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  1. Recuperata! E’ del VII secolo a.C. Sai cosa trasportava? Non anfore. A cosa serviva il materiale del carico? Da dove veniva? NB: non so bene di quando sia la notizia, dovrebbe essere piuttosto datata visto che la scoperta del relitto risale al '94. Leggo su S.A. questo recente articoletto: Fonte: https://stilearte.it/recuperata-e-del-vii-secolo-a-c-sai-cosa-trasportava-non-anfore-a-cosa-serviva-il-materiale-del-carico-da-dove-veniva/ Si sono concluse le complesse operazioni subacquee che hanno consentito il recupero dell’antico relitto che aveva appena lasciato la costa, in un lontano giorno di 2600 giorni fa, dopo aver fatto il carico, quando, forse a causa di un temporale o di uno scoglio, andò incontro a un drammatico destino. Fu lo stesso carico a trascinarlo rapidamente sul fondo. Il ritrovamento e il recupero della nave antichissima sono avvenuti nelle acque di Mazarrón, una città costiera nella regione spagnola di Murcia. Gli scavi hanno portato alla luce il relitto di una nave fenicia risalente al VII secolo a.C. Questo relitto, denominato Mazarrón II, rappresenta uno dei più importanti ritrovamenti di archeologia subacquea degli ultimi decenni, gettando nuova luce sulla civiltà fenicia e sulle sue abilità nella costruzione navale e nella navigazione. “Pochi giorni fa ha avuto termine un lavoro appassionante: il recupero del relitto Mazarrón 2 -affermano tecnici e studiosi italiani di Csr Restauro Beni culturali – L’intervento è stato diretto da Carlos De Juan e Agustin Diez-Castillo dell’Università di Valencia, che ringraziamo per averci coinvolto in questa avventura. Sono stati 2 mesi di sfide giornaliere, momenti di riflessione e di confronto con tutto il team e infine di enormi soddisfazioni e di crescita a livello professionale e umano. È stato per noi un privilegio aver partecipato alle fasi di progettazione, recupero, trasporto e sistemazione delle porzioni del relitto presso il laboratorio dell’ARQUAtec, e aver contribuito, con la nostra restauratrice subacquea Raquel Delgado Llata, anche attraverso il trasferimento di competenze acquisite in oltre venti anni di sperimentazioni e interventi di conservazione in situ del patrimonio culturale sommerso, al buon esito dei lavori”. La nave e il suo prezioso carico Momenti delle operazioni di scavo e recupero della nave @ Foto di Jose A. Moya per Universitat de Valencia Il relitto, datato tra il 610 e il 580 a.C., misura circa 8 metri di lunghezza e 2 metri di larghezza. La nave trasportava un carico di lingotti di piombo, un materiale essenziale nel commercio antico. Nonostante la copertura protettiva in metallo che proteggeva il relitto, le correnti oceaniche e la pressione degli strati sedimentari stavano compromettendo la sua conservazione. Per questo motivo, un intervento di scavo è stato considerato urgente. L’operazione, durata 40 giorni, è stata eseguita da un team di archeologi subacquei sotto la direzione di Carlos de Juan dell’Università di Valencia, con il supporto finanziario del ministero regionale della cultura di Murcia. Durante lo scavo, sono stati recuperati anche elementi straordinari come pezzi di corda con nodi originali e i resti di un’ancora, entrambi perfettamente conservati grazie alle condizioni marine uniche. Chi erano i Fenici? I Fenici erano una civiltà semitica originaria dell’attuale Libano, che prosperò lungo le coste orientali del Mediterraneo tra il 1500 e il 300 a.C. Abili navigatori e commercianti, estesero la loro influenza attraverso una vasta rete di rotte marittime che collegavano il Vicino Oriente all’Europa e all’Africa settentrionale. La loro cultura si distinse per l’invenzione dell’alfabeto fonetico, che fu il precursore degli alfabeti greco e latino. Le loro città-stato, come Tiro, Sidone e Biblo, erano centri nevralgici del commercio, noti per la produzione di beni di lusso come la porpora di Tiro, una tintura pregiata ottenuta da molluschi marini. Oltre alla navigazione, i Fenici erano rinomati per la loro ingegneria navale: costruivano navi robuste, progettate per affrontare lunghe traversate oceaniche e trasportare carichi pesanti, come dimostra il relitto di Mazarrón II. A cosa serviva il piombo nell’antichità? Il piombo era un materiale fondamentale nel mondo antico per una serie di applicazioni pratiche. I Fenici, in particolare, lo estraevano in grandi quantità dalle miniere della penisola iberica, come quelle della Sierra de Cartagena. Ecco alcune delle principali applicazioni del piombo: Realizzazione di ancore e pesi: Il piombo, grazie al suo peso specifico elevato, era utilizzato per produrre ancore e pesi da immersione. Fu poi anche usato, in ambito bellico, per la produzione di proiettili per i frombolieri. Canalizzazioni idriche: Il suo utilizzo era già conosciuto in precedenza, ma durante l’Impero Romano fu largamente impiegato per costruire condutture per l’acqua potabile. Sigillature: Era utilizzato per sigillare giunti tra blocchi di pietra o come riempitivo nelle costruzioni navali. Produzione di oggetti decorativi e amuleti: I Fenici attribuivano anche un significato simbolico al piombo, associandolo alla protezione divina. La facilità di fusione del bronzo consentiva una semplice produzione di oggetti d’arte o devozionali. Il carico di lingotti ritrovato sulla nave Mazarrón II testimonia l’importanza strategica di questo materiale per il commercio fenicio e per la loro economia. Il futuro del relitto Le parti recuperate della nave saranno trasportate al Museo Nazionale di Archeologia Subacquea (ARQUA) di Cartagena, dove verranno sottoposte a un meticoloso processo di conservazione della durata di quattro anni. Questo lavoro non solo proteggerà il relitto per le generazioni future, ma consentirà agli studiosi di approfondire le tecniche di costruzione navale fenicia e il loro ruolo nella rete commerciale mediterranea. Carlos de Juan ha sottolineato l’importanza della scoperta, che “offre un’opportunità unica per comprendere meglio le abilità tecnologiche e la cultura marittima dei Fenici”. Le principali miniere di piombo nella Spagna antica Sierra de Cartagena e La Unión (Regione di Murcia): Questa area era una delle principali fonti di piombo e argento nell’antichità. I Fenici sfruttarono queste miniere già dall’VIII-VII secolo a.C., estraendo piombo sotto forma di galena (solfuro di piombo), spesso associata a vene di argento. La vicinanza alle coste facilitava il trasporto via mare. Sierra Morena (Andalusia): La regione, in particolare intorno a Jaén e Córdoba, ospitava miniere di piombo e rame. In epoca romana, le miniere di questa zona furono sfruttate su scala industriale. Miniera di Mazarrón (Murcia): Mazarrón stessa, dove è stato ritrovato il relitto fenicio Mazarrón II, era un centro minerario significativo per l’estrazione di piombo. La città e le sue miniere erano ben conosciute già in epoca fenicia. Rio Tinto (Huelva): Sebbene più famosa per l’estrazione di rame e oro, quest’area forniva anche piombo in minori quantità, come sottoprodotto dell’attività estrattiva. Importanza del piombo spagnolo per i Fenici I Fenici erano abili commercianti e sfruttavano le risorse minerarie della Spagna per alimentare le loro reti commerciali. Il piombo veniva estratto e fuso direttamente nelle vicinanze delle miniere, poi trasportato in lingotti a bordo delle loro navi per essere scambiato in tutto il Mediterraneo. Questi lingotti erano utilizzati per una varietà di scopi, come materiali da costruzione, utensili e oggetti commerciali. Le miniere della Spagna non solo erano cruciali per i Fenici, ma continuarono a essere sfruttate intensivamente durante l’epoca romana, quando la tecnologia mineraria raggiunse il suo apice, con l’introduzione di tecniche avanzate come il ruina montium (frantumazione delle montagne). Questi siti minerari, quindi, non solo testimoniano l’antica economia della penisola iberica, ma sottolineano anche il ruolo della Spagna come fornitore strategico di risorse per le grandi civiltà mediterranee.
  2. ARES III

    Nuove interpretazioni a Mozia

    Archeologia, Sicilia: la vasca sacra di Baal che si pensava fosse un porto fenicio Inizialmente si pensava che il kothon di Mozia, nella Sicilia meridionale, fosse un porto artificiale. Non lo era, lo dimostra l'archeologo Lorenzo Nigro della Sapienza Il grande Baal, il cui nome significa “proprietario” o “padrone”, il cui feudo dipendeva da quando e dove veniva adorato: re degli dei, dio delle stagioni e della tempesta, dio della fertilità, dio della pioggia e del tuono, il cui nome era legione; adorato da Ugarit al Nord Africa e attraverso il Mediterraneo migliaia di anni fa, e anatema per i sacerdoti di Yahweh, Baal sarebbe diventato Bel per gli Aramei e Belos o Belios per gli antichi greci, che è un punto cruciale di questa storia. Il “porto artificiale” scoperto nel porto fenicio di Mozia, nella Sicilia meridionale, all’inizio del XX secolo non era nulla del genere, a differenza di quanto si pensasse. La monumentale vasca rettangolare era stata male interpretata. Ora ha dimostrato di essere stata una gigantesca vasca sacra in onore di Baal che operò durante il periodo fenicio della città, dall’VIII al V secolo a.C., come spiega sulla rivista Antichità l’archeologo Prof. Lorenzo Nigro dell’Università La Sapienza di Roma. Nel 2014 ha scritto della natura della struttura come piscina e non come porto, ma ora Nigro spiega che la piscina probabilmente svolgeva anche un ruolo astronomico e nuovi ritrovamenti ad essa associati sottolineano la natura multiculturale della città. Infatti la vasca d’acqua dolce era il centro di un monumentale complesso religioso con tre templi, circondato da una cinta muraria circolare. Il sito di Motya (o Motye o Mozzia) è stato occupato fin dalla preistoria, come si addice a un luogo incantevole del Mediterraneo. La città sorse sulla sponda occidentale dell’isola di San Pantaleo circa 2.800 anni fa, dopo che i Fenici in partenza dal Libano scoprirono l’isola, stabilirono una presenza e convivevano con gli abitanti preistorici, gli Elimi. Il risultato fu una nuova, distintiva identità culturale “fenicia occidentale“, deduce Nigro. La città fenicia di Mozia fu fondata circa un secolo dopo la fondazione della grande e terribile città fenicio-cananea di Cartagine in Tunisia, e quella città non se ne divertiva. Con la crescita dell’influenza di Mozia nella regione del Mediterraneo, le due città entrarono in conflitto. Verso la metà del VI secolo a.C., l’invidiosa Cartagine avrebbe cancellato dalla mappa la città nata e le sue mura difensive. Eppure questa città “fenicia occidentale” sarebbe risorta, con un nuovo muro difensivo esterno e complessi religiosi monumentali, uno a nord dell’isola (in onore del dio Melqart) e uno a sud. Intorno al 400 a.C. sarebbe stata nuovamente distrutta, questa volta da Dioniso Siracusa. Questa storia parla del complesso religioso meridionale durante la fase fenicia della città, prima di Dioniso, da circa 2.800 a 2.500 anni fa, prima della sua seconda distruzione. Incombe su tutto, Baal Con il senno di poi, è chiaro il motivo per cui lo scopo del monumentale bacino rettangolare è stato frainteso quando scoperto per la prima volta nel 1906 dall’archeologo anglo-siciliano Joseph Whitaker, che pensava fosse un porto artificiale chiamato kothon. Kothon (o cothon) è una parola greca per un recipiente per bere in argilla o metallo dalla bocca tonda usata dai soldati spartani, e nei documenti classici arrivò a indicare il nome del gigantesco porto artificiale a forma di anello di Cartagine. Pensando di aver trovato un porto chiuso, Whitaker ha soprannominato il bacino rettangolare di Motya “cotone“. In onore di Whitaker, la prima persona a indagare sul bacino di Motya, Nigro ha continuato a chiamare la struttura rettangolare un kothon anche se non lo è, spiega. Torna a Whitaker all’inizio del XX secolo: aveva notato un canale tra il bacino e il mare e pensava che fosse stato scavato per consentire alle barche di navigare. Ha quindi ipotizzato che la struttura fosse un porto artificiale per scopi militari, simile al kothon di Cartagine. Nel 1971, Benedikt Isserlin dell’Università di Leeds, scrivendo anche sulla rivista Antiquity, descrisse lo scavo di un bacino di carenaggio a Motya, ma come sottolinea Nigro, quella struttura non coinvolgeva il bacino stesso. Perché non poteva essere un kothon? Per molte ragioni. Come ha fatto notare Nigro, in epoca fenicia il Mediterraneo era 80 centimetri più basso di oggi (cambiamento climatico in atto). Con un’area di 37 per 52,5 metri, la piscina è sul lato piccolo per un porto; Il kothon cartaginese, in confronto, era immenso, con un’area esterna destinata ai mercanti e un’area interna per le imbarcazioni militari. Anche alcuni altri porti fenici, come Mahdia e Kition, avevano kothon. Ma in difesa di Whitaker, per quanto riguarda le piscine sacre, questo era grosso. (Più tardi, i romani usarono il kothos di Mozia per allevare pesci; e secoli dopo, dal XVI al XVIII secolo d.C., la piscina fungeva da salina.) L’interpretazione che si trattasse di una vasca sacra è corroborata dal fatto che i luoghi di culto dei Fenici in tutto il loro regno erano caratterizzati da sorgenti d’acqua naturali o artificiali per abluzioni e scopi rituali. “I santuari [fenici] costruiti nelle vicinanze indicano che alcune sorgenti furono monumentalizzate e venerate“, scrisse Elvira Groenewoud nel 2001 . E allora, la sacra piscina di Mozia era alimentata non da una, ma da almeno tre sorgenti sotterranee originate da una falda acquifera sotterranea, ha dimostrato Nigro. Queste sorgenti d’acqua dolce sono state scoperte dopo che il kothos era stato drenato per scopi di scavo. Fu allora che fu dimostrato che in nessun momento del periodo fenicio il kothos era stato collegato al mare, spiega Nigro. Quindi un porto artificiale, sicuramente non avrebbe potuto essere. Era anche poco profondo, essendo profondo da 80 centimetri a 1,5 metri, difficilmente il biglietto per manovrare le barche da guerra. Anche scomoda per la navigazione, ma adatta alla venerazione, proprio nel mezzo di questa sacra piscina d’acqua dolce c’era una statua di pietra di Baal che avrebbe raggiunto un’altezza di 2,4 metri, dice Nigro, anche se non c’è più – torneremo a questo punto. Il dio era su un podio alto 1,5 metri, suggerisce. In vista del nuovo documento, il team ha allestito una replica della statua di Baal nella piscina, che ha reso “tutto più chiaro” e ha anche scavato più “temenos”, il muro circolare che circonda il complesso religioso con i tre templi, l’archeologo dice. Salpando dal Libano tra le stelle I grandiosi templi furono scoperti durante i rinnovati scavi iniziati nel 2002. Uno era un grande tempio a Baal che operò dall’800 a.C. circa al 397 a.C. circa, ha dedotto Nigro, scrivendo in un documento precedente che la natura delle strutture mostra i segni distintivi delle radici dei Mozia Fenici nella loro patria di Canaan (Libano). Gli scavi dal 2009 al 2021 hanno svelato il muro “temenos” che aveva circondato il sacro recinto e un tempo era alto circa tre metri. Gli archeologi hanno anche rinvenuto un tempio dedicato alla dea Astarte e un edificio cultuale che Nigro ha soprannominato il “Santuario delle Acque Sante” per le sue strutture idrauliche e cultuali: il santuario comprende tra l’altro un santuario e un’area per i sacrifici animali. Ma soprattutto, crede che la piscina al centro del complesso possa essere servita anche da superficie per osservare e mappare le stelle. La superficie dell’acqua avrebbe rispecchiato il cielo, come fa l’acqua – nientemeno che Leonardo da Vinci ha sottolineato gli attributi dell’acqua stagnante inerte durante lo studio del cielo notturno. Per prima cosa, le stelle erano adorate dai Fenici, sia come dèi che come antenati defunti; e la posizione delle costellazioni era di vivo interesse per i marinai tra di loro ai fini della navigazione, sottolinea Nigro. Ha scoperto che le posizioni delle costellazioni nel cielo notturno in date significative, come solstizi ed equinozi, si rispecchiano negli allineamenti delle strutture principali del complesso. Le stele sono state “posizionate con cura all’interno del temenos per contrassegnare il sorgere, lo zenit o il tramonto delle stelle sull’orizzonte“, scrive. “Il Tempio di Ba’al, i suoi propilei (porta di accesso) e un certo numero di stele allineate sono tutti orientati verso il punto dell’orizzonte in cui sorge Orione subito dopo il tramonto al solstizio d’inverno“, specifica. Gli orientamenti si basano sulla ricostruzione archeoastronomica del cielo notturno quando fu costruito il tempio, intorno al 550 a.C., spiega Nigro in un documento separato. Il che ci riporta a Baal e alla statua scomparsa nel mezzo della sacra piscina. Se la statua è sparita (tutti tranne un piede scolpito su un blocco di pietra), perché pensare che fosse di Baal? Perché, spiega Nigro, gli archeologi hanno scoperto un’iscrizione con una dedica greca a “Belios” in una fossa votiva accanto all’angolo sud-est della vasca. Greco? Non scrittura fenicia? Sì, Mozia era una città multiculturale e questa iscrizione greca è di fondamentale importanza, spiega Nigro, aggiungendo: “È datata alla metà del VI secolo a.C., su basi paleografiche e anche grazie ai piccoli aryballos su cui è iscritta“. C’era ancora una statua, non di Baal, ma apparentemente di un dio con la testa di babbuino dalle orecchie di cane, il rappresentante del dio Thoth, che dà credito alla teoria astronomica della funzione della piscina, dice Nigro. I Fenici adoravano non solo Baal e Thoth, ma anche elementi cosmici. Baal, per esempio, era rappresentato dalla costellazione di Orione , dice Nigro, e a Mozia, il Tempio di Ba’al, le porte e diverse stele allineate sono orientate verso il punto dell’orizzonte dove sorge Orione subito dopo il tramonto in inverno, basato sulla ricostruzione archeoastronomica del cielo intorno al 550 a.C. Baal era anche adorato dai cananei e divenne lo spauracchio dei seguaci di Yahweh, sebbene i primi israeliti non fossero chiaramente i monoteisti irriducibili che gli ebrei moderni tendono ad assumere. Apparentemente adoravano il pantheon , incluso Baal. Ma Baal era particolarmente fastidioso, a quanto pare; il suo nome compare decine di volte nella Bibbia, mai in senso positivo; fino ad oggi Israele ha città intitolate al dio. Eppure prevalse, Baal no; le città dell’Israele biblico a lui intitolate sono scomparse, mentre le città che prendono il nome da altri dei, tra cui Shamash, il dio della luna Yarekh ed El, sono ovunque . Il punto di svolta potrebbe essere stato l’impulso riportato dalla regina Jezebel (figlia del re Ithobaal di Tiro!) di costringere Israele ad adorare Baal epurando i profeti di Yahweh, come descritto in I Re 18. Non ha funzionato. https://www.meteoweb.eu/2022/04/archeologia-sicilia-vasca-sacra-baal/1780984/?amp=1
  3. Ritrovati i resti della più antica cantina del mondo: quasi intatto il torchio di 2600 anni fa Scoperte nuove prove dell’esteso commercio di vino all’estero da parte degli antichi Fenici, con il ritrovamento in Libano del più antico torchio al mondo. Un rinvenimento che getta nuova luce sulla grande produzione di vino dei Fenici, i mercanti di mare che tra le altre cose hanno anche introdotto la cultura del bere vino in tutto l’antico Mediterraneo. Gli scavi a Tell el-Burak, a poco meno di 10 chilometri dalla città costiera libanese di Sidone, hanno fatto riemergere i resti ben conservati di un torchio utilizzato almeno dal VII secolo a.C. Gli archeologi sono convinti si tratti del primo torchio per vino mai trovato nelle terre fenicie, che corrisponde più o meno al Libano moderno. La scoperta è descritta in uno studio pubblicato sulla rivista Antiquity. Ritrovati anche un gran numero di semi che mostrano come l’uva veniva portata lì dai vigneti vicini e schiacciata calpestando i piedi in una grande vasca di gesso resistente che poteva contenere circa 1.200 litri di succo crudo. Il mosto risultante è stato raccolto in una grande vasca e conservato in caratteristiche anfore per la fermentazione, l’invecchiamento e il trasporto. Il vino era un importante oggetto commerciale fenicio – afferma Hélène Sader, archeologa dell’Università americana di Beirut (AUB) e co-direttrice del Progetto archeologico Tell el-Burak. Il vino fenicio della regione di Sidone era particolarmente famoso e menzionato nei testi dell’antico Egitto”. Ma finora poche prove della vinificazione fenicia erano state trovate nello stesso Libano, forse a causa della natura casuale degli scavi archeologici. La costa del Libano non è mai stata esaminata a fondo e pochissimi siti con resti dell’età del ferro [fenici] sono stati adeguatamente scavati”, dice infatti Sader. Alcuni siti di vinificazione simili, tuttavia, sono stati trovati sulla costa settentrionale di quello che oggi è Israele, che a quel tempo apparteneva ai regni fenici di Tiro e Sidone. I Fenici non inventarono il vino – ne sono state trovate prove di circa 8mila anni fa nel paese della Georgia – ma quel che è certo è che diffusero la vinificazione in tutto l’antico Mediterraneo, insieme all’olio d’oliva e ad innovazioni come i primi sistemi alfabetici e il vetro. https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/vino-fenici-libano/amp/
  4. Salve a tutti! Vi mostro una moneta che qualche tempo fa mi aveva colpito molto per la bellezza delle raffigurazioni e per il fascino storico che la accompagna. E' la moneta più antica in mio possesso! :) Le informazioni che posso aggiungere non sono molte, e spero non siano sbagliate. Non è il genere di monete che solitamente colleziono e non mi sento molto preparato sull’argomento. Qualsiasi correzione ed informazione aggiuntiva da parte di esperti è come sempre più che benvenuta! :) Questa moneta è 1/8 di Shekl, coniata a Byblos durante il regno di re Ainel. Argento, 0,91 grammi. Come datazione veniva riportata anteriore al 333 a.C. Grado di conservazione: VF (dal negozio di numismatica dove l'ho acquistata). Al dritto riporta una nave fenicia con la prua a forma di testa di leone a sinistra, occupata da 2 guerrieri con elmo e scudo, al di sotto della quale, nel mare, c’è un ippocampo ed un murex. Al rovescio un leone che azzanna un cervo. Purtroppo del tutto oscuri per me sono i caratteri alfabetici rappresentati ed il loro significato. I significati, i concetti che questa moneta voleva esprimere, dovevano essere di rispetto e di timore; la nave è da guerra e carica di soldati armati, protetta da animali mitologici e divinità del mare; il leone azzanna al collo la preda… Un segnale chiaro, insomma. Non tutti sono concordi sul fatto che la conchiglia rappresentata sia un murice. In questo caso sarebbe chiaro il collegamento col commercio della porpora (un’immagine indissolubile con questo popolo); ma dalla forma rappresentata e da un significato religioso e legato alla navigazione (che riporterò in seguito), è stata anche pensata un’altra interpretazione: la conchiglia potrebbe appartenere alla specie Charonia tritonis. Sulla mia moneta la conchiglia ormai è quasi del tutto scomparsa, riporto delle immagini più dettagliate di altre monete per un confronto... Charonia tritonis Murice comune ...e qui informazioni più dettagliate su questo argomento:
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