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Longhorsley hoard e il riutilizzo di bronzi


Illyricum65

Risposte migliori

Ciao,

 

di seguito riporto un resoconto di un articolo di R. Abdy (Worn sestertii in Roman Britain and the Longhorsley hoard) segnalatomi da @@grigioviola (che ringrazio per la dritta) riguardante un deposito monetale britannico e le considerazione emerse.

 

 Nella prima parte del 2002 a Longhorsley (Northumberland), 28 chilometri a nord del Vallo Adrianeo, venne ritrovato un hoard contenente 70 monete romane di bronzo ovvero sesterzi (61), dupondi e assi(9).

 

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Lo stato delle monete era molto consunto e la composizione parziale del deposito era la seguente:

 

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Vi era presente inoltre uno scarto di fusione (“casting sprue”) di forma conica e base di 2,5 x 2,4 cm di base: le analisi chimiche rivelarono un contenuto in zinco pari al 4%.

 

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Lo scarto di fusione in basso a destra, in primo piano.
Tratto da Lindsay Allason-Jones: “Artefact in Roman Britain: their purpose and use”.

 

Si tratta di un dato che esclude l'origine naturale della lega primaria e ne attribuisce la provenienza dalla fusione di una lega di zinco simile all’oricalco. Una simile evidenza si ebbe a Duston (Northamptonshire) assieme a stampi di fusione per nummi tetrarchici.

 

 

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La presenza del bronzo di Marco Aurelio ne fa supporre una data di interramento nel primo periodo antonino.

 

E’ noto che a partire dal 43 d.C. Claudio inviò in Britannia una quantità notevole di monete, in particolare assi (per evitare derive dal tema principale non entro nel tema della zecca di produzione) provenienti da oltre Manica e si esclude la produzione locale. Nel periodo 44-64 d.C. si ebbe un massiccio uso di copie irregolari a sopperire alla mancanza di circolante. Seguentemente la zecca di Lugdunum sopperì a tale carenza.

 

A cavallo tra il II e III secolo si assiste alla predominanza di sesterzi, probabilmente a seguito dell’inflazione e quindi alla riduzione del potere d’acquisto degli assi. Compaiono comunque gli assi “Britannia” di Antonino Pio e alcuni studiosi hanno proposto l’ipotesi che fossero prodotti in loco con conii inviati da Roma. Lo stile canonico della produzione avvalora l’uso di matrici prodotte a livello centrale. Ciò dovrebbe dimostrare una certa difficoltà da parte di Lugdunum a mantenere una produzione necessaria a coprire i fabbisogni britannici di assi e dupondi.

 

Nel periodo 197-260 d.C. i sesterzi (e le frazioni) prodotte a Roma sono molto scarsi. Nel Gare Hoard (chiuso nel 270d.C.) su 1.037 bronzi meno del 5% sono severiani o successivi. Il contesto è dominato da produzioni traianee, adrianee o antonine. Sembra che l’ipotesi di una riduzione della distribuzione alla Britannia rispecchi anche i dati di Germania e Paesi Bassi e contrasta con quelli italiani, dove la distribuzione è regolare fino al 260 ca.

 

Dopo la metà del III secolo la presenza di antoniniani radiati in Britannia diventa “epidemica”. I valori di copie (barbarous radiates) in taluni depositi è più del 30% e sono noti hoards composti esclusivamente da copie (31 hoards con 100% di copie e circa 200 con percentuali variabili di copie). Da dove proviene il metallo utilizzato per fabbricare queste copie? Una possibilità è che la materia prima provenisse da monete bronzee dismesse o consunte e rifuse. La presenza di zinco (proveniente dall’oricalco) nella lega è indicatore del riuso di sesterzi. In antico non era nota la tecnologia per produrre del zinco puro ma solo in combinazione con il rema. Ponting ha dimostrato nelle sue analisi sui materiali di Fenny Stratford presso Milton Keynes (sud est Inghilterra)che molte copie contengono zinco in quantità troppo elevata per attribuire al dato a cause naturali. A Colkirk, in Norfolk, sesterzi consunti frammentati sono stati rinvenuti commisti a radiati imitativi ed i loro tondelli preparatori.

 

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La presenza di valori minori di zinco nelle copie di  nummi potrebbe dimostrare che per la fabbricazione di queste monete si utilizzava una miscela di barbarous radiates e altre fonti. Come noto infatti la fusione della lega contenente zinco comportava una diminuzione di questo metallo che veniva dispersa sottoforma di vapore.

Richard Reece ha proposto che i numerosi hoards di radiati barbarici siano stati deposti dai proprietari in quanto demonetizzati e nell’attesa (vana) di un giorno in cui essi sarebbero tornati ad avere un valore (come “materia prima”, ndr). La scarsa diffusione di depositi contenenti sesterzi consunti andrebbe motivata con la necessità dei proprietari di rifondere prima possibile il deposito per produrre radiati barbarici. Viceversa la buona diffusione di nummi costantiniani avrebbe reso inutile una rapida produzione di obsoleti radiati barbarici; per tale motivo sarebbero stati tesaurizzati in attesa di un periodo più vantaggioso e, nel tempo, dimenticati nei loro nascondigli.

 

Torniamo al deposito monetale in oggetto. Durante il periodo di Marco Aurelio l’area di Longhorsley era ritirata sul Vallo Adrianeo. Il luogo di ritrovamento poteva esser tornata a far parte del barbaricum o sede di un insediamento che potremmo definire “semi-barbarico”. Potrebbe riflettere l’idea che i “barbari” non riconoscevano il valore fiduciario e semplicemente trasformavano le monete in oggetti più significativi della loro Cultura. Potevano in pratica avere un commercio e un utilizzo delle monete degradate come “materie prime”.

 

‘What makes this find unusual is that it dates from a period when there was no Roman fort close to Longhorsley, although there were a number of native settlement sites in the area’.

Lindsay Allason-Jones, Director of Archaeological Museums at Newcastle University.

 

Personalmente la reputo un’ipotesi molto credibile. Con una puntualizzazione: che il fenomeno non interessava solo le popolazioni “barbariche” nei pressi del Vallo di Adriano ma la diffusione del fenomeno “barbarous radiates” in tutta l’isola e la presenza del già sitato sito di FennyStratford (sud est Inghilterra) mi fa ritenere che fosse in uso in quasi tutte le popolazioni rurali di origine alloctona britannica, sicuramente meno “romanizzate” delle popolazioni delle città. Se così fosse, i “barbarous radiates” sarebbero quasi tutti emissioni fraudolente da parte delle popolazioni locali (per sopperire alla scarsità monetale). Ciò spiegherebbe perché in certi hoard la presenza di imitative risulti estremamente basso.

Il quadro risultando pertanto sarebbe:

  1. Hoards contraddistinti da una ampia percentuale di copie (raccolta selezionata di copie aventi perso il loro valore monetale per procedere alla successiva fusione e creazione di copie di nummi, mai avvenuta)
  2. Hoards contraddistinti da bassa percentuale di copie (raccolta selezionata di monete originali con qualche intromissione per tesaurizzazione in momenti socialmente instabili)
  3. Hoards misti (raccolta non selezionata del circolante per tesaurizzazione in momenti socialmente instabili e/o  successiva fusione e creazione di copie di moneta circolante nel momento, mai avvenuta)

L’avvento del regno di Carausio e l’instabilità del periodo senza avere chiara l’evoluzione del circolante avrebbe portato spesso alla dispersione del punto di seppellimento.

Il fenomeno di rifusione delle copie d’altra parte può esser stato in uso anche presso il(i) Governo(i) Centrale(i) quale che esso sia stato. In quest’ottica leggerei il ritrovamento gallico presso Autun

http://www.inrap.fr/archeologie-preventive/Actualites/Communiques-de-presse/p-12299-Decouvertes-numismatiques-a-Autun.htm

dove 100.000 esemplari di copie (=38 kg) attendevano probabilmente la “riconversione” in antoniniani ufficiali.

 

Ciao

Illyricum

;)

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