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  1. Ho pensato di aprire una piccola serie di discussioni, con la stessa tematica, focalizzate su quattro Re di Spagna (Carlo V, Filippo ll, Filippo lll e Filippo lV) del periodo Vicereale che hanno fortemente caratterizzato questa importante fase storica. Ho scelto di separare le discussioni allo scopo di facilitare eventuali future ricerche da parte degli utenti interessati. Sempre dall’ultima asta Artemide altra rarità che ha realizzato una discreta cifra; secondo voi si può davvero considerare “inedita”? https://www.deamoneta.com/auctions/view/790/626 Grano inedito Lotto n. 626Napoli. Filippo IV di Spagna (1621-1665). Grano 1636. D/ Busto radiato a sinistra; davanti D; dietro, G A / C (Giovanni Andrea Cavo (?)). R/ Scudo partito coronato. Cf. P/R 64/72; Cf. MIR (Napoli) 260/261. AE. 10.21 g. 33.00 mm. RRR. Questa moneta ci risulta inedita per accoppiamento di data, sigle e tipologia dello scudo. Di buona conservazione per il tipo di moneta. Bel BB. Base d'asta: € 300 Osservato da: 4 Offerte asta: 11. Venduto: € 700
  2. Buonasera. Passato, in asta ebay questa notte, un Tornese, " ribattutto " su un Grano, (sempre di Filippo IV), di estrema rarità ed importanza. Sicuramente utenti più preparati del sottoscritto sapranno descriverne le caratteristiche, e la storia. Congratulazioni al proprietario.
  3. Nuovo di questa monetazione mi piacerebbe sapere l'opinione dai più esperti di questo 4 Tarì Filippo IV per Messina 1664? si vede solo la stanghetta incrociata bassa del 4 finale.... Peso g.10,48 Diametro mm.28 irregolare Grazie F.
  4. Stavolta ho difficoltà ad identificare la moneta originaria ma credo che col vostro aiuto sia possibile. Mi sembra di intravedere il sottostante segno di zecca di Segovia Peso: 25,55 g Vi ringrazio.
  5. Salve a tutti. Oggi vorrei proporre alla vostra attenzione due particolarissime monete coniate a Napoli durante il regno di Filippo IV d’Asburgo (1621-1665). Sono due tipologie accomunate, rispetto agli altri esemplari che comunque vanno sotto la dicitura di “prova” di scudo (sulla cui dicitura avremo modo di soffermarci a breve), da un rovescio molto più eloquente, figurato e dal significato decisamente più coinvolgente. Di seguito le descrizioni datene nel CNI XX, con le relative immagini tratte dalla tavola XIII: La prima (n° 759): La seconda (n° 760): Alcuni errori di stampa dovrebbero forse essere corretti nella descrizione del primo esemplare: innanzitutto il peso. In BOVI 1965 viene riportato un peso più verosimile di 18,36 g., mentre errata risulta la legenda di dritto riportata dallo studioso napoletano (…GRATIA … invece del corretto …GRA…). In secondo luogo, occorre precisare che alcune fonti (cfr. DELL’ERBA 1940), preferiscano leggere l’ultima parola della legenda di rovescio come BELLVM anziché FALLVM. Questa lettura sembra più consona al contesto generale dell’epigrafe monetaria e forse sarebbe da preferire, anche in mancanza di un chiaro riscontro fotografico (le immagini del CNI XX qui reperite non hanno saputo dirimere la questione). Fin dalle fonti più antiche (mi riferisco in particolare a FIORELLI 1871, dove troviamo descritta la seconda moneta a p. 114, n° 8077), questi strani tondelli venivano presentati come “pruove di cianfrone”, forse in virtù delle loro caratteristiche e del peso. I vari studiosi hanno poi mantenuto questa definizione, tant’è che ancora oggi esemplari simili vengono descritti come prova in rame di scudo. Notiamo, però, subito una caratteristica importante: che si tratti di ducati (come vorrebbe il DELL’ERBA 1940, o anche mezzi ducati, riprendendo FIORELLI 1871) in argento o di scudi d’oro, sotto il regno di Filippo IV nella zecca partenopea, per questi nominali, hanno sempre usato apporre sia la sigla del Maestro di Zecca che di quello di Prova, mentre su tutte le cosiddette prove in rame (comprese le presenti), troviamo la sola sigla del Maestro di Zecca: OC per Orazio Celentano, attivo tra il gennaio del 1635 ed il 5 ottobre 1636. Per le monete in rame, invece, poteva capitare più spesso che la sigla del Maestro di Prova venisse omessa e che l’intero spazio nel campo fosse dedicato solo a quella del Maestro di Zecca. Una situazione del genere, invece, sarebbe stata molto più rara per quanto riguarda un’eventuale emissione in oro o argento. Tale considerazione mi porta a dubitare che le monete di cui stiamo parlando siano effettivamente delle prove per degli scudi o per dei mezzi ducati. Inoltre, se osserviamo i dati ponderali a nostra disposizione, notiamo subito che essi non combaciano né con lo scudo d’oro (3,38 g.), né con il ducato d’argento (29,64 g.), né tantomeno con il mezzo ducato (tra il 14,82 g. ed i 16,63 g.). I pesi di queste due monete, invece, sono molto più vicini a nominali enei che circolarono e non sono considerate come emissioni di prova: il nostro n° 1, con un peso di 18,36 g., è vicino al multiplo di grano del tipo PANNUTI-RICCIO 1984, p. 169, n° 49 (che ha un peso di 17,25 g.); la nostra n° 2, con un peso di 21,37 g. (per BOVI 1965 è invece 21,20 g.), è vicina al multiplo di grano con data 1627 del tipo PANNUTI-RICCIO 1984, p. 168, n° 48 (che ha un peso di 27,63 g.). Quindi la zecca di Napoli coniò prima del 1636 (data che appare su queste due monete e su altre cosiddette prove in rame) già alcune monete in rame di grande modulo e peso, tutte molto rare, per la circolazione regnicola. Prima del 1630 il grano in rame aveva avuto un peso ufficiale di 7,61 g., mentre a partire dal 1630, qual è anche il nostro caso, con una riforma il peso del grano fu aumentato fino a toccare i 10,692 g. Possibile che queste due monete siano dei multipli di grano invece che delle prove in rame? Potrebbe essere, se pensiamo che la seconda moneta pesa 21,37 g., ovvero esattamente come il doppio di un grano post 1630: 10,692 g. (il peso di un grano nel 1636) moltiplicato per 2 dà precisamente 21,384 g., cioè il peso di un doppio grano. Potremmo azzardare un ragionamento simile per il primo esemplare, che sarebbe forse un multiplo da un grano e mezzo. Tutte queste considerazioni portano a pensare che, anziché dinanzi a prove in rame, ci troviamo davanti a monete di rame vere e proprie approntate per la circolazione effettiva, rarissime al pari degli altri multipli di grano noti per questo regnante (si pensi ad esempio al già citato multiplo PANNUTI-RICCIO 1984, p. 168, n° 48, ad un altro multiplo descritto a p. 169, n° 49 e ai doppi grani POPVLORVM QVIES, tutti esemplari considerati R5 e di difficilissima reperibilità). Passiamo ora a considerare le legende e a contestualizzare storicamente queste monete. Le legende si possono così sciogliere: 1. D/ Filippo IV per grazia di Dio (Re); R/ Non si fa la guerra senza donazioni. 2. D/ Filippo IV per grazia di Dio (Re); R/ Fulmina i potenti nemici. Iconografia e legende sono dunque molto particolari ed evocative e saranno questi elementi al centro del nostro discorso. Entrambe le monete sembrano essere collegate da un unico filo conduttore: la guerra e i fondi necessari per supportarla. Quando questi due esemplari furono coniati nel 1636 la Spagna e le sue colonie stavano attraversando una fase molto complessa della cosiddetta Guerra dei Trent’anni (1618-1648): la fase francese (1635-1648), ovvero la parte finale del conflitto che sconvolse l’Europa centrale. Anche dopo la fine della Guerra, gli spagnoli e i francesi continuarono ad affrontarsi sui campi di battaglia fino al 1659. La rivalità della Spagna cattolica di Filippo IV con la Francia (ufficiosamente protestante) di Luigi XIII e del Cardinale Richelieu (che avevano dato inizio alle ostilità) iniziò a manifestarsi segretamente già nel 1631, quando Richelieu sovvenzionò economicamente i nemici protestanti della Spagna, offrendo alla Svezia ben 400.000 talleri l’anno per le attività belliche. La Francia, pur non entrando in collisione diretta con la Spagna, tesseva i suoi piani nell’ombra per danneggiare la potenza asburgica in Europa. Dal canto loro, i ministri di Filippo IV erano sempre più preoccupati per la crescente influenza che stava acquisendo la Francia nello scacchiere politico europeo. Quando il re svedese Gustavo II Adolfo morì in combattimento nella battaglia di Lützen, il 16 novembre 1632, la fazione protestante iniziò a collezionare diversi insuccessi contro le truppe imperiali tedesche. Tra il 5 e il 6 settembre del 1634, i protestanti furono definitivamente sbaragliati da un esercito congiunto di spagnoli e tedeschi nella battaglia di Nördlingen. La disfatta fu così disastrosa che i cattolici riuscirono a far firmare ai rivali una pace, molto vantaggiosa per la Spagna e gli Asburgo, a Praga il 30 maggio 1635. Richelieu vedeva in tal modo distrutti tutti i suoi sforzi per fiaccare la potenza spagnola e far emergere quella francese. Decise infine di passare all’azione in quello stesso anno 1635, spingendo il suo re, Luigi XIII, a dichiarare apertamente guerra a Filippo IV. Gli obiettivi militari della Francia erano due: i Paesi Bassi spagnoli, da diverso tempo in agitazione, e il Ducato di Milano che era saldamente in mano iberica. L’attacco francese fu così aggressivo da spazzare via per sempre dalla Storia la famosa potenza militare spagnola: il Principe di Condé, il 19 maggio 1643, schiaccio i tercios nella battaglia di Rocroi. Da allora, sebbene la guerra continuò fino al 1659 con alterne vicende e con la perdita di molti territori spagnoli nelle Fiandre, in Italia e al confine con la Francia, a tutto beneficio di quest’ultima, la Spagna non si riprese più dal duro colpo subito a Rocroi. Con il termine delle ostilità e la firma del trattato dei Pirenei tra le due nazioni, il 7 novembre 1659, la Francia si consacrò come grande potenza europea, mentre la Spagna diventava progressivamente solo un riflesso sbiadito di quello ch’era stata fino ad allora. Fu proprio in virtù degli accordi presi nel 1659 che l’anno seguente, il 9 giugno 1660, il re francese Luigi XIV sposerà Maria Teresa di Spagna, figlia di Filippo IV. Questa unione si rivelerà fondamentale allorquando, alla morte senza eredi diretti dell’ultimo sovrano asburgico di Spagna, Carlo II, nel 1700, la Francia avanzerà pretese sul trono iberico candidando Filippo di Borbone duca d’Angiò (futuro Filippo V) come pretendente, dando inizio alla celebre Guerra di Successione spagnola. Filippo V era infatti nipote diretto di Maria Teresa di Spagna, poiché suo padre, Luigi Gran Delfino, era figlio di quest’ultima e di Luigi XIV. Le due monete in esame furono realizzate a Napoli durante la prima fase della guerra franco-spagnola: il rovescio del primo esemplare mostra chiaramente l’invocazione ad uno sforzo economico, chiesto ai Napoletani, per la conduzione della guerra. Da sempre il Regno di Napoli era stato tra i possedimenti più fertili e felici della Spagna, la quale aveva sempre approfittato per trarne denaro utile a condurre i suoi affari e, soprattutto, i suoi conflitti. Se l’eloquente legenda non fosse stata abbastanza chiara, l’iconografia non lasciava adito a dubbi: l’Abbondanza che versa denaro sulle armi e sugli attributi regali del potere. Una specie di richiamo, da parte dei Napoletani, al proprio senso del dovere verso la Patria in difficoltà. Il secondo rovescio è ben più particolare, sebbene coniato nello stesso anno. Anche qui abbiamo una legenda molto esplicita che si riferisce alla distruzione dei nemici della Spagna. La simbologia della saetta la troviamo già su alcune monete imperiali romane e si riferisce a Giove, padre degli dèi, che attraverso il lancio del fulmine distrugge e punisce i suoi nemici, in particolare i Titani. Nel 1636, infatti, le truppe parmensi di Odoardo I Farnese (1622-1646), alleato di Richelieu, furono sbaragliate da quelle spagnole che, grazie all’appoggio di Francesco I d’Este, duca di Modena, occuparono Piacenza. Sconfitto, Odoardo fu convinto da papa Urbano VIII a firmare un trattato di pace con la Spagna nel 1637, grazie al quale riottenne il controllo di Piacenza. Secondo DELL’ERBA 1940, p. 57, la moneta con l’iconografia del fulmine farebbe riferimento proprio ai successi spagnoli nel Ducato di Parma contro il Farnese. Per saperne di più: AA. VV., Corpus Nummorum Italicorum, vol. XX, Roma 1943. Giovanni BOVI, Le monete napoletane di Filippo IV (1621-65) e di Enrico di Lorena (1648), in BCNN, L-LI (1965-1966), pp. 3-99. Antonio DELL’ERBA, Spiegazione ed interpretazione di leggende ed imprese sulle monete medioevali-moderne dell’Italia meridionale, in BCNN, XXI (1940), pp. 43-63. Giuseppe FIORELLI, Catalogo del Museo Nazionale di Napoli. Medagliere, 3. Monete del medio evo e moderne, Napoli 1871. Pietro MAGLIOCCA, Maestri di Zecca, di Prova ed Incisori della zecca napoletana dal 1278 al 1734, Formia 2013. Michele PANNUTI – Vincenzo RICCIO, Le monete di Napoli dalla caduta dell’Impero Romano alla chiusura della zecca, Lugano 1984.
  6. Buona sera a tutti voi, È da un po' che non posto nulla, ma continuo a seguire questa bellissima sezione. Stasera vorrei condividere la prima moneta Siciliana che entra in collezione, si tratta di un 4 tarì di Filippo IV del 1645. Non sono ancora "esperto" , quindi chiedo a chi ne sa qualcosa in più , un parere! Vi ringrazio, Filippo
  7. Salve a tutti. Quest'oggi vorrei chiedere i vostri pareri su questa simpatica moneta, che sicuramente in molti avrete visto alla scorsa InAsta. Mi ha incuriosito tantissimo, in primis per la presenza del MEAPOLIS al rovescio, ma anche perché al dritto l'anno è 122 (manca un 6) e, al rovescio, il 6 dell'anno è sostituito da una lettera che sembra la P di Meapolis. Come classificazione, dovrebbe essere la n°57 del Pannuti-Riccio, e dalla n°172 in poi (la variante non è censita né per il 122 al dritto né per il Meapolis al rovescio) del CNI. La moneta ha una forma oblunga, il diametro massimo è di 32 mm, quello minimo di 26 mm; il peso è di 6,8 gr. Sono graditi tutti i pareri. Grazie.
  8. Buonasera a tutti, che ne pensate di questa? Purtroppo non si legge l'anno, anche se nel cartellino della casa d'asta c'è scritto 1650. Attendo i vostri pareri, grazie.
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