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Tito Carisio fu uno dei triumviri monetali istituiti da Giulio Cesare (con Manio Cordo Rufo e Caio Considio Paeto). Questa moneta fa parte di una serie che si ritiene celebrativa dei trionfi di Cesare.

Al D/ è rappresentata Giunone Moneta, che aveva il suo tempio sul Campidoglio, con vicino la zecca.

Moneta (che i Romani facevano derivare da monere) viene da *man, in Latino me/on, “pensare” e “ricordare”, da cui mens, maneo (soffermarsi a pensare), monitus e monumentum. Secondo la tradizione, il tempio di Iuno Moneta fu dedicato da Furio Camillo nel 345. Deve il nome a un ammonimento a sacrificare una scrofa pregna a seguito di un terremoto; a guisa di ammonimento pubblico, peraltro, il tempio sorgeva sul sito della dimora di Marco Manlio Capitolino, che aveva osato ambire al titolo di re e per questo fu gettato dalla rupe Tarpea. Anni prima inoltre un altro avvertimento dato dalla dea, per tramite delle sue oche, aveva consentito allo stesso Marco Manlio di respingere un attacco dei Galli. Le fonti, tuttavia non sono concordi. Riferisce Nepoziano che "Quando Furio Camillo conquistò Veio ordinò che la statua di Giunone Moneta fosse trasportata a Roma", testimoniando quindi dell'esistenza dell'epiteto Moneta riferito a Giunone. Ovidio invece, nei Fasti, cita i Gradus Monetae, ossia gli scalini che dovevano portare all'Arx dal Tempio della Concordia. Questi scalini non sono stati del tutto identificati, ma è certo che Ovidio si riferisce ai gradini di Moneta, ossia a quei gradini che portavano al Tempio costruito in voto da Furio Camillo. Livio tende a utilizzare alternativamente sia Iuno Moneta che solo e semplicemente Moneta. In Cicerone, invece, Moneta è abbinata a Concordia, Fides e Honos: astrazioni che, pur avendo un culto, non sono vere divinità e che sui denarî repubblicani sono generalmente identificate (così come Moneta, nei denarî RRC 396/1 e RRC 464/2, ed a differenza delle divinità) da una legenda esplicativa. Peraltro Livio Andronico alla fine III secolo, nella prima traduzione latina dell'Odissea, tradusse Mnemosyne (Memoria) con Moneta e un Igino di incerta identificazione scrisse "Ex Ioue et Moneta, Musae" (le Muse, figlie nella mitologia greca di Zeus e Mnemosyne, sarebbero nate in quella latina da Giove e Moneta).

Moneta, quindi, doveva essere in origine una un'astrazione personificata a sè stante, Ammonizione; essendo capace di far ricordare la romanità fungeva da protettrice della monetazione, così come le Muse, sue figlie, proteggevano le arti. Nell'assimilazione della mitologia greca fu accostata a Mnemosyne, Memoria. Significativamente, nella serie monetale dedicata alle Muse (RRC 410), Bartolomeo Borghesi ha identificato il ritratto al D/ prima in Moneta o Mnemosyne (seguendo una tradizione precedente a lui), poi in un Apollo di "stile greco", con fattezze femminili. Rimane tuttavia validissima l'ipotesi di Moneta/Mnemosyne. Solo in seguito divenne una personificazione "venale" di equità e giustizia e fu quindi associata a Giunone (forse perché anche Giunone era un' "ammonitrice", o forse perché il tempio di Moneta fu eretto su un sito già consacrato a Giunone, Aedes Iunonis et Monetae).

Con l'impero (forse da Domiziano, in relazione al trasferimento della sede della zecca) si compie un'ulteriore evoluzione, un processo di distinzione tra Moneta e Giunone, per cui la prima diviene un'astrazione personificata nella monetazione imperiale, come Moneta Avgvsti, con gli attributi della bilancia e della cornucopia. Questa iconografia, evidente a partire da Vespasiano, rappresenta uno strumento di propaganda politica, che ricorda al cittadino romano come il princeps si impegni a ristabilire la purezza delle nobili monete. Significativamente tuttavia un collegamento tra Moneta e le Muse riaffiora in un denario di Commodo, ove compare una figura maschile con legenda APOL MONET (Apollo, protettore delle Muse, viene associato a Moneta, loro madre).

Modificato da L. Licinio Lucullo

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AL R/, l'Alteri ritiene che l'oggetto sopra l'incudine sia il "conio mobile superiore da sovrapporsi al conio d'incudine" ma la forma non corrisponde; potrebbe essere il copricapo del dio-fabbro Efesto/Vulcano. Secondo Crawford è un "anvil die with garlanded punch die above"; "a more likely identification than the Vulkanshut of Bahrfelldt, in view of the D/ die".

La raffigurazione sulle monete di questo periodo degli strumenti da lavoro va di pari passo, come normale che sia, colla storia dell'arte romana e la sua evoluzione. In questo periodo nell'arte romana avviene un importante cambiamento, non immediato, ma frutto di una lenta evoluzione. Si ha l'abbandono dei canoni ellenistici e neoclassici, che fino ad ora avevano vincolato lo'arte romana. Inizia a svilupparsi "l'arte plebea", che abbandona il gusto naturalistico e formale di quella ellenistica che prediligeva la forma al significato usando eleganti allegorie, adottando una forma di messaggio più immediato, ovvero prediligendo il significato alla forma. E' proprio in questo periodo che si iniziano a vedere i caratteristici monumenti funerari sui quali vengono raffigurati proprio gli strumenti del mestiere del defunto. L'arte romana di questo periodo sembra più "egoista" ed autocelebrativa

Modificato da L. Licinio Lucullo

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Questa tipologia è del massimo interesse. La moneta autoreferenziale, che parla di se stessa, che descrive gli strumenti con cui è stata coniata e dà una bella mano agli archeologi per comprendere le modalità di coniazione. Solo in età repubblicana sono state emesse monete così interessanti, non le solite raffigurazioni di divinità o personificazioni, ma veri lacerti di realtà, un'improvviso spiraglio del passato che si palesa all'uomo moderno e lo riempie di stupore.Un rovescio così è più preciso di una fotografia, più chiaro di un passo letterario, più informativo di uno scavo archeologico.

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