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I Bollettini Illustrativi della Repubblica Italiana


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Veri e propri comunicati di origine ministeriale, costituiscono la fonte di notizie primaria legittimata a raccontarci il perché di quell'emissione, la finalità celebrativa, come i dettagli tecnici relativi alla produzione. Fecero la loro comparsa in occasione dell'emissione per il VII° Centenario della nascita di Marco Polo del 08/07/1954 e punto di forza di questi comunicati è il loro profilo culturale e commemorativo, oltre alle note tecniche. Interessante è la presenza dell'articolo che celebra l'emissione, redatto da personalità del mondo accademico, culturale, politico e sportivo e che offre, ponendo uno sguardo più attento da parte del lettore, uno spaccato del "pensiero" di quel periodo; noi collezionisti sappiamo molto bene di come un'emissione filatelica o numismatica sia capace di veicolare l'identità nazionale di uno Stato all'interno ed al di fuori dei propri confini.

In questa discussione posterò in rigoroso ordine cronologico gli articoli contenuti all'interno dei bollettini provenienti dalla mia raccolta, coprendo un arco temporale di circa 60 anni. Unico neo, non sono sono compresi quelli delle annate 1954 e 1955, per motivi puramente collezionistici. La frequenza delle pubblicazioni sarà tale da permettere a chi lo vorrà, di postare oggetti di natura postale inerenti alla pubblicazione effettuata, come ad esempio delle cartoline.

Il viaggio all'interno della filatelia italiana può avere inizio... buona lettura a tutti. :hi:

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26/01/1956

VII° Giochi Olimpici Invernali - Cortina d'Ampezzo 1956

( Catalogo Unificato: 793/796 )

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I Giochi Olimpici Invernali stanno al complesso dell'Olimpiade, antica e moderna, come l'Oceania sta agli altri continenti. Mi si perdoni questa innocente similitudine, di cui mi valgo per attribuire alle gare olimpiche della neve e del ghiaccio quell'aggettivo "nuovissimo" che è geograficamente attributo del continente australiano, nei rispetti del nuovo che assegnò all'Olimpiade Moderna o decoubertiniana e dell'antico, che è peculiare dei veri Giochi di Olympia.

I Giochi d'Inverno sono dunque gli ultimi venuti nel dilettoso mondo dello sport. Sulla fine del secolo scorso, quando le Olimpiadi rinacquero, grazie alla fervida attività del barone Pierre De Coubertin, gli sport della neve e del ghiaccio erano appena in fasce, tranne in quei Paesi di Scandinavia dove forse nacquero e dove furono considerati a lungo quasi alla stregua di un genere di monopolio. E' proprio in questa forma di gelosia che sono racchiuse le ragioni intime del ritardato avvento dei Giochi d'Inverno. Se difatti appare logico che nel 1896 non si potesse ancora pensare a gare di sport invernali, particolarmente ad Atene, se ancora può sembrare giustificata la loro mancata inclusione nel programma della II° e della III° Olimpiade, per le vicissitudini e il lungo travaglio elaborativo della loro organizzazione, desta in cambio legittimo e giustificato stupore la completa assenza dal programma dell'edizione del 1912 di Stoccolma, una delle tre capitali di questi sport, dopo che gare olimpiche di pattinaggio su ghiaccio avevano avuto luogo nell'edizione del 1908 a Londra, riportandovi il più schietto e più promettente dei successi.

L'ostilità dei nordici contro un ciclo olimpico invernale era motivata dall'esistenza dei Giochi Nordici e dall'importanza basilare che essi avevano raggiunto nel mondo degli sport invernali. L'Olimpiade Bianca avrebbe detronizzato ( e cosi è stato, in effetti ) i Giochi Nordici dal loro rango di più grande manifestazione mondiale, nel campo di questi sport. Di qui, il veto alla qualifica di Olimpiadi per i primi Giochi Invernali, che furono disputati nel 1924, sulle nevi francesi di Chamonix. Già in precedenza, peraltro, oltre le gare di pattinaggio dell'Olimpiade di Londra ( 1908 ) s'erano avute effettive gare olimpiche di pattinaggio e hockey su ghiaccio all'Olimpiade di Anversa del 1920.

Ma popoli come gli scandinavi, che già nutrivano una piena e schietta fede olimpica "estiva", non potevano restare a lungo sordi all'appello olimpico del mondo sportivo invernale; nel congresso del C.I.O., tenuto a Praga nel 1925, non solo i Giochi Invernali furono ufficialmente istituiti, ma venne altresì, con effetto retroattivo, riconosciuta la qualifica di Olimpiadi anche ai Giochi di Chamonix, disputati l'anno precedente.

Da allora, i Giochi invernali sono divenuti parte integrante dell'Olimpiade Moderna. In un primo tempo, venne riconosciuto al Paese organizzatore dei Giochi Estivi un diritto di opzione sull'organizzazione dei Giochi Invernali; ma nel secondo dopoguerra questo diritto è scomparso dalla regolamentazione del C.I.O.

La II° edizione dei Giochi Invernali ebbe luogo a Saint Moritz, in Svizzera, nel 1928. in quanto l'Olanda, organizzatrice dei Giochi Estivi di Amsterdam, rinunciò al diritto di opzione. Così non fu invece nel 1932 e nel 1936, poiché Stati Uniti e Germania, ospitanti dei Giochi Estivi ( Los Angeles 1932 e Berlino 1936 ) chiesero ed ottennero anche l'organizzazione dei Giochi Invernali, che ebbero così luogo a Lake Placid e a Garmisch-Partenkirchen ( III° e IV° edizione ).

La guerra cino-giapponese costrinse il Giappone a rinunciare all'organizzazione della V° edizione, assegnata a Sapporo, nella nordica Isola di Hokkaido, sempre in virtù del diritto di opzione ( l'Olimpiade del 1940 avrebbe dovuto svolgersi a Tokyo ). Il C.I.O. corse ai ripari, assegnando le prove estive a Helsinki e quelle invernali a Oslo; ma il successivo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mandò tutto in fumo. Terminato il conflitto, lo sport fu la prima attività umana che risorse trionfante nel mondo, contribuendo in misura predominante alla distensione internazionale. Londra ottenne l'organizzazione dell'Olimpiade del 1948, ma ( come Amsterdam vent'anni prima ) rinunciò ai Giochi Invernali, che furono assegnati per la seconda volta a Saint Moritz ( V° edizione ). Nel 1952 il programma organizzativo olimpico ritornò ai panorami non potuti apprezzare nel 1940: Helsinki ebbe i Giochi Estivi ed Oslo i Giochi Invernali ( VI° edizione ).

Finalmente, i VII° Giochi Olimpici Invernali sono stati assegnati alla città italiana di Cortina d'Ampezzo, dove saranno disputati dal 26 Gennaio al 5 Febbraio 1956, mentre l'VIII° edizione è stata recentemente aggiudicata alla località di Squaw Valley, U.S.A. I giochi Olimpici Invernali comprendono nel loro programma, gare dei seguenti 5 sport: sci, pattinaggio artistico, pattinaggio di velocità, bobsleigh e hockey su ghiaccio.

Per il regolare svolgimento della più grande manifestazione mondiale di sport invernali, il C.O.N.I. ha corredato Cortina di grandiosi impianti: lo Stadio del Ghiaccio, il nuovo Trampolino "Italia", lo Stadio della Neve, la pista per il pattinaggio sul lago di Misurina, mentre ulteriori perfezionamenti sono stati apportati alla già esistente pista di bobsleigh. Al momento attuale, Cortina d'Ampezzo è pertanto il più tecnicamente e modernamente attrezzato centro di sport invernali esistente nel mondo.

Articolo a firma di Giuseppe Sabelli Fioretti, giornalista sportivo.

 

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Nell'illustrazione: lo sciatore austriaco, nativo di Kitzbuhel e cresciuto all'ombra della mitica e terribile pista "Streif", Toni Sailer, che fu il primo atleta a vincere tutte e tre le prove di sci alpino, nelle discipline di discesa libera, slalom gigante e slalom speciale. Inoltre è tutt'ora detentore del record di maggior distacco tra primo e secondo nella gara di slalom gigante, che è di 6 secondi. Il Rapporto Ufficiale dei Giochi, ebbe per lui queste enfatiche parole per le imprese di cui si è reso protagonista: "Questi Giochi di Cortina resteranno contrassegnati dal triplice colpo da lui realizzato. È un fatto senza precedenti, che può spiegarsi solo con la coincidenza perfetta, calcolata ( e quanto rara! ) di una condizione fisica impeccabile, di una tecnica perfettamente a punto e di una intelligenza superiore. Questo giovane bello atleta, sempre sorridente, mai nervoso, possiede da solo le qualità che fecero di Stein Eriksen e di Zeno Colò i grandi campioni degli anni passati".

 

 

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19/05/1956

Cinquantenario del Traforo del Sempione

( Catalogo Unificato: 797 )

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Cinquant'anni or sono gli Europei celebravano con viva esultanza la realizzazione di una delle più grandi imprese ferroviarie del nostro tempo: il Traforo del Sempione.

Il Sempione! Un nome prodigioso che ha segnato nella nostra epoca uno sviluppo ed una prosperità singolari.

Ma il Sempione era già noto all'epoca di Roma. La lapide di Vogogna ( 196 d.C. ) ci indica che quella era una via romana.

Il Valico alpino fu poi legato alle vicende, ricche di scambi commerciali e di contrasti politici, dell'Ossolano e del Vallese, nei secoli della vita medioevale e rinascimentale.

L'apogeo della prosperità del passo, via internazionale, è segnata da una data: 1640. I corrieri a cavallo dell'intraprendente Cavalier Kaspar de Stockpler di Briga trasportano settimanalmente, attraverso il Sempione, persone e lettere fra Milano e Ginevra.

Un'altra data: 7 Settembre 1800. Il Decreto di Napoleone Imperatore fonda la strada carrozzabile del Sempione per scopi militari: " Il Sentiero da Briga a Domodossola sarà reso praticabile per il trasporto dei cannoni ". Ma la strada napoleonica che univa Milano, Capitale della Repubblica Cisalpina, a Ginevra e a Parigi ( i 60 chilometri di montagna richiesero opere edilizie di impegno notevolissimo: 5 anni di lavoro, 611 ponti ) consentiva alle prime carrozze di attraversare le Alpi sul Sempione: 9 Ottobre 1805.

Poco dopo, 150 anni fa, apparvero le prime diligenze postali. Alle diligenze, sostituite nel periodo invernale dalle slitte, subentrarono le automobili nel 1919. Ed è storia di ieri.

Non passavano cinquant'anni dall'apertura della strada napoleonica, che una Commissione Internazionale, promossa dal Governo Piemontese, prospettava per la prima volta ( 1851 ) l'idea di una ferrovia sotto il Sempione, nelle viscere delle Alpi.

Mezzo secolo di indagini, di discussioni, di progetti, di trattative, di difficoltà di ogni genere: ambientali e tecniche, politiche e finanziarie.

Finalmente nel 1893 veniva approvato il progetto della Compagnia Jura-Simplon: era così coronato il denso lavoro svolto dal " Comitato Promotore del Valico Ferroviario del Sempione " che, sorto a Milano nel 1880 per impulso della Provincia di Milano ( aveva come Presidente Onorario il Sen. Robecchi, Presidente del Consiglio Provinciale, e come Presidente Effettivo il Conte Borromeo, Consigliere Provinciale ) finanziò la spesa dell'opera per la parte italiana.

Agosto 1898: si iniziano i lavori da parte della Ditta Brandau.

24 Febbraio 1905: cade l'ultimo diaframma di roccia.

Sono passati cinquant'anni, ma è ancora vivissima la memoria delle fasi della diuturna impresa.

Chi non ricorda l'accurata preparazione dei tecnici ( un nome per tutti: l'Ing. Brand, che ideò la perforatrice rotativa con comando idraulico ), l'esecuzione del traforo con il sistema dei due cunicoli, con enormi vantaggi per l'aerazione della galleria, il trasporto del materiale, l'evacuazione delle acque? Le acque! irruenti, fredde e calde ( fino a 50° ). Le rocce! roventi ( fino a 54° ) e sfasciantesi.

Due dati sintetizzano la ciclopica impresa: 6 anni e mezzo di duro lavoro; 7 milioni di giornate lavorative. E poi la vittoria! Il 19 Maggio 1906 la trionfale inaugurazione, con l'incontro tra il Re d'Italia, Vittorio Emanuele III°, e il Presidente della Confederazione Svizzera, On. Forrer. Nel cinquantenario, il 17 e 18 Maggio 1956 il Presidente della Repubblica Italiana, On. Gronchi, e il Presidente della Confederazione Svizzera, On. Feldman, a Milano, a Domodossola, a Briga, a Losanna, onoreranno col loro incontro le manifestazioni rievocative.

I due Presidenti percorreranno le tappe essenziali della linea che è servita dalla più lunga galleria del mondo ( il traforo n. 1 misura 19.803 metri; il traforo n. 2, realizzato nel primo dopoguerra ampliando il cunicolo parallelo alla galleria n. 1, 19.823 metri ).

La linea congiunge l'Inghilterra e la Francia, attraverso la Svizzera e la Pianura Padana, alla Jugoslavia, alla Turchia, al Medio Oriente; linea che, nel tratto alpino, diversamente da quelle del Moncenisio e del Gottardo, ha il minor dislivello ( soli 705 metri sul mare! ) con conseguente vantaggio per la pendenza e la velocita del transito.

Il Comitato Italiano costituitosi per le celebrazioni del Cinquantenario del Traforo del Sempione, Comitato che si onora dell'alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, ha intrapreso una serie di iniziative per ricordare lo storico evento. Quale Presidente di detto Comitato, sento il dovere di ricordarne una, che tutte le riassume idealmente: l'erezione, sul manufatto dell'imbocco del traforo ad Iselle di Trasquera, di un'alta bronzea stele recante alla sommità una lampada che, nella notte, proietterà un fascio di luce verso il cielo: per ricordare le 58 vittime italiane della grande impresa ferroviaria; per rendere omaggio alla lungimiranza dei padri, che superando tanto ostacolo naturale, hanno dato a questa nostra generazione impulso di valido progresso; per indicare che mezzo secolo passano da quel luogo, amici fra amici, cittadini di tutto il mondo; per invitare i posteri a ripetere questo pensiero per tutte le vie del mondo.

Articolo a firma di Adrio Casati, Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Milano.

 

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Rudolf Koller ( 1873 ) La Posta del Gottardo

Zurigo - Kunsthaus Zurich

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02/06/1956

10° Anniversario della Repubblica

( Catalogo Unificato: 798/801 )

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Il nostro saluto che conclude il primo decennio dell'Italia democratica, si corona di soddisfazione per l'opera che il Paese nostro, nella collettività e nei singoli, a continuato a perseguire per il proprio civile e sociale progresso.

Basti ricordare tutto ciò che da parte dei poteri responsabili e di quanti hanno consapevolezza dei propri doveri si è fatto per ricostruire l'apparato tecnico e produttivo disperso o distrutto dalla guerra, per andare maggiormente incontro alle più avvertite e legittime istanze sociali, specie nel Mezzogiorno, dove le masse popolari possono ormai intravedere con fiducia la loro redenzione da inferiorità secolari. Basti citare il processo di perfezionamento delle basilari strutture dell'ordinamento costituzionale e la costante estensione dei nostri rapporti con gli altri Paesi per contribuire alla tormentata conquista di una universale vera solidarietà nell'avvenire.

La Nazione intera potrà quindi a buon diritto celebrare nel prossimo anno il primo decennio del nuovo cammino verso le maggiori fortune che essa merita.

E certo sarà legittima fierezza per tutti ricordare a se ed agli altri, in Italia e fuori, i sacrifici, la tenacia, i risultati. Che se ai motivi di compiacimento si contrappongono inevitabili motivi di rammarico per quanto non ci è stato dato ancora di realizzare, deve scaturirne uno stimolo prezioso a fare di più e meglio nell'anno che ci attende.

Fare di più e meglio perché tutti, nella sicurezza e nella pace, ne traggano beneficio, in particolare coloro che immeritatamente vivono in sofferenze ed angustie: ad essi vada il pensiero fraterno di ogni cittadino; ad essi sia riservato il primo posto in questo scambio di voti augurali che sono impegno di opere per una migliore giustizia.

E sotto questi auspici muoviamo verso il nuovo anno, fidenti come sempre nell'aiuto di Dio e nelle virtù native del nostro Popolo generoso.

Articolo a firma di Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica Italiana. ( dal Discorso agli Italiani in occasione del Capodanno 1956 )

 

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Nell'illustrazione: il Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1955 al 1962, Giovanni Gronchi ( al centro ), in occasione della Cerimonia di Apertura dei Giochi della XVII° Olimpiade di Roma 1960.

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08/09/1956

Centenario della Morte di Amedeo Avogadro

( Catalogo Unificato: 802 )

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Circa centocinquanta anni fa la passione per le ricerche scientifiche stava spronando le menti più elette allo studio della natura. In particolare i due grandi settori dell'elettricità e della chimica si sforzavano per aprire la strada verso la conoscenza della costituzione della materia. L'antica concezione che i corpi fossero costituiti di minuscole particelle si andava affermando, ma l'ostacolo principale era rappresentato dall'impossibilità di stabilire il valore assoluto di esse in dimensioni e peso e, prima di questo, i valori relativi, cioè i rapporti fra le grandezze di queste particelle.

Molte reazioni chimiche mostravano che durante il processo e dopo di esso, il volume dei corpi reagenti allo stato gassoso subiva variazioni mentre rimaneva invariata la massa totale dei reagenti.

Il lungo studio e l'intuito di una mente versatile, geniale, coraggiosa di un Italiano ha aperto alla chimica la via maestra per i suoi futuri successi.

Lorenzo Romano Carlo Amedeo Avogadro di Quaregna e Ceretto è l'uomo al quale la moderna civiltà deve profonda gratitudine.

Nato a Torino il 9 Agosto 1776 dal Conte Filippo e da Anna Maria Vercellone, si laureò in legge e nel 1796 ebbe la nomina a Dottore in Legge Ecclesiastica.

Appassionato di ricerche scientifiche cominciò a fare lavori sull'elettricità e su altri campi diversi del sapere con la sua originale capacità di affrontare argomenti diversi. Per i suoi brillanti studi venne nominato Professore all'Università di Torino nel 1821 quale Primo Docente di Fisica Sublime. Tenne la cattedra fino al 1854, tranne una breve parentesi dovuta alle complesse vicende politiche di allora. Morì a Torino il 9 Luglio 1856.

La legge che come si è detto apre i nuovi orizzonti della chimica, è stata enunciata da lui nel 1811 e sostanzialmente alla sua mente geniale è apparsa nella sua chiarezza, per lo sforzo fatto di dover spiegare ai propri allievi la complessità dei fenomeni sperimentali che stavano osservando. E' la genesi molto comune del cammino della verità.

Il concetto della legge esprime che qualsiasi molecola dei corpi allo stato gassoso, occupa sempre un determinato volume ( purché bene inteso sia invariate le condizioni di temperatura e pressione ). Per esempio una molecola di acido solforico costituita da sette atomi ( due di idrogeno, uno di zolfo e quattro di ossigeno ) occupa lo stesso volume di una molecola di neon, composta da un solo atomo.

Avogadro ha distinto nettamente il concetto di atomo e di molecola, uscendo dalla generica concezione di particella.

Segue da queste sue considerazioni immediatamente la formulazione originaria della legge: " In eguali volumi di gas nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione sono contenute egual numero di molecole " ( di molecole e non di atomi ). In base alla legge Avogadro è stato possibile determinare i valori relativi dei pesi molecolari. Se un litro di ossigeno pesa sedici volte un litro di idrogeno, vuol dire che una molecola di ossigeno pesa sedici volte quella dell'idrogeno ( essendo in numero eguale ). Da questo si è passati poi a determinare i pesi relativi degli atomi ed infine i valori assoluti di essi.

La scoperta di Avogadro va inserita fra le più grandi conquiste scientifiche di tutti i tempi. Essa è come lo sprazzo di luce che permette di vedere la giusta strada, mentre l'avanzata è ferma dinnanzi alla nebbia delle difficoltà. Una volta trovata la via buona, la chimica corso vittoriosamente fino alle mete attuali.

La scienza ed il progresso portano al genio di Avogadro, che ha avuto il coraggio di vedere là dove gli altri non vedevano, la gratitudine profonda e perenne di aver dischiuso gli orizzonti più vasti per la penetrazione nei misteri meravigliosi del creato.

Articolo a firma di Enrico Medi, Presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica.

 

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Gaetano Bonatti - Busto di Amedeo Avogadro - Litografia

Torino - Accademia delle Scienze

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15/09/1956

Serie Europa

( Catalogo Unificato: 803/804 )

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Quando il 9 Maggio 1950 Robert Schuman lanciò il suo appello tendente a porre l'insieme della produzione Franco-Tedesca di carbone e di acciaio sotto un'alta autorità comune, in un'organizzazione aperta alla partecipazione degli altri Paesi Europei, gli spiriti più lungimiranti compresero che era stato posto un seme fecondo non soltanto per superare secolari dissidi ed incomprensioni fra due grandi Paesi, ma anche per realizzare quell'unità europea auspicata dai popoli del nostro continente.

Il Governo Italiano che sotto la guida di De Gasperi aveva fatto dell'unità europea il fulcro della propria politica, accolse l'invito ed assieme ai governi degli altri cinque paesi amici collaborò attivamente alla stesura del Trattato Istitutivo della prima Comunità Europea. Il 18 Aprile 1951 questo fu firmato a Parigi dai rappresentanti dei sei Paesi; i successivi dibattiti svoltisi nei Parlamenti Nazionali per la ratifica del Trattato confermarono che l'idea di un'Europa unita era ormai passata dalla fase delle utopie a quella delle concrete realizzazioni; in tale prospettiva era da considerare la Comunità che veniva alla luce.

Quattro anni sono passati dall'entrata in vigore del Trattato ( 25 Luglio 1952 ) e dall'insediamento a Lussemburgo delle prime Istituzioni Europee. Le realizzazioni da queste compiute sono ormai una realtà acquisita, il cui significato trascende il valore puramente tecnico-economico per assurgere, sul piano psicologico e morale, ad eventi di ben più vasta portata: sono i primi provvedimenti "europei", è la prima disciplina posta da istituzioni liberamente accettate al di sopra delle singole nazionalità.

E' in questo clima che si rende possibile , anzi auspicato, il "rilancio europeo", promosso dalla Conferenza di Messina ( 1-2 Giugno 1955 ) e sanzionato dalla recente Conferenza di Venezia ( 29-30 Maggio 1956 ), i cui principi informatori vanno traducendosi, nella Conferenza ora in corso a Bruxelles, in concrete disposizioni della nuova legge europea: vengono così poste le pietre angolari su cui un gruppo di popoli liberi va costruendo, per sé e per i propri figli, il nuovo edificio dell'Europa Unita.

Articolo a firma di Gaetano Martino, Ministro degli Affari Esteri d'Italia.

 

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Nell'illustrazione: il Ministro degli Esteri di Francia ( al centro ) Robert Schuman, durante il Congresso di Parigi del 9 Maggio 1950, nel quale terrà il celebre discorso che porterà successivamente all'istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio.

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22/09/1956

Congresso Astronautico Internazionale

( Catalogo Unificato: 805 )

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L'astronautica è un'antichissima aspirazione dell'uomo, che ha sempre sentito il desiderio di uscire dai limiti angusti del pianeta che lo ospita. I progressi della Scienza e della Tecnica gli forniscono ormai i mezzi per realizzare quell'aspirazione.

Un corpo, per abbandonare la Terra, deve svincolarsi dall'attrazione della gravità che ne determina il peso. A questo fine deve raggiungere una velocità elevatissima, che è di 11 Km/sec alla superficie della Terra e diminuisce man mano che ci si allontana da essa.

Per raggiungere velocità così alte, è necessario sottoporre il corpo all'azione di una spinta potentissima, che gli deve esser fornita per un certo tempo da un motore. Poiché, al crescere della distanza, l'aria diventa sempre meno densa fino a sparire, occorre che il motore, se a combustione, possa funzionare indipendentemente dall'atmosfera. Esso, perciò, non può essere che il motore a razzo, il quale porta in sé, oltre al combustibile, anche il comburente, cioè l'ossigeno.

Il razzo, noto da parecchi secoli, ha progredito soltanto durante la Seconda Guerra Mondiale; il suo impiego è divenuto pratico nei missili bellici, come il famoso V-2.

Il progresso è continuato con ritmo formidabile dopo la fine della guerra; sicché oggi la tecnica dispone del motore adatto per i viaggi spaziali. Un ulteriore grande progresso sarà compiuto quando sarà disponibile l'energia nucleare, che permetterà di ridurre gli elevatissimi consumi di propellente.

I viaggi alla Luna e ai pianeti più vicini, come Marte, saranno certamente possibili fra alcuni anni. Naturalmente, occorre risolvere, oltre a quello della propulsione, molti altri problemi, come quelli fisiologici, riguardanti le condizioni di vita dell'uomo nello spazio, dove, durante il viaggio, viene a cessare l'azione della gravità e si è sottoposti all'azione dannosa dei raggi cosmici ed ultravioletti provenienti dal Sole.

Prima di iniziare i viaggi spaziali, è opportuno realizzare i satelliti artificiali della Terra, cioè corpi lanciati dalla Terra, che le girano attorno stabilmente a distanza più o meno grande. Essi potranno servire come basi di rifornimento dei veicoli destinati ai viaggi interplanetari. Ma in un primo tempo i satelliti, anche senza equipaggio, avranno lo scopo di esplorare l'altissima atmosfera e specialmente le radiazioni, cui si è accennato. Essi porteranno soltanto strumenti per il rilievo e la trasmissione dei dati, la cui conoscenza è la premessa dei viaggi interplanetari.

Di questo tipo saranno i primi satelliti, che verranno lanciati dagli Stati Uniti d'America durante il prossimo Anno Geofisico Internazionale ( 1957-58 ).

Sarà il primo passo sulla via dell'attuazione dell'Astronautica.

Si capisce quindi come il VII° Congresso Astronautico Internazionale ( 17-22 Settembre 1956 ), organizzato a Roma dall'Associazione Italiana Razzi ( A.I.R ) per incarico della Federazione Astronautica Internazionale ( I.A.F. ) debba avere un'importanza eccezionale, perché in esso saranno particolarmente discussi i problemi del satellite artificiale e verranno fatte importanti anticipazioni sui satelliti di imminente realizzazione.

Il Congresso, la quale parteciperanno scienziati di oltre 20 Paesi, costituirà il preambolo dell'avvenimento di maggior rilievo, che la storia del progresso registrerà nei prossimi anni.

Articolo a firma di Gaetano Arturo Crocco, Presidente dell'Associazione Italiana Razzi

 

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Nell'Illustrazione: Il Generale Gaetano Arturo Crocco ( 1877-1968 ) accademico e scienziato, fu pioniere dell'aeronautica e della propulsione a razzo. Importantissimi furono i suoi studi sulla "fionda gravitazionale", che permettono al veicolo spaziale di alterarne la velocità ed il percorso sfruttando la gravità di un pianeta, a tutt'ora parte integrante di tutte le missioni interplanetarie.

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29/12/1956

Ammissione dell'Italia all'Organizzazione delle Nazioni Unite

( Catalogo Unificato: 806/807 )

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31/12/1956

80° del Risparmio Postale in Italia

( Catalogo Unificato: 808 )

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"Avrete probabilmente inteso dire, che se si fosse messo all'interesse un centesimo dal tempo di Adamo, ed ogni anno si fossero messi a frutto anche gli interessi degli interessi sino al giorno d'oggi, il centesimo di Adamo sarebbe diventato una tal somma che quando la si volesse pagare in oro, ci vorrebbe una palla d'oro più grande della Terra, più grande di una sfera che partendo dalla Terra andasse assai oltre il Sole.

Ed infatti, malgrado che nei tempi andati fossero frequenti le guerre, le invasioni dei barbari, le une e le altre devastatrici e distruttrici dell'opera di intiere generazioni, considerate quanta ricchezza non ci lasciarono i nostri padri. Riflettete a quello che occorrerebbe per dissodare tutti i campi, fare le strade, i canali, i ponti, edificare tutte le case, fabbricare tutte le suppellettili di ogni genere, che nascendo noi trovammo sulla Terra. In questo secolo di civiltà e progresso, malgrado le guerre e gli eserciti stanziali che tennero i fautori dell'antico per difenderlo e dovettero tenere i suoi nemici per distruggerlo, è veramente incredibile la ricchezza che venne accumulata a vantaggio nostro e dei nostri posteri. Basti citare le strade ferrate! e tutto ciò è opera del risparmio."

Questo passo è tratto da un discorso di Quintino Sella pronunziato nel 1868. Se poniamo mente a quanto accaduto dopo, dobbiamo riconoscere che nessun vigore ha perduto il suo ragionamento; tanto meno, poi, se dal presente vogliamo intravedere il futuro.

il 10 Marzo 1870 alla Camera dei Deputati gli Onorevoli Sella, Gadda e Castagnola, titolari del Dicastero delle Finanze, dei Lavori Pubblici ( che comprendeva le Poste ) e dell'Agricoltura, Industria e Commercio, presentarono l'apposito schema di legge per l'istituzione delle Casse Postali del Risparmio; ma prima che esso fosse approvato trascorsero ben cinque anni.

Anche allora si temeva che la raccolta del risparmio postale potesse in qualche modo determinare flessioni del risparmio destinato ad altri cicli produttivi privatistici industriali o di scambio; invece si è potuto constatare che mentre un siffatto fenomeno non sia da temere, è rimasto confermato che, specie nei centri rurali, piccoli o piccolissimi, il mezzo più efficace per stimolare e convogliare il risparmio è quello delle Casse Postali.

Tale risparmio, che potrebbe dirsi miniaturizzato, ma che è assai vistoso nel suo coacervo, senza l'attrazione delle Casse Postali non si formerebbe, con grave ripercussione per gli investimenti di carattere pubblico cui è destinato.

il 1° Gennaio 1876 si aprirono le operazioni agli sportelli.

Le Casse Postali di Risparmio, operano capillarmente in tutto il territorio del Paese, con una rete di uffici che, dai tremila del 1876, ha raggiunti il numero di 13 mila con oltre 26 mila sportelli.

Nei sedici lustri le Casse Postali, sia col mezzo originario tuttora esistente del "Libretto Postale", sia con l'altro del "Buono Postale Fruttifero", istituito nel 1924, hanno recato all'economia nazionale un contributo di capitali che gli statisti del periodo preparatorio non avrebbero mai ipotizzato neppure sul piano delle più rosee previsioni.

Dal 1876 le Casse Postali di Risparmio in valuta del 1956, fra raccolta e rimborsi con interessi, hanno avuto un movimento di 27.706 miliardi di Lire. L'entità attuale dei capitali dei risparmiatori nelle Casse medesime ammonta a miliardi 1.400 circa.

Un così grande canale di denaro ha alimentato ogni forma di investimenti patrimoniali per opere pubbliche in tutto il territorio della nostra Italia, consentendo di provvedere, specie nelle zone più depresse, agli acquedotti, all'edilizia scolastica, all'edilizia popolare, alle bonifiche, alla viabilità ordinaria e ferrata, principale e secondaria, e a tante altre necessità della vita associata. E' ben chiaro che il risparmio postale è stato determinante per l'elevamento materiale e morale del nostro popolo. Ma il popolo è stato l'artefice delle sue stesse fortune attraverso un risparmio alimentato nella quasi totalità dal suo sacrificio, dalla sua virtù; perché proprio parlando di Casse Postali di Risparmio si resta nel dominio della piccola porzione di lavoro quotidiano messa a frutto con pazienza dalle grandi masse, per ridurre l'indigenza, per alimentare quel patrimonio collettivo che soltanto il lavoro sudato degli umili può, al riparo da ogni febbre di speculazione e nessuno potrà mai pensare di inaridirlo.

Il risparmio postale consente di fornire denaro a basso costo pur remunerando equamente i prestatori, in virtù del tenuissimo onere col quale, mercé la sana e funzionale organizzazione delle Casse Postali, si riesce a fronteggiare la spesa di raccolta ed amministrazione dei depositi. Per questo non è mancato nel passato, non mancherà nell'avvenire al risparmio postale un crescente favore, un crescente successo.

Articolo a firma di Romolo De Caterini, Direttore Generale dell'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni.

 

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10/06/1957

Bimillenario della Nascita di Publio Ovidio Nasone

( Catalogo Unificato: 809 )

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Nato a Sulmona il 20 Marzo del 43 a.C. ed avviato dalla sua famiglia, di rango equestre, agli studi oratori, che dovevano dischiudergli la carriera politica, dalla scuola dei retori assorbì soltanto, ma in proporzioni rilevantissime, il magistero della lingua, la signorile padronanza dei mezzi espressivi e della più iniziatica erudizione mitologica e letteraria. Quanto al resto, la vocazione alla poesia si affermò in lui prepotentemente e lo volse verso le correnti artistiche meno propense a rinnovare il messaggio della poesia virgiliana ed oraziana. Che se nella Roma umbertina il D'Annunzio, a lui paragonabile, dovette creare quasi da solo l'ambiente e il gusto atti all'affermazione della sua poesia, Ovidio invece trovava nella Roma augustea, grazie all'esempio dei contemporanei Cornelio Gallo, Tibullo e Properzio, un terreno favorevole all'estrinsecazione del suo gusto e delle sue tendenze. Ma mentre Properzio, il poeta con cui egli strinse rapporti di più stretta affinità, stava compiendo il miracolo di conciliare sostanzialmente la tecnica e la poetica callimachea con le più profonde esigenze dello spirito latino, Ovidio sterzò decisamente verso una concezione che oggi potrebbe definirsi "dell'arte per l'arte", dedicandosi ad un gioco di pura fantasia appoggiato alle sollecitazioni di una raffinata cultura mitologica. In questo tempo Ovidio non si limitò ad esaltare il più frigido virtuosismo delle suggestioni sensuali e formali, ma, trattando una materia congeniale al suo spirito, gettò imprevisti colpi di sonda su regioni inesplorate della psiche e della sensibilità umana, arricchendo l'esperienza poetica e morale della latinità e facendo da maestro a tutta la successiva età barocca delle lettere latine.

Successivamente il gusto delle belle forme e delle virtuosistiche variazioni sopra a un tema ispirò al poeta le sue opere di maggior impegno, cioè il poema in quindici libri "Le Metamorfosi" e il grande calendario in distici sulle feste romane, "I Fasti", di cui egli compose solo la prima metà. Il sottile veleno che la fascinosa arte ovidiana aveva seminato negli ambienti raffinati delle metropoli, anche in quelli vicini alla casa imperiale, determinò a poco a poco la disgrazia del poeta presso Augusto. Passato attraverso vicende matrimoniali che sembravano confermare la spregiudicatezza morale della sua poesia, coinvolto forse nello scandalo che costò la relegazione a Giulia minore, la nipote del monarca, Ovidio nell'8 d.C., fu relegato a Tomi, sulle rive del Mar Nero, approssimativamente identificata con l'odierna Costanza, in Romania. Benché a lungo egli avesse implorato il richiamo nelle elegie degli anni d'esilio, i "Tristia" e le "Epistulae ex Ponto", questo non giunse mai e il poeta si spense a Tomi nel 17 o 18 d.C. Ma la sua stupefacente capacità d'assimilazione e di versificazione lo portò persino ad imparare la lingua getica, l'idioma della terra in cui era stato confinato, e a poetare in quella lingua, si che la memoria del suo nome non si estinse mai in quei luoghi e oggi Ovidio è celebrato con reverenza anche in Romania, che lo considera il suo primo poeta, il fondatore della tradizione che ricollega Roma a quel lontano Paese.

Benché la minore profondità dell'arte sua vieti di porre Ovidio al medesimo livello di Virgilio, tuttavia l'importanza dell'opera sua, come modello di ciò che poteva in poesia la lingua latina, ha raggiunto tali vette da obbligarci a considerare la fortuna di Ovidio come uno degli sviluppi fondamentali della cultura europea. Questo D'Annunzio dell'antichità ha suscitato, mediante l'attento studio e l'assidua imitazione dell'opera sua, le prime fiamme di un rinascimento delle lettere classiche nella Francia dei secoli XII° e XIII°, la cosiddetta "età ovidiana", e di lì in tutta l'Europa, ed ha costituito uno dei lieviti più potenti dell'ulteriore grande Rinascimento italiano ed europeo dal secolo XIV° al XVII°: innumerevoli sono i temi, i motivi, gli spunti che la sua poesia ha fatto germogliare in quella dei più grandi poeti, scrittori ed artisti dell'età moderna. Oggi pertanto lo si ricorda e lo si celebra come uno degli autori più benemeriti del trionfo della poesia e della cultura latina nel mondo.

Articolo a firma di Ettore Paratore, latinista ed accademico, considerato uno dei massimi studiosi di letteratura latina nel secondo dopoguerra.

 

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Nelle sue Metamorfosi Ovidio racconta che nell’Età dell’Argento Giove assunse il comando del mondo e divise l’anno in quattro stagioni. Allora per la prima volta gli uomini ebbero bisogno di un riparo e di coltivare la terra per avere provviste per l’inverno. Questo dipinto di Jacopo Zucchi del 1575 circa, ora agli Uffizi di Firenze, insieme al suo pendant raffigurante l’Età dell’Oro, proviene da Villa Medici a Roma, dimora di Ferdinando I° quando egli era ancora cardinale. In linea con il racconto ovidiano il dipinto mostra sullo sfondo alcune rudimentali capanne e un contadino che solca un campo con l’aratro; nel cielo vola il carro di Apollo, circondato dalle ore del giorno e della notte e dalle quattro stagioni. Al centro campeggia la dea della Giustizia con la spada e la bilancia, accompagnata da un putto che mostra, iscritto su una grande tavola, un passo della Genesi ( Gen. 3,19 ) “Mangerai il pane col sudore del tuo volto”.

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15/07/1957

Bicentenario della Nascita di Antonio Canova

( Catalogo Unificato: 812/814 )

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Antonio Canova, del quale si celebra quest'anno il secondo centenario della nascita, nacque a Possagno il 1° Novembre del 1757. Scultore e pittore di fama universalmente riconosciuta, non ebbe altro scopo nella vita che il lavoro, non altra fonte di gioia che la creazione delle sue opere che gli procurarono l'entusiastica ammirazione di quanti -- papi, imperatori, re -- governarono al suo tempo, e di quanti uomini ricchi e potenti furono suoi contemporanei.

Le sue statue, numerosissime, e i grandi monumenti sepolcrali, stanno ad attestare il grande favore di cui godette; ma ci fanno anche pensare, con rimpianto, alle possibilità della sua natura di artista, cui non poté forse dare pieno svolgimento perché sopraffatto dalla mole di lavoro da compiere che lo distrasse dalla produzione di opere ispirate dal suo cuore e dal suo pensiero.

Egli ebbe il merito di strapparsi, guidato dal suo ingegno e dal suo istintivo amore per la scultura classica, dal Barocco, degenerato negli ultimi tempi in atteggiamenti eccessivi e stravaganti; ma la grande ammirazione per l'arte greca lo portò all'imitazione di opere che, oltre ad essere insuperabili, erano esclusivamente frutto di un'epoca in cui si viveva solo con la natura e per la natura, tra gli dei del cielo e i greggi sulla terra, epoca di dei e pastori guerrieri, e quindi lontana dai tempi nei quali il Nostro operava; l'artista non poteva più ritornarvi né più creare quell'epoca, ma solo imitarla; e l'imitazione è sempre fatale agli artisti. Tuttavia, pure imitando, egli fu grande, anche se non sempre parlò al cuore, come aveva cominciato con il gruppo "Dedalo e Icaro", fatto in ben giovane età, e con "Papa Rezzonico" che sono due eccellentissime opere.

Ma la grandissimo merito di artista si deve aggiungere quello di aver ottenuto, dopo la caduta di Napoleone, la restituzione delle opere d'arte asportate dallo Stato Pontificio sedici anni prima, guadagnandosi la perenne riconoscenza degli Italiani.

Articolo a firma di Pietro Canonica, scultore.

 

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Antonio Canova ( 1779 ) Dedalo e Icaro

Venezia - Museo Correr  

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07/08/1957

Campagna di Educazione Stradale

( Catalogo Unificato: 815 )

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Sui 175.000 Km. di strade ordinarie di cui dispone l'Italia circolano oggi oltre 5 milioni di autoveicoli. Nel 1956 sono stati percorsi 40.000 milioni di chilometri e si sono registrati 166.260 incidenti con 6.796 morti e 134.816 feriti.

Dal 1953 al 1956 si è avuto un aumento del 45% nel numero degli incidenti stradali e delle persone in esse infortunatesi.

Il Governo segue attentamente l'evolversi del grave fenomeno che ha importanti riflessi di natura umana, sociale ed economica. E non può non pensarsi, con viva preoccupazione, a quale sarà la situazione della circolazione stradale in un domani, abbastanza prossimo, quando il numero dei mezzi motorizzati sarà raddoppiato o triplicato.

Il problema urgente che si pone è quello di saper conservare all'umanità i benefici ad essa derivati dal rapido sviluppo dei mezzi motorizzati e dal miglioramento delle loro caratteristiche, impedendo, allo stesso tempo, che tale sviluppo non si risolva in danno.

Di fronte all'insorgere di tale assillante problema, il Governo, attraverso le sue Amministrazioni, non tralascia di adottare ogni provvedimento o misura che venga riconosciuta atta al conseguimento di un traffico più sicuro ed agevole. Accanto al piano, ormai in fase di realizzazione, per il potenziamento e l'ammodernamento della rete stradale, l'Amministrazione statale sta dando gradualmente attuazione ad un vasto programma generale della sicurezza del traffico.

A cura del Ministero dei Trasporti vengono compiuti studi sempre più approfonditi sui veicoli, condotti con metodi scientifici, sottoponendo ad esame le loro caratteristiche costruttive, i loro equipaggiamenti, le loro prestazioni, onde realizzare in essi sempre migliori condizioni di sicurezza.

Inoltre, sotto gli auspici della stessa Amministrazione, si va sviluppando una vasta campagna, rivolta a tutti gli utenti della strada, per ottenere una sempre maggiore educazione stradale, campagna alla quale apportano un fattivo contributo benemeriti Enti ed Associazioni nazionali.

Il fine che si vuole raggiungere è, innanzi tutto, quello di persuadere l'uomo, utente della strada come pedone o come conducente di veicoli, che anche la vita nella circolazione stradale deve essere regolata da quegli stessi principi che presiedono alla vita collettiva in genere: che è necessario, cioè, sacrificare una parte della propria libertà individuale a vantaggio e a garanzia della libertà di tutti.

Per il conseguimento di tale fine occorre formare una nuova coscienza negli utenti della strada e, pertanto, necessita svolgere una intensa propaganda, avvalendosi di tutti i mezzi a disposizione, affinché il richiamo continuo ed incessante possa raggiungere tutti i cittadini per suscitare in essi un maggiore senso di responsabilità morale.

E' per tale ragione che il Ministero dei Trasporti -- Ispettorato Generale della Motorizzazione Civile e dei Trasporti in Concessione -- ha chiesto il valido appoggio dell'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni, che ha acconsentito ad emettere uno speciale francobollo dedicato all'importante argomento.

Con questo mezzo si vuole destare l'attenzione di un vasto strato della pubblica opinione sull'importanza dei problemi relativi alla sicurezza del traffico.

Articolo a firma di Armando Angelini, Ministro dei Trasporti.

  

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16/09/1957

Serie Europa

( Catalogo Unificato: 817/818 )

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Nell'anno trascorso dalla prima emissione dei francobolli celebrativi dell'idea europea, compiuto sulla via dell'integrazione, per ora tra i sei paesi già uniti tra loro dal vincolo del Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio ma aperta a tutti gli Stati europei che ne manifestino la volontà e ne accettino le regole democratiche, è sostanziale e quanto mai incoraggiante.

E' sostanziale perché sono stati nel frattempo firmati solennemente in Campidoglio, il 25 Marzo 1957, quei trattati europei che -- costituendo fra gli stessi paesi la Comunità Economica Europea e la Comunità Europea dell'Energia Atomica -- ne completano sul piano economico la integrazione orizzontale e dischiudono nuove possibilità nel settore quanto mai promettente dell'energia nucleare.

E' nel contempo quanto mai incoraggiante, perché mai come negli ultimi dodici mesi il problema dell'Europa era stato prima con tanto interesse e profondità dibattuto. Le Opinioni pubbliche dei nostri paesi hanno dimostrato con quanto favore l'idea dell'unità europea è da esse accolta  ed i dibattiti già svoltisi ultimamente nei parlamenti di alcuni dei sei Stati, hanno non soltanto confermato tale favore, ma dimostrato la decisa volontà dei popoli di realizzare ciò che ancora sino a pochi anni orsono poteva sembrare utopia.

Alla luce di questi recenti avvenimenti, deve essere considerata la nuova emissione di francobolli celebrativi dell'idea europea, decisa dalle Amministrazioni Postali dei sei paesi amici. il nome "Europa" che su di essi figura, non è più soltanto un'espressione geografica: è il simbolo di una realtà che la libera volontà dei nostri popoli sta coscientemente creando per un avvenire di pace, lavoro e benessere.

Articolo a firma di Giuseppe Pella, Ministro degli Affari Esteri e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri.

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  • 1 mese dopo...
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14/10/1957

Cinquantenario della Morte di Giosuè Carducci

( Catalogo Unificato: 819 )

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Giosuè Carducci, della cui morte ricorre quest'anno il cinquantenario, nacque a Valdicastello in Versilia, il 28 Luglio 1835 e trascorse l'infanzia e la prima fanciullezza in Maremma, dalla cui solenne e selvaggia solitudine venne probabilmente all'animo suo l'impronta di una virilità fiera e sdegnosa, velata ed approfondita da una vaga tristezza.

Studiò a Firenze e dopo a Pisa e, laureatosi in lettere, passò all'insegnamento ascendendo ben presto alla cattedra universitaria di letteratura italiana a Bologna, che tenne con onore per 44 anni.

Il romanticismo, divenuto ai suoi tempi una maniera languida e svenevole, trovò fiera avversione nella sua tempra semplice e gagliarda, portata ad ammirare la forza, nutrita di umanità, illuminata da intelligenza e sorretta da giustizia. Perciò egli si proclamò "scudiero dei classici" e, addestratosi ad una severa disciplina della forma, si innalzò gradualmente, attraverso una ardente polemica, inspirategli dal suo amore di patria, fino alla solenne celebrazione poetica di quegli aspetti della storia nei quali egli trovava meglio incarnato quel suo ideale di virtus romana, intesa come manifestazione di energia spirituale.

Del cristianesimo, come fatto storico, egli colse in un primo momento solo le esortazioni all'umiltà, alla rinuncia e certi aspetti di esasperato ascetismo, incolpandolo quindi di aver contribuito al crollo dell'Impero di Roma e giudicandolo addirittura fenomeno morboso di fiacchezza spirituale. Più tardi, però, sempre sul piano storico, rese ad esso migliore giustizia, riconoscendolo come la forza operosa, che presiedette all'elaborazione della civiltà medioevale, salvando l'eredità latina e domando la rude forza delle barbarie.

I suoi canti migliori sono nelle "Rime Nuove" e nelle "Odi Barbare", in cui si svolgono altresì temi poetici che esaltano la bellezza classicamente intesa, il senso pieno della vita e il vasto sereno aspetto della natura, o cantano momenti di intima tristezza e di sconforto dell'animo inappagato.

Il Carducci corona la grande letteratura del nostro Ottocento ed insieme è la più alta personalità poetica del nostro realismo e il poeta della terza Italia, voce della Patria risorta a unità di nazione.

Nel 1906 ricevette il Premio Nobel per la letteratura.

Morì in Bologna il 16 Febbraio 1907.

Articolo a firma di Domenico Magrì, Senatore della Repubblica Italiana.

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25/11/1957

500° della Nascita di Filippino Lippi

( Catalogo Unificato: 820 )

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Filippino Lippi nacque a Prato nel 1457 dal pittore fiorentino Filippo Lippi, che vi affrescava il coro del Duomo, e da Lucrezia Buti.

Dal padre imparò i primi rudimenti della pittura.

Ancora fanciullo lo seguì a Spoleto ( 1467-1469 ) e lo aiutò mentre affrescava l'abside del Duomo.

Morto Filippo, si stabilì in Firenze e andò a bottega dal Botticelli, che molto influì sulla sua formazione. Lo dimostrarono le opere giovanili di Filippino: per esempio talune sue Madonne, il Tobia che è a Torino, i cassoni con le storie di Ester. Di origine botticelliana sono, in quelle opere, il gusto pel colore lieve e delicato, il movimento aggraziato delle figure, la stilizzazione lineare.

Quando il Botticelli partì per Roma, Filippino ebbe a Firenze l'incarico importantissimo di terminare gli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci al Carmine. Completò, fra il 1481 e il 1483, un affresco su San Pietro e ne eseguì altri tre. Per queste opere trasse da Masaccio ispirazioni nuove e profonde: tracciò figure strutturalmente e plasticamente solide; s'impegnò nella ricerca di costruzioni volumetriche; si allontanò così dallo stilismo botticelliano.

Pure in Firenze, tra il 1485 e il 1488, Filippino eseguì opere notevolissime: fra le più famose e significative van ricordate la Madonna in trono con quattro santi, che egli dipinse per la Signoria e che ora è agli Uffizi, e l'Apparizione della Vergine a San Bernardo, che è alla Badia Fiorentina. In quelle opere Filippino mostrò di aver ormai raggiunto un suo modo di esprimersi nel quale egli riviveva e superava, con personali criteri, molteplici esperienze di predecessori. Ispirazioni tratte dal padre suo e dal Botticelli confluivano così, nel suo dipingere, con ispirazioni pervenutegli dal Verrocchio e perfino da Fiamminghi ( nel 1475 era giunto a Firenze il polittico di Ugo van der Goes ora agli Uffizi ).

Nel 1489 Filippino, ormai ricco di un così complesso patrimonio culturale, partì per Roma dove si trattenne fino al 1493. Anche quegli anni furono densi di esperienze per lui e determinarono un ulteriore evoluzione del suo stile. I suoi affreschi nella Cappella Caraffa in Santa Maria sopra Minerva mostrano com'egli risentisse il contatto con gli artisti che lavoravano allora a Roma e, soprattutto, con l'arte classica. Un respiro più ampio domina le sue composizioni, che tendono ad effetti grandiosi, monumentali. Il movimento delle figure si fa più accentuato e drammatico; le loro pose sono variatissime. I panneggi, gonfi ed irreali, indicano come Filippino si sciogliesse ormai da norme tradizionali al Quattrocento fiorentino per abbandonarsi ad un suo gusto decorativo, estroso e bizzarro. Per quel gusto egli molto si interessò alle "grottesche" che venivano allora scoperte: ne copiò parecchie in disegni e ne riprodusse i dipinti.

Tornato a Firenze, seppe ancora evolversi nella conoscenza di Leonardo e del Signorelli, portando il proprio stile a piena maturità. Son famose, fra le principali opere di quest'ultimo periodo, l'Adorazione dei Magi, ora agli Uffizi, e l'Incontro di San Giovacchino con Sant'Anna, ora a Copenaghen.

Famosissimo poi, anche perché cantato dal D'Annunzio, è lo stupendo Tabernacolo del canto al Mercatale in Prato, col quale egli tornò a modi botticelliani nelle pacate lunghe figure, coperte di panneggi cadenzati, e nella semplicità della composizione.

Ma la più importante sua opera in quest'ultimo periodo furono gli affreschi nella Cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze. Vi sfoggiò in pieno la tendenza al monumentale e al decorativo traendo da complicate architetture, cariche di grottesche e di motivi classici, effetti quasi di scenario teatrale. Più contenute ed armoniche furono le decorazioni, pur abbondanti, a "grisaille" con cui ornò la Cappella. Dovunque le figure allegoriche, le maschere, gli scudi, i trofei furono trattati da lui come una novità che preludeva al manierismo.

Forse il maggior merito di Filippino fu proprio quello di avere, egli educato alla tradizione del Quattrocento fiorentino, intuito quali fossero i limiti di quella tradizione e di aver infranto canoni ormai superati per avviarsi a nuove soluzioni che ispirarono molti suoi successori.

Morì a Firenze il 18 Aprile 1504.

Articolo a firma di Guido Bisori, Senatore della Repubblica Italiana.

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Nell'illustrazione: l'autoritratto, seppur sia incerta la sua attribuzione, di Filippino Lippi, databile al 1485 circa e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze, da cui l'incisore Vittorio Nicastro prese spunto per la realizzazione dell'emissione.

Modificato da Baylon
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30/11/1957

Bimillenario della Morte di Marco Tullio Cicerone

( Catalogo Unificato: 821 )

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In Marco Tullio Cicerone non solo l'età di Cesare, ma la romanità intera trova una delle espressioni più alte, sia per avere egli impresso nelle sue lettere il so personale sigillo al punto di far chiamare "ciceroniana" la sua età travagliata, sia per aver operato nell'ambito della retorica e della filosofia una sintesi che si trasmise alla cultura europea come lo specchio più fedele delle capacità intellettive ed espressive della gente romana.

Nato nell'Arpinate nel 106 a.C., la sua esistenza attraversò l'arco travagliatissimo della dittatura Sillana, del prepotere di Catilina, del primo e secondo triunvirato, e la guerra civile, da lui vanamente deprecata, lo ebbe quale vittima illustre, a chiusura di un'età gloriosa.

L'impetuoso amore di gloria, che per tutta la vita lo animò, lo portò ora sul piano delle competizioni civili, ora negli agoni forensi, ora lo sequestrò nella solitudine degli studi. Ma fu, prima di tutto, un grande avvocato ed uno squisito letterato.

La retorica, trasferitasi dalle aule di declamazione della Grecia alle vive assemblee della passione politica di Roma, trovò in Cicerone e colui che seppe criticamente elaborarla ed agguerrirla nel "De Oratore", nel "Brutus", nell' "Orator" e colui che seppe farla risplendere di incomparabile bellezza e ricchezza nei contrasti forensi.

L'arte della parola lo ebbe insuperato signore e dallo studio e dall'esperienza riuscì ad articolare un'oratoria così duttile e varia che divenne un modello per le scuole di tutti i tempi.

Quando le avversità dell'ora, lo fecero inclinare alle severe meditazioni etiche e civili, seppe darci opere che non è ormai più di moda avvilire con la comparazione dei modelli greci.

il "De Officis", le "Tusculanae Disputationes", il "De Finibus Bonorum et Malorum", il "De Senectute", il "De Amicitia"... se non hanno rigore teoretico e non presumono d'instaurare un nuovo corso all'Etica od alla Gnoseologia ( termine filosofico equivalente a "teoria della conoscenza", ndr ), svelano una tal dovizie di conoscenza dell'anima umana, del gioco delle passioni, dei contrasti tra libertà ed autorità, portano avanti una tal sfumata e appassionata casistica, da costituire un monumento d'alto vigore educativo e ci offrono come lo scheletro su cui la grandezza romana ha potuto reggersi per secoli. La saggezza pratica, il senso rigoroso del diritto, la purezza del costume civile, la benignità verso il nemico, l'amor di patria, trovano in Cicerone l'acuto analizzatore e l'infiammato asseveratore.

Ancora una volta un ingegno romano sottraeva alle rarefatte aure della speculazione dottrinaria i tesori del pensiero e li immetteva nel dialogo politico, al servizio di tutti gli innamorati della virtù e del bene. Dal cuore del pensiero sgorga, per virtù di Cicerone, la sapienza pratica che alimenta qual ninfa perenne le fortune di Roma.

Con l' "Epistolario", poi, ci ha lasciato un documento importantissimo, non solo per la conoscenza dell'uomo, ma anche del suo drammatico tempo che lo ha avuto ora signore ora vittima, ma sempre interprete acuto, di primo piano. Senza più la preoccupazione della prosperità, l'Arpinate, confidandosi con gli amici, crea uno strumento linguistico così garbato ed agile, da rimanere ancora oggi un modello insuperato di stile epistolare.

La ricchezza etica del suo messaggio può essere misurata al ricordo di Agostino che si avviò a Dio chiudendo l' "Hortensius", così come la persuasione del suo stile a quello di Gerolamo che temeva Dio potesse rimproverarlo d'essere ciceroniano e non cristiano.

Il frammento di Livio, conservatoci da Seneca il Vecchio, che racchiude il racconto drammatico della morte di Cicerone, conclude con queste parole: "... se vogliamo controbilanciare i difetti con le virtù, dobbiamo riconoscere che fu uomo magnanimo, alacre, degno di eterno ricordo, e tale che a celebrarne i meriti occorrerebbe l'eloquenza di un altro Cicerone".

E ogni volta che si approfondirà il concetto tutto latino di "humanitas", ci si troverà dinanzi ad un frammento prezioso dell'imperitura eredità da Cicerone legata al nome di Roma.

Articolo a firma di Aldo Moro, Ministro della Pubblica Istruzione

 

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Cesare Maccari ( 1880 ) Cicerone denuncia Catilina

Roma - Palazzo Madama, Senato della Repubblica Italiana 

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14/12/1957

150° della Nascita di Giuseppe Garibaldi

( Catalogo Unificato: 822/823 )

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Dell' "Eroe dei Due Mondi" resta viva nella coscienza popolare l'immagine victor-hughiana del "cavaliere dell'umanità": cioè dell'uomo generoso che accorre dove è più urgente il bisogno di aiuto per liberare popoli oppressi. La poesia nazionale del secolo scorso ha trasferito l'audace ligure in una commossa leggenda, in cui la celebrazione lirica carducciana di alcuni momenti dell'ardimentosa vita garibaldina giunge alla sintesi finale del discorso di Bologna, nel quale l'eroe nuovo è assunto nel concilio degli antichi eroi della Patria, su cui veglia visibilmente "quando il sole si leva sulle Alpi". La più particolareggiata rappresentazione dannunziana di episodi salienti tende, nella "Canzone di Garibaldi", a fare assurgere il fatto a simbolo, generando una tessitura lirica che vuol raffigurare tutto l'essenziale mondo garibaldino. Ma, al di là di tale elaborate figurazioni, è la poesia popolare o popolareggiante che ha trasfigurato in mito il sentimento profondamente umano di Garibaldi: dall'inno che immagina risorgere dalle tombe degli eroi delle epoche trascorse al passare sulla scena della storia di questo singolare uomo di guerra, sino alla visione nieviana del "Generale" che avanza fra la gente d'ogni condizione con sovrano sorriso.

Ei nacque sorridendo

Né sa mutar di stile.

Solo al nemico e al vile

E' l'occhio suo tremendo.

E', forse, forte e sorridente resta nel sentimento collettivo la figura di questo soldato, la cui azione, liberata da quanto di contingente recava in sé, si immedesima nel processo ideale della liberazione dei popoli soggetti, cioè nella piena valorizzazione della nazionalità, che fu il centro di fusione spirituale e politica dell'Ottocento.

L'eccezionale vicenda garibaldina, coincidente, per fortunate circostanze, con la ferma volontà liberatrice del ligure, si prospetta infatti come sviluppo di quell'idea antitirannica di rivendicazione del diritto naturale di ciascun popolo alla libertà: sia che Garibaldi combatta nell'America del Sud, sia che compia straordinarie imprese in Italia, sia che accorra nella Francia sconfitta, è egli solo vittorioso a Digione.

Il guerriero guarda quasi sempre verso finalità di giustizia, oltre la partigiana necessità di piegare l'avversario: e, nel furore della mischia, emana ordini che acquistano il carattere di sentenze oltre il tempo, come quelli indimenticabili della campagna siciliana: "Qui si fa l'Italia o si muore"; "Che altro meglio potrei fare che morire per la mia Patria?". Risposte date in momenti di estremo pericolo ai suoi compagni, fra cui il "grifagno Bixio", non certo preso da timore per la propria vita ma solo per quella che riteneva preziosa e insostituibile del suo Generale.

Gli atteggiamenti polemici anticlericali e alcune forti posizioni di contrasto verso la politica post-unitaria ( valutabili, come ogni fatto del genere, con senso di piena obbiettività storica ) sono indubbiamente determinati da sincerità e zelo disinteressato: non da spregiudicatezza irreligiosa, i primi, o da partigianeria le altre, avendo sempre anteposto l'Italia ai partiti e alle sue stesse idee repubblicane.

Il coraggio e il geniale intuito militare di Garibaldi, come le vittorie conseguite, che avrebbero potuto assicurargli una influenza politica di primo piano, furono sopravanzati dal disdegno degli onori e dalla frugale vita rusticana, nella raccolta solitudine d'un agricoltore isolano: esempio, anche questo, degno di leggenda e, in realtà dovuto a un cuore umile e forte, naturalmente cristiano.

Tanta moltitudine di avvenimenti storici, dominata da così energiche virtù umane, fa di Giuseppe Garibaldi una delle più singolari figure dell'ardimento italiano di ogni tempo.

Articolo a firma di Vito Giuseppe Galati, giornalista, scrittore e Deputato della Repubblica Italiana.

 

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Gustave Le Gray ( 1860 ) Ritratto di Giuseppe Garibaldi

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14/12/1957

Centenario della Morte di San Domenico Savio

( Catalogo Unificato: 824 )

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Si potrebbe dire che San Domenico Savio fu il capolavoro pedagogico di San Giovanni Bosco, come Emilio fu il capolavoro pedagogico di Jean Jacques Rousseau. Ma mentre l'Emilio fu un giovane di carta, che visse e vive tra le pagine di un libro, Domenico Savio fu un giovane di carne, che visse bambino tra bambini, adolescente tra adolescenti, fino a che, "maturo per il cielo", non morì quindicenne, in fama di santità.

E' vero che San Giovanni Bosco lo ebbe nel suo Oratorio Salesiano già docile alla Grazia, puro di cuore e di anima luminosa; già disposto alla morte, che alla caduta nel peccato.

Non aveva che sette anni ( era nato da povera famiglia, a Riva di Chieri, nel 1842 ), quando, ammesso per eccezionale privilegio alla Prima Comunione, che a quei tempi veniva quasi sempre concessa oltre i dodici, il piccolo Domenico tracciava, con fanciullesca scrittura, ma con adulta volontà, quello che poi doveva essere il suo motto: "La morte ma non i peccati".

I genitori, i primi maestri, i compagni di giuoco e di scuola, tutti riconobbero in lui uno straordinario candore unito a una meravigliosa capacità nel rendere, anche nelle piccole cose, bene per male. accusato d'un fallo commesso da un altro scolaro, tacque la propria innocenza, prendendo sopra di sé la colpa. E al maestro, che, saputolo poi innocente, gli domandava ragione del suo silenzio, rispose: "Quel mio compagno, essendo già colpevole di altri falli, sarebbe forse stato cacciato dalla scuola. Io invece speravo d'esser perdonato, essendo la prima mancanza di cui venivo accusato". E aggiungeva: "D'altronde, pensavo al nostro Divino Salvatore, ingiustamente accusato".

Perciò, accogliendolo nel suo Oratorio, San Giovanni Bosco s'accorse subito che in quel bambino "c'era buona stoffa". Domenico Savio, con la sua disinvolta e garbata confidenza, chiese al "Santo dei Monelli": "A che potrà servire questa stoffa?". "A fare un bell'abito per regalare al Signore". Il ragazzo colse al volo le parole del santo pedagogista: "Io sono la stoffa, ella ne sia il sarto".

E' nota l'importanza pedagogica di Don Bosco, che fu tra i primi educatori a capire l'importanza del lavoro. Per questi istituì scuole artigianali, nelle quali formò generazioni e generazioni di giovani, nell'amore del lavoro coscienziosamente eseguito. Sono le cosiddette "scuole salesiane", diffuse in tutto il mondo e che tutt'ora portano, anche nei paesi più lontani, l'esempio della serena operosità italiana.

Il giovane Savio fu il modello perfetto dell'educazione salesiana.

Sereno, anzi ilare; cordiale, anzi amabile; affabile, anzi affettuoso, Domenico Savio, anche nei sacrifici e nella mortificazione, mantenne un'incantevole condotta tra i compagni, traendoli al bene e distraendoli dal male.

Seduceva con la sua gentilezza e conquistava con la sua grazia. Aveva un modo di riprendere senza offendere e di ammonire senza umiliare. Due episodi, narrati da San Giovanni Bosco, che fu il primo biografo del suo allievo, danno l'immagine più delicata e più evidente di questo candidato al Paradiso.

Per via, udendo un uomo bestemmiare, gli si avvicinò chiedendogli gentilmente l'indirizzo dell'Oratorio. Il bestemmiatore rispose altrettanto cortesemente, di non saperlo e che gli rincresceva di non potergli fare questo favore. "Me ne potreste fare un altro, -- gli disse allora Domenico Savio, con accento tra d'implorazione e di confidenza, --  cercando, quando siete in collera, di non bestemmiare il santo nome di Dio".

Un'altra volta, un militare, ben stringato nella sua lucente uniforme, non accennava ad inginocchiarsi al passaggio del Santissimo. Il ragazzo si genuflesse accanto a lui, distendendo, muto ma evidente invito, il suo candido fazzoletto dinanzi ai ginocchi del militare impalato.

Primo nelle pratiche devote; primo nei doveri scolastici; primo nella considerazione di Don Bosco e degli altri suoi educatori; primo nell'affetto dei suoi genitori lontani, ma non dimenticati; primo nella simpatia dei compagni, a dodici anni già sapeva di morir presto. Rimase nell'Oratorio soltanto tre anni. Non reggendo più alla vita di studio e di collegio, fu deciso di rimandarlo a Mondonio, dove si era trasferita la famiglia.

Accolse la notizia, che era una condanna, con la consueta docilità, salutando i compagni con un "arrivederci colà dove saremo sempre col Signore". A Don Bosco chiese di metterlo tra coloro per i quali il Santo aveva ottenuto dal Papa indulgenza plenaria "in articulo mortis".

Il maestro glielo promise, con occhio asciutto. Domenico Savio era il capolavoro che gli usciva dalle mani e non si sarebbe mai perduto. Perciò nel libro che scrisse, e che fu il libro di vita, non di dottrina, poté dire: "Egli era maturo pel cielo; nel breve corso di vita erasi già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a sé per liberarlo da pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone".

A casa sua, consolò i genitori. Li invitò a "cantare eternamente le lodi del Signore". Le sue ultime parole furono per il padre, che vedeva troppo addolorato. "Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più ricordarmi. Oh, che bella cosa io vedo mai!".

Era il 9 Marzo 1857, quando il primo giglio dell'Oratorio Salesiano apriva la sua bianca corolla nel giardino dei Santi.

Articolo a firma di Pier Francesco Bargellini, Assessore alla Cultura del Comune di Firenze ( successivamente ne sarà il Sindaco durante l'alluvione del 1966 )

 

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Nell'illustrazione: immagine votiva di San Domenico Savio, tratta dal dipinto di Lorenzo Kirchmayr del 1916. 

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21/12/1957

450° della Morte di San Francesco di Paola

( Catalogo Unificato: 825 )

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Un'anima cristianamente leonina tra l'esercito dei padroni e il gregge dei servi: nata da poveri nella povertà, vissuta sulla riva del mare calabro, tra il ritmico scroscio delle onde sulle scogliere odorose di alghe e l'ampio sbattere delle ali degli uccelli marini in passaggio tra l'azzurro del mare e l'azzurro del cielo.

Dal contatto con "l'universale" il colloquio con Dio e la difesa dei deboli.

Così Francesco chiamò a raccolta i fedelissimi e volle edificare conventi che erano l'asilo dei perseguitati e degli oppressi.

E un giorno, per rispondere ad un invito che gli veniva da lontano, cominciò la fabbrica di un convento in Castellammare di Stabia. Parve un atto di estrema ribellione. Fu riferito a Ferdinando I°, Re di Napoli, che Francesco era un sovvertitore del popolo fino al punto di minacciare l'autorità regia e che la sua tracotanza era tale da costituire un serio pericolo per il regno, così che egli edificava uno dei suoi conventi vicino al palazzo del Re in atto di suprema sfida.

Ferdinando I°, che già mordeva il freno come davanti ad un nemico temibile, ascoltò le accuse, a esse diede credito, e comandò a un buon numero di soldati la cattura di Francesco nel Convento di Paterno, mentre pubblicava un editto che imponeva la demolizione di tutti i Monasteri dei Minimi e la dispersione dei frati.

Ed ecco gli assoldati del Re in marcia verso il paesello calabrese. Essi entrano con l'infuriare della raffica nella romita chiesa campestre. Il Santo è lì, in un angolo: prega, e la preghiera è forse l'attesa dell'azione -- si macera, e il cilizio è forse la preparazione di una battaglia imminente. Ha gli occhi rivolti al cielo, le mani congiunte, le ginocchia piegate: in tutta la persona ha l'impronta della della verità solitaria -- quella stessa che è nel corpo di Cristo quando egli va nel deserto e va dalla moltitudine alla solitudine. I soldati piegano le armi, lasciano il tempio, gridano il nome di Francesco alle mamme benedicenti e al sovrano umiliato.

Miracolo celeste o umana virtù? Una cosa è certa: il privilegio di un anima luminosa nelle ombre di tante anime opache!

Regnava in Francia Luigi XI°, Re tiranno, circondato da uomini incanagliti in una vita di furfanterie. Le sue armi erano il capestro e la scure, la sua insegna era l'odio. Ma un giorno egli fu colpito da una congestione celebrale e concepì l'ardentissimo desiderio di avere alla sua corte il frate calabrese. Perciò si affrettò a mandare un gentiluomo come inviato straordinario al Re di Napoli perché questi ordinasse al suo suddito di andare in Francia per ridare la salute al Re con un miracolo.

E l'ordine venne: fu gentile in apparenza, pieno di finto ossequio e di codarda lode. Ferdinando d'Aragona era lieto del desiderio espresso da Luigi di Francia, poiché da una parte gli premeva fare a questi cosa gradita, dall'altra si sarebbe liberato di un uomo del quale temeva il dominio sull'animo dei calabresi.

 Il Santo ebbe accoglienze trionfali nella Corte di Napoli e in quella di Francia, e l'una e l'altra segnarono due gesti che dovevano passare alla storia civile e religiosa del mondo.

Nella Corte di Napoli Francesco rifiutò un vassoio di monete d'oro e lanciò al Re come una sfida le parole riferite da qualcuno dei presenti: "Coteste monete sono fatte del sangue del popolo, Sire. Il vostro governo non piace a Dio, non è accetto agli uomini. L'adulazione dei vostri cortigiani non fa giungere fino a voi la voce di dolore dei popoli oppressi".

Nella Corte di Francia, al Re che scongiurava di guarirlo, Francesco espresse il pensiero tradotto più tardi con le parole che si leggono nell'atto IV del "Luigi XI" di Casimiro Delavigne: "Sire, non vi è alcun rimedio per voi; alleggerite il Regno delle tante oppressioni, restituite ai sudditi ciò che ad essi avete prepotentemente tolto, se volete che Dio, usando con voi misericordia, vi conceda alfine quella grazia che non sapeste acquistare in tutto il tempo della vostra vita".

Victor Hugo, il genio multanime di Francia, allorquando dovette ritrarre un asceta il quale avesse nel cuore la fiamma dell'amore per tutte le cose e tutti gli uomini, ritrasse la figura del Santo di Paola.

La Francia non manca di grandi Santi: ha sugli altari immagini venerande e pie figure di asceti e missionari.

Ma Victor Hugo ritrae la figura del monaco nato dal mare calabro, vissuto fra le querce e gli spiganardi di terra bruzia. Nel mondo dei vivi e nel mondo dei morti, nelle basiliche ornate dai secoli e nelle chiese svettanti nell'azzurro, egli vede la mente e l'anima di Francesco di Paola. La religione di Cristo, che mosse dalla casa operaia di Nazareth, e si diffuse nelle terre assolate dell'universo, e ovunque ebbe folla di seguaci: asceti nella foreste, monaci nei cenobi, santi sulle montagne; quella religione che espresse dal suo tormento la parola fondamentale di Paolo e il verbo altissimo di Agostino, fu rappresentata nell'arte magica di Victor Hugo da Francesco di Paola.

Il Santo calabrese veglia sui marinai d'Italia: nelle albe che sorgono, nei tramonti di sangue, nelle notti di stelle, o che d'attorno sia la coltre del silenzio o che da lontano si intraveda rigoglio di natura e fervore di viventi, gli uomini del mare, quando l'ora è solenne levano in alto i pavesi sui pennoni delle loro navi e pronunziano il nome dell'invocato protettore.

Articolo a firma di Gennaro Cassiani, Ministro della Marina Mercantile.

 

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Alessandro Gherardini ( 1711 ) San Francesco di Paola attraversa lo Stretto di Messina

Volterra - Chiesa di San Filippo Neri

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01/02/1958

Impianti Idroelettrici del Flumendosa

( Catalogo Unificato: 826 )

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Il complesso del Flumendosa interessa 130 mila ettari di terreno che si identificano con il cosiddetto "Campidano", la più vasta pianura della Sardegna, seconda nell'Italia meridionale soltanto al Tavoliere delle Puglie.

Soggetto alla influenza prevalente delle correnti calde provenienti dall'Africa, il Campidano presenta il più basso indice di precipitazioni piovose dell'Isola, a cui si accompagnano venti persistenti e punte di calura singolarmente elevate. La prevalenza del carattere torrentizio dei corsi d'acqua da cui il territorio è interessato è causa principale del disordine idraulico della piana e delle conseguenti gravi forme di endemia malarica che nei secoli hanno letteralmente flagellato la popolazione

In contrasto con queste gravissime circostanze che hanno tradizionalmente immiserito il territorio influenzando negativamente l'economia dell'intera Isola, sta il fatto che proprio nei terreni del Campidano si riscontrano elementi per un'alta suscettività agricola. Tenuto conto, quindi, delle scarse possibilità che, sotto tale profilo, presenta invece il resto della Sardegna, è evidente l'importanza del vantaggio ottenibile dall'intervento di una razionale bonifica irrigua.

Questa, peraltro, si rivelava possibile soltanto col trasferire nel Campidano le acque del pur lontano bacino del Flumendosa, creando mercé imponenti e ardite opere un fiume che venisse a ristorare ed a rendere possibile l'irrigazione della pianura con una notevole portata d'acqua, che è stato possibile concretare in ben 50 metri cubi al minuto secondo. Oltre alla finalità principale dell'irrigazione, l'opera viene ovviamente a servire anche quelle accessorie, ma non meno importanti sotto il profilo tecnico, economico e sociale, di assicurare a molti centri abitati, fra cui la stessa città di Cagliari, acqua potabile ed energia elettrica, e si verrà, infatti, in tal modo, a servire non meno di 300 mila abitanti, disponendo peraltro di 100 milioni di Kwh l'anno.

Le caratteristiche generali dell'opera si sintetizzano in cifre veramente colossali: 3 invasi maggiori e 5 minori per una complessiva capacità di 910 milioni di mc. di acqua; 3 gallerie di collegamento e adduzione per la lunghezza di 22 chilometri; 300 chilometri di canali principali, 4000 di secondari e 5000 chilometri di rete di distribuzione.

La spesa totale a carico dello Stato è prevista in 106 miliardi di lire e in 51 miliardi quella a carico della proprietà privata beneficiaria. Il completamento dell'opera, a cui presiede l'Ente Autonomo del Flumendosa ( costituito con il Decreto Legislativo 7 Maggio 1946, n. 498 ) con l'assistenza tecnica e finanziaria della Cassa per il Mezzogiorno è previsto per il 1977.

Le realizzazioni fin qui compiute rappresentano una aliquota già molto notevole del piano totale ed investono il complesso idraulico fondamentale del Flumendosa. Sono, infatti, ormai completate le due grandi dighe sul Flumendosa  e sul Mulargia e le gallerie di collegamento fra questi due grandi serbatoi, quella di derivazione verso il Campidano e il grande canale adduttore fino al salto idroelettrico di San Miali. L'impegno finanziario di 23 miliardi di lire, per l'80% già erogati, costituisce il più rilevante finora richiesto da un complesso di bonifica del Mezzogiorno.

L'importanza dell'opera e le sue più che cospicue finalità economiche e sociali, nonché l'arditezza delle soluzioni date ai problemi tecnici che progettisti e costruttori hanno dovuto affrontare, fanno del complesso del Flumendosa un autentico simbolo del poderoso rinnovamento intrapreso dalla democrazia italiana per la redenzione del Mezzogiorno.

Articolo a firma di Pietro Campilli, Ministro per la Cassa del Mezzogiorno.

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16/04/1958

100° Prima Apparizione della Vergine a Bernadette

( Catalogo Unificato: 827/828 )

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L'11 Febbraio scorso si son compiuti 100 anni dalle apparizioni di Lourdes, le più famose tra quelle avvenute in questo periodo, a cui la pietà verso la Vergine Madre di Gesù ha dato una caratteristica mariale.

A Lourdes, una cittadina francese di 4000 abitanti sugli Alti Pirenei, e precisamente nella grotta di Massabielle, l'11 Febbraio 1858, una contadinella quattordicenne, Bernadette Soubirous, mentre raccoglieva legna, si vide apparire "una giovane e bella signora", vestita di bianco con una fascia azzurra e un rosario.

La ragazza, a quella vista, cadde in ginocchio, estrasse la corona e si mise a pregare. La signora sorrise e alla fine, senza parlare, disparve. Le riapparve però altre volte, sino al 16 Luglio: in tutto 18.

In una di queste la signora invitò Bernadette a bere a una fonte, scaturita d'improvviso nella grotta; in un altra le disse di recarsi dal parroco e chiedergli d'erigere una cappella su quel luogo; in un'altra le dichiarò il proprio nome, dicendo: "Io sono l'Immacolata Concezione": parole, dalle quali Bernadette non capiva il significato al punto che di corsa, appena uditele, si mise a risalire al paese ripetendole tra sé e sé innumerevoli volte, per non scordarle e riferirle al parroco. Frattanto s'era sparsa la voce e via via gruppi di persone, sino a un migliaio, avevano preso ad accompagnare Bernadette nei suoi incontri con la Vergine: ma, all'infuori di lei, nessuno vedeva e sentiva nulla. Tutti vedevano però che la fanciulla s'illuminava estatica.

Il clero locale, sul principio, fu scettico e anche ostile. Il parroco Peyramale, burbero e dubbioso, sottopose la ragazza a stringenti interrogatori; ma, di fronte a tanta candidezza e al tenore delle rivelazioni, cedette. Sopra tutto fu colpito da quelle parole, di cui egli capiva bene il significato: "Io sono l'Immacolata Concezione". Proprio quattro anni innanzi, nel 1854, Pio IX° aveva proclamato il Dogma dell'Immacolata Concezione.

Il vescovo della diocesi, dopo 4 anni d'indagini severe, riconobbe la realtà delle apparizioni; e il parroco costruì sul luogo una basilica. Dal 1873 s'iniziarono i pellegrinaggi "nazionali", mentre d'anno in anno si dilatava la fama dei miracoli compiuti alla grotta, al contatto dell'acqua prodigiosamente sgorgata. Infermi d'ogni parte del mondo affluivano, e affluiscono; e migliaia di essi sono miracolosamente guariti. Il carattere straordinario delle guarigioni è scientificamente constatato da un ufficio di medici ( Bureau des constatation médicales ). Nel primo cinquantennio almeno 4000 di tali guarigioni furono accertate dal Bureau con documentazione messa a disposizione di qualunque medico. Tra i clinici più commossi fu Alexis Carrel.

Anche chi non riceve il miracolo della cura fisica, riceve di solito i doni d'una fede che si fa rassegnazione e forza: riporta da Maria sicurezza e gioia.

Tutta la vicenda di Lourdes presenta i tratti della paradossale novità dei grandi eventi cristiani: che tutto questo movimento di masse attorno a una grotta montana fu provocato da una ragazza ignara e ignota, mentre l'empito della devozione verso la Vergine, contemplata nell'immacolatezza del suo concepimento, significa una reazione della purezza, della povertà e della semplicità contro l'invadenza mortifera della lussuria, dell'odio di classe e dello scetticismo.

Da Lourdes, attorno a quella "giovine e bella signora", vergine e madre, si dilata da un centennio, la poesia casalinga e verginale, di cui più aveva bisogno il mondo del materialismo ideologico e tecnologico.

Articolo a firma di Igino Giordani, scrittore.

 

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Giuseppe Obici ( 1857 ) Madonna dell'Immacolata Concezione

Roma - Piazza Mignanelli

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09/05/1958

Decennale della Costituzione Italiana

( Catalogo Unificato: 829/831 )

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La data della promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana assume una grande importanza storica e dev'essere celebrata nel suo decimo anniversario quale data delle rivendicazioni politiche e sociali di un popolo libero che, conscio delle proprie tradizioni e consapevole della propria maturità, riconosce a se stesso la titolarità dei poteri sovrani.

Proclama infatti la Costituzione che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, appartenendo la sovranità al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione medesima. Pone la regola basilare che lo Stato deve garantire la personalità umana e la dignità sociale dei cittadini i quali sono tutti uguali di fronte alla legge, e hanno tutti il diritto al lavoro ed il dovere di svolgere , secondo le proprie possibilità e la propria inclinazione, un'attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme ed applicazioni e deve essere curata la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Sulla base del principio dell'umana solidarietà, la Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto di partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, libero essendo ciascuno di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Col principio dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica si concilia armonicamente ed organicamente quello delle autonomie locali e del decentramento amministrativo in larga scala, per rendere i servizi più agili e maggiormente rispondenti alle pubbliche esigenze.

La Carta Costituzionale afferma l'indipendenza dei tre poteri fondamentali dello Stato nell'ambito della rispettiva competenza, ma ne disciplina sapientemente il coordinamento fra di essi in modo da evitare che dalla distinzione e indipendenza di organi e funzioni resti in alcun modo menomata l'unità organica dello Stato, al cui vertice è il Presidente della Repubblica che rappresenta l'unità nazionale.

Affermando che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, la Costituzione tutela la pace religiosa cui sono intimamente connessi il pieno riconoscimento e la garanzia dei valori dello spirito.

Ripudiata dalla Costituzione Italiana la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, l'Italia, consentendo in condizioni di parità con gli altri Stati alle necessarie limitazioni di sovranità, si è inserita fra i popoli che tendono a garantire la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Il decimo anniversario della Costituzione trova la sua migliore e sostanziale celebrazione nel richiamo a tutta un'attività legislativa in corso per la sua piena attuazione. Basti accennare che da oltre un anno è in funzione la Corte Costituzionale, nuovo Organo Supremo cui sono affidati il controllo della legittimità costituzionale delle leggi e la risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono sorgere tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni; e che in data 27 Dicembre scorso è stato costituito il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, il quale, attraverso la consulenza alle Camere e al Governo e mercé l'uso della facoltà di iniziativa nel campo legislativo, può dare un valido contributo all'elaborazione della legislazione economica e sociale.

Articolo a firma di Guido Gonella, Ministro di Grazia e Giustizia.

 

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Nell'illustrazione: la prima pagina dell'originale della Costituzione, custodito presso l'Archivio Storico della Presidenza della Repubblica Italiana.

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12/06/1958

Esposizione Universale di Bruxelles

( Catalogo Unificato: 832 )

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Da maggio ad ottobre ha luogo a Bruxelles una grande esposizione universale ed internazionale che, per la grandiosità di concezione e la ricchezza e genialità con cui è stata realizzata, riuscirà certamente la più importante fra le manifestazioni del genere finora organizzate nel mondo. Il simbolo dell'Esposizione è l'"Atomium" ( che riproduce in forma gigantesca i nove atomi di un cristallo elementare di ferro ), richiamo e sintesi di un'epoca che sarà dominata dall'energia nucleare. Ma se questo è il contrassegno dinamico della mostra di Bruxelles, essa si propone anche e specialmente uno scopo sociale e spirituale di profondo significato, ricordare cioè ed illustrare le iniziative di carattere economico-sociale attuate in tutti i Paesi civili per la protezione e lo sviluppo della personalità umana, ed il miglioramento delle condizioni generali della vita, nonché i progressi che nello stesso campo sono stati compiuti grazie all'istituzione ed all'attività dei grandi organismi di cooperazione e collaborazione internazionale; presentare in tal modo una specie di bilancio del mondo attuale e ricercare ed indicare la strada per la realizzazione di un mondo migliore.

L'Italia è presente alla grandiosa manifestazione di Bruxelles, ed ha inteso portarvi un contributo positivo di opere ed idee, rispondendo al tema ed allo spirito dell'Esposizione in maniera fedele al suo secolare senso di equilibrio e di concretezza, e con un linguaggio di sincerità e semplicità come è nell'indole e nella tradizione del nostro popolo. Nel padiglione italiano, che volutamente rifugge da virtuosismi architettonici e da elementi audaci, viene presentato l'aspetto sereno ed operoso di un paese che dimostra e conferma, dopo millenni di esperienze e di storia, la sua dignità e la sua vitalità, di un popolo che ha dato alla civiltà ed al progresso più di quanto abbia ricevuto. E nell'ordinamento generale del Padiglione e nella sequenza degli oggetti che vi sono esposti gli organizzatori hanno cercato di attuare il filo logico che un viaggiatore attento ed acuto seguirebbe mentalmente nel vedere, considerare, giudicare ed ammirare l'Italia ed il suo popolo: dapprima il paesaggio, l'ambiente naturale, la sua storia con i suoi miti ed i suoi personaggi; poi l'uomo italiano , vivo, attivo, laborioso, capace di distinguere e valutare le più svariate aspirazioni d'ordine intellettivo e d'ordine mentale, sicché da esso nascono egualmente i grandi scienziati, gli artisti, i miracolosi artigiani, gli industriosi operai; poi ancora le sue istituzioni civili ed economiche, ed infine il mondo vivo dell'industria e dei traffici, con i suoi numerosi, instancabili, impareggiabili collaboratori tecnici e manuali.

L'Italia partecipa egualmente in maniera adeguata ed efficiente alle mostre internazionali specializzate dedicate alle scienze, alle arti, alle ferrovie, ed all'impiego pacifico dell'energia nucleare. La partecipazione dell'Italia vuole così rappresentare in maniera fedele e sia pure in larghe sintesi, il volto dell'Italia di oggi, in maniera da offrire ai milioni di visitatori dell'Esposizione gli elementi di valutazione, di giudizio e di raffronto, con il risultato che ci auguriamo positivo per il nostro Paese.

Articolo a firma di Pasquale Diana, Commissario del Governo all'Esposizione Universale di Bruxelles.

 

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10/07/1958

Centenario della Nascita di Giacomo Puccini

( Catalogo Unificato: 833 )

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Giacomo Puccini è l'operista italiano più applaudito ed ammirato dopo Giuseppe Verdi. Le sue opere hanno avuto migliaia di rappresentazioni ed oggi, a cento anni dalla sua nascita, egli è vivo, più che mai, nei cuori del pubblico di tutto il mondo.

Nacque a Lucca il 23 Dicembre 1858 da Michele Puccini e da Albina Magi, appartenente alla sesta generazione di una stirpe di musicisti. Un suo antenato, il primo Puccini musicista, visse nel secolo XVIII e si chiamava appunto Giacomo; poi, di padre in figlio, si giungeva a Michele, da cui nacque Giacomo. Michele Puccini si distinse anche nel campo didattico e scrisse un'opera teatrale, Giovanni Battista Cattani ovvero La Rivoluzione degli Straccioni.

Giacomo Puccini cominciò dallo studio dell'organo e si diede, sul principio, ad occuparsi di musica sacra. Era stato avviato allo studio della composizione musicale dal maestro Angeloni, allievo di suo padre; in seguito si trasferì a Milano dove studiò, in quel conservatorio, col Bazzini e col Ponchielli ed ebbe condiscepolo Pietro Mascagni.

La sua prima opera teatrale, Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana, fu presentata senza fortuna, nel 1884, al concorso del Teatro Illustrato, ma il 31 Marzo dello stesso anno veniva accolta con favore dal pubblico del Teatro Dal Verme. Meno fortunata fu la sua seconda opera Edgar ( dal De Musset ), su libretto dello stesso Fontana, rappresentata alla Scala di Milano il 21 Aprile 1889.

Con Manon Lescaut ( Teatro Regio di Torino, 1893 ) su libretto in collaborazione di M. Praga - D. Oliva - L. Illica e G. Ricordi, la personalità di Puccini si rivela nei suoi tratti inconfondibili. E' calore e fascino di canto, quel penetrare nei cuori con vibrazioni commosse, il riuscire immediatamente vivo e seducente onde il personaggio appare nella pienezza del sentire e del patire.

Dalla Manon Lescaut in poi l'arte di Puccini percorre, senza arresti, le vie della fortuna. La Bohéme ( da Murger ) su libretto di G. Giacosa e L. Illica, apparsa al Regio di Torino il 1° Febbraio 1896, per schiettezza d'ispirazione e originalità d'accento, può considerarsi il suo capolavoro. Il personaggio di Mimì è un'autentica creazione della musica pucciniana.

Con la Tosca ( da Sardou ) su libretto degli stessi, la popolarità del Maestro cresce e si conferma. Apparsa al Teatro Costanzi il 14 Gennaio 1900, continuò a tenere le scene con ininterrotto successo. Né minore fortuna doveva arridere  a Madama Butterfly la quale, nonostante le accoglienze ostili incontrate alla Scala il 17 Febbraio 1904, dopo un opportuno rimaneggiamento, trionfò al Teatro Grande di Brescia nel Maggio di quello stesso anno per raggiungere, in seguito, una popolarità non inferiore a quella di La Bohéme e di Tosca.

In seguito Puccini continuò a produrre sempre con fortuna. Vengono, in ordine di tempo, La Fanciulla del West su libretto di G. Civinini e C. Zangarini ( Teatro Metropolitan di New York, 1910 ); La Rondine su libretto di G. Adami ( Teatro di Montecarlo, 1917 ); Il Trittico, comprendente Il Tabarro, su libretto di G. Adami, Suor Angelica e Gianni Schicchi, su libretto di Gioacchino Forzano, quest'ultima una vivace commedia che può considerarsi a buon diritto il più bel libretto d'opera buffa italiana ( T. Metropolitan, 1918 ).

Ma la salute del Maestro vacillava, minacciata da morbo inguaribile. Mancato ai vivi il 29 Novembre 1924, non poté recare a termine l'opera Turandot che, ultimata nel finale da Franco Alfano, fu rappresentata postuma alla Scala di Milano il 25 Aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini.

A Puccini si deve anche il bello Inno a Roma, su versi di Fausto Salvatori, eseguito la prima volta allo Stadio di Roma il 2 Giugno 1919.

Articolo a firma di Guido Pannain, compositore.

 

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Milo Manara - Madama Butterfly

 

Un bel dì, vedremo
Levarsi un fil di fumo
Sull'estremo confin del mare
E poi la nave appare
Poi la nave bianca
Entra nel porto
Romba il suo saluto
Vedi? È venuto!
Io non gli scendo incontro, io no
Mi metto là sul ciglio del colle e aspetto
E aspetto gran tempo
E non mi pesa
La lunga attesa
E uscito dalla folla cittadina
Un uomo, un picciol punto
S'avvia per la collina
Chi sarà, chi sarà?
E come sarà giunto
Che dirà, che dirà?
Chiamerà Butterfly dalla lontana
Io senza dar risposta
Me ne starò nascosta
Un po' per celia
E un po' per non morire
Al primo incontro
Ed egli alquanto in pena
Chiamerà, chiamerà
"Piccina, mogliettina
Olezzo di verbena"
I nomi che mi dava al suo venire
Tutto questo avverrà, te lo prometto
Tienti la tua paura
Io con sicura fede l'aspetto

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