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IGNORED

Denaro di Arezzo?


Risposte migliori

Bel denaro di Arezzo, peccato che sia un pò ondulato, almeno così sembra dalla foto.

La figura del Santo è molto ben conservata.

Per la rarità aspettiamo altri pareri!

Un saluto e auguri

Modificato da lollone
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Si ti confermo che si tratta di un denaro piccolo della zecca di Arezzo,del XIII sec. (dopo il 1250), M.I.R.,6 - per il tipo, la conservazione è q.SPL,non comune.Ciao Borgho.

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Buonasera Rob€rto,

e felice 2012 a tutti voi LaMonetiani.

La sua moneta è in eccellenti condizioni, sia per la freschezza del conio sia per la conservazione. Sembra infatti, almeno apparentemente, che non vi sia traccia di usura.

Inoltre, per quanto mi riguarda, la trovo assai interessante perché, a motivo dello scentramento dei conii, consente chiaramente di capire quale era il conio di incudine e quello di martello consentendo così agli studiosi di capire quale, a quel tempo, era ritenuta la faccia più importante della moneta.

Le sarebbe possibile postare un'immagine del diritto e del rovescio di maggiori dimensioni? Mi piacerebbe averle nel mio database per fare dei raffronti.

La ringrazio, Teofrasto

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Buonasera Rob€rto,

e felice 2012 a tutti voi LaMonetiani.

La sua moneta è in eccellenti condizioni, sia per la freschezza del conio sia per la conservazione. Sembra infatti, almeno apparentemente, che non vi sia traccia di usura.

Inoltre, per quanto mi riguarda, la trovo assai interessante perché, a motivo dello scentramento dei conii, consente chiaramente di capire quale era il conio di incudine e quello di martello consentendo così agli studiosi di capire quale, a quel tempo, era ritenuta la faccia più importante della moneta.

Le sarebbe possibile postare un'immagine del diritto e del rovescio di maggiori dimensioni? Mi piacerebbe averle nel mio database per fare dei raffronti.

La ringrazio, Teofrasto

Le allego foto grandi, dove li però segni di usura purtroppo se ne vedono, spero possano esserle utili.....purtroppo ogni file non deve superare 100k devo ridurne la qualità....queste foto sono con luce artificiale le prime luce naturale

post-20751-0-70852900-1325453433_thumb.j

Modificato da Rob€rto
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Inoltre, per quanto mi riguarda, la trovo assai interessante perché, a motivo dello scentramento dei conii, consente chiaramente di capire quale era il conio di incudine e quello di martello consentendo così agli studiosi di capire quale, a quel tempo, era ritenuta la faccia più importante della moneta.

grazie Teofrasto per l' interessante intervento!

Se hai voglia e modo lo potresti approfondire un pò?

Il lato con la croce , se non ho capito male, è il conio di martello mentre il lato con il santo quello di incudine.

grazie

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Buongiorno a voi,


mi era sfuggita la richiesta di lollone; provo dunque a rispondere ora.
 Ringrazio innanzitutto Rob€rto, per le belle foto che ha postato: sì, qualche piccola traccia di usura effettivamente c’è, ma tutto sommato resta irrilevante e la moneta appare comunque di una freschezza notevole.


Come dicevo sopra, ciò che a mio avviso rende questo esemplare molto interessante sta nel fatto di poter stabilire qual’è la faccia battuta con il conio d’incudine e quella battuta con il conio di martello.
 Se la vista non m’inganna, l’ombra che vedo a circa ore 13, nella parte superiore della foto recante il lato della moneta con l’immagine di san Donato, mi fa pensare che sia proprio questa la parte battuta con il conio di martello. Si può infatti notare come sotto la pressione del colpo, il tondello, che evidentemente deve essere stato posizionato sul conio di incudine in modo non perfettamente centrato, si sia espanso “arricciandosi” verso l’alto. Per intenderci, è lo stesso principio che veniva utilizzato per creare - in tal caso intenzionalmente - le monete scodellate (non le scifate però, per le quali venivano utilizzati conii ad hoc). In realtà conosco altri denari aretini con la stessa caratteristica, alcuni dei quali sono illustrati nel volume di Maria Vanni F., Arezzo, san Donato e le monete, Firenze 1997, mentre un altro esemplare con la stessa particolarità è stato venduto il 26 maggio scorso da Bolaffi (lotto 195).


Perché questo elemento è tanto importante? Ovvero, perché è importante stabilire quale sia il dritto e quale il rovescio di una moneta? Generalmente si ritiene, verosimilmente a ragione, che la faccia principale della moneta sia quella recante il nome, l’immagine o comunque il richiamo all’autorità emittente. Inoltre, dal momento che nell’antichità la rappresentazione di tale autorità emittente era incisa generalmente sul conio di incudine (nel medioevo chiamato anche pila), meno soggetto a rotture rispetto a quello di martello (detto torsello), gli studiosi hanno da sempre considerato, e anche in questo caso con buone argomentazioni, quello di incudine il conio più importante, estendendo ulteriormente il ragionamento anche ai periodi successivi a quello antico. Si può dunque dire che secondo questa teoria conoscere il dritto di una moneta vuol dire, in buona sostanza, poter stabilire chi l’ha emessa.

Ora, è chiaro che se ciò si può sostanzialmente concedere per l’età classica (e anche qui con le dovute riserve e cautele), dove, di volta in volta, vi era in pratica un’unica autorità sovrana avente diritto di monetazione, per i periodi tardoantico e medievale, per i quali si parla di concessione dello ius cudendi, di delega, di autorità delegante e di autorità delegata, ecc.., la questione diventa per certi versi più complessa e spesso assai problematica. In certi momenti si verifica infatti una sovrapposizione tra l’autorità delegante lo ius monetandi e l’autorità delegata, mentre in altri casi assistiamo ad una usurpazione del diritto di monetazione da parte di autorità che tuttavia mantengono, per opportunismo, per timore o per altri motivi ad oggi sconosciuti il proprio nome su di un lato della moneta e quello dell’ “autorità delegante” sull’altro. In questi casi si vede come, tenendo ferma la “regola dell’autorità emittente” appena ricordata, emerga chiaramente la difficoltà di stabilire quale sia il dritto e quale il rovescio di una moneta. In altre circostanze sembra invece che, almeno apparentemente, le monete non contengano né il richiamo all’autorità delegata né tantomeno a quella delegante. Se, infine, si tiene presente come, a differenza delle monete scodellate, sulle monete piane medievali accada spessissimo di non poter neppure stabilire quale sia il lato impresso dalla pila e quale quello impresso dal torsello, si capisce come risulti particolarmente difficoltoso, in mancanza di altri dati, stabilire chi realmente abbia emesso la moneta.

Trovare esemplari come quello di Roberto, sui quali si possono “leggere” il conio di incudine e quello di martello è dunque molto importante per lo studioso. Essi consentono di poter stabilire con una certa sicurezza che per i denari aretini (o almeno per alcune emissioni) il conio di incudine era quello recante la legenda + dearitio e la croce a tutto campo, mentre il conio di martello portava inciso la scritta + sdonatus e la rappresentazione del santo a mezzo busto, con aureola e pastorale. Ora, secondo la teoria per la quale conio di incudine = dritto della moneta = faccia principale , quest’ultima sarebbe proprio quella con il nome della città sede di zecca, in questo caso Arezzo/Cortona. Ma allora chi emise concretamente la moneta? L’autorità vescovile, che quel diritto l’aveva ottenuto nel 1052 dall’imperatore Enrico III di Franconia? Oppure il comune, che non aveva invece mai avuto diritto di zecca? Le cose per il momento non solo non sono chiare, ma si complicano ulteriormente. Infatti, se ad Arezzo/Cortona si lavorava così come abbiamo appena visto, evidentemente non si faceva lo stesso a Massa Marittima. I conii di questa zecca - attivata dalle autorità comunali, si badi - conservatisi fino noi permettono di stabilire che almeno per quanto concerne i grossi lì coniati (ma probabilmente anche i denari piccoli furono battuti nello stesso modo: cfr. Sozzi M. L’agontano di Massa di Maremma, in Travaini L. (a cura di), L’agontano, una moneta d’argento per l’Italia medievale, s.l. 2003, p. 133, fig. 19,) il conio di incudine era quello con la scritta + sancerbon’ e l’immagine del santo nel campo, mentre il torsello era quello con la croce e il nome della città (+ demassa): esattamente il contrario di come si producevano le monete piccole ad Arezzo (questa distinzione tra moneta aretina piccola e grossa è importante perché la moneta grossa potrebbe essere stata battuta diversamente...). Questo fatto ha portato Lucia Travaini, con la quale personalmente concordo, a ipotizzare che la lettura corretta di queste monete in particolare, ma in generale di tutte le altre della stessa tipologia, sia quella che vede il nome del santo precedere quello della città della quale egli era il patrono e il protettore (la sigla “PP” che si trova su diverse emissioni di area Tosco-Emiliana-Marchigiana):

- san Cerbone di Massa,

- san Donato di Arezzo,

- san Ciriaco di Ancona,

- san Silvestro di Chiusi, ecc.

Ma se questa lettura è corretta e la faccia principale si deve riconoscere in quella con la rappresentazione del santo - e ciò, stando a quello che si è detto sopra, deve valere almeno per le monete di Massa Marittima -, sorgono, come si può ben vedere, alcune questioni insidiose...

... Chi ne sa individuare qualcuna?

Cordiali saluti, Teofrasto

CONTINUA (forse: lavoro permettendo!!!??? :blink: )

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