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Inviato

Dalle mie parti (Bari) con l’espressione dialettale la monge e la ponge, che ho scelto come titolo per questo post, si indica l’atteggiamento di chi, in una discussione o in una disputa, cercando di non scontentare nessuno, assume un atteggiamento non manifestamente schierato in un senso o nell'altro.

Potremmo dire che la monge e la ponge è l’equivalente del detto, di uso comune, un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ed è proprio l’atteggiamento assunto dalla Corte di Cassazione nella motivazione spesa in una recentissima sentenza di novembre 2021 (la n. 45983 del 12 novembre 2021) ad aver ispirato il titolo.

Si tratta di una sentenza a mio avviso importante e che meritava di essere qui segnalata (allego il file del testo completo, in ogni caso reperibile anche online).

Prima di proseguire, però, una avvertenza al lettore: il post è lungo e dalla sua lettura completa potrebbero derivare effetti collaterali quali noia mortale e simili.

La pronuncia in commento, pur muovendo dai consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di appartenenza allo Stato dei beni culturali (e, nello specifico, delle monete antiche), manifesta una maggiore sensibilità nei confronti del collezionista – questa volta espressamente preso in considerazione – sancendo alcuni principi di fondamentale importanza.

Il collezionista, in altri termini, sembra aver fatto breccia nel cuore della Corte.

Battute a parte, limitandomi a esaminare in questa sede i punti della decisione che ritengo più interessati e di più agevole digestione anche per chi in materia è a digiuno, il Collegio muove dal principio secondo cui i beni culturali “si presumono dello Stato a meno che il detentore non dimostri di averli acquisiti in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 364 del 1909, di averli ottenuti in premio per il loro ritrovamento o di averli ricevuti dallo Stato”.

Si tratta, come in più occasioni la giurisprudenza ha avuto modo di precisare, di ipotesi definite tassative (non vi sarebbero, cioè, altre ipotesi idonee a vincere la presunzione di appartenenza allo Stato).

Prosegue, poi, al punto 11., ribadendo che: “La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha in più occasioni sottolineato che "il possesso delle cose di interesse archeologico integra il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176, comma 1, e si presume illegittimo, a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. n. 364 del 1909" […]; conseguentemente, "anche nell'ipotesi di archiviazione del procedimento per il reato di impossessamento illecito, previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176, grava sul richiedente la restituzione dei predetti beni sottoposti a sequestro l'onere di dimostrare che il possesso del proprio dante causa si è verificato in epoca antecedente all'entrata in vigore della predetta L. n. 364”.

E sin qui nulla di nuovo rispetto a quello a cui la giurisprudenza ci ha già abituato.

Tuttavia, operando una (importante) inversione di rotta, la Corte si avvede – dandone espressamente atto – di come la rigida applicazione del suddetto principio al “collezionista” (figura alla quale lo stesso Collegio attribuisce pieno diritto di asilo, in considerazione del fatto che dal codice dei beni culturali si evince la pacifica ammissibilità della proprietà privata di beni archeologici al fianco di quella statale) finisca per caricare quest’ultimo di un onere probatorio il cui assolvimento risulta praticamente impossibile.  

A tal proposito, il passaggio cruciale della decisione in esame (che ha visto il coinvolgimento di importantissime e prestigiosissime case d’aste) è il seguente:

Chiarito ciò, i beni culturali - come già ricordato - si presumono dello Stato a meno che il detentore non dimostri di averli acquisiti in data anteriore all'entrata in vigore della L. n. 364 del 1909, di averli ottenuti in premio per il loro ritrovamento o di averli ricevuti dallo Stato.

Ebbene, nel caso di specie il D.F. risulta aver acquistato dette monete dal collezionista R. nell'anno 2013; proprio in virtù di ciò egli contesta l'appartenenza di detti beni al patrimonio indisponibile dello Stato, non essendovi in atti la prova che esse siano state acquisite dal R. in seguito all'entrata in vigore della L. n. 364 del 1909.

12.4. La doglianza difensiva, evidentemente, stride con l'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato che fa gravare sul soggetto che invoca la restituzione dei beni l'onere di dimostrare il legittimo possesso delle stesse da parte del proprio dante causa.

Occorre, tuttavia, fare chiarezza sull'applicabilità di tale orientamento anche al collezionista. Con riferimento, infatti, ai beni provenienti dalle collezioni numismatiche, non può non tenersi conto del fatto che il codice Urbani conferma implicitamente la possibilità che i beni di interesse culturale siano posseduti da soggetti privati, in particolare qualora il Ministero competente non abbia dichiarato di interesse culturale le cose, in quanto aventi caratteristiche di eccezionalità. In questi devono considerarsi incluse le collezioni numismatiche, delle quali risulta lecito il possesso se acquistate presso rivenditori commerciali od altri collezionisti, a meno che non vi sia la prova che gli oggetti commercializzati provengono da campagne di scavo anteriori all'entrata in vigore della L. 20 giugno 1909, n. 364, ovvero siano di provenienza delittuosa (furtiva, ad esempio).

Ed allora, il richiamo al principio giurisprudenziale citato ed assai rigoroso, confermato anche da altre pronunce […], sembra al Collegio invero non calzante. Risulta evidente che nessuno dei ‘soggetti imputati di tale delitto può, ratione aetatis, dare la prova di un acquisto anteriore al 1909; semmai egli può provare di avere ricevuto iure hereditatis tali beni, ovvero di averli acquistati da un collezionista. Ed appunto con riferimento al collezionista (qual è l'attuale ricorrente) che si pone il problema della "prova" da fornirsi, in quanto, ove si applicasse rigidamente, sempre ed indistintamente, l'orientamento giurisprudenziale rigoroso c.s. illustrato, risulterebbe difficile se non impossibile riuscire ad ottenere la restituzione del bene numismatico sottoposto a sequestro penale, poiché - salva la probatio diabolica che consenta di risalire agli "antenati" fino ad epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 364 del 1909 - tale bene è di proprietà dello Stato.

Ritiene, infatti, il Collegio che in tale impostazione vada del tutto perduta l'interpretazione della dizione letterale della fattispecie di cui all'art. 176 del Codice dei beni culturali, che incrimina non già la detenzione del bene culturale appartenente allo Stato, ma, per l'appunto, l'impossessamento, con ovvie conseguenze sotto il profilo del tempus commissi delicti (ma anche del luogo del commesso reato, ovviamente).

La detenzione è infatti un reato permanente, ma nel caso che ci occupa la detenzione è un effetto del reato, di natura istantanea, di impossessamento, il quale si perfeziona, e consuma, tutto e solo, nella condotta di apprensione della cosa. Con le ovvie conseguenze in tema di computo della prescrizione, quanto al processo penale, ma anche con le scarse possibilità di recupero del bene, che derivano dall'impostazione data sul punto dalla giurisprudenza consolidata.

12.5. Tornando ad esaminare l'impugnata ordinanza, si osserva, la motivazione fornita dal giudice dell'esecuzione si presenta carente posto che deduce l'appartenenza dei beni reclamati al patrimonio indisponibile dello Stato italiano dal dato, pacifico, che "l'istante non ha acquistato i beni confiscati in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. n. 364 del 1909, non li ha ricevuti dallo Stato, né li ha ottenuti in premio per il loro rinvenimento" (pag. 3 ordinanza del 12/12/19 cui la successiva ordinanza dell'1/10/2020 fa espresso rinvio), senza far cenno alcuno all'onere di prova gravante sul ricorrente in ordine al legittimo possesso di detti beni da parte del proprio dante causa, il R..

Non può ritenersi, proprio per le ragioni dianzi esposte al p. 12.4, che le doglianze difensive non siano idonee a compromettere la legittimità del provvedimento di confisca disposto dal G.I.P./Tribunale di Napoli e confermato dal giudice dell'esecuzione sol perché, per mezzo di esse, il ricorrente si limita a contestare "l'assenza di prova" dell'illegittimo possesso delle monete da parte del R.. Come anticipato, infatti, non può applicarsi in maniera pedissequa al collezionista il rigoroso orientamento giurisprudenziale richiamato secondo cui sarebbe proprio sul soggetto interessato alla restituzione dei beni che grava l'onere di dimostrare il lecito possesso degli stessi da parte del proprio dante causa, operando di base una presunzione di proprietà statale.

In altri termini, non può ritenersi, in questo caso, che il ricorrente fosse gravato dall'onere, non assolto, di provare il fatto fondamentale posto alla base della propria domanda, cioè il possesso del suo dante causa, anteriore alla L. n. 364 del 1909.

[…] Purtuttavia, osserva il Collegio, le stesse ragioni poste a fondamento della archiviazione del procedimento per l'asserita buona fede del D.F., avrebbero dovuto spingere il giudice dell'esecuzione a motivare in maniera adeguata circa la confiscabilità delle monete appartenenti al D.F., a lui pervenute dalla collezione R., individuando ulteriori elementi da cui fosse ricavabile l'ostatività della restituzione delle monete, legittimamente pervenute al ricorrente, come ad es., l'accertamento dell'emissione del provvedimento da parte dell'Autorità amministrativa competente ex art. 13 del Codice dei beni culturali, in tal modo qualificando il bene numismatico o la collezione quale appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato.

Tale carenza argomentativa sul punto rende, pertanto, ragione dell'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al giudice partenopeo per un nuovo esame.” (così la sentenza nella parte motivazionale; il sottolineato e il grassetto sono stati aggiunti da me per enfatizzare i passaggi chiave).

In buona sostanza, il Collegio sembra affermare – pur senza dirlo espressamente – che, nell’ipotesi di collezionista (ma ritengo il principio pacificamente estendibile anche ai commercianti e, più in generale, a chiunque acquisti in buona fede) che provi di aver acquistato le monete antiche in maniera lecita e trasparente (da altro collezionista o da commerciante), debba trovare applicazione il seguente modus operandi: (i) non è possibile pretendere che il collezionista offra anche la prova del fatto che il proprio dante causa (il venditore, per intenderci), abbia a sua volta acquistato (o acquisito) le monete in data antecedente al 1909 (andando a ritroso), trattandosi di prova “diabolica” (ossia dall’assolvimento impossibile); (ii) in questo caso è il Giudice della confisca a dover offrire la prova (o meglio, per usare l’espressione “timida” impiegata dalla Corte, “a dover individuare ulteriori elementi”) dell’ostatività alla restituzione delle monete al collezionista.   

Inutile dire che non vorrei mai trovarmi nei panni del “giudice partenopeo” al quale la Corte ha rinviato la decisione e che si troverà al cospetto di una bella gatta da pelare.

Non saprei dire se la sentenza rappresenti un passo avanti o un “sapiente recupero e restauro di vecchi orientamenti” (posto che in passato non erano mancate pronunce più favorevoli al collezionista rispetto a quelle che hanno preso piede negli ultimi anni), ma certamente offre notevoli spunti di riflessione che testimoniano, quantomeno, la tendenza della giurisprudenza a non sedersi supinamente su principi già espressi altrove e assunti al rango di dogma, forse – e qui scrivo in chiave romantica e ottimistica – nell’ambito di un più ampio percorso mentale che condurrà ad acquisire la consapevolezza del fatto che a volte la mano privata è capace di coccolare i beni culturali con un amore sicuramente più intenso di quello di cui è capace l’algida “mamma Stato”.

Saluti.

Cass. 45983 del 2021.pdf

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Inviato

Come ogni decisione della Suprema Corte è lunga e pesante da leggere. Ma la cosa "positiva" è che un pizzico di benevolenza nei confronti dei collezionisti l'hanno dimostrato. Certo che la legge n. 364 del 1909 per quel poco che ho capito, è uno schifo nei confronti degli bravi e onesti collezionisti. 

Speriamo in tempi migliori...


Supporter
Inviato

A me sembra fondamentale il duplice passaggio nel quale si richiede all'Autorità Giudiziaria di considerare il titolo (lecito) del possesso e al contempo si esclude (non è poco, in una sentenza della S.C.) la possibilità di chiedere la probatio diabolica ai fini della restituzione...

@allek spero che quando arriverà la pronuncia del giudice partenopeo vorrai condividerla, anche perchè creerà un notevole precedente, basandosi su questo rinvio..

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Inviato

Domanda da non giurista (oltre che collezionista principiante) ma la Corte di Giustizia europea è competente in questa materia? Se sì, qualcuno ne hai mai fatto ricorso?


Inviato
Il 17/3/2022 alle 15:39, Scipio dice:

A me sembra fondamentale il duplice passaggio nel quale si richiede all'Autorità Giudiziaria di considerare il titolo (lecito) del possesso e al contempo si esclude (non è poco, in una sentenza della S.C.) la possibilità di chiedere la probatio diabolica ai fini della restituzione...

@allek spero che quando arriverà la pronuncia del giudice partenopeo vorrai condividerla, anche perchè creerà un notevole precedente, basandosi su questo rinvio..

 

Concordo sull'importanza del passaggio evidenziato ma non posso non rilevare l'esistenza di un "problema" di fondo che, nella motivazione della Corte, resta irrisolto: da un lato, infatti, si insiste nel ribadire l'esistenza di sole tre ipotesi tassative in forza delle quali il possessore delle monete può vincere la presunzione di appartenenza delle stesse allo Stato; dall'altro lato, la Corte invita (finalmente) a un contemperamento di questo rigido principio nel caso del collezionista che possa provare di aver acquistato in maniera lecita e trasparente e, quindi, in buona fede (senza necessità di offrire a ritroso, sino al 1909, anche la prova del titolo che legittimava il possesso del suo dante causa). Si tratta, all'evidenza, di due principi che tra loro possono apparire in contraddizione: se le ipotesi di acquisto idonee a vincere la presunzione di appartenenza statale continuano ad essere definite tassative, come giustificare il contemperamento - giustissimo, a mio avviso - pure suggerito dalla Corte?

Il ragionamento, per quanto apprezzabile, a mio parere resta monco. Per questo non vorrei essere nei panni del Giudice al quale la palla è stata rimessa, posto che spetterà a lui risolvere questa (apparente) contraddizione. Secondo me la Corte ha perso una occasione importante per fare essa stessa chiarezza.

Spero di poter leggere anche io il provvedimento del Giudice dell'esecuzione e, ovviamente, se dovessi riuscire a reperirlo non mancherò di rendervi partecipi del suo contenuto.

22 ore fa, ExarKun dice:

Domanda da non giurista (oltre che collezionista principiante) ma la Corte di Giustizia europea è competente in questa materia? Se sì, qualcuno ne hai mai fatto ricorso?

 

La domanda è breve e concisa ma richiederebbe una risposta assai complessa.

In teoria (e sottolineo in teoria) il collezionista che si è visto prima sequestrare e poi confiscare le monete potrebbe adire la Corte di Giustizia Europea adducendo una violazione, da parte dello Stato Italiano, della diritto di proprietà (tutelato dalla Convenzione Europea e materia alla quale l'istante dovrebbe fare riferimento nel proprio ricorso). Nella pratica ritengo assai remoto che un simile ricorso possa avere esito favorevole al collezionista, posto che il diritto di proprietà è salvaguardato ma non in maniera incondizionata: basti pensare (solo per fare un esempio) che la stessa norma che tutela il diritto individuale di proprietà prosegue sancendo che le disposizioni ivi contenute "non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale". E non v'è dubbio che la tutela dei beni culturali risponda alla soddisfazione di un interesse generale, della collettività.

Non so se qualcuno ci abbia già provato. Per quanto mi riguarda è una strada che non percorrerei (ma questa è la mia opinione).

Saluti

 

 

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Supporter
Inviato
20 ore fa, allek dice:

la Corte invita (finalmente) a un contemperamento di questo rigido principio nel caso del collezionista che possa provare di aver acquistato in maniera lecita e trasparente

Vero, e non vorrei che il giudice si sentisse in dovere di definire (magari in senso restrittivo) la figura del “collezionista”. Infatti la Corte sembra limitare a tale figura l’esigenza di limitare l’irrazionale soggezione a confisca.


Inviato (modificato)

La sentenza citata da @allek (che ringrazio) si pone nel solco (come dicono quelli che parlano bene) della Cass.Sez. III n. 13980 del 12 aprile 2012 (CC 3 nov. 2011) dove si legge; "Anche la nozione di beni culturali di cui all'art. 10 del citato corpus normativo (cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico oltre i beni indicati al comma 2 del citato articolo, nonché i beni elencati al comma 3 per i quali sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'art. 13), evoca con certezza l'eventualità di una proprietà privata di tali beni qualora per i beni elencati al comma 3 (tra i quali, per quanto qui di interesse, sono comprese le collezioni numismatiche) che il Ministero non abbia dichiarato di interesse culturale, perché aventi caratteristiche di eccezionalità. Quindi non sono previste limitazioni assolute al possesso di beni culturali da parte dei privati. Se infatti è stata confermata la scelta effettuata dal legislatore del 1939, circa la presunzione di appartenenza allo Stato di alcuni beni - indicati all'art. 10 - ritrovati nel sottosuolo e nei fondali marini (art. 91), mediante la punizione dell'impossessamento o della ricettazione di tali beni, risulta certamente lecito il possesso di beni acquistati presso rivenditori commerciali od altri collezionisti, a meno che non vi sia la prova che i beni commercializzati provengono da uno scavo successivo a tale anno o siano di provenienza illecita.".

Per debito di verità devo precisare che la sentenza del 2012 era stata citata in questo forum dal buon Bizerba 

E' bene sottolineare che l'estensore della sentenza più risalente è il presidente del collegio della più recente,

Modificato da Polemarco
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Inviato
On 3/17/2022 at 8:14 PM, ExarKun said:

Domanda da non giurista (oltre che collezionista principiante) ma la Corte di Giustizia europea è competente in questa materia? Se sì, qualcuno ne hai mai fatto ricorso?

 

Da ignorante direi che  se vengono restituite le monete al seguito di una decisione della cassazione e il procedimento di sequestro e i gradi di giudizio sono durati in maniera eccessiva (cosa frequente in Italia) al termine di tutti i gradi di giudizio (e solo al termine) si può procedere con la corte europea per violazione dell'articolo 6 (equa durata dei gradi di giudizio) e ottenere un rimborso economico da parte dello stato del danno subito. 


Inviato (modificato)
Il 18/3/2022 alle 18:44, allek dice:

Il ragionamento, per quanto apprezzabile, a mio parere resta monco. Per questo non vorrei essere nei panni del Giudice al quale la palla è stata rimessa, posto che spetterà a lui risolvere questa (apparente) contraddizione. Secondo me la Corte ha perso una occasione importante per fare essa stessa chiarezza.

Resta monco non perché sia incompleta la motivazione addotta nella sentenza bensi perché e’ - come spesso rilevato - monca la legge introdotta da Urbani che non ha saputo/voluto chiarire alcuni ambiti ( come la famosa definizione di „cosa“  si intenda per moneta come bene archeologico ) scoprendo il fianco ad una molteplicità di atteggiamenti interpretativi che sfociano in sentenze anche a volte tra loro contraddittorie come abbiamo avuto occasione di leggere negki ultimi 20 anni.

 

c’e’ una ragione logica per cui il collezionismo in Italia ha potuto prosperare - post legem 1909 - con la costituzione e successiva vendita ( o donazione allo Stato) di favolose collezioni formatesi e cedute per tutto il secolo scorso - con cataloghi che costituiscono ancora oggi eccellenti riferimenti - c’è una ragione se tutto questo oggi non si ripete e il collezionista ( soprattutto di Classiche) deve sentirsi un perseguitato, e considerato da alcuni funzionari alla stregua di poco meno di un delinquente? 
 

in un recente intervento in un convegno promosso dal Senato il dr. Genovese, presidente della prima sezione della Corte di Cassazione ha commentato la sentenza di cui sopra, riportata da Allek, fornendo una chiara interpretazione delle motivazioni. 

Da’ un sollievo insperato sentir parlare - dopo lunga pezza in questo ambito - dei diritti del cittadino comune dopo che per tanto - troppo - tempo si e’ discusso esclusivamente dei diritti dello Stato.  Il recente orientamento fa sperare che un giorno anche il cittadino italiano collezionista possa ri-godere di quei diritti che poteva liberamente esercitare negli anni Dieci, Venti, … , Sessanta, Settanta etc del secolo scorso, formando, cedendo, donando collezioni numismatiche , alle quali poi - improvvisamente - non ha avuto piu’ diritto - ponendolo di fatto in una condizione di subalternita’ rispetto ai suoi colleghi europei cui sono toccati in sorte Paesi piu’ liberali e legislazioni piu‘ chiare e meno punitive  ( e qui ci sta un ricorso alla Corte di Giustizia Europea che non potrebbe non rilevare questa palese limitazione applicata al cittadino italiano rispetto alle liberta‘ godute dagli altri concittadini  europei). 

Modificato da numa numa
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Inviato
Il 20/3/2022 alle 12:49, Polemarco dice:

E' bene sottolineare che l'estensore della sentenza più risalente è il presidente del collegio della più recente,

Particolare importante che non avevo notato (pur conoscendo il precedente citato) e che fornisce ulteriore spiegazione all’inversione di rotta operata dalla Corte (su percorsi già battuti ma che sembravano tristemente accantonati).

Speriamo solo che non si tratti di un “incidente di percorso” e che la giurisprudenza dia seguito alla posizione assunta nel 2021 dalla Corte, magari addrizzando il tiro anche su alcune questioni che vengono ancora presentate come punti fermi (vedi, ad esempio, quella relativa alla tassatività dei modi di acquisto dei beni culturali da parte del privato).

@numa numa la legge sarà monca ma è quella che abbiamo e con cui dobbiamo necessariamente fare i conti.

Come ho più volte scritto, però, il Codice dei Beni Culturali, nella sua imperfezione (ma quale legge è perfetta?) contiene tutti gli elementi utili a fondare e avvalorare una impostazione decisamente meno statalista di quella sino a oggi prevalente.

E’ l’interprete a fare la differenza e pensare a una legge che non si presti a interpretazione è a mio avviso pura utopia.

Quanto alla Corte di Giustizia non mi creerei false aspettative.

Saluti

 

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Inviato
7 ore fa, allek dice:

E’ l’interprete a fare la differenza e pensare a una legge che non si presti a interpretazione è a mio avviso pura utopia.

E‘ proprio in questo solco che si deve leggere la recente interpretazione data dalla Suprema Corte 

detto cio‘ lo stesso Presidente della prima Sezione ribadiva la necessità di un regolamento interpretativo che chiarisse i dettati non definiti della legge Urbani e fornisse ambiti piu‘ chiari di interpretazione.

sarei piu‘ ottimista  riguardo il recente indirizzo meno statalista rispetto alle posizioni precedenti..? 


  • 3 settimane dopo...
Inviato
Il 18/3/2022 alle 18:44, allek dice:

La domanda è breve e concisa ma richiederebbe una risposta assai complessa.

In teoria (e sottolineo in teoria) il collezionista che si è visto prima sequestrare e poi confiscare le monete potrebbe adire la Corte di Giustizia Europea adducendo una violazione, da parte dello Stato Italiano, della diritto di proprietà (tutelato dalla Convenzione Europea e materia alla quale l'istante dovrebbe fare riferimento nel proprio ricorso). Nella pratica ritengo assai remoto che un simile ricorso possa avere esito favorevole al collezionista, posto che il diritto di proprietà è salvaguardato ma non in maniera incondizionata: basti pensare (solo per fare un esempio) che la stessa norma che tutela il diritto individuale di proprietà prosegue sancendo che le disposizioni ivi contenute "non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale". E non v'è dubbio che la tutela dei beni culturali risponda alla soddisfazione di un interesse generale, della collettività.

Non so se qualcuno ci abbia già provato. Per quanto mi riguarda è una strada che non percorrerei (ma questa è la mia opinione).

Saluti

 

 

 

Grazie per la risposta, comunque ciò che trovo totalmente assurdo nei casi riportati non è tanto la mancata tutela del diritto di proprietà che comprensibilmente ha i suoi limiti, ma l'inversione dell'onere della prova.

Da non giurista io ho sempre dato per scontato che spetti all'accusa dover dimostrare l'eventuale illecito o reato, qui invece non solo è il contrario, ma sembra che neppure il possesso di ricevute, fatture e certificati di lecita provenienza basti per scongiurare del tutto il rischio di sequestro o addirittura confisca. A quanto pare per essere certi che la moneta sia effettivamente, al 100% ,di lecita provenienza questa dovrebbe essere tracciabile sin al 1908, una richiesta che a me sembra totalmente irragionevole.

Per questo chiedevo se qualcuno si era mai rivolto alla Corte di giustizia UE e se questa è competente in materia...

 


Inviato
Il 10/4/2022 alle 16:47, ExarKun dice:

 

Da non giurista io ho sempre dato per scontato che spetti all'accusa dover dimostrare l'eventuale illecito o reato

 

 

Infatti è così. Il punto è che andare esenti da responsabilità penale non sempre equivale a evitare la confisca finale (in questo caso, delle monete).

Saluti


  • 2 settimane dopo...
Inviato
Il 11/4/2022 alle 22:40, allek dice:

Infatti è così. Il punto è che andare esenti da responsabilità penale non sempre equivale a evitare la confisca finale (in questo caso, delle monete).

Saluti

 

Sì lo so, ma mi riferivo anche alla sola confisca, un tempo davo per scontato che per confiscare qualcosa fosse necessario dimostrarne l'origine illecita. Qui invece è il contrario.


Inviato
1 ora fa, ExarKun dice:

Sì lo so, ma mi riferivo anche alla sola confisca, un tempo davo per scontato che per confiscare qualcosa fosse necessario dimostrarne l'origine illecita. Qui invece è il contrario.

 

Infatti questo e’ uno dei punti dibattuti dai vari giuristi ( avvocati, accademici ma anche magistrati) che si stanno chinando sulla questione 


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