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Emozionanti scoperte. Lavori lungo l’autostrada. Trovano tombe medievali con spade e perle, cavalli abbattuti per accompagnare il padrone, gioielli, lamine d’oro e spettacolari pire che mostravano al popolo le “anime elette” salire al cielo

Sulle colline erbose la luce nordica scolpisce il paesaggio con sfumature di ferro e di miele. E’ in questa atmosfera dorata che la costruzione di un tratto autostradale ha dischiuso un varco inatteso, nel tempo, in un percorso che ha toccato fattorie e tombe vichinghe.

Lungo la moderna E18, in Svezia, un’équipe di archeologi ha infatti portato alla luce un mondo sepolto da più di mille anni: tombe vichinghe, armi forgiate per la guerra e per l’onore, cavalli cremati accanto ai loro padroni, gioielli, perle e staffe d’argento per la bardatura delle cavalcature che dovevano risuonare argentine, nel ritmo cadenzato assunto dal cavallo stesso.

a-svezia-spada-verticale-nella-tomba.web  Una spada trovata nel livello superiore della tomba @ Foto: Arkeologerna, SHM

Il progetto, condotto dai Musei Storici Statali sotto la direzione di Fredrik Larsson, ha portato alla pubblicazione di un volume monumentale, uscito in queste ore, intitolato People, Meetings and Memories – Archaeology along the E18 in Västmanland.

I ritrovamenti si snodano lungo una serie di siti – Rallsta, Viby/Norrtuna e Sylta – che, insieme, compongono un quadro assai dettagliato della transizione tra l’epoca di Vendel – una civiltà della Scandinavia settentrionale che si sviluppò tra il 550 e l’800 d.C. circa, prima dell’epoca vichinga e che è nota per le sue élite guerriere, le tombe ricche di armi e ornamenti, le barche funerarie e i tumuli monumentali – e l’età vichinga. Nel primo di questi luoghi, Rallsta, su un piccolo rilievo visibile da lontano, gli archeologi hanno individuato due grandi pire funerarie: qui i defunti venivano bruciati in un rito solenne, nel quale il fuoco diventava mezzo di purificazione e di ascesa. Le ceneri, raccolte con cura, erano poi deposte in urne o tumuli, accanto a armi, cavalli, cani e perfino rapaci addestrati alla caccia. Si trattava di funerali d’élite, spettacolari e pubblici, pensati per ribadire il prestigio del clan anche oltre la morte.

a-svezia-spada-orizzontale.webp Dopo essere rimasta per più di mille anni nel suolo del Västmanland, una delle spade viene recuperata dagli archeologi svedesi @ Foto: Arkeologerna, SHM
 

Più a ovest, nella zona di Viby/Norrtuna, le scoperte hanno svelato la continuità di una memoria arcaica. Qui, le tombe vichinghe si innestano su tumuli più antichi, eretti secoli prima, forse per capi della precedente cultura di Vendel. Le nuove sepolture contenevano spade sontuose e insegne di rango, segno che si trattava di un gruppo armato o di una dinastia locale. In una tomba, uomo e donna giacciono insieme, ma il loro legame resta misterioso: compagni, consanguinei o forse – come suggerisce Larsson – una coppia in cui uno dei due fu sacrificato per accompagnare l’altro nell’aldilà. Un gesto di fedeltà assoluta, al limite della crudeltà rituale, che richiama i resoconti di Ibn Fadlan sui funerali dei Rus’ lungo il Volga, nei quali una concubina veniva immolata per seguire il padrone nel regno dei morti.

Il terzo grande sito, Sylta, ha restituito un cimitero vichingo databile tra il IX e il XIII secolo, un arco temporale che abbraccia anche la lenta penetrazione del cristianesimo in Svezia. Qui, quando ormai molte famiglie seppellivano i propri cari nei pressi delle chiese, alcuni continuarono a mantenere la tradizione pagana del tumulo accanto alla fattoria. In circa trenta sepolture dell’XI secolo gli archeologi hanno trovato resti di cavalli cremati insieme ai loro proprietari, segno di un legame indissolubile tra uomo e animale.

a-svezia-cavallo-1.webp Dallo scavo inizia ad emerge parte dell’equipaggiamento del cavallo nella tomba di Sylta @ Foto: Arkeologerna, SHM

Non si trattava soltanto di compagni di battaglia: il cavallo era l’alter ego dell’eroe, la sua proiezione vitale e simbolica, un tramite con l’aldilà. Gli equipaggiamenti rinvenuti – redini ornate, campanelli, pendenti di bronzo e d’argento – suggeriscono un gusto estetico raffinato e un forte senso d’identità. Larsson ipotizza che ogni comunità avesse il proprio stile di bardatura, un costume visivo che permetteva di riconoscere a distanza l’appartenenza sociale o il lignaggio del defunto.

a-svezia-morso-cavallo.webp Morso del cavallo portato alla luce dagli archeologi a Sylta @ Foto: Arkeologerna, SHM a-svezia-oro.webp Lamina d’oro trovata in una tomba a Häljeby. con motivo a nido d’ape, incastonata in un’opera con granati intarsiati. La lamina era posta sotto i granati e conferiva alle pietre una lucentezza straordinaria  Foto: Arkeologerna, SHM
 

Il gesto di seppellire o cremare i cavalli insieme al padrone non è un tratto esclusivo dei Vichinghi, ma appartiene a un più vasto orizzonte rituale indoeuropeo. I Celti, ad esempio, praticavano lo stesso rito: in molte necropoli della Gallia e della Britannia si sono trovati resti equini accanto alle spade e ai carri da guerra, simboli del viaggio ultraterreno. In Italia, nel santuario celtico di Gornate Superiore e nelle tombe del Piemonte preromano, il cavallo accompagna spesso l’uomo di rango, immolato perché il defunto potesse continuare a cavalcare nel regno delle ombre. Anche i popoli sciti e sarmati delle steppe eurasiatiche praticavano sepolture multiple con cavalli interi, ornati di briglie e maschere di bronzo. Tutti questi riti esprimono una medesima concezione del destino: la morte come viaggio, in cui il guerriero non parte mai da solo, ma assistito dagli animali, dagli armi e dagli oggetti che hanno definito la sua vita terrena.

a-svezia-perline.webp Parure di perline trovata nella tomba di Rallsta @ Foto: Arkeologerna, SHM

 

Chi erano, dunque, questi Vichinghi del Västmanland, capaci di unire la brutalità del ferro al fasto dei simboli? Erano contadini, mercanti, guerrieri, navigatori, artigiani del metallo. Vivevano in fattorie autosufficienti, coltivavano la terra, forgiavano il ferro, allevavano animali, ma la loro economia si nutriva anche dei proventi del commercio e delle incursioni. Nel IX e X secolo le rotte scandinave si allungarono fino a Costantinopoli e Baghdad, e la ricchezza accumulata dai capi si rifletteva nelle loro tombe, dove le spade damascate e i gioielli d’importazione diventavano status symbol di un’aristocrazia in formazione. La società vichinga era fortemente stratificata, ma fondata su vincoli di lealtà personale e sull’ideale del coraggio. Morire in battaglia era il modo più nobile di guadagnare il Valhalla, mentre la pira funeraria e il cavallo sacrificato rappresentavano l’ultimo atto di gloria.

I ritrovamenti lungo la E18 – compiuti dagli specialisti di Arkeologerna – hanno restituito un’immagine pulsante e complessa del mondo nordico soprattutto precristiano, mostrando la straordinaria ricchezza spirituale di una cultura che non separava mai la vita dalla morte, il lavoro quotidiano dal mito. E hanno permesso di comprendere, come nota Fredrik Larsson, “come la società e il paesaggio siano cambiati nel corso delle generazioni”: un passaggio che non è soltanto geografico, ma interiore, il transito da un tempo di clan e di fuoco – tellurico e per certi aspetti apocalittico, contro le verdi pianure e i morbidi dossi – a un tempo di nuova fede, che non ha cancellato, comunque, la memoria degli antenati.

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I reperti sono stati consegnati ai musei di Västmanland e Köping.

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