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Dalla RIN del 1907 si ha l’opportunità di leggere la recensione a firma F.G. (Francesco Gnecchi) sull’opera del Conte Papadopoli dedicata a Le Monete di Venezia.

Riporto di seguito il seguente passaggio della recensione che ha attirato la mia attenzione e che vorrei naturalmente condividere con voi (mi sono permesso di sottolineare la frase che ha ispirato il titolo della discussione).

“Il Papadopoli non si occupa delle oselle, la cui serie comincia col doge Antonio Grimani, 1521-23, ancorchè in tutti i tempi esse abbiano circolato quali monete e come tali siano state considerate nelle tariffe; ma rimanda alle opere del conte Manin e di G. Werdnig che ne trattano con amore e con molti particolari. Accenna bensì alla loro origine, pag. 125-9, riguardo alla quale egli dissente dalle idee di questi due scrittori. Non crede col primo che il dono annuale di uccelli selvatici a tutta la nobiltà, il quale più tardi fu sostituito con quello di una speciale moneta, sia stato imposto al doge dal maggior consiglio, nè col Werdnig che in esso si debba intravvedere un segno della sua dipendenza dalla aristocrazia prepotente; si bene opina che convenga cercarne l'origine in un'antica consuetudine, non ancora estinta, che era comune ai proprietari di valli salse, i quali agli amici, ai parenti ed ai famigliari facevano dono del pesce e degli uccelli selvatici che nei giorni precedenti il Natale venivano portati dai conduttori delle valli come debito contrattuale ai padroni. È invece vero che col volger del tempo quest'usanza si trasmuto’ per il doge in un obbligo, del quale il primo accenno viene fatto nella promissione di Lorenzo Tiepolo dell'anno 1268. Limitato da prima a favore di pochi magistrati quest'obbligo andò via via estendendosi a beneficio di molte altre persone, ed allorquando la selvaggina venne a mancare per esser caduta nelle mani degl'imperiali la terra di Marano, dove se ne faceva la caccia, il dono in natura fu convertito in una moneta del valore di un quarto di ducato o soldi 31, corrispondente al prezzo di cinque anitre maggiori, dette volgarmente mazzorini, la quale moneta chiamata osella per l'ufficio cui era destinata, doveva distribuirsi entro il mese di dicembre.”


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