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LE CROCI “MISTERIOSE” 

L’eruzione del Vesuvio del 1660, di tipo stromboliano , durò dal 3 al 16 luglio dello stesso anno. L’eruzione ebbe come osservatori Francesco Perrotta, un medico di Piedimonte d’Alife che esercitava la professione a Torre del Greco, che non solo descrisse il fenomeno, ma più volte ascese il cratere, e il matematico gesuita padre Giovanni Battista Zupo che si trovava in quel periodo a Napoli.

A proposito dell’eruzione, Luigi Palmieri, direttore dell’Osservatorio Vesuviano nella seconda metà dell’Ottocento, riferisce: “In quest’incendio, che fu oltremodo strepitoso, per copia di fumo, di cenere (nera) e di pietre incandescenti spinte a considerevoli altezze, e per boati e muggiti che atterrivano gli abitanti dei circonvicini paesi, da obbligarli a fuggire (verso Napoli) per lo spavento, non pare che siasi avute lavi fluenti. Il fumo con la cenere e coi proiettili assunse la non insolita forma di pino, che si elevava a grandi altezze [4500 m, secondo autori come Alfano e Antonio Parascandola], e numerose folgori guizzavano in mezzo ai globi di densissimo fumo” (Figura 5). Ci furono danni, come i tetti sfondati dal peso della cenere e delle scorie accumulate ad Ottaviano, Palma Campania e Lauro. Alla fine dell’eruzione fu emessa cenere “bianca come la neve”, che padre Zupo interpretò come efflorescenze saline, ma che invece era costituita da frammenti di leucite. Proprio in questa ultima fase eruttiva accadde un fatto curioso: assieme alla cenere caddero dei piccoli detriti crociformi.

Fig.-05-Vesuvio-1660.jpeg?resize=1024%2C Figura 5 – Eruzione del Vesuvio del 1660 da una incisione di Antonio De Fer.

Ma cosa sono queste “croci”? Parascandola, citando un rarissimo lavoro di padre Giambattista (Giovanni Battista) Zupo del 1661, riporta: “Pochi giorni dopo l’eruzione del Vesuvio del 3 luglio 1660 ebbe luogo un fenomeno forse non verificatosi mai prima di tale epoca … fino al presente. Apparvero delle croci sulle vestamenta; e tale fenomeno generò non poca maraviglia  Comparvero doppo l’incendio del Vesuvio alcune Stelle, ovvero Croci sui pannilini, come sono maniche di camicia, in particolare delle donne, che le tengono più esposte all’aria, grembiali o faldiglie delle medesime, veli di testa delle monache, lenzuoli, massime nelle parti, che pendono fuori delle coltrici, collari de’ putti, tovaglie d’Altari, cotte di Chierici, camici, e simili  La loro forma … è varia; l’ordinaria è di una croce a due traverse che nell’intersezione s’ingrossano alquanto e poi nel fine s’aguzzano. Alcune sono sottili e perfette, altre grosse a guisa di macchie, alcune lunghe tre dita, altre mediocri, altre assai picciole; alcune in un lungo traverso ne congiungono due a guisa di caravacche, altre hanno tre sole braccia, altre un solo traverso …” (Figure 6, 7 e 8).

Fig.-06-da-Zupo.jpeg?resize=1170%2C812&s Figura 6 – Illustrazione a stampa delle croci dal testo di Padre Zupo del 1661.

La Figura 6 mostra i vari tipi di macchie crociformi apparse nel 1660; in alto è raffigurato il passaggio della cometa Hevelius su Napoli il 6 febbraio 1661 (mesi dopo l’eruzione). Pur spiegando che si trattava di un fenomeno naturale, Zupo insinuava nei lettori il dubbio che potesse trattarsi di un prodigio. Calà lo rappresentò come un fenomeno soprannaturale .

I detriti cruciformi caddero a Torre del Greco, a Lauro, ad Ottaviano, a Nocera e finanche a Catanzaro e a Lecce, trasportate dal vento.

Fig.-07-Croci1.jpg?resize=1024%2C617&ssl Figura 7 – “Croci” impresse su teli di lino stesi ad asciugare durante l’eruzione del 1660 (immagine inedita di Antonio Parascandola). Per gentile concessione di Pasquale Parascandola. Fig.-08-Croci2.jpg?resize=1024%2C626&ssl Figura 8 – Croci impresse su teli di lino stesi ad asciugare durante l’eruzione del 1660 (immagine inedita di Antonio Parascandola). Per gentile concessione di Pasquale Parascandola.

Antonio Parascandola spiega il fenomeno: “… le produzioni crociformi del 1600 … rappresentano con grande probabilità cristalli geminati di pirosseno allo stato ancora scheletrico, od anche, … molto sottili ed allungati” (Figura 9).

Fig.-09-Collage-Augite.jpg?resize=800%2C Figura 9 – Cristalli di augite del Vesuvio (1944). Da sinistra verso destra: Geminato a “croce” di 1 cm. Per gentile concessione di Luigi Maisto; geminato a “croce” di 1.5 cm; geminato a “tre bracci” di 1.5 cm; cristalli molto sottili, il più grande è lungo 2.5 cm. Collezione e fotografia di Massimo Russo.

La spiegazione del fenomeno delle apparizioni delle croci è tuttora un mistero. Alcuni autori come Athanasius Kircher lo attribuiscono alla temperatura e ai minerali salini emessi durante le eruzioni. Arcangelo Scacchi, nel 1887 ipotizza possa trattarsi di un minerale di aspetto aciculare, la breislakite (ora vonsenite), altri dei capelli di Pelee. Tutte queste ipotesi comunque non hanno sostegno scientifico.

L’ipotesi proposta da Parascandola nel 1947 è per certi versi la più plausibile. In pratica i cristalli di augite espulsi nel corso dell’evento esplosivo sarebbero avviluppati di acido solforico e/o di cloruro di ferro deliquescente (molisite – FeCl3). I cristalli, rimbalzando sulle vesti stesse, avrebbero lasciato una macchia brunastra impressa su di esse. Il che sembra plausibile, senza scomodare nefasti segnali divini come quelli riportati da  Padre Giovan Battista Alfano, sismologo e vulcanologo, nonché grande esperto di occultismo (Figura 10). Altra ipotesi potrebbe essere quelle di scorie avviluppate da acido solforico e sali deliquescenti che sulle vesti avrebbero rilasciato del liquido che poi si sarebbe propagato seguendo le trame del tessuto, ma questo non spiega il perché dell’unicità del fenomeno avvenuto esclusivamente nel 1660.

Fig.-11-Croci-e-Miracoli.jpg?resize=704% Figura 10 – Articolo del Roma della domenica, con l’opinione del Padre Giovan Battista Alfano sulle misteriose croci. Collezione Massimo Russo.

In conclusione si trattò di un fenomeno prettamente naturale, anche se non è chiaro il motivo per cui nel 1660 si formò tanta mole di cristalli di augite geminati a croce. Si può affermare che un simile habitus non è affatto comune nell’eruzione del 1944 dopo averne osservato circa un migliaio di cristalli (Figura 11). Questo habitus è invece relativamente frequente allo Stromboli (Eolie) e ai Monti Rossi (Etna).

Fig.-10-Cassetta-di-augiti.jpeg?resize=1

Figura 11 – Collezione di cristalli isolati di augite dell’eruzione del Vesuvio del 1944. Ex Antonio Parascandola, ora collezione Massimo Russo.

Fotografia di Massimo Russo

 

Seconda parte di un articolo del 27 Maggio 2021 dell I.N.G.V.  (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) .

L' articolo completo in https://ingvvulcani.com/2021/05/27/augite-del-vesuvio-e-le-misteriose-croci-apparse-nel-1660/

 

 

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