, i generali Tito Labieno (cui fu affidata la cavalleria) e Gaio Cassio Longino (che invece fu messo al comando della flotta), i cosoli e gran parte dei senatori e dei magistrati in carica. Il 1° aprile del 49 a.C. Cesare fece ritorno a Roma, da cui mancava ormai da un decennio, e scoprì che nella fretta di scappare i consoli avevano lasciato le risorse dell’aerarium a sua disposizione. Egli riorganizzò il governo della capitale con i pochi senatori che vi erano rimasti, inviò emissarî in tutte le città costiere affinché gli inviassero navi in Puglia (onde usarle, poi, per inseguire Pompeo) e, dopo appena una settimana, si mise in marcia alla volta dell’Hispania, intenzionato a cacciarne i pompeiani prima che vi si rafforzassero. Lungo la strada, lasciò Decimo Giunio Bruto Albino e Gaio Trebonio ad assediare (rispettivamente, su terra e dal mare) Massilia, che si era schierata con Pompeo; giunto in Hispania riuscì a sbaragliare gli eserciti pompeiani e, ottenuta la loro resa, lasciò i soldati liberi di scegliere se passare ai suoi comandi oppure tornare privati cittadini, senza scatenare alcuna vendetta contro di loro. Tornando in Italia ottenne la resa di Massilia e giunse a Roma a dicembre del 49, facendosi nominare dittatore sino a fine anno. Fu poi eletto console per il 48 e avviò immediatamente una serie di riforme, prima fra tutte una legge per alleggerire il peso dei debiti contratti dai cittadini più poveri. _________________ Nel 48 a.C. un monetiere, Lucio Hostilio Saserna, emise una serie di denarî che inneggiavano alle grandi vittorie ottenute da Cesare nella Gallia. Uno di essi, RRC 448/2, è particolarmente interessante: reca infatti al rovescio la rappresentazione di un carro da guerra (strumento bellico in uso a molte popolazioni celtiche), al dritto invece il ritratto di un uomo con lunga barba, palesemente affranto, e l’immagine di uno scudo gallico alle sue spalle: Babelon, Amisano e molti altri autori sono convinti che questo sia l’unico ritratto contemporaneo di Vercingetorige , che all’epoca era incarcerato a Roma. Merita qui una precisazione: sia l’iconografia monetale, sia la scultura dimostrano che, in questo periodo, l’arte a Roma pervenne a un elevato livello di realismo: i ritratti non erano più astratti o edulcorati, ma cercavano di riprodurre con minuzia e precisione le espressioni e gli stessi difetti delle persone. Da un lato, questa tendenza è giustificata dalla volontà di far riconoscere i potenti dai cittadini dello Stato romano (in un’epoca in cui non esistevano le fotografie); dall’altro, è evidente che i nobili e le persone illustri si facevano un vanto di non dover nascondere i proprî difetti, che evidentemente non minavano il loro senso di superiorità. Grazie a questa corrente artistica, le monete ci restituiscono ritratti fedeli (fatti alcuni in vita, altri dopo morte) di Silla, Cesare, Pompeo, Marco Antonio, Ottaviano, Cleopatra e tanti altri, fra cui appunto Vercingetorige. _________________ A gennaio del 48 a.C. Cesare, con le navi inviate dalle città a lui fedeli, poté raggiungere la penisola balcanica con sette legioni, inseguendo Pompeo. I due eserciti si incontrarono a luglio a Dyrrhachium (odierna Durazzo) e ne nacque una guerra di trincea: entrambi gli schieramenti costruivano fortificazioni per tagliare le linee di rifornimento del nemico, mentre lo tempestavano con proiettili scagliati da arcieri e frombolieri (soldati armati di fionda). Pompeo era in posizione di vantaggio: disponeva di 9 legioni contro le 7 dell’avversario e, soprattutto, riceveva costanti rifornimenti di cibo via mare, mentre i soldati di Cesare dovettero abituarsi a mangiare una specie di pane fatto di radici, non avendo altro. Alla fine Cesare fu sconfitto, ma riuscì a ritirarsi senza gravi perdite grazie al valore dei suoi veterani: Marco Cassio Sceva, centurione della VI legione “Ferrata”[4], con la sola I coorte (1.000 uomini) e benché ferito a occhio, coscia e spalla respinse l’assalto di ben 4 legioni nemiche. Muovendosi attraverso la Grecia, Cesare e Pompeo tornarono a fronteggiarsi in Tessaglia: il primo, avendo distaccato parte delle sue truppe per proteggere le vie di rifornimento, disponeva solo di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri, ma tutti veterani; il secondo invece poteva contare su oltre 45.000 fanti e 7.000 cavalieri, ma prevalentemente reclute. Capendo che i suoi uomini non erano all’altezza di quelli avversarî Pompeo optò per una tattica di logoramento, colpendo le linee di rifornimento del nemico senza affrontarlo direttamente; i nobili che lo seguivano, tuttavia, erano convinti che sarebbe stato facile schiacciare Cesare in battaglia e desideravano farlo prima possibile, per cui tacciarono Pompeo di viltà con tanta petulanza da convincerlo, infine, a scendere in battaglia, a Farsalo. La cavalleria pompeiana si scontrò violentemente con la X legione, comandata da Marco Antonio, ma Cesare fece intervenire una riserva appositamente tenuta nascosta per colpire, al momento opportuno, i cavalieri; la manovra riuscì e il combattimento si risolse in una grande vittoria dei cesariani. Terminata la battaglia, Cesare proclamò che qualunque cittadino romano si fosse arresto sarebbe stato perdonato, senza subire punizioni. Questo suo atteggiamento divenne famoso con il nome di clementia Caesaris; in realtà si trattava non di bontà d’animo, ma di uno specifico progetto politico: Cesare sperava di interrompere così la spirale di vendette reciproche che aveva trasformato il confronto fra optimates e populares in una sorta di sanguinosa faida. Alla fine di quell’anno le legioni Cesare emisero pertanto un aureo e un denario (RRC 452/2) che raffiguravano proprio la personificazione della Clemenza (e, al rovescio, un trofeo di armi galliche); particolare curioso, la legenda comprende un misterioso IIT: l’ipotesi più accreditata (poco convincente, ma non ne esistono di migliori) è che sia in realtà , grafia arcaica per LII, e indichi l’età di Cesare. ________________ I soldati di Pompeo approfittarono dell’opportunità loro concessa, arrendendosi in massa a Cesare. Dopo lo scontro di Filippi i capi degli optimates si disgregarono: Bruto, appena terminata la battaglia, corse nella tenda di Cesare a invocarne la clemenza; Cicerone tornò in Italia e là aspettò Cesare, che infine perdonò anche lui; Gaio Cassio Longino rimase per un periodo al comando di quel che rimaneva della flotta, poi anch’egli raggiunse Cesare e ne ottenne il perdono; Catone e Tito Labieno si rifugiarono in Africa, ove potevano contare sull’alleanza di Giuba, re di Numidia; Gneo Pompeo iunior, figlio del Magno, si recò prima in Africa, poi in Hispania, ove ricostituì un esercito. Pompeo Magno e il figlio Sesto fuggirono invece per mare e, dopo alcune peripezie, giunsero in Egitto; qui tuttavia, il 28 settembre del 48, il padre fu ucciso e decapitato su ordine di Potino, potente consigliere del re Tolomeo XIII, che sperava così d’ingraziarsi il benvolere di Cesare; il figlio Sesto fuggì di nuovo, ricongiungendosi con Catone e Labieno in Africa. Tre giorni dopo sbarcò in Egitto Cesare, che inseguiva i fuggitivi insieme alla VI legione. Quando gli offrirono in dono la testa di Pompeo, ne fu rattristato e inferocito, per tante ragioni: perché comunque quell’uomo era stato suo genero; perché desiderava lui stesso perdonarlo, onde mettere fine alle divisioni interne; perché infine riteneva inconcepibile che un grande generale di Roma fosse ucciso, a tradimento, da un barbaro. Si installò allora nel palazzo reale di Alessandria, fece convocare i due fratelli che all’epoca si contendevano il trono - Tolomeo XIII e sua sorella, Cleopatra Tèa Filpàtore - e, nel nome di Roma, ordinò loro di cessare ogni ostilità reciproca e governare insieme. Potino tuttavia non gradì l’ingerenza e, da dentro lo stesso palazzo, ordinò all’esercito egiziano di convergere su Alessandria per cacciarne i Romani; Cesare allora si asserragliò nel palazzo reale, fece uccidere Potino e attese l’arrivo di rinforzi . Le truppe posero quindi l’assedio al palazzo, appoggiate dagli stessi cittadini, ostili ai Cesare; il loro comando fu assunto da Arsinoe, sorella minore di Tolomeo e Cleopatra, poi dallo stesso Tolomeo, che Cesare lasciò libero nella speranza - vana - di placare gli animi. Tra la fine del 48 a.C. e gli inizî del 47 giunsero infine i rinforzi attesi da Cesare: la XXVII legione via mare e le truppe alleate di Pergamo e Giudea via terra. Dopo aver subito una serie di sconfitte, Tolomeo decise di muovere tutte le sue truppe contro gli eserciti che giungevano via terra; tolse allora l’assedio di Alessandria per mettersi in marcia verso oriente ma Cesare ne approfittò e, fatte uscire le legioni dal palazzo, lo raggiunse e lo sconfisse prima ancora che riuscisse a entrare in contatto con gli eserciti di Pergamo e Giudea. Tolomeo morì in battaglia e Cleopatra fu confermata regina d’Egitto (insieme a un altro suo giovanissimo fratello). _________________ Nel frattempo a Roma, nell’ottobre del 48 a.C., Cesare fu nominato dittatore una seconda volta, per la durata di dodici mesi, ed eletto console per il 47. Finché restò fuori dall’Italia non assunse, tuttavia, i poteri di console. Uno dei monetieri del 47 a.C., Lucio Plauzio Planco emise una moneta di grande bellezza, RRC 453/1, che raffigura al dritto la testa di Medusa, al rovescio una dea alata che avanza frontalmente trascinando alcuni cavalli. La legenda, molto piccola, recita L. PLAVTIVS da un lato, PLANCVS dall’altro. Di questa complessa iconografia sono state proposte due spiegazioni. Amisano, Babelon, Borghesi e Grueber vedono al dritto una maschera teatrale, al rovescio la dea Aurora e propongono che sia qui ricordato un evento narrato da Livio e Ovidio: nel 312 a.C. il censore Gaio Plauzio Venox aveva vietato ai tibicines (suonatori di flauto) di mangiare dentro al tempio di Giove Capitolino e quelli, per protesta, si erano trasferiti a Tivoli, lasciando Roma priva dell’accompagnamento musicale (indispensabile per i riti sacri); allora Plauzio Venox aveva ordinato che fossero fatti ubriacare e poi, con i volti coperti da maschere teatrali, riportati furtivamente a Roma, ove giunsero di prima mattina (quindi, appunto, all’aurora). Crawford identifica invece al rovescio la dea Vittoria e ritiene che sia qui riprodotto un famoso quadro di Nicomaco (pittore tebano del IV secolo a.C.) del valore di milioni di sesterzi, che secondo quanto ci riferisce Livio nel 40 a.C. sarà donato a un tempio da Lucio Munazio Planco, fratello del monetiere[5]. In quest’ottica, la scelta di riprodurre la Vittoria (seppur nella forma del quadro) sarebbe un omaggio a Cesare. _________________ Nel 47 a.C. Cesare si fermò sei mesi in Egitto insieme a Cleopatra, di cui si era invaghito e con cui ebbe un figlio, Tolomeo Filpàtore Filomètore Cesare, detto Cesarione; poi, a fine estate, con una rapidissima marcia raggiunse il Ponto, dove il re Farnace (figlio di Mitridate) aveva approfittato della guerra civile romana per invadere i regni circostanti, facendo uccidere un gran numero di cittadini dell’Urbe. Farnace non si aspettava che Cesare potesse presentarsi così presto: fu colto impreparato e rapidamente vinto in battaglia a Zela (odierna Zile, in Turchia). Questo intervento fu tanto rapido e risolutivo che il generale, in una lettera, lo riassunse con la celeberrima frase “veni, vidi, vici”. In autunno Cesare tornò in Italia, ove assunse i poteri di console. Là, la situazione stava degenerando: quattro legioni si erano ribellate al loro comandante, Marco Antonio, pretendendo dopo 15 anni di servizio l’honesta missio (il congedo) e un donativum (un premio in denaro); nelle more, razziavano e distruggevano campagne e abitazioni e ogni sforzo di riportarli alla calma e all’obbedienza era risultato vano. Cesare si presentò da loro senza scorta; ascoltatene le richieste, rispose chiamandoli “cives” anziché “comites” (“cittadini” anziché “commilitoni”, dato che avevano chiesto di essere congedati) e garantendo che avrebbero avuto il donativum, ma solo dopo che egli, con altri soldati, avesse sbaragliato le ultime sacche di resistenza pompeiana. I legionarî ammutolirono: avevano bluffato nel pretendere il congedo[6]; sentire Cesare, che per anni aveva marciato, vissuto e combattuto con loro, trattarli con disprezzo e sufficienza li disorientò. Chiesero quindi subito di essere perdonati e si rimisero a suoi ordini. Nel 47 a.C. Cesare fu nominato dittatore per la terza volta, per un periodo di 10 anni; utilizzò il potere dittatoriale (come già aveva fatto Silla) per scegliere i magistrati e nominò sè stesso console per il 46, il 45 e il 44. Già nel 54 a.C. egli aveva ideato la realizzazione, nel cuore di Roma, di una grande piazza circondata su tre lati da un portico e sul quarto da un tempio, destinata a fungere da ampliamento dello storico Foro (diventato ormai troppo angusto per le esigenze della capitale); sappiamo da Cicerone che solo l’acquisto dei terreni era costato almeno 15 milioni di denarî (forse addirittura 25), pagati dallo stesso Cesare. I lavori erano iniziati nel 51 ma solo nel 47 Cesare rivelò a chi avrebbe dedicato il tempio: Venus Genitrix, Venere “genitrice” di Iulo (figlio di Enea) e quindi - in un certo senso - di tutti i Romani, dato che Romolo era un discendente dello stesso Iulo. Cesare affermò che adempiva a un voto alla dea, fatto prima dello scontro di Farsalo; in realtà, coglieva l’occasione per affermare che egli stesso discendeva dagli dei, dato che Iulo era anche capostipite della gens Iulia. La nuova piazza sarà inaugurata il 26 settembre del 46 e diverrà nota come Foro di Cesare. Riorganizzate le sue forze, a dicembre del 47 a.C. Cesare sbarcò in Africa, determinato a debellare i pompeiani. _________________ In Africa sono stati rinvenuti diversi esemplari di un altro denario imperatoriale, RRC 458/1, che per questa ragione Crawford ritiene essere stato coniato appositamente per finanziare la spedizione contro i pompeiani. Coerentemente con tale datazione, al dritto è raffigurata appunto Venus Genitrix; al rovescio invece è rappresentato Enea che fugge da Troia, portando il padre Anchise in spalla e il Palladio in mano. La raffigurazione al rovescio aveva un triplice scopo: ricordava al popolo che Cesare (tramite Iulo) discendeva da Enea, grande e nobilissimo eroe, e quindi anche - come detto - dalla dea Venere, con cui quegli aveva concepito un figlio; comunicava (con la raffigurazione di un figlio che salva il padre) che Cesare teneva in gran conto la pietas filiale, virtù molto considerata dai Romani; evidenziava che il Palladio, simbolo del potere di governare il mondo, era giunto nell’Urbe grazie agli antenati di Cesare. Il Palladio era infatti uno dei sette pignora imperii (oggetti sacri che gli dei avevano fatto pervenire nelle mani dei Romani quali garanzie - “pignora” - del loro potere; se fossero andati perduti, sarebbe stata la rovina per la Città Eterna); si trattava, secondo la mitologia, di una statua lignea che Atena aveva realizzato in ricordo di Pallade, sua cara amica uccisa per errore, e aveva le sembianze della dea perché ella stessa - per il dolore - si era identificata nella mortale, tanto da essere appunto chiamata Pallade Atena. Il Palladio aveva dapprima ornato il trono di Zeus, divenendo così una potente fonte di protezione divina, invincibilità e potere militare; un giorno tuttavia Atena, infuriata con il padre, l’aveva ripreso e scagliato sulla terra, a Troia. Rimase in questa città sino alla guerra, quando scomparve; secondo i Romani era giunto nell’Urbe ed era custodito dalle Vestali. Sarà da loro bruciato nel 394 d.C., per non farlo cadere nelle mani dei Cristiani. La menzione dei pignora imperii merita una digressione per narrare di uno di essi: la pietra nera ritenuta materializzazione della dea Cibele[7], probabilmente un meteorite, portata a Roma nel 204 a.C. Attorno al 220 d.C. l’imperatore Eliogabalo la collocò nel palazzo imperiale, ove sopravvisse a distruzioni e saccheggi, ma nel 1730 fu rinvenuta da un archeologo incompetente, monsignor Bianchini, che non capì di cosa si trattasse (e quindi, probabilmente, la distrusse)[8]. Per poco, un pignus imperii non è giunto sino a noi. _________________ Lo scontro fra Cesare e i pompeiani, appoggiati dalle truppe numide del re Giuba, si ebbe il 6 aprile del 46 a.C. a Tapso (attuale Ras Dimas, in Tunisia). Fu una netta vittoria di Cesare, a seguito della quale la Numidia venne ridotta a provincia romana; Labieno e Sesto Pompeo fuggirono in Hispania, presso Gneo Pompeo, mentre Catone si uccise a Utica (città costiera, oggi scomparsa) e, da allora, fu ricordato come “l’Uticense”. Il 25 luglio del 46 a.C. Cesare tornò nell’Urbe, ove lo raggiunsero Cleopatra e Cesarione (ma la regina non fu autorizzata a varcare il pomerium, per cui soggiornarono in una villa sul Gianicolo), e celebrò quattro trionfi successivi per le vittorie conseguite contro i Galli, gli Egiziani di Tolomeo XIII, i Pontici di Farnace e i Numidi di Giuba. La cerimonia del trionfo era un onore molto ambìto dai Romani, concesso dal Senato ai comandanti dotati di imperium quando terminavano una campagna bellica contro una popolazione straniera; non era quindi ammesso se gli sconfitti erano schiavi, come Spartaco, oppure Romani stessi, in caso di guerra civile (per questo, Cesare presentò la vittoria di Tapso come una vittoria contro i Numidi). Nell’occasione il comandante - già acclamato imperator - era eccezionalmente autorizzato a entrare con l’esercito in armi dentro al pomerium; adornato come se fosse Giove in persona, sfilava con i soldati lungo la Via Sacra, dal Circo Massimo attraverso il Foro sino al Campidoglio, mostrando ai concittadini esultanti il bottino e i prigionieri ottenuti. In una società guerriera, era la più bella esperienza che un mortale potesse vivere; pertanto, per compensare l’inebriamento che poteva dare, i soldati erano autorizzati a canzonare il proprio generale[9], mentre una persona al suo fianco gli sussurrava costantemente “hominem te memento” (“ricorda che tu sei [solo] un uomo”). Nel 46 a.C. Cesare adottò la più longeva delle sue riforme: il calendario giuliano. Occorre premettere che il più antico calendario romano aveva solo 10 mesi[10]; già in epoca regia era stato portato a 12 mesi, ma con una durata di soli 355 giorni, e per compensare lo scostamento rispetto alle stagioni il pontefice massimo aggiungeva - quando necessario - un tredicesimo mese, “mercedonio”, dopo febbraio. Questo sistema complesso si era tuttavia inceppato durante le guerre civili, quando i pontefici massimi (compreso lo stesso Cesare) avevano trascurato di apportare le modifiche necessarie, tanto che il solstizio d’inverno arrivava ormai a marzo. Cesare dispose che l’anno 46 a.C. durasse ben 445 giorni e che, dal 1° gennaio 45, entrasse in vigore il calendario di 365 giorni, con previsione di anno bisestile, ancora oggi in uso (con una piccola rettifica apportata da papa Gregorio XIII nel 1582). In occasione dei trionfi del 46 a.C. i legionarî ebbero il donativum loro promesso, pari a 6.000 denarî (più un appezzamento di terra da coltivare), mentre i cittadini di Roma ricevettero un munus (dono) di 100 denarî. A tal fine, Cesare assunse l’insolita iniziativa di utilizzare un denario ad hoc, RRC 467/1, che al rovescio reca la lettera D se destinato al donativum, M se al munus. L’iconografia comprende al dritto il ritratto di Cerere (allusione alle iniziative assunte da Cesare per garantire gli approvvigionamenti di grano alla popolazione), al rovescio gli strumenti rituali usati dal pontefice massimo e dagli àuguri (culullus e aspergillum, già visti su RRC 443/1 e brocca e lituus, già visti su RRC 359/2). Particolarmente interessante è la legenda, che enuncia le cariche politiche di Cesare al dritto (DICT. ITER - COS. TERT.), quelle religiose al rovescio (AVGVR - PONT. MAX.). Poiché Cesare - come già detto - fu dittatore “per la seconda volta” (“iterum”) dall’ottobre 48 all’ottobre 47 e assunse i poteri del suo terzo consolato tra settembre e ottobre 47, la produzione di questa moneta (benché sia datata da Crawford al 46, anno dei quattro trionfi) deve essere iniziata nell’autunno del 47: ciò significa che quando Cesare arringava le legioni ammutinatesi, garantendo che avrebbero avuto il donativum, non faceva (come alcuni storici hanno ipotizzato) una promessa a vuoto, avendo già avviato la necessaria emissione di denarî. _________________ In Hispania Gneo Pompeo aveva riorganizzato i sostenitori del defunto padre, instaurando di fatto una repubblica secessionista e organizzando un nuovo, potente esercito. La sua volontà di presentarsi come detentore della legittimità repubblicana, in contrasto con Cesare, presentato come un usurpatore, si riflette sulla monetazione: nella penisola iberica, infatti, circolavano molte monete di bronzo di produzione locale, necessarie a sopperire alla mancanza di contante ufficiale (l’ultimo asse era stato emesso da Silla nell’82 a.C. e, dopo di esso, Roma non aveva più coniato monete di bronzo); Gneo Pompeo fece allora emettere una moneta, RRC 471/1, con l’antica iconografia di Giano al dritto e della prora navis al rovescio (e la legenda CN. MAG IMP), con il chiaro intento di presentarsi come vero rappresentante delle tradizioni della Repubblica. Si tratta di monete molto diverse l’una dall’altra, con peso variabile da 15 a 37 grammi; peraltro, in alcune (ma non in tutte) i profili delle due facce di Giano hanno le sembianze di Pompeo Magno. Benché presentino il segno di valore “I”, come gli antichi assi, Amisano ha supposto che possano essere dupondî o addirittura sesterzî, in analogia alle emissioni cesariane di poco successive (RRC 476/1 e 550/2). _________________ Alla fine del 46 a.C. Cesare partì con otto legioni alla volta della Hispania, determinato a estirpare una volta per tutte la resistenza pompeiana. Si trattò della più difficile e sanguinosa fra tutte le campagne belliche che aveva combattuto: aiutati dal terreno favorevole e da una popolazione che li appoggiava, gli avversarî riuscirono a infliggere pesanti perdite alle sue truppe, mettendolo più volte in difficoltà. Per finanziare la campagna, egli fece produrre un’altra emissione itinerante: il denario RRC 468/1, che raffigura al dritto il ritratto di Venere (con un piccolo Cupido sulla spalla), al rovescio un trofeo di armi galliche sotto cui giacciono una donna in lacrime e un uomo barbuto con le mani legate. Babelon ritiene che la donna sia la personificazione della Gallia, l’uomo invece Vercingetorige; per Crawford sono invece generici prigionieri gallici. La rievocazione della guerra in Gallia aveva uno scopo ben preciso: ricordare ai soldati (molti dei quali, reduci da quella guerra) ciò che erano riusciti a fare sotto il comando dello stesso Cesare, per tenerne alto il morale e infondere loro coraggio e fiducia in un momento di grave difficoltà. Lo scontro decisivo si ebbe a Munda (odierna Osuna), nella primavera del 45 a.C.: Cesare sorprese l’esercito di Gneo Pompeo e Tito Labieno accampato in cima a una collina e, stanco di una serie apparentemente infinita di scontri fratricidi, decise - contro ogni regola tattica - di giocare il tutto per tutto, attaccando in salita e in forte inferiorità numerica (disponeva di 40.000 uomini contro i 70.000 degli avversarî). All’inizio sembrò una disfatta, tanto che lo stesso Cesare arrivò a pensare di suicidarsi; decise comunque di morire in modo onorevole e, sceso da cavallo, raggiunse i ranghi della X legione per combattere insieme ai suoi soldati preferiti. La presenza di cesare galvanizzò tuttavia i legionarî della X, che cominciarono a combattere con tanto ardore da guadagnare terreno; allora Gneo Pompeo tolse una sua legione dal fianco opposto e la mandò contro la X. Fu una mossa falsa: Cesare, pronto a cogliere l’occasione, inviò subito la sua cavalleria ad attaccare nel punto in cui, essendo stata distolta una legione, si era creato un buco nello schieramento avversario; contro ogni aspettativa, vinse così anche questa sua ultima battaglia. Alla vittoria contribuì anche un suo giovane parente, che egli aveva voluto con sé proprio per valutarne le capacità militari: Gaio Ottavio Turino. Labieno morì in combattimento; Gneo Pompeo fu catturato e ucciso poco dopo. Sesto riuscì invece a fuggire in Sicilia, dove continuerà ad agire in quasi totale autonomia, in alcuni anni con il consenso del Senato (che nel 43 a.C. lo nominerà praefectus classis et orae maritimae, comandante supremo delle flotte militari) ma più spesso in conflitto con Roma. _________________ Cesare tornò finalmente a Roma, ove commise un grave errore politico: infrangendo una tradizione plurisecolare, celebrò il trionfo per aver sconfitto i soldati di Gneo Pompeo, ossia dei concittadini. La sanguinosa campagna iberica l’aveva cambiato: era frustrato e inferocito per il fatto che, malgrado la sua politica di clemenza, i pompeiani avessero continuato a osteggiarlo; probabilmente pensò quindi di umiliarne la memoria, trattandoli come barbari debellati. Per il popolo, tuttavia, la guerra civile restava un evento forse necessario, ma sicuramente doloroso ed esecrabile: mostrando di vantarsi di aver ucciso cives Romani, Cesare perse parte del suo consenso. In quel periodo furono emesse due monete in oricalco, una lega di bronzo e zinco, di colore simile all’oro, che a Roma veniva usata per la prima volta. Le due tipologie sono molto simili: la prima, RRC 476/1, reca al dritto il ritratto di Vittoria e al rovescio l’immagine di Minerva che avanza con un trofeo sulla spalla (e un serpente ai piedi); la seconda invece, RRC 550/2 (oggi molto rara) il ritratto di Venere al dritto, l’immagine di Vittoria che avanza con un ramo di palma in spalla al rovescio. La prima è sicuramente databile al 47-44 grazie alla legenda CAESAR DIC TER (Cesare detenne la terza dittatura tra l’ottobre del 47 e il marzo del 44) e C. CLOVI PRAEF: Gaio Clovio, personaggio storico proco noto, fu governatore della Gallia Cisalpina nel 44 a.C. e quindi, probabilmente, prefetto nel 45. La datazione della RRC 550/2 è invece molto discussa: la legenda recita Q. OPPIVS PR. e l’unico Quinto Oppio noto fu governatore della Cilicia nell’88 a.C.; molti numismatici tuttavia (fra cui Alföldi, Woytek e Marta Barbato) ritengono che anche questa moneta, viste le grosse similitudini con la precedenza, sia stata emessa da un un altro dei prefetti (oppure anche da un pretore) del 45. In quest’ottica, è probabile che la prima moneta, e forse anche la seconda, siano state emesse in occasione del trionfo del 45 a.C. per disporre di spiccioli da distribuire al popolo durante la processione. Per quanto riguarda il valore, Grueber ipotizza che fossero assi, McCabe invece dupondî. Nei pochi mesi in cui governò indisturbato, Cesare avviò molte riforme per modernizzare Roma e il suo Stato: fra l’altro, concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della Gallia Cisalpina, elevò da 600 a 900 il numero dei senatori e fece entrare in Senato molti nobili di origine spagnola e gallica. Molti suoi sforzi furono profusi in campo urbanistico, nel tentativo di rendere l’Urbe una vera metropoli: propose una legge (approvata dopo la sua morte) che vietava la circolazione dei carri nelle ore diurne, per rendere più sicuri i pedoni; avviò la realizzazione di molti monumenti, che saranno conclusi dopo la sua morte (il teatro di Marcello, la basilica Giulia, il tempio di Marte Ultore, uno stadio per naumachie), compresa una nuova Curia, per sostituire quella distrutta nel 52; ipotizzò di rettificare il tratto urbano del Tevere (tra l’attuale ponte Cavour e l’isola Tiberina), per ridurre le esondazioni; infine fece razionalizzare la disposizione dei monumenti dell’antico Foro, facendo sostituire la tradizionale pedana dei rostra, che aveva andamento semicircolare, con una di pianta rettangolare. Forse, quindi, fu anche per nostalgia che un monetiere del 45 a.C., tale Palicano, emise il denario RRC 473/1 che immortalava i rostra nella loro vecchia forma semicircolare, con sopra il subsellium (sedile in uso ai tribuni della plebe). Sicuramente, egli voleva anche commemorare un suo parente, Marco Lollio Palicano, tribuno nel 71 a.C., che da quella tribuna aveva ardentemenmte perorato l’abrogazione delle leggi con cui Silla aveva limitato i diritti della plebe. Al dritto è invece raffigurata la Libertà (con didascalia LIBERTATIS), probabilmente in omaggio a Cesare che aveva “liberato” la Repubblica dai pompeiani. _________________ Nel 44 a.C. Cesare, oltre a ricoprire il consolato insieme a Marco Antonio, fu nominato dictator perpetuus (dittatore a vita), una forzatura ancora più grande di quella che era stata fatta per Silla (la cui nomina “a tempo indeterminato” presupponeva che prima o poi si sarebbe dimesso, come effettivamente avvenne): era ormai chiaramente determinato a governare con potere monarchico, seppur nell’interesse del popolo, situazione paradossale che il grande Mommsen ha riassunto con l’ossimoro “monarchia democratica”. Molti temevano che volesse farsi addirittura rex, un azzardo assolutamente inaccettabile per la mentalità romana; gli indizî in tal senso erano tanti (ad esempio, scelse di portare i calzari rossi simbolo degli antichi re di Alba Longa, giustificando che gli competevano quale discendente di Iulo e quindi ultimo erede di quella mitica dinastia), ma quello che fu forse ritenuto eccessivo ebbe natura numismatica. Il dittatore infatti preparò una grande campagna militare contro i Parti, per vendicare la disfatta di Carre, e a tal fine fece coniare una grande quantità di denarî, oggi raccolti nella serie RRC 480 e, con un incredibile strappo alla tradizione, fece apporre il suo ritratto[11], un’iniziativa che richiamava i monarchi ellenistici. Il giorno delle idi di marzo il Senato, essendo indisponibile la vecchia Curia, si riunì in quella che Pompeo aveva fatto realizzare presso il suo teatro; là Cesare fu raggiunto dai congiurati e pugnalato a tradimento. Tentò di difendersi, ma quando si avvide che fra i suoi assassinî c’erano amici (Decimo Bruto Giunio Albino e Gaio Trebonio), avversarî che lui stesso aveva perdonato (Gaio Cassio Longino) e persino Bruto, deluso gli disse “καὶ σὺ, τέκνον” (“anche tu, figlio”)[12]; si coprì volto e ginocchia, per morire in modo decoroso, e cadde trafitto ai piedi della statua di Pompeo. Quella statua esiste ancora: recuperata nel 1553, è ora esposta a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. Particolare numismatico interessante: la produzione delle monete della serie RRC 480 continuò, ma in quelle emesse dopo la sua morte Cesare è rappresentato con un velo sulla testa, in segno di lutto. NOTE [1] Secondo la Historia Augusta (al capitolo “Vita di Elio”, II, 3), testo storiografico redatto nel III secolo d.C., un antenato di Cesare si sarebbe guadagnato questo cognomen per aver ucciso in guerra un elefante cartaginese. Va precisato che esistevano, già all’epoca, altre ipotesi tra cui quella, più realistica, di “nato con parto cesareo” (che veniva praticato in caso di morte della madre). [2] Plutarco, Vita di Cesare, 34. [3] A Iguvium (odierna Gubbio), Osimo, Ausculum (odierna Ascoli Piceno), Firmum (odierna Fermo) e Terracina. [4] Il soprannome derivava dall’armamento pesante, in ferro, dei suoi legionarî. [5] Il monetiere infatti era nato come Gaio Munazio Planco, cambiando poi praenomen e nomen a seguito di adozione. Lucio Plauzio sarà messo a morte con le liste di proscrizione del secondo triumvirato; è possibile che il quadro fosse suo e che, alla sua morte, Lucio Munazio se ne sia appropriato, per poi offrirlo agli dei in memoria dello sventurato fratello. [6] La richiesta di congedo era stata un bluff, perché significava “dateci i soldi o ce ne andiamo”, ma in realtà era interesse degli stessi legionarî restare sino a guerra conclusa (perché i generali vittoriosi elargivano donativa molto più consistenti). Rimasero quindi spiazzati dalla risposta di Cesare, che sostanzialmente significava “bene, andatevene pure; troverò altri soldati”. [7] Gli altri cinque erano: l’ancile, un antichissimo scudo donato da Marte (e di cui esistevano 11 copie identiche, per evitare che l’originale fosse riconosciuto e rubato); lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia; il velo di Iliona, sua figlia; le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone; la quadriga di Giove Capitolino, collocata sulla sommità del suo tempio. [8] L’episodio è narrato da un altro archeologo, Rodolfo Amedeo Lanciani (nel libro Ancient Rome in the light of recent discoveries del 1890), che l’ha inutilmente cercata un secolo dopo. [9] Sappiamo che i soldati di Cesare, ad esempio, ne dileggiarono la presunta omosessualità cantando “ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem” (“ecco, ora che trionfa Cesare che ha sottomesso la Gallia, [ma] non trionfa Nicomede che ha sottomesso Cesare”). Nicomede era stato l’ultimo re di Bitinia; quando aveva solo 19 anni, nell’81 a.C., Cesare era stato mandato come ambasciatore alla sua corte e si diceva che avesse avuto una relazione con lui. [10] Secondo Carandini, illustre archeologo e antiquario romano, perché l’anno veniva assimilato a un ciclo di fertilità umana: nove mesi di gestazione più uno di infertilità. Di questa antichissima scansione del tempo resta memoria nei nomi degli ultimi mesi dell’anno. [11] Alcuni autori, citando Cassio Dione, sostengono che questo privilegio gli sia stato concesso dai senatori ma lo storico dice solo che “πατέρα τε αὐτὸν τῆς πατρίδος ἐπωνόμασαν” (Storia Romana, 44), “appellarono lui stesso padre della patria e incisero sopra le monete”: chiaramente, significa che fecero apporre su alcune monete il titolo di parens patriae, non il ritratto. [12] Svetonio, Cesare, 82; Cassio Dione, Storia Romana, 44. La versione latina “tu quoque, Brute, fili mi” è un’invenzione moderna. ILLUSTRAZIONI Denario RRC 443/1 Denario RRC 441/1 Denario RRC 448/2 Denario RRC 452/2 Denario RRC 453/1 Denario RRc 458/1 Denario RRC 467/1. Questa moneta è stata usata durante il trionfo di Cesare, per farne dono (“munus”) a un cittadino di Roma. Bronzo RRC 471/1 Denario RRC 468/1. Bronzi RRC 476/1 e 550/2. Denario RRC 473/1 Ricostruzione della tribuna dei “rostra” nella vecchia forma semicircolare Denario RRC 480/9 Statua di Pompeo di Palazzo Spada a Roma
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  36. Un lungo litorale con imponente scoglio sormontato da torre aragonese, fino verso inizio 1900 una isola, poi da decenni spiaggiata nell' arenile e circondata, stagionalmente, da lunghe, ordinate file di ombrelloni . Una vecchia, piccola città rivierasca della Calabria tirrenica : ad oggi, da 55 anni, luogo delle mie vacanze estive .
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  37. Posto la mia 120 grana del 1808. Ogni parere e’ benvenuto. Gabriele
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  38. Buonasera a tutti 2fiorini III tipo - 1625 740 c del Cudazzo
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  39. Gentilissimi amici del Forum, oggi vorrei presentarvi questa monetina da 8 soldi del Ducato di Mantova e del Monferrato, battuta a nome.di Ferdinando I Gonzaga tra il 1612 ed il 1626. Cosa ne pensate? Secondo voi per quale motivo l'usura è tutta al centro del tondello? Potrebbe trattarsi di un conio stanco più che di usura? Grazie mille a chi vorrà intervenire.
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  40. AGGIORNAMENTO SITUAZIONE ATTACCO SPAM Pulizia spammer Abbiamo rimosso ogni utente spam registrato (circa 380) e tutti i contenuti inviati. Nuove Registrazioni Le registrazioni al forum sono nuovamente aperte. A causa di un recente attacco di spam, ogni nuova iscrizione viene momentaneamente esaminata e approvata manualmente dall’amministratore. Questo significa che l’attivazione dell’account non sarà immediata: sarà necessario attendere la convalida manuale. Si tratta di una misura temporanea, che verrà rimossa non appena la situazione tornerà alla normalità.
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  41. Validare ogni registrazione manualmente sarebbe un compito troppo gravoso da gestire. Abbiamo altri modi, ogni tanto trovano nuove strade ma siamo qua a bloccarli. Ho cancellato 300 utenti registrati solo oggi, e non ho finito.
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  42. Buongiorno...oggi una piastra Firmata Securitas in discreta conservazione e con il taglio ben riuscito...cerchi e quadratini belli evidenti. Esistono varianti per il tipo di taglio e per la disposizione a destra o sinistra delle sigle DeG... Moneta praticamente introvabile in fdc. Vorrei aggiungere anche la variante con sigla DeG vicino a R, e di recente mi è sfuggita l'occasione. Moneta questa che mi ha da subito affascinato, è stata la seconda moneta dopo una cingranella, che ho messo in collezione per Carlo di Borbone. Saluti.
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  43. Conoscendo, anche se solo virtualmente @ACERBONI GABRIELLA e la sua serietà, concordo con chi ritiene che abbia voluto essere ironica, e pazienza se manca la punteggiatura, per una volta può scappare. Chiudiamola qui.
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  44. Perdonami @tuttologo ma questo tuo atteggiamento non è accettabile. 1. il valore di una moneta dipende dalla conservazione. E' assai probabile che una moneta in buona conservazione valga 50 Euro. Se guardi il venduto vedi che i prezzi di vendita sono variabili. Il pezzo peggiore, venduto a 17 Euro, è in conservazione migliore della tua in cui non si legge nemmeno il valore, ossia non arriva alla conservazione MB. Qui i venduti su ebay: https://www.ebay.it/sch/i.html?_nkw=5+soldi+1675+genova&_sacat=11116&_from=R40&_sop=10&rt=nc&LH_Sold=1&LH_Complete=1 2. é cosa ben nota che i commercianti comprino per rivendere (lo chiamano commercio). Per cui probabilmente lo stesso commerciante pensa di venderla intorno ai 5-8 euro. Però è una vendita difficile. E' Difficile vendere monete in conservazione peggiore di MB, per cui dato che il commerciante assume il rischio che rimanga invenduta, ha valutato di comprarla al valore dell'argento. I soldi sono i suoi e ci fa quello che vuole. 3. é verosimile che il valore della tua moneta si aggiri proprio intorno a quanto detto sopra. Se proprio trovi l'interessato puoi venderla a 10 Euro, ma mi pare difficile. 4. Se ritieni di essere così bravo, vendila tu su ebay a 50 Euro, invece di criticare chi con competenza e pazienza ti aiuta e si becca pure degli insulti. 5. Sarebbe bene scusarti con la comunità. Capisco lo sfogo e la delusione, ma consiglio di modificare i messaggi di sfogo, che ritengo non accettabili.
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  45. Buongiorno, beh un tuttologo che chiede cos'è quell' oggetto ci mancava... 😁
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  46. Buonasera...giusto per risollevare questa "discussione/carrellata" di monete napoletane...vi propongo questa...patina marrone-blu bella antica...qualche traccia di malachite, ma un 3 grana con un bel pò di dignità. Dignità nonostante le debolezze e le fratture di conio...ma trattasi di moneta rara, e mio avviso tutto sommato ben conservata. Parlavo con alcuni amici, di come provvederò a metterla in bagno con olio di vaselina puro e cercherò di togliere quelle intrusioni di malachite...per il resto un 3 grana ◇rombo...in questo caso spostato verso l'alto, rami senza bacche, punto di compasso bello evidente e come dicevo fratture di conio che a memoria ho visto solo su un altro esemplare esitato da Ranieri, molto più bello di questo ma con il secondo 1 di 1810 rotto come questo... a memoria ricordo solo questi due ... già il rombetto dopo GRANA nei cataloghi la fa r2...ma da collezionista scrivo che sono più comuni i rombi allineati con GRANA e quelli posti dopo date con le cifre cicciotte... a voi la moneta... leggerò e guarderò volentieri foto di altri esemplari uguali p.s. la posterò anche nella mia discussione "maniacale" ...noche
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  47. Per essere sicuri sulla cristallizzazione bisogna avere la moneta in mano o che ci siano indicatori inconfutabili, tipo l’aspetto della massa che appare da una rottura. La “ pelle di coccodrillo” si replica con shock termici in ambiente acido , o quantomeno se ne ottiene una imitazione molto plausibile , quindi bisogna andarci con i piedi di piombo. Invece, anche dalla foto , si possono individuare le difformità del disegno che , riportate all’epoca della presunta esecuzione, non avrebbero senso di esistere, perché chiunque avrebbe saputo che una insegna ha un palo per piantarla in terra e l’avrebbe replicato nel conio o nella conchiglia , così come avrebbe saputo che il trespolo aveva la linea orizzontale che arrivava a tutto l’esergo, non una sola parte. Sono difformità esecutive che male si adattano ad una realizzazione fatta in epoca coeva o giù di lì e ambiente metropolitano. Potrebbero essere plausibili in una imitativa, ma , di solito, la parte più scorretta in quelle è la legenda( per ovvi motivi di maggiore difficoltà interpretativa) , mentre un disegno comune come una insegna, oggetto ben presente in qualsiasi cultura dell’epoca, difficilmente sarebbe stato eseguito in modo errato. Diverso il discorso se la realizzazione fosse molto posteriore e l’esecutore non avesse avuto ben chiaro cosa doveva rappresentare e neanche che , per una augusta, un rovescio militare fosse estremamente improbabile.
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  48. Moneta effettivamente slabbata MS63. Anche se c'è da dire che la luce della foto effettivamente non sia il massimo, a me non da una piacevole sensazione di altissima qualità. Nel granding americano gli avrei dato un 62. Forse sarà per il conio un po usurato, la superficie del modellato e i dettagli mi sembrano impastati. Per il rovescio su questa moneta osservo sempre la parte posteriore e il dorso del cavallo in primo piano. Con tutti i dubbi che la foto oggettivamente comporta, non mi trasmette una sensazione di metallo "untouched". Per confronto allego una moneta in FdC. (ex Negrini 38, ex listino Mazzarino). Anche se la foto non è in altissima conservazione è tuttavia sufficiente per poterne apprezzare la bellezza dell'esemplare. I dettagli sopra citati in questo esemplare sono non solo meglio definiti, ma soprattutto presentano una pulizia nel modellato, nei campi e in generale nel metallo, molto piacevoli. Confrontate la zona del cavallo sopra citata come qui appaia più fresca, più "pulita". Certamente l’esemplare in oggetto rimane una moneta gradevole, ma secondo me non è da farci "follie". La patina non mi convince pienamente. Occhio al ciglio, qualche tacchetta ce l'ha. Ciao, si, questi dettagli sono coniati "quasi evanescenti" per capirci. Ti allego un ritaglio in alta risoluzione di un esemplare in alta qualità dove puoi osservare il rilievo "un po meglio". Mi spiace fare sempre il guastafeste e smorzare l'entusiamo. Ma la "bava di conio", molto spesso chiamata in causa, non è questa. Se proprio vogliamo chiamarla così, questa dovrebbe essere un sottilissimo bavero di metallo, molto “tagliente”, ma che per la sua sottigliezza spezza come appena tocca qualcosa. Quello che si vede nella foto non è altro che un normale esubero di metallo scaturito all'atto della battitura della pressa. Lo troviamo anche in esemplari in bassa conservazione. Allego delle foto prese da ebay per rendere l'idea. Il modo migliore per constatare l'altissima conservazione rimane sempre la brillantezza del metallo e la "pulizia" del modellato. Problemi di coniazione (come debolezze di conio, riscontrabili in queste tipologie) potrebbero falsare la regolarità di dettagli e rilievi; per questo motivo non è mai consigliabile giudicare la conservazione unicamente su questi parametri
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  49. @Adelchi66 Il problema è che si parla di cose che non si conoscono. Sai quanto costa mantenere 300gb di dati con picchi di traffico di migliaia utenti connessi? Sai quanto costano le licenze? Le VPS per i backup? No credo proprio di no. 3 banner, perché di questo parliamo, non possono essere definiti "decadenza", i banner sono sul corriere della sera, su repubblica, sull'ansa... Poi c'è modo è modo cosa? Ogni qual volta che c'è stato un problema questo è stato risolto o se non sono riuscito a risolverlo, come nel caso della pubblicità redirect, ho rimosso i banner. Sono 25 anni che questo forum è concesso a titolo gratuito e non si regge con lo spirito santo, ma con qualche banner e qualche donazione. In pratica, per chiarire meglio il concetto, sono 25 anni che qualcuno paga per te, quindi ringrazia quei pochi banner e tutti i supporter che hanno tirato fuori l'aes signatum. Persone che hanno capito cosa significa "autofinanziamento" e soprattutto non l'hanno scambiata per decadenza. ======== ======== Tornando agli utenti collaborativi, questo problema di scroll si presenta solo su telefoni android o tra voi con il problema c'è anche qualche iphone?
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