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Salve

La Mitologia è stata il filo conduttore delle mie offerte sui denari della Repubblica Romana nell’asta Varesi 86.

Denario della Claudia 

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CLAUDIA - P. Clodius M.f. Turrinus (41 a.C.) Denario. B. 15 Syd. 1117 Cr. 494/23 A.V. 187 D/ Testa di Apollo; dietro una lira R/ Diana Lucifera con due lunghe torce. Ag 3,64 g 19 mm q.BB

P. Clodio Turrino faceva parte del quadrunvirato, un gruppo di quattro monetieri nominati dal Secondo Triunvirato (Antonio, Ottaviano e Lepido) per supervisionare la regolare produzione di monete d'oro presso la zecca di Roma. Di lui si sa poco, a parte le monete coniate a suo nome che in genere raffiguravano Apollo e Diana Lucifera come in questo denario.

Diana è una divinità di origine italica e romana il cui nome è associato da Varrone e Cicerone a “dies“, cioè “giorno”, rendendolo simile a “Splendente” o “Luminosa”. Da qui deriverebbe anche uno dei suoi epiteti, Lucifera (“portatrice di luce”), e uno dei suoi attributi, la fiaccola. Diana era venerata soprattutto come assistente per le partorienti, come Giunone, ed era considerata protettrice delle donne. La sua principale caratteristica era quella di regnare nell’ambiente silvestre e di soprintendere alla vita degli animali. Da qui i boschi come luoghi prescelti per il suo culto. Nel Lazio la sua venerazione aveva luogo nel santuario del Bosco d’Ariccia, presso il lago di Nemi, intitolato a “Diana Aricina”, dove secondo Ovidio (Fasti, III, 397), le donne si avviavano la vigilia delle feste da Roma ad Aricia munite di fiaccole (marcia fatta di notte per arrivare all'alba).

apollonia

 

 

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Denario serrato della Claudia

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CLAUDIA - Ti. Claudius Ti.f. Ap.n. Nero (79 a.C.) Denario. B. 5/6 Syd. 770 Cr. 383/1 A.V. 185 D/ Busto di Diana con arco e faretra R/ La Vittoria su biga. Ag 3,56 g 19 mm • Bella patina BB÷SPL

Una particolarità del dritto che raffigura il busto di Diana è la parte terminale a testa di cervo dell’arco che la dea tiene in spalla con la faretra. S.C sono le iniziali di “Senatus Consulto”. Il vero significato del dritto non è noto, sebbene possa essere un'allusione alle origini sabine dei Claudiani.

Al rovescio la Vittoria alata che guida una biga al galoppo a destra, con in mano una corona, le redini e una foglia di palma. Sotto i cavalli AXXXXV (numero di controllo) e in esergo una parte della scritta su due righe TI • CLA(VD) • [TI • F/(AP) • N] (“Tiberius Claudius Tiberii Filius Appii Nepos”).

La moneta è classificata Crawford 383/1.

Notare che "Ti. Claudius Ti.f. Ap.n. Nero" all’inizio della didascalia si riferisce al politico e monetario romano della Repubblica che ha coniato un denario d'argento serrato nel 79 a.C. Questa persona ("Ti." sta per Tiberio, "f." per filius (figlio di), e "Ap.n." per Aponius nepos (nipote di Aponius)) era il nonno dell'imperatore Tiberio e deve essere distinta dall'imperatore con il medesimo nome Tiberio Claudio Nerone che gli succedette. 

apollonia

 

 

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Denario serrato della Mamilia

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MAMILIA - C. Mamilius Limetanus (82 a.C.) Denario. B. 6 Syd. 741 Cr. 362/1 A.V. 374 D/ Busto di Mercurio; dietro un caduceo R/ Ulisse viene riconosciuto dal suo cane Argo. Ag 3,82 g 20 mm BB

Al dritto il busto drappeggiato di Ermes/Mercurio con elmo alato e alle spalle il caduceo e una lettera di controllo, qui poco visibile (N?).

Al rovescio Ulisse, vestito con pileo e abito da marinaio, che appoggiandosi al bastone tende la mano destra verso il suo cane Argo che abbaia in segno di saluto. La legenda “C MAMIL” a sinistra e “LIMETAN” a destra fa riferimento al nome della persona che ha autorizzato la coniazione della moneta "Caius Mamilius Limetanus" (Gaio Mamilio Limetano).

Riferimento bibliografico: Crawford 362/1.

Il momento in cui il vecchio cane Argo riconosce il suo padrone al ritorno a casa, travestito da mendicante, è così descritto nel libro 17 dell’Odissea di Omero:

"Appena si accorse / del lontano da tempo Ulisse vicino, abbassò le orecchie; / batté forte, e con la coda diede un lieto segno / di ringraziamento, impotente ad alzarsi, / e ad avvicinarsi al suo padrone come un tempo. / Ulisse, notando la sua presenza, si asciugò una lacrima / Inosservata. /. . . Allora il suo destino lasciò / il vecchio Argo, non appena ebbe vissuto abbastanza a lungo da vedere / Ulisse tornare dopo vent’anni in salute.” (Om. Od. 17.290).

Alla fine, avendo rivisto il suo padrone dopo tanti anni, il vecchio cane muore.

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Ermes/Mercurio raffigurato sul dritto del denario ha legami di parentela con Ulisse, suo pronipote da parte materna perchè secondo la tradizione Ulisse è figlio di Anticlea (morta di dolore perché preoccupata delle sue sorti sia nella guerra di Troia sia durante il ritorno a casa), e il padre di Anticlea, Autolico, era figlio del dio Ermes e di Chione. Così la madre di Ulisse era nipote di Ermes e di conseguenza Ulisse era pronipote di Ermes da parte materna.

Apro una parentesi su Autolico per dire che il nonno di Ulisse aveva ereditato dal padre Ermes, dio dei ladri, il dono di riuscire a rubare a chiunque senza mai essere scoperto. Soltanto Sisifo, figlio di Eolo (non il dio dei venti, ma il nonno di quest'ultimo), era considerato superiore a lui nell'arte dell'inganno, tanto da irritare lo stesso Zeus che lo condannò a una dura fatica. Questa discendenza spiega il fatto che Ulisse è per eccellenza il polúmetis, l’uomo «molto astuto», maestro di inganni, menzogne e raggiri, in tutto rispondente al tipo del trickster (il ‘briccone’ rituale), come del resto il nonno Ermes.

La madre di Autolico, Chione, figlia di Dedalione, era una donna molto attraente famosa per la sua bellezza, tanto da vantarsi di essere addirittura più bella della dea Artemide. Questa, per punire la sua vanità, la uccise con una freccia. Per il dolore Dedalione si gettò da una rupe, ma Apollo lo mutò in falco prima che si schiantasse al suolo.

Chione fu amata anche da Apollo e dalla loro relazione nacque Filammone che divenne famoso per la creazione di alcune forme musicali.

 

L’incontro di Ulisse con il suo vecchio cane Argo sul rovescio del denario trova la sua giustificazione dal fatto che la gens Mamilia sosteneva di discendere da Mamilia, figlia di Telegono, il presunto figlio di Ulisse e Circe nato dalla loro relazione nel periodo di permanenza dell’eroe sull’isola di Eea nel viaggio di ritorno da Troia: un buon motivo per il triunviro monetario C. Mamilio di raffigurare Ulisse sulle sue monete.

apollonia


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Una reminiscenza scolastica di Circe e della vicenda con Ulisse e compagni.

Circe proviene da una stirpe divina in quanto sua madre è Perseide, una delle ninfe generate da Oceano, e suo padre è il Sole. La sorella di Circe è Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, nonché colei che generò il Minotauro. Il fratello di Circe era Eeta, re della Colchide, custode del vello d’oro e padre di Medea.

Un giorno Ulisse, nel suo viaggio di ritorno all’amata patria Itaca, giunse insieme ai suoi compagni sulle coste di Eea dove gli eroi, reduci dalla terribile avventura sull’isola dei Lestrigoni mangiatori di uomini, esitavano ad addentrarsi tra i fitti boschi dell’isola. Per questo gli uomini da mandare in avanscoperta furono estratti a sorte. Così Omero, per bocca di Ulisse, racconta come vennero scelti gli uomini da mandare in avanscoperta: “Divisi tutti i miei forti compagni in due gruppi e ad ambedue diedi un capo, al primo io stesso, all’altro Euriloco simile a un dio. In un elmo di bronzo agitammo le sorti: uscì il segno di Euriloco dall’intrepido cuore. Insieme a ventidue compagni si avviò, piangevano tutti, e noi piangenti si lasciavano indietro.” In un luogo appartato tra colli erbosi, gli uomini trovarono il palazzo di Circe circondato da animali d’ogni specie: orsi, leoni e lupi che lei, con filtri magici, aveva stregato. Le belve corsero incontro agli eroi ma non li aggredirono, anzi scodinzolarono placidamente e fecero loro le feste finché delle ancelle accolsero i valorosi eroi facendoli entrare. Il cauto Euriloco però, temendo un tranello, rimase fuori osservando dal portico ciò che accadeva all’interno.  Circe, regale e coperta da un manto d’oro, sedeva su un imponente trono. Non appena scorse i giovani greci li invitò a sedere su troni d’argento e li colmò di premure. Poi ordinò alle ancelle di preparare il kikeon, una deliziosa bevanda di vino, orzo, formaggio e miele alla quale però ella stessa aggiunse di nascosto una pozione magica. Gli uomini furono trasformati in porci ed Euriloco, che con sgomento aveva visto tutto, tornò alla nave e raccontò l’accaduto ad Ulisse. Questi, udito il tragico racconto, si allontanò immediatamente dalla nave per andare a salvare i compagni dalla tremenda maga.

Mentre Ulisse s’inoltrava impavido tra i fitti boschi gli venne incontro Mercurio, il dio dai sandali alati e dal caduceo portatore di pace, che gli diede il moly, un fiore bianco con radici nere che solo gli dei erano in grado di estrarre e serviva da antidoto per combattere il filtro magico di Circe. Prima di tornare sull’Olimpo Mercurio svelò a Ulisse il segreto per sfuggire agli incanti della maga tentatrice. Così l’eroe dalla mente accorta, protetto dal potere e dagli ammonimenti divini, entrò nel palazzo di Circe. Ulisse aveva l’aspetto di un dio e Circe al vederlo si aperse in un sorriso. Poi gli offrì da bere la pozione magica, ma egli vi aggiunse il divino antidoto. Così, quando la divina ammaliatrice lo sfiorò con la bacchetta magica, l’incantesimo non stregò lo scaltro Ulisse che subito, sguainando la sua affilata spada, si lanciò su Circe come se volesse ucciderla. Lei atterrita e al contempo affascinata dall’unico mortale capace di resisterle, si sottrasse e abbracciando le ginocchia dell’eroe gli disse: “Chi sei tu che resisti ai miei incanti? Certo, devi essere Ulisse l’eroe del lungo viaggio. Mercurio mi predisse che saresti venuto da me di ritorno da Troia. Riponi nel fodero la tua spada d’argento e sali sul mio letto.”

Ma lo scaltro Ulisse, istruito da Mercurio, rispose: “Divina Circe, affinché possa fidarmi di te giura che nessun altro malvagio inganno ordirai più contro di me.” Circe, dopo aver giurato, accolse Ulisse nel suo letto che le chiese come dono di nozze di liberare i suoi compagni dall’incantesimo. Allora la divina maga cosparse gli uomini, che uomini più non erano, con misteriosi unguenti, impugnò la bacchetta magica dalla parte opposta e pronunciò la formula magica al contrario. Così da porci tornarono uomini e si abbracciarono piangendo.

Circe accolse nel suo palazzo incantato Ulisse come suo sposo. Legati da una passione travolgente, i due vissero insieme un anno di delizie. E mentre passavano i mesi le ancelle di Circe deliziavano i compagni di Ulisse. Ma quando si compì l’anno la nostalgia per l’amata patria divenne più forte del piacere di quegli incanti. Così Ulisse e i compagni dall’animo fiero si congedarono tra le lacrime da quelle compagne e, salpando sulla nave veloce, lasciarono l’isola incantata.

(segue)

 

 


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