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I Romani davano il resto?


Rapax

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Il 10/10/2019 alle 19:51, Scipio dice:

Varrone parlava di libelle e simbelle d’argento e non ne è rimasta traccia ( comprensibile a vedere i pochi sesterzi argentei che sono giunti fino a noi).

Se intendevi questa http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-RC/26 qualcuna grazie a "Giunone" è sopravvissuta ? 

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Anche se non attinente alla numismatica queste pagine sono molto interessanti perché incentrate sull'evoluzione dalla villa rustica romana, dal modello arcaico votato all'autoconsumo, per poi arrivare alle ville catoniane e vetruviane. Il riferimento specifico è all' ager Tiburtinus e Sabinus, ma la tematica è ricca di spunti.

http://www.isvroma.it/public/villa/screen/mari.pdf

Si assiste ad una prima mutazione agli inizi del IV secolo:

Cita

La nuova situazione dovette comportare quindi un primo sensibile cambiamento di prospettiva economica nelle fattorie, non più sostanzialmente basate sull’autoconsumo, ma orientate anche alla vendita dei
prodotti. Il modello continua ad essere però quello della piccola e media proprietà a conduzione familiare, senza dichiarate velleità imprenditoriali, che si era affermato già in epoca anteriore

Assistiamo poi allo spopolamento delle campagne nel corso della guerra annibalica ed al successivo cambiamento :

Cita

Alla prima metà del II sec. a.C. è databile un consistente numero di ville sostruite, il cui impianto in tutta l’area collinare-montana appare essere un fenomeno del tutto nuovo, non è preceduto cioè da fasi proto-repubblicane; ciò è particolarmente evidente intorno ai monti Lucretili, dal versante sabino all’aniense (Fig. 11). Si tratta di ville di modeste dimensioni e dai caratteri standard che vanno sicuramente ritenute espressione di quel panorama agricolo delineato nel De agri cultura di Catone: ville a limitata manodopera schiavistica, basate su colture specializzate e selezionate, destinate alla vendita sul grande mercato di Roma e nei centri minori.

La fase successiva è quella della villa varroniana:

Cita

La maggiore versatilità della villa varroniana, rispetto al modello catoniano, è legata – com’è noto – a un più deciso affermarsi del sistema schiavistico mediante l’impiego di una familia rustica allargata e superspecializzata e, a una logica di profitto che prevede un controllo ferreo da parte del proprietario il quale però, a detta di Varrone, non risiede più sul posto, ma frequenta la villa solo periodicamente come luogo di villeggiatura.

La logica di profitto equivale a vendite su scala sempre maggiore, ad una totale vocazione verso gli introiti derivanti dal mercato, utilizzando però schiavi. 

Tutto questo collima col successo del sistema denariale, con la diffusione su larga e massiccia scala della moneta di Roma, ma c'è da chiedersi: che fine ha fatto "il contadino, già valoroso soldato"?  (Livio II.23.3-7)   Non stiamo parlando di qualche centinaio di individui, stiamo parlando di un bacino sociale dal quale Roma attinse per secoli al fine di espandere enormemente i propri domini.

Come sappiamo arrivò la migrazione verso la città di questi nuovi nullatenenti che crearono quella bomba sociale rappresentata dal proletariato urbano e che rappresentò terreno fertile per dar vita ad una sorta di nuovo livello del sistema clientelare. Non dimentichiamoci quindi della sportula. 

A vederla in quest'ottica una bassa circolazione di moneta enea non è così inspiegabile. 

 

 

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Proviamo a riassumere sommariamente il contesto sociale nel quale il nostro legionario viveva. Abbiamo la classe aristocratica, che non potendo contare in linea teorica sul commercio per trarre profitti, approfittò della situazione venutasi a creare nei precedenti decenni di scontri. Complici le ricchezze giunte dalle campagne espansionistiche, rappresentate anche dal grande numero di schiavi ora disponibili, prese vita un sistema agrario basato sul latifondo e sul profitto di quanto prodotto. Le ville, nelle mani degli aristocratici, divennero delle entità in grado di produrre svariate categorie di prodotti, anche non strettamente legati all’agricoltura. Quanto prodotto confluiva sul mercato, gestito principalmente da esponenti dell’ordine equestre, i soli che potevano contare sul necessario censo e che li differenziava dal resto della plebe. Questa è la Repubblica dell’aristocrazia e dei ceti più agiati, è la Repubblica del denario, ove un commercio in costante espansione richiedeva un idoneo volume di monetizzazione. Ma Roma non era solo questo. Parallelamente esistevano ceti inferiori, i cui esponenti dei livelli più  alti dipendevano da un dominus, così come un liberto dipendeva dal proprio patronus, via via fino a far giungere questi legami ai ceti più bassi della società. Anche ai livelli più alti di questi rapporti clientelari gli scambi tra le figure coinvolte riguardavano non solo denaro ma anche generi di altra natura, alimentari soprattutto. La sportula non era necessariamente una somma di denaro ma rappresentava infatti un rifornimento di vettovaglie. È facile immaginare che le elargizioni in un legame clienterale (obsequium) proprio dei ceti più bassi prevedesse non certo gruzzoli di monete ma beni ben più modesti. 

Questa era la Repubblica di Roma ed il nostro caro legionario forse non andava a comprare una pagnotta perché una volta rientrato nella società civile doveva necessariamente inserirsi in un idoneo sistema clientelare ed a seguito di tale inserimento con tutta probabilità il pane non andava a comprarlo come facciamo noi oggi, pagandolo in moneta. Ecco perché a mio parere è sbagliato pensare alla moneta di età repubblicana quale unico ed esclusivo mezzo economico. Il contesto sociale era profondamente diverso, il modo di concepire il sostentamento proprio e del proprio nucleo familiare era profondamente diverso, la moneta era un mezzo sicuramente fondamentale e diffuso, ma non tutto si comprava a suon di assi, anzi. 

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Sicuramente la sussistenza del proletariato urbano e rustico non dipendeva dal possesso di denaro. Ma tutta l’evoluzione del sistema delle villae descritto nell’interessante saggio condiviso da @Rapax è, fin dall’inizio, orientato alla produzione e quindi al commercio. Anche l’esistenza di mercati locali extraurbani depone per l’uso della moneta, sopratutto in zone omogenee dal punto di vista produttivo (se a Tibur tutti producono vino e olio con cosa dovrebbero scambiarli al mercato).

Se c’era commercio c’era moneta.

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Diciamo che è esistito il commercio anche senza moneta, ma restiamo nel periodo in esame, ove incremento dei commerci e livello di monetizzazione viaggiano tendenzialmente di pari passo. La questione però è un'altra, da quanto ho colto in numerosi post la concezione che si ha della moneta in ambito repubblicano è equiparata a quella moderna. Viene percepito un contesto sociale ed economico ove la moneta è il solo ed esclusivo mezzo, come lo è oggi. Questo è tendenzialmente errato. 

Era il numero di clientes il parametro per misurare influenza e prestigio dei detentori del potere. Siamo di fronte ad un sistema di potere che interessa trasversalmente praticamente ogni ceto e che si basa su dinamiche ove la moneta, a quei livelli più bassi ma numericamente più consistenti, può contare poco o nulla. La classe senatoria non compra al mercato per poi elargire ciò che acquista ai propri clientes, vende al mercato la sempre maggior eccedenza ed è in grado di autosostenere il proprio regime clientelare. È naturale che in questa fase aumentino i commerci ed aumenti il monetato utile a sostenerlo ma esiste anche "un'economia di potere" enormemente rilevante ove non circola moneta, se non nei soliti livelli chiusi, ma che permette il sostentamento di un elevatissimo numero di individui. Non abbandoniamoci agli estremismi, si tratta di individui che maneggiano anche moneta, chi più chi meno, ma che spesso e volentieri trova i mezzi di sostentamento attraverso dinamiche totalmente estranee al mondo ed alla mentalità moderna, ma che erano il fondamento stesso della società romana. Rifiutare il regime clientelare romano equivale ad avere una percezione errata di una realtà ben documentata, se al contrario lo si tiene in considerazione bisogna anche affiancare tali dinamiche alla "dimensione moneta", sicuramente fondamentale, ma non esclusiva. 

 

Modificato da Rapax
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49 minuti fa, Rapax dice:

Diciamo che è esistito il commercio anche senza moneta, ma restiamo nel periodo in esame, ove incremento dei commerci e livello di monetizzazione viaggiano tendenzialmente di pari passo. La questione però è un'altra, da quanto ho colto in numerosi post la concezione che si ha della moneta in ambito repubblicano è equiparata a quella moderna. Viene percepito un contesto sociale ed economico ove la moneta è il solo ed esclusivo mezzo, come lo è oggi. Questo è tendenzialmente errato. 

Era il numero di clientes il parametro per misurare influenza e prestigio dei detentori del potere. Siamo di fronte ad un sistema di potere che interessa trasversalmente praticamente ogni ceto e che si basa su dinamiche ove la moneta, a quei livelli più bassi ma numericamente più consistenti, può contare poco o nulla. La classe senatoria non compra al mercato per poi elargire ciò che acquista ai propri clientes, vende al mercato la sempre maggior eccedenza ed è in grado di autosostenere il proprio regime clientelare. È naturale che in questa fase aumentino i commerci ed aumenti il monetato utile a sostenerlo ma esiste anche "un'economia di potere" enormemente rilevante ove non circola moneta, se non nei soliti livelli chiusi, ma che permette il sostentamento di un elevatissimo numero di individui. Non abbandoniamoci agli estremismi, si tratta di individui che maneggiano anche moneta, chi più chi meno, ma che spesso e volentieri trova i mezzi di sostentamento attraverso dinamiche totalmente estranee al mondo ed alla mentalità moderna, ma che erano il fondamento stesso della società romana. Rifiutare il regime clientelare romano equivale ad avere una percezione errata di una realtà ben documentata, se al contrario lo si tiene in considerazione bisogna anche affiancare tali dinamiche alla "dimensione moneta", sicuramente fondamentale, ma non esclusiva. 

 

Ai clienteS si elargiva moneta, non prosciutti... non capisco cosa vuoi dire e quale sia l’economia di potere a cui fai riferimento.....mi risulta che le lamentazioni per la corruzione dilagante tra chi contava fossero già ben diffuse all’epoca....e certo non si corrompeva con i polli.... ma col metallo nobile, meglio se monetato. 

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Se partiamo dalla concezione che ai clientes si elargisse solo moneta sonante ci rinuncio. Potrebbe anche essere che facevano direttamente un bonifico o una ricarica postepay, a sto punto perché no?  

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Il 9/10/2019 alle 17:54, Tinia Numismatica dice:

Io questi buchi non li ricordo , anche perché le prime monete realizzate sono state appunto quelle in bronzo....solo in seguito, per necessità di commercio col mondo greco ( e anche per darsi un tono) fu realizzata la didracma in argento e i suoi sottomultipli in argento e bronzo..... 

Se è corretta la datazione del Crawford: 32 anni dall'emissione RRC 219/2 a quella 290/2; 36 anni dall'emissione 368/1 a quella 471/1

 

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Il 9/10/2019 alle 23:30, Tinia Numismatica dice:

Oneri militari pagati in eneo? E quando mai i legionari avrebbero accettato di essere pagati in Metallo vile?

Quando fu fatta la riforma del valore del denario, sappiamo che per i legionari la moneta in argento "continuò" per un certo periodo a valere X assi.

Dando per scontato che questa clausola fosse a favore dei militari e non contro di loro, significa che "dando dieci assi" potevano ottenere un denario, e non il contrario. Spendendo poi il denario, avrebbero ottenuto un "resto" per complessivi 16 assi. In verità, questa informazione mi ha sempre suscitato qualche perplessità, cercando di immaginare come venisse applicata. Non può essere presa alla lettera, perché significherebbe che un soldato poteva cambiare un denario con 16 assi, poi 10 di quegli assi con un altro denario e così via all'infinito.

Sono arrivato alla conclusione che possa significare una cosa sola: il salario era computato in assi ma corrisposto in denarii; fu, in altri termini, uno stratagemma per aumentare il salario del 60% nel momento stesso in cui si procedeva a una svalutazione della moneta argentea

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Il 10/10/2019 alle 10:26, Rapax dice:

Detta in soldoni, in un quadro complessivo la mia idea è che parrebbe esserci arrivata poca testimonianza di bronzo monetato rispetto alle effettive necessità di una potenza in costante espansione economica, demografica ed egemonica.

A questo riguardo, propongo di tenere in considerazione un altro fattore, scarsamente indagato. Durante la Repubblica, l'unica zecca ufficiale rimase Roma; man mano che il dominio dell'Urbs si espanse, le necessità di moneta furono sostenute in parte con l'emissione di moneta locale, a tutti gli effetti una monetazione provinciale (sebbene questa locuzione venga usata solo per il periodo post augusteo). 

Il fenomeno invero è già evidente in Italia, ma esplode con l'annessione della prima provincia, la Sicilia.

Ora, le emissioni provinciali repubblicane in argento sono poche, anche se esistono (una su tutte, i cistofori della provincia d'Asia); le emissioni provinciali repubblicane enee invece sono molto numerose, centinaia di tipi. Questo perché, immagino, non aveva senso trasportare il bronzo da Roma all'Iberia, all'Africa o all'Asia: l'elevato rapporto peso/valore di queste monete avrebbe fatto sì che il loro trasporto sarebbe risultato più oneroso che utile. Molto meglio, con sano pragmatismo romano, servirsi (anche) di monete  locali.

Per questa ragione, secondo me, all'espansione territoriale e demografica non trova diretto riscontro un'emissione di monete in bronzo

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8 ore fa, Rapax dice:

Se partiamo dalla concezione che ai clientes si elargisse solo moneta sonante ci rinuncio. Potrebbe anche essere che facevano direttamente un bonifico o una ricarica postepay, a sto punto perché no?  

E perché , avrebbero dovuto mettersi a fare le frumentationes?... 

È solo  una questione di praticità: hai una pletora di clientes  che questuano davanti al tuo portone, ognuno con le sue personali necessità, cosa fai, regali un pollo a ciascuno ? Mi pare più semplice elargirgli l’equivalente del pollo in moneta. Occupa poco spazio e ogni questuante la utilizza come meglio gli necessità. Non c’erano i banchi dei cambia/polli c’erano quelli dei cambiavalute. 
poi se a te affascina la visione arcadica e un po’ primitiva di un popolo in cui il baratto rappresenti uno dei sistemi economici diffusi , sei padronissimo  di continuare a mantenere la tua personale visione. Però tieni conto che la nascita stessa della moneta sta a indicare che le altre economie di scambio stavano strette ai nostri (e non nostri ) avi già da un  bel po prima che i romani si affacciassero al mondo. Quindi, dato che non erano stupidi ed erano pragmatici , non vedo perché non avrebbero dovuto fare loro , al più presto, un metodo di transazione che era ormai già ben affermato nel resto del mondo civilizzato conosciuto, allo stesso modo in cui  hanno fatto loro altri aspetti , funzionali e funzionamenti, delle civiltà con cui sono entrati in contatto.

Sicuramente se fosse esistito postepay o il bonifico ( che poi in parte esisteva) lo avrebbero adottato tranquillamente, visto che a loro interessava la praticità quotidiana e non potevano stare a perdere tempo con le concezioni romantiche. 

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19 minuti fa, L. Licinio Lucullo dice:

.

Sono arrivato alla conclusione che possa significare una cosa sola: il salario era computato in assi ma corrisposto in denarii; 

Non fosse altro per una questione di ingombro e di peso da trasportarsi dietro, perché i legionari i loro salari li volevano sul luogo , compreso e soprattutto , quando erano in giro a combattere. Meglio qualche barra d’argento che qualche carro di bronzo ,

senza entrare nel merito delle difficoltà che sarebbero Insite nello scambiare una moneta fiduciaria con qualsiasi bene in territori  non romanizzati , anziché una moneta a valore intrinseco. 
 

ovvio che del circolante eneo se ne sentisse molto poco il bisogno se non nei piccoli scambi popolani e di conseguenza anche l’emissione non fosse necessaria più di tanto, al contrario che nei territori Romanizzati  di confine come già illustrato da Lucullo sopra. 

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Nonne vides quanto celebretur sportula fumo?
centum convivae, sequitur sua quemque culina.

Questo è Giovenale (III, 249-250)... in quel periodo l'elargizione in moneta (i famosi 25 assi, o i 3 denari citati da Marziale) erano la prassi, ma non mancano casi in cui i clientes avevano a che fare con "elargizioni fumanti" e si portavano al seguito il necessario per non far freddare "il pollo".

 

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8 ore fa, Rapax dice:

Questo è Giovenale (III, 249-250)... in quel periodo l'elargizione in moneta (i famosi 25 assi, o i 3 denari citati da Marziale) erano la prassi, ma non mancano casi in cui i clientes avevano a che fare con "elargizioni fumanti" e si portavano al seguito il necessario per non far freddare "il pollo".

 

Sarà stata una eccezione, non certo la regola, ...difatti ,giustamente per la regola dello scoop, Giovenale ha posto l’accento su questa eccezione che  faceva “più notizia “ , piuttosto che sulla regola che non avrebbe ottenuto altrettanta attenzione .....lo scoop è l’inusuale, l’uomo che morde il cane...non viceversa che è la norma. 

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Questo passo di Giovenale è stato ed è al centro di numerosi approfondimenti. Esistono fondamentalmente due interpretazioni. Alla tradizionale associazione ad un’elargizione di cibo caldo da portar via se ne affianca un’altra che vede nella scena descritta una sorta di “picnic” (viene usato proprio questo termine). Giovenale inserisce l’aneddoto quando parla dei pericoli di Roma. Sappiamo che si tratta di satira, ma la satira ha origine da un qualcosa di concreto, tende ad amplificare e a dare sfumature grottesche ad un qualcosa che comunque esiste.

Cita

una falsificazione sulle abitudini nei rapporti sociali del tempo a questo punto farebbe diminuire ogni livello di credibilità sulla realtà contemporanea che la satira, come genere letterario, intende affrontare.

J. GÉRARD, Juvénal et la réalité contemporaine.

 

Ammettiamo pure che si tratti di un evento più unico che raro... al tempo stesso però  non dimentichiamo il periodo in cui Giovenale scriveva (arriviamo ad Adriano). 

In questi anni nessuno mette in dubbio che le elargizioni fossero di norma rappresentate da piccole somme di denaro... ma a quanto pare viene anche descritto “un qualcosa” le cui connotazioni dovevano esser facilmente riconoscibili dai lettori contemporanei all’autore. 

Purtroppo molte delle dinamiche del sistema clientelare risultano di ostica comprensione, i parziali inquadramenti si basano su indizi quali quel passo di Giovenale, che è costantemente menzionato insieme ad altri dello stesso autore e di Marziale. 

Ci tengo a precisare per l’ennesima volta che la mia visione del periodo medio e tardo repubblicano da alla moneta un ruolo di sicura preminenza, non sono un folle. Penso però che sia quantomeno lecito pensare a determinati contesti sociali nei quali la moneta si affiancava ad altri “metodi” utili al sostentamento di un buon numero di individui. Tale variabile potrebbe parzialmente spiegare, insieme alle altre possibili concause ottimamente emerse in questa discussione, la bassa incidenza della monetazione enea nel periodo in questione.

Non so se esistono stime più aggiornate, ma secondo il Carcopino nel periodo alto imperiale Roma contava su una popolazione di 1.200.000 abitanti dei quali meno del 10%  disponeva delle risorse utili ad un dignitoso ed autonomo sostentamento. Consideriamo i 500.000-600.000 abitanti del periodo tardo repubblicano, facciamo delle stime largamente ottimistiche ed immaginiamo un quadro sociale molto più equo di quello che era in realtà... parliamo comunque di decine di migliaia di individui che sostanzialmente sopravvivevano. La cosa ammirevole è che comunque avevano modo di sopravvivere e tale condizione in molti casi non veniva vissuta con disonore. Le forme di assistenzialismo sia pubblico che privato furono un qualcosa di sorprendente, la cultura tipicamente romana del diritto le regolamentò fin dal periodo arcaico (la tradizione rimanda a Romolo stesso). 

Modificato da Rapax
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Riprendo la discussione perché leggendo il libro di @acraf sugli Insorti Italici a pag. 9 parlando delle cause della rivolta nella storia del periodo antecedente il 91-87 aC riporta:

””[...] Il potere giudiziario era rimasto ancora nelle mani dei cavalieri e presumibilmente non mancarono interventi legislativi favorevoli a certi settori della plebe romana e dei commercianti, che certo non persero tempo esercitare pressioni. Uno di questi interventi fu la nota Lex Papiria, che stabiliva la riduzione semiunciale dell’asse romano e la ripresa della coniazione del sesterzio d’argento. Questa legge fu promulgata nel 93-92 dal tribuno della plebe Cneo Papirio Carbone, futuro console mariano dell’85-83 e 82. Diminuendo il piede dell’asse bronzeo e ripristinando le piccole monete d’argento lo Stato poteva da un lato aumentare considerevolmente la produzione di monete di bronzo, mantenendo la stessa quantità di rame, e dell’altro e mettere sottomultipli del denario, favorendo in ultima analisi chi aveva interesse a vedere facilitate le proprie transazioni commerciali nelle aree interne dello stato romano. [...]””

Sperando di fare cosa gradita ?

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