Vai al contenuto
IGNORED

I Bollettini Illustrativi della Repubblica Italiana


Baylon

Risposte migliori

Supporter

10/07/1958

Centenario della Nascita di Ruggero Leoncavallo

( Catalogo Unificato: 834 )

Francobollo.thumb.jpg.00ff0db76c8fdbd1f3310bb8d58a6d3c.jpg

Ruggero Leoncavallo fu operista popolare e fecondo, schietto discendente della tradizione melodrammatica italiana.

Nacque a Napoli l'8 Marzo 1858, morì a Bagni di Montecatini il 9 Agosto 1919. Condusse gli studi musicali nel Conservatorio in San Pietro a Maiella e nel 1877 si trasferì a Bologna dove seguì le lezioni del Carducci in quella Università. Ivi terminò la sua opera "Chatterton" ( da De Vigny ) alla quale, come altre in seguito, provvide da sé come librettista.

Costretto, per necessità economiche, a lasciare l'Italia, svolse attività di pianista, come accompagnatore di musica leggera; prima in Egitto, poi in Francia dove, a Parigi, gli arrise migliore fortuna. Il Massenet, tra l'altro, gli fu prodigo di consigli e di incoraggiamento.

Intanto lavorava, in versi e in musica, all'opera "I Medici" che doveva far parte di una trilogia d'argomento storico. Ma il suo nome divenne famoso per il grande successo riportato dall'opera "Pagliacci" apparsa per la prima volta al Teatro Dal Verme di Milano sotto la direzione di Arturo Toscanini, nel 1892. In essa il Leoncavallo rivelò temperamento di musicista passionale d'un tragico realismo che conquistò senz'altro il favore del pubblico, in Italia e fuori.

Il trionfale incontro dei "Pagliacci" gli consentì di portare alla scena le opere composte in precedenza: "I Medici" ( Milano, Teatro Dal Verme 1893 ) e "Chatterton" ( Roma, Teatro Nazionale 1896 ).

Nella sua produzione merita particolare rilievo "La Boheme", rappresentata a Venezia nel 1897, contemporanea di quella di Puccini che l'aveva preceduta di un anno. Particolarmente nel primo e secondo atto il Leoncavallo seppe raffigurare, con vivaci colori, la drammatica giocondità dei bevitori d'acqua, quella spensieratezza solcata di nascoste malinconie che si effonde in sapidi ritmi di danza, venati di canto.

Ebbe un fervido ammiratore nell'Imperatore di Germania Guglielmo II° che lo esortò a scrivere un'opera d'argomento storico tedesco, e precisamente "Rolando di Berlino", tratta da un romanzo di Alexis Willibald. La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro di Corte di Berlino il 13 Dicembre 1904. L'altra sua opera, "Zazà", rappresentata a Milano nel 1900 segno un nuovo successo popolare che doveva rinnovarsi cinque anni dopo a Parigi.

Vanno altresì ricordate le opere "Maia" ( Roma 1910 ) e "Zingari" ( Londra 1912 ). Vagheggiò un tipo di operetta italiana ed anche in questo campo riportò feleci successi specialmente con "Malbruck", su libretto di A. Nessi ( Roma, Teatro Nazionale 1919 ), "La Reginetta delle Rose", su libretto di Gioacchino Forzano ( Roma, ivi 1912 ), "La Candidata", anche su libretto di Forzano ( 1915 ). Le sue ultime opere furono "Goffredo Mameli", su libretto di Gualtiero Belvederi ( Genova 1916 ), "Edipo Re", su libretto proprio ( Chicago 1920 ). Si conosce di lui anche una popolarissima e diffusa "Mattinata" per canto e pianoforte.

Articolo a firma di Guido Pannain, compositore.

 

2135572463_IPagliacci.jpg.ae574ae453f55cfa4181786d322d8456.jpg

Nell'illustrazione: la copertina del libretto dell'opera "Pagliacci", tema ripreso nell'emissione e che raffigura il pagliaccio mentre si presenta al pubblico a sipario chiuso, tratta da un fatto di cronaca realmente accaduto, in cui il papà di Leoncavallo ebbe un ruolo in questa vicenda, essendo il magistrato che condannò i colpevoli del reato di cui erano imputati.

 

  • Mi piace 1
Link al commento
Condividi su altri siti


  • 2 settimane dopo...
Supporter

07/08/1958

Centenario della Nascita di Giovanni Segantini

( Catalogo Unificato: 835 )

1818054325_GiovanniSegantini.thumb.jpg.0c7246e1b93c3ed2dc0109673b4431ae.jpg

Nato ad Arco di Trento, il 15 Gennaio 1858, morto sullo Schafberg, in Engadina, il 28 Settembre 1899, fu artista di alto e complesso ingegno rivolto con estrema volontà a perseguire il difficile cammino che si era imposto.

La sua figura di pittore di alta montagna, sempre a contatto con gli spettacoli grandiosi delle cime nevose, degli alti pascoli dominati dal silenzio misterioso della natura, ebbe ancor più dalla morte tra le cime alpine un risalto quasi leggendario che si accompagna alla fermezza della sua pittura e alla tenacia delle sue ricerche.

Il nome di Segantini è legato al "divisionismo", tecnica della pittura a colori separati, che egli venne maturando attraverso le prime esperienze quando ancora frequentava la scuola serale dell'Accademia di Brera. Le sue origini umili ( il padre era falegname ) e la morte prematura della madre contribuirono a sviluppare la sua personalità in un isolamento pensoso, sostenuto da una eccezionale forza di volontà e da un tenace spirito di indipendenza.

Dopo aver appartenuto all'ambiente artistico milanese, dove fu amico di Vittore Grubicy che lo incoraggiò e lo aiutò a far conoscere i suoi quadri, Segantini si stabilì in Brianza nel 1881 dove, tra l'altro, dipinse alcune delle sue tele più conosciute:  la prima versione dell' "Ave Maria a Trasbordo", "La Tosatura delle Pecore" e il grande quadro "Alla Stanga" della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. ma la sua arte, nell'ispirazione a rendere sempre più limpidamente il paesaggio di montagna, lo spinse a Savognino e nel cuore delle Alpi dove i suoi colori si fanno più nitidi e il "divisionismo" assume carattere definitivo: è il tempo dei due celebri quadri "Le Due Madri" e della "Aratura".

Nel 1894, tutto preso dal fascino dei ghiacciai e dagli effetti della luce senza sfumature sulle alte cime, sale al Maloia dove dipinge, quasi isolato dal mondo, a contatto con la semplice e silenziosa gente delle baite e delle rare fattorie di montagna. Nella sua arte, tutta protesa a strappare il segreto di quel fascino che l'aveva attratto in luoghi così impervi e lontani dalla comune vita sociale, vanno, in questo ultimo periodo, maturandosi idee e concetti simbolici attorno ai quali il Segantini lavora disegnando e dipingendo febbrilmente: gli stessi soggetti sono spesso complicati da idee allegoriche che si riflettono nei titoli dei quadri come: "L'Amore alle Fonti della Vita", "L'Angelo della Vita".

Sembra quasi che l'equilibrio tra verismo e fantasia poetica, che l'artista aveva raggiunto nei quadri precedenti, venga ad essere turbato dall'intellettualismo contenuto nei temi di fantasia che egli tratta, pittoricamente, con mezzi veristici: intanto il pittore si mostra insoddisfatto della grandezza delle sue tele, vorrebbe realizzare addirittura un panorama di montagna da sistemare in un apposito edificio completamente circondato da un'unica pittura; ma, di quando in quando, pur nell'inseguire questi suoi sogni oltre i limiti dell'arte, spinto dalla generosa ricchezza del suo temperamento, egli crea ancora quadri e studi di grande efficacia.

Drammatica testimonianza della sua morte improvvisa avvenuta in alta montagna, in Engadina, è un grande trittico lasciato incompiuto: "La Vita, La Natura, La Morte", dove la pittura, resa essenziale dalla ricerca d'una semplicità grandiosa e suggestiva, sembra sconfinare nella poesia o nella musica.

Articolo a firma di Valerio Mariani, Storico dell'Arte

 

1138429445_AveMariaaTrasbordo.thumb.jpg.48947fff34144a80aa2df8a3efbf0992.jpg

Giovanni Segantini ( 1886 ) Ave Maria a Trasbordo

( 2° Versione )

Saint Moritz - Museo Segantini

Ritratto.thumb.jpg.2bb6e3151caeb7b9019024b1d0c21547.jpg 

Link al commento
Condividi su altri siti


Supporter

07/08/1958

Cinquantenario della Morte di Giovanni Fattori

( Catalogo Unificato: 836 )

1919775358_GiovanniFattori.thumb.jpg.c0eed249a4cdeb8d7cc5e11d01eb2c4e.jpg

Nato a Livorno il 25 Settembre 1825 e morto a Firenze il 30 Agosto 1908 è certamente uno dei maggiori pittori dell'Ottocento, non soltanto italiani. Figlio di umile gente l'artista conservò sempre il suo innato carattere semplice, piuttosto estraneo agli atteggiamenti culturali del suo tempo.

A venti anni si trasferì a Firenze, all'Accademia delle Belle Arti: ma iniziò subito quelle assidue ricerche dal vero che dettero un'impronta di schiettezza nuova a tutta la sua arte; disegnava quotidianamente gruppi di contadini o scene di mercato intensificando però la sua naturale forza lineare con studi dagli affreschi di Masaccio e di altri maestri del Quattrocento fiorentino.

Nel 1848 e nel 1849 partecipò ai moti del Risorgimento e da questi contatti con la vita dei combattenti nacque in lui l'interesse per le scene militari che dipinse, tuttavia, sempre direttamente dalla realtà, senza retorica, con la stessa forza realistica con cui ritrasse contadini al lavoro nei campi e butteri a cavallo nella desolata Maremma.

Si fondava, allora, a Firenze, il gruppo dei "Macchiaioli" che prese nome dalla "macchia" pittorica, rivolta all'impressione diretta del colore all'aria aperta entro i limiti d'un disegno sintetico ed efficace: il Fattori ne fu la figura più eminente e personale anche se non fu tra i più assidui frequentatori di quel "Caffè Michelangiolo" dove si ritrovavano gli artisti più liberi e geniali, da Signorini a Lega, da Cecioni a De Tivoli, Sernesi, Abbati e Nino Costa, romano, che per primo efficacemente convinse il Fattori ad abbandonare gli ultimi residui di romanticismo per darsi completamente alla pittura dal vero.

Dichiarato vincitore, nel 1862, del concorso bandito dal Governo Toscano, divenne subito noto con il quadro "Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta" ( Firenze: Galleria d'Arte Moderna ). Dipingeva gli studi di campagna su piccole tavolette spesso ricavate da scatole di sigari lasciando, talvolta, scoperte, qua e là, le venature del legno che danno ai suoi dipinti carattere scabro ed immediato.

Numerosissimi i suoi quadri nei quali si alternano soggetti campestri e militari, senza distinzione di stile e di fattura, sempre ugualmente semplici e grandiosi.

Dipinse anche vigorosi ritratti tra i quali, tra i più noti, sono "La cugina Argia" ( Firenze: Galleria d'Arte Moderna ) e l' "Autoritratto" bellissimo che lo rappresenta già vecchio, nel suo studio, sullo sfondo di quadri e cavalletti come ce lo descrive Ardengo Soffici nei suoi "Ricordi di vita artistica e letteraria" che l'andò a trovare da giovanissimo e ne ebbe: "una nobile lezione di bontà, di operosità geniale, di semplice sincerità e di disinteresse".

Anche quando gli fu riconosciuta la sua forte e originale personalità, Giovanni Fattori rimase fedele alla sua modesta ed appassionata vita di pittore completamente rivolta ad esaltare la poetica grandezza della campagna toscana, l'operosa vita della gente nei campi, la severa esperienza delle armi.

Senza essere incisore di mestiere, tradusse i suoi disegni nell'acquaforte, rivelando quelle singolari doti grafiche che lo sostennero nella tenace affermazione d'una nuova pittura.

Articolo a firma di Valerio Mariani, Storico dell'Arte.

 

Autoritratto.thumb.jpg.044e982feee14ed1e262c2f3437dfffb.jpg

Giovanni Fattori ( 1894 ) Autoritratto

Torino - Galleria d'Arte Moderna

944728082_BattagliadiMagenta.jpg.4f9c223f5fe118b62d294f1104141e78.jpg

Giovanni Fattori ( 1862 ) Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta

Firenze - Galleria d'Arte Moderna

Link al commento
Condividi su altri siti


  • 3 mesi dopo...
Supporter

23/08/1958

Amicizia Italo - Brasiliana

Visita del Presidente Gronchi in Brasile

( Catalogo Unificato: 837 )

604050140_AmiciziaItalo-Brasiliana.thumb.jpg.81e2169b5a805c834fb050529d653cf7.jpg

 

E' stato da taluno ripetuto, anche in occasione recente, che il Brasile " è nato a Roma ".

L'affermazione ha le sue valide ragioni. In quel periodo della storia del mondo che sembra oramai favoloso, nel quale interminati spazi ancora ignoti o malnoti si offrivano ai bisogni dell'uomo ed erano sufficienti, per farne conquista, l'ardimento di un navigatore o il coraggio di un condottiero, bastava infatti ad un Pontefice romano tracciare da polo a polo una linea sopra un'approssimativa carta geografica, per dare a due Re cattolici il diritto di assicurare parti rilevanti di quegli spazi alla loro corona. Il 4 Maggio del 1493, a un anno appena di distanza dalla memorabile scoperta di Colombo, fu Papa Alessandro VI a tracciare, nelle adorna stanze del Vaticano, quella linea ( la famosa "raya" ) per evitare un conflitto tra la Spagna ed il Portogallo, stabilendo un confine tra le sfere dei rispettivi interessi dei due stati.

Navigando al di là di questo confine ideale, giù rettificato nel 1494 col Trattato di Tordesillas, il primo dei trattati per il dominio del mondo da Lui battezzato "nuovo", Amerigo Vespucci scopriva, nel Giugno del 1499, entro lo spazio attribuito al Portogallo, il Brasile.

Lenti furono i progressi che il Brasile poté compiere nei primi secoli della sua storia, limitata come era l'occupazione portoghese alla costa e lasciato l'interno, chiuso nel feudalesimo delle capitanìe, alle sole epiche imprese dei bandieranti ed allo zelo religioso dei missionari.

Ancora intorno al 1920, del resto, commentando la Conferenza di Genova, uno scrittore brasiliano, Manoel Bernardes, chiamava il suo paese ( questa sconfinata distesa di terre più grande dell'intera Europa ) " il gigante che dorme ".

Peraltro la lentezza dei progressi del Brasile non deve essere considerata fine a se stessa, sibbene alla comparazione alle immense risorse che il paese possiede. A cominciare dal 1700 il movimento ascensionale brasiliano in ogni campo, anche in quello economico, si fa sempre più rapido, per arrivare alle proporzioni dei giorni volgenti che vedono città come Rio de Janeiro e San Paolo balzare al rango di metropoli mondiali e l'economia brasiliana, trasformata e potenziata, assumere l'imponenza che può esserci raffigurata architettonicamente dall'alta torre della Banca dello Stato nella seconda di quelle città.

Tutto questo è sommamente importante, Ma in modo particolare tocca noi italiani che all'avvaloramento del Brasile abbiamo dato il concorso dei nostri coraggiosi fratelli in piccole dapprima, in larghissime schiere poi, da quando banchieri, mercanti ed uomini d'azione, sbarcati insieme al Vespucci nel secondo viaggio che egli fece alle terre da lui scoperte, o sopraggiunti subito dopo, iniziarono la loro attività nel paese e si inserirono nella protostoria brasiliana reincarnandosi attraverso i secoli in quei laboriosi ed eminenti italiani, o in quei brasiliani di origine italiana, che hanno occupato ed occupano posti di altissimo rilievo nella vita pubblica del paese, arrivando sino alle cariche più elevate dello Stato, tenute in ogni circostanza con saggezza e con onore.

Sul piano della storia antica e recente e della perenne collaborazione tra i due popoli un legame ideale tra l'Italia e il Brasile è stato dunque delineato con quanto si è detto. Ma nell'evoluzione dei tempi e nella gravità delle ore che volgono un secondo legame è da porsi in evidenza. Ed è il seguente.

Il 12 Ottobre 1957, celebrandosi " Il Giorno di Colombo " l'illustre Ministro degli Affari Esteri del Brasile, Macedo Soares, pronunziava queste solenni ed alte parole: " L'anima generosa dell'America non permette che essa si rinserri nei suoi problemi e nelle sue concezioni continentali: l'America è, oggi, un'idea in marcia mobilitata al servizio del mondo. La nostra azione convergente nel campo internazionale non può, pertanto, non essere orientata verso uno stretto e permanente allacciamento con i popoli dell'occidente europeo, ai quali dobbiamo la nostra civiltà e la nostra cultura, la nostra fede cristiana e il nostro spirito universalistico ".

Toccando il suolo del Brasile per restituire al Presidente di quella nazione sorella, Juscelino Kubiscek, la gradita visita che questi ebbe a fargli or non è molto, Giovanni Gronchi troverà, dunque, ricordi, affermazioni, ideali cari al suo spirito ed utili alla sua generosa azione di italiano, di europeo, di cittadino del libero mondo. E questo non potrà che rafforzare i vincoli già saldi, or ora rievocati, che legano l'Italia al Brasile, fare più stretta la loro collaborazione, giovare al raggiungimento di quella pace nella sicurezza che si manifesta sempre più come l'unico bene al quale le nazioni latine, le nazioni che traggono la loro origine spirituale da Roma, debbono, con tutte le loro forze, mirare.

 

Articolo a firma di Tomaso Sillani, Segretario Generale del Centro Italiano di Studi e Pubblicazioni per la Riconciliazione Internazionale.

Link al commento
Condividi su altri siti


  • 1 mese dopo...
Supporter

 

13/09/1958

Serie Europa

( Catalogo Unificato: 838/839 )

 

620886299_SerieEuropa.thumb.jpg.e3d33873f3a74a64cf2b85cda178d6e3.jpg

 

E' questa la terza serie di francobolli che viene emessa per celebrare l'Idea Europea.

Il Periodo che intercorre dalla data della seconda emissione ad oggi ha visto la ratifica del Trattato istitutivo della Comunità Economica da parte del Parlamento dei sei Paesi; l'insediamento degli organismi europei quali la Commissione del Mercato Comune, l'Euratom e la Banca per gli Investimenti; la prima convocazione dell'Assemblea, cui spetta il compito di esercitare il controllo parlamentare sul lavoro delle nuove istituzioni.

Alcune delle tappe più importanti del cammino sono state, così, raggiunte ed è significativo per il valore, la forza e la concretezza dell'ideale europeo che nessuna remora hanno potuto esercitare sulle aspirazioni unitarie dei popoli le difficoltà economiche ed i grandi problemi tuttora irrisolti della sicurezza mondiale.

Quello che fu nei secoli scorsi ed in un passato recente un campo di divisioni e di discordie, l'Europa, dà oggi un esempio di solidarietà, di collaborazione, di volontà tesa ad un comune destino di pace e di progresso economico e sociale. L'opera della costruzione europea è appena cominciata e sarà lunga e difficile, ma appare ormai irreversibile nelle coscienze, quanto e più degli impegni sottoscritti dai governi. Questa maturazione ideale a misura che verrà tradotta nella realtà operante dell'economia e degli istituti giuridici e politici, rappresenterà il nuovo messaggio della vecchia Europa al mondo contemporaneo; un messaggio che per il suo significato morale e per le drammatiche esperienze storiche donde trae origine, non sarà indegno delle grandi indicazioni di civiltà di cui l'Europa è stata costantemente prodiga nei secoli.

 

Articolo a firma di Pietro Campilli, Presidente della Banca Europea degli Investimenti.

Link al commento
Condividi su altri siti


  • 3 mesi dopo...
Supporter

 

04/10/1958

Centenario del Primo Francobollo del Regno di Napoli

( Catalogo Unificato: 840/841 )

 

1996115313_RegnodiNapoli.thumb.jpg.f3e6aa0e057c1006c26276f3838732bc.jpg

 

Cento anni fa Ferdinando II° di Borbone, Re delle Due Sicilie, poneva in atto la riforma dei servizi postali nei propri domini continentali. Tale riforma era modellata su quella francese del 1849, che a sua volta derivava dalla riforma attuata da Sir Rowland Hill in Inghilterra ed imitata poi da un gran numero di Stati. Essa aveva come cardine il sistema di pagamento anticipato della posta a mezzo di francobolli adesivi.

La riforma ebbe vigore dal 1° Gennaio 1858, e per tale data fu decisa l'emissione dei francobolli del Regno di Napoli. La serie, di sette valori ( 1/2, 1, 2, 5, 10, 20, 50 Grana ) era destinata ad essere la prima, ma anche l'ultima creata dai Borbone per le terre "al di qua del Faro" ed a restare in uso per un periodo assai breve. Un particolare complesso di fattori contribuisce tuttavia a rendere oltremodo interessanti questi francobolli.

La loro storia risale al 1849, quando il Governo di Napoli aveva inviato l'Ingegner Amy Autran in missione a Londra per studiare, tra l'altro, la creazione di una serie di francobolli. L'iniziativa non andò praticamente oltre la preparazione di alcuni saggi; solo otto anni dopo, il 29 Aprile 1857, il Consiglio dei Ministri napoletano approvava la relazione sulla riforma postale presentata da una commissione nominata il 22 Gennaio 1857. Il 9 Luglio, Ferdinando II° firmava il decreto relativo alla riforma; in esso si disponeva tra l'altro che i francobolli avrebbero recato l'impressione "de' gigli" ( la Casa di borbone ), del "cavallo" ( simbolo di Napoli ) e della "Trinacria" ( la Sicilia ). Il successivo regolamento del 28 Settembre 1857 precisava che essi dovevano essere tutti di differente disegno, per distinguere più facilmente i diversi valori.

Su queste basi, il calcografo napoletano Giuseppe Masini ebbe l'incarico di preparare i conii dei sette francobolli; e non gli rimase che dare, in ciascun valore, una diversa inquadratura ( dall'ovale, al rombo, al cerchio ) al simbolo della sovranità borbonica sul Regno di Napoli e sulla Sicilia.

I conii vennero incisi con notevole abilità ( sei di essi sono attualmente conservati presso il Museo Postale Italiano ); presentano una curiosa caratteristica: il Masini li firmò collocando nella parte inferiore di ciascun valore l'iniziale del proprio nome o una lettera del proprio cognome. Ma, per giungere dai conii ai francobolli ( che andavano stampati calcograficamente tutti nello stesso colore, ad evitare che sulle lettere fosse possibile combinarli in maniera da formare l'allora "odiato" tricolore ) furono necessarie diverse operazioni, la cui esecuzione venne affidata allo stesso Masini: ma qui egli mostrò una certa imperizia, e d'altro lato la carta filigranata di apposita fabbricazionesi rivelò inadatta allo scopo, sicchè il prodotto finito non rese la dovuta giustizia all'originale abilità dell'incisore. Quando più tardi un altro calcografo napoletano, Gaetano De Masa, si aggiudicò il contratto per la stampa dei francobolli, essi riuscirono graficamente migliori ed esteticamente più felici, anche perchè in taluni casi il De Masa provvide ad allestire ex-novo le tavole con le quali venivano stampati i fogli da duecento francobolli.

Nelle imperizie iniziali e nel successivo trapasso di fornitura sono i motivi dello speciale interesse filatelico dei francobolli del Regno di Napoli: le diverse tavole con cui vennero stampati, le varietà d'incisione e di stampa, le gradazioni di quello che doveva essere il colore unico ( dal rosa lillaceo al rosa pallido al carminio ), ed ancora i diversi sistemi di annullamento, l'uso promiscuo ( dopo la Liberazione ) con i francobolli provvisori da 1/2 tornese ( la "Trinacria" e la "Croce di Savoia" ) voluti da Garibaldi, e con quelli in moneta borbonica ad effige di Vittorio Emanuele II°, l'esistenza di imitazioni per frodare la Posta, hanno creato e creano intorno a questi francobolli un intenso fiorire di articoli e monografie, ed un'attenta ricerca collezionistica, concreatasi nella formazione di numerose raccolte specializzate: e ciò non solo in Italia. Nel centenario dell'emissione, Napoli accoglie un'esposizione celebrativa, per sottolineare e riassumere il sempre rinnovato fervore che collezionisti e studiosi dedicano ai francobolli dei tre gigli, del cavallo sfrenato e della Trinacria.

 

Articolo a firma di Alberto Diena, filatelista.

 

1807472250_Piastra(1).jpg.bcd0992ebf69a907b7fc98e30a0f2390.jpg

1030146262_Piastra(2).jpg.2b69284f9d2cd5ca36ff030a677cbdb1.jpg

 

Ferdinando II° di Borbone - 120 Grana 1856

 

 

  • Mi piace 2
Link al commento
Condividi su altri siti


×
  • Crea Nuovo...

Avviso Importante

Il presente sito fa uso di cookie. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie, dei Terms of Use e della Privacy Policy.