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  1. La serie Greatest Coins di ANS esamina le monete della collezione dell'American Numismatic Society, accuratamente selezionate per la loro fama storica. In questo episodio, la curatrice delle monete romane, la dottoressa Lucia Carbone, esamina quella che è probabilmente la moneta romana più celebre, il denario EID MAR (Idi di marzo) di cui si conoscono soltanto 80 esemplari, due dei quali appartengono all'ANS. Quella moneta fu coniata sotto l'autorità del principale assassino di Giulio Cesare, Marco Giunio Bruto, nel 43-42 a.C., per commemorare l'assassinio di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C. Poco dopo Bruto morì sul campo di battaglia, suggellando la fine della Repubblica. Qui la scheda della moneta di proprietà ANS https://numismatics.org/collection/1944.100.4554
  2. MIR 152 è l’unica moneta di mistura per tutto il Cinquecento. Valeva 1 denaro ( = 2 cavalli) o 1 tornese (= 6 cavalli) ? Uno denaro mi paresce troppo minuto per una moneta di mistura, e ci sono documenti d'archivi che mostrano la battitura de tornesi nel 1536. Non trovo questa moneta di mistura di Carlo V nel Magliocca. Che pensano li esperti ?
  3. folleperifolles

    Brescia: denaro sottopeso o obolo?

    Buongiorno a tutti, condivido con voi un piccolo dubbio sull'identificazione di una moneta del comune di Brescia... Qualche anno fa mi sono aggiudicato in asta questa moneta, identificata dal venditore come un denaro del tipo MIR 108, il più comune della monetazione bresciana. Si tratta di un esemplare in condizioni non eccelse, ma mi aveva attirato per il peso di 0,28 g, piuttosto basso per la tipologia e più vicino a quello del mezzo denaro. Mi chiedevo se, anche considerando la mancanza di metallo sul bordo, ci sarebbero i margini per ritenere che possa essere un obolo... voi cosa ne pensate? Ex Inasta 93, 992 peso 0,28 g
  4. Buongiorno a tutti, a seguire posto dati ed immagini di un denaro paparino in cui mi sono imbattuto proseguendo (molto a rilento) il lavoro di fotografia e classificazione di diverso materiale accumulato nel tempo. Il denaro in questione l'ho attribuito a Papa Giovanni XXII - zecca di Montefiascone . Purtroppo non posseggo testi come il Muntoni, il Biaggi, etc , ma mi limito a ricerche sul web ed approfitto del "nostro" fantastico catalogo online. Tuttavia il denaro qui proposto, mi sembra presenti al D/ delle peculiarità rispetto a quelli classificati nel catalogo: - le chiavi appaiono quasi toccarsi più similmente al denaro del successivo pontefice Benedetto XII ; - la legenda, nella parte in cui è "sopravvisuta", appare diversa terminando con PA XXII preceduto da "UT" o comunque da lettere che non mi sembrano essere la prima sillaba di PAPA. Chiedo a chi sicuramente ne sa molto più di me di aiutarmi a classificare più correttamente questa monetina. Grazie a tutti. Ad maiora. Diametro massimo: 16,80 mm Peso: 0,60 grammi
  5. Buonasera e buona Epifania a tutti. Chiedo il vostro (solito) preziosissimo aiuto per classificare correttamente la moneta di cui a seguire posto le immagini. Ho provato a trovare l'esatta collocazione, ma mi restano dei dubbi e per questo chiedo a chi ne sa molto più di me... I dati ponderali sono i seguenti: Ø massimo 16,60 mm Peso 0,59 grammi Grazie a chiunque vorrà intervenire. Ad maiora.
  6. Chiedo aiuto. In un lotto regno di Sicilia con pezzi da Tancredi a Federico III. 0,54g d* 0.85cm croce che divide la legenda a metà, al dritto ci vedo la testa di un elefante Napoli? Brindisi? Francia? Aiuto, è stato un mese difficile provando a capire 😕
  7. Buonasera, oggi vi chiedo aiuto per l’identificazione di questa monetina. Premetto che di legenda leggo ben poco, ma per caratteristiche presumo si tratti di un denaro di Napoli. Da un lato vedo croce patente cantonata da gigli, mentre sull’altro lato (ed è qui che non trovo riscontro) vedo tre registri diversi: a sinistra tre linee orizzontali limitate da una verticale; in centro 7 gigli; a destra forse una croce cantonata da gigli. 0,63 g e 14,3 mm grazie fin d’ora!
  8. Buona sera, picciolo di arezzo guido tarlati di pietramala vescovo 1313-1326 la presi sperando in una variante in legenda perché a colpo d'occhio notai qualcosa di strano, in realtà è un normale picciolo ribattuto dritto su rovescio ma che ha comunque una particolarità, credo che sia coniato su un tondello che nelle misure corrisponde più ad un denaro piccolo di Guglielmo degli Ubertini vescovo, di una trentina d'anni antecedente, a meno che le misure del mio ( g.0,60 mm.15-16 ) non rientrino nella media dei piccioli di Guido Tarlati. In effetti in alcuni punti della moneta sembra esserci una discreta eccedenza di superficie. Approfitto della presenza di grandi esperti di Arezzo (e di chiunque altro) per avere un parere, grazie a presto.
  9. Fratelupo

    IL VOLTO DI MARIA

    Ciao a tutti, mostro questo denaro della diocesi francese di Clermont (1030-1120) per chiedere aiuto su quando per la prima volta la raffigurazione di Maria appare sulle monete nell'Europa occidentale... zecche italiane a parte, dove credo che le prime siano Aquileia e Pisa nel XIII secolo... Che ne dite? Un cordiale saluto
  10. Buona sera a tutti, avrei bisogno di una mano per identificare questa moneta, certamente di area Milanese e del nominale di un denaro. Grazia di cuore di tutti coloro che contribuiranno all'identificazione
  11. Salve a tutti. Quest’oggi vorrei concentrarmi sulla presentazione di un paio di piccole monetine in mistura emesse in Italia meridionale durante i primi anni di regno di Carlo I d’Angiò come Re di Sicilia (1266-1282). Mi riferisco a: 1. D/ + K DEI GRACIA. Giglio fiorentino tra due globetti. R/ + REX SICILIE. Croce patente con quadrato nel mezzo, accantonata da quattro stelle a sei punte. Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) di zecca incerta tra Brindisi o Messina. Cfr. R. SPAHR, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), vol. I, Zurich-Graz 1976, p. 230, n° 25 e MEC 14, p. 674, n° 632. Fig. 1 (ex LAC, auction D, n° 310). 2. D/ + K DEI GRA REX SICIL. Croce patente accantonata da quattro gigli. R/ + DVCAT APVL PRIC CAPVE. Giglio fiorentino con due globetti sottostanti. Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) della zecca di Messina. Cfr. SPAHR, Op. cit., manca e MEC 14, p. 676, n° 656-658/658A. Di questo stesso tipo esistono anche dei multipli di denaro (per questa dicitura e per il suo utilizzo in questo caso specifico si rimanda a MEC 14, p. 201) classificati in MEC 14, p. 676, n° 654-655. Fig. 2 (ex Ranieri 4, n° 667). Cosa hanno di così particolare queste due tipologie monetarie angioine del Sud Italia all’apparenza piuttosto “banali” e neanche troppo rare? Già lo Spahr, in una nota che accompagnava la descrizione della moneta qui riportata al n° 1, asseriva precisamente: «Questo denaro fu coniato nel 1267 quando Carlo ottenne la signoria di Firenze». Non a caso, infatti, l’interesse di un attento osservatore si focalizzerà necessariamente sul particolare araldico rappresentato dal giglio, elemento iconografico che unisce entrambe le tipologie oggetto di questa discussione. Il giglio, da sempre emblema della monarchia francese e della dinastia angioina (fig. 3), non deve essere confuso, in questo caso, con quello fiorentino (fig. 4), da cui si differenzia in primis per la mancanza dei pistilli laterali. Fig. 3: Stemma angioino. Fig. 4: Stemma fiorentino. Se ne deduce, quindi, che su questi denari di Carlo I d’Angiò sia effigiato un giglio fiorentino e non il consueto fiordaliso francese. Ma perché? Cosa centra l’Angioino con Firenze e come spiegare questo inconsueto richiamo su delle monete che forse non circolarono mai in Toscana? Cercherò di contestualizzare, di seguito, tali emissioni (per una prima analisi della monetazione in mistura di Carlo I nel Mezzogiorno italiano si rimanda a MEC 14, pp. 201 ss. con relativa bibliografia precedente). Tutto ebbe inizio verso la metà del XIII secolo, quando il Papato, nella persona di Innocenzo IV (1243-1254) si sentiva gravemente minacciato dall’ormai annosa questione dell’unificazione de facto delle corone del Regno di Sicilia e dell’Impero germanico sotto la dinastia sveva. Corrado I (1250-1254), nel 1252, aveva chiesto al Pontefice di poter unire ufficialmente i due poteri sotto un unico scettro, concentrando il dominio di una vasta compagine territoriale nelle sue mani. Lo Stato della Chiesa ne sarebbe risultato pericolosamente accerchiato ed Innocenzo IV non poteva permettersi di correre tale rischio. Pensò bene, quindi, di avviare delle trattative per scegliere un nuovo sovrano che prendesse il posto di Corrado I. Già a partire dal maggio del 1253 il Papa si mise in contatto con Carlo d’Angiò, inserendolo in una più larga cerchia di candidati. Il giovane rampollo francese non costituiva per Innocenzo la prima scelta, ma rimaneva di fatto il più ambizioso e predisposto per affrontare una simile impresa. Le trattative, però, fallirono e la morte sia del Papa che del Re svevo lasciarono il ruolo di Carlo ancora marginale per la politica italiana, anche perché in quegli stessi anni la Provenza stava attirando quasi tutte le sue attenzioni con rivolte continue difficilmente controllabili. Tuttavia i successori di Innocenzo IV non desistettero dal loro intento: sebbene Carlo penetrò in Italia già nel 1259, nel 1262 lo ritroveremo nuovamente in Provenza alle prese con l’ennesimo atto di ostilità verso il suo potere in quella regione. I continui tumulti provenzali riuscivano a tenere occupato l’Angioino abbastanza da stornarlo dalle sue mire italiane: i rivoltosi francesi, infatti, erano appoggiati, neanche tanto segretamente, dagli Aragonesi: l’Infante Pietro, futuro sovrano (1276-1285), terzo con questo nome, aveva infatti preso in moglie Costanza II, figlia del Re di Sicilia Manfredi di Svevia (1258-1266). Quest’ultimo era osteggiato dal Papato e presto si sarebbe trovato a fare i conti con le lance angioine. Con l’incoronazione di Urbano IV (1261-1264), originario di Troyes, iniziò un periodo felice per le ambizioni di Carlo e, nel contempo, segnò l’inizio della fine per la dominazione sveva in Italia meridionale. Le trattative, questa volta, furono così lunghe che si conclusero solo con il francese Clemente IV (1265-1268), successore di Papa Urbano. Il 6 gennaio del 1266 Carlo d’Angiò fu incoronato Re di Sicilia a Roma, nel Laterano, e già il 20 gennaio era in marcia verso Sud per combattere contro Manfredi, il quale, spinto da una rivolta dei Capuani, stava cercando di raggiungere la Puglia, le cui città si erano dimostrate molto più leali verso gli Svevi. Ma il 26 febbraio del 1266, in una località poco lontana da Benevento, le truppe francesi sbaragliarono quelle di Manfredi, il quale perse la vita sul campo di battaglia. Nonostante la netta vittoria di Carlo d’Angiò, questi non poteva ancora dedicarsi tranquillamente alla riorganizzazione amministrativa del Regno: numerose sacche di resistenza erano presenti su tutto il territorio, il quale richiese una conquista più “meticolosa” del previsto. Inoltre, i fuoriusciti ancora fedeli alla causa sveva si stavano riorganizzando in altre parti d’Italia per sferrare un nuovo attacco all’Angioino. Per questo motivo, i primi anni di regno di Carlo, tra il 1266 ed il 1268, furono da lui dedicati al consolidamento della sua posizione politica prima al di fuori dei confini regnicoli. I Ghibellini, in Italia settentrionale ed in particolare in Toscana, capeggiati da Guido Novello, avevano unito le proprie forze con quelle dei sostenitori svevi con la speranza di riuscire a contrastare il partito avverso dei Guelfi, i quali, al contrario, chiamarono in loro aiuto le truppe di Carlo I. Già all’indomani della vittoria angioina a Benevento si era verificato l’allontanamento da Firenze del Novello, nel novembre del 1266, ma i loro piani non vennero messi in discussione: in risposta alla cacciata operata da Carlo di tutti i mercanti senesi e pisani dal Regno di Sicilia, i Ghibellini ed il partito filo-svevo, nel marzo del 1267, gli opposero Corrado II, comunemente noto come Corradino, che era stato già Re di Sicilia dal 1254 al 1258. Egli era l’ultimo rappresentante vivente della dinastia sveva degli Hohenstaufen ed in quel tempo si trovava in Germania (1254-1268). Il trono siciliano di Carlo, appena conquistato con la forza e l’appoggio papale, si trovava ora in grave pericolo: Corrado II poteva contare sull’appoggio di un esercito più numeroso e meglio rifornito del suo, i cui ranghi potevano avvantaggiarsi dell’ausilio portato loro dai dissidenti italiani. La situazione richiedeva un intervento immediato: Carlo in persona, al comando del suo esercito, si mise in marcia verso Settentrione (aprile 1267), riuscendo ad entrare in Firenze il 17 aprile 1267. Nella città, egli ricoprì la carica di podestà almeno fino al 1273, favorendo senza troppi scrupoli la fazione guelfa. Nonostante l’azione di Carlo coinvolse, quasi sempre con esito positivo, gran parte della Toscana, Siena e Pisa continuavano a resistergli, anzi, costituirono delle ottime roccaforti per la conduzione della lotta filo-sveva. Ben presto, anche Clemente IV si affrettò a legittimare la posizione dell’Angioino a Firenze, nominandolo «pacificatore», senza opporsi alla sua autoproclamazione a vicario imperiale per la Toscana. Probabilmente, come credette lo Spahr, i denari ed i presunti multipli sopra elencati ricorderebbero proprio le felici gesta fiorentine di Carlo I da lui compiute nel corso del 1267. Corradino, nell’agosto di quello stesso anno, lasciò Augusta con l’intenzione di scendere in Italia ed affrontare Carlo d’Angiò sul campo. Contemporaneamente, gli Arabi di Tunisi, amici ed alleati degli Svevi grazie all’antica politica conciliatrice condotta a suo tempo da Federico II, organizzarono una spedizione navale contro la Sicilia, mettendo l’isola a ferro e fuoco. Gli Angioini si trovarono, così, accerchiati su due fronti. Mentre i Tunisini imperversavano in Sicilia, la colonia saracena di Lucera, da sempre fedele a Federico II e ai suoi discendenti, si sollevò (febbraio 1268), estendendo la rivolta a tutta la Puglia. Carlo, che aveva provato a bloccare la discesa di Corradino al Nord, fu costretto a lasciare Firenze per sedare i disordini nati all’interno del suo Regno: nonostante l’arrivo del Re e il conseguente assedio da lui portato senza successo a Lucera, la ribellione si propagò ulteriormente raggiungendo anche la Calabria. Ora, sia Carlo che Corrado II erano in cerca dello scontro definitivo per il possesso del Regno di Sicilia. La battaglia si registrò il 23 agosto 1268 in una località distante appena una decina di chilometri da Tagliacozzo: nonostante l’iniziale successo di Corradino, l’esperienza militare di Carlo I fu ripagata con la vittoria definitiva. Il destino riservato allo Svevo è tristemente noto: solo dopo la sua morte Carlo poté riorganizzare in tutta tranquillità i suoi nuovi possedimenti italiani. Ma l’Angioino conservò ancora per qualche tempo i suoi diritti sulla Toscana ed in particolare su Firenze, di cui era ancora podestà e vicario imperiale. Mentre il primo titolo fu perduto, come abbiamo visto, nel 1273, il secondo gli fu rinnovato da Innocenzo V nel 1276. Fu, infine, con l’intervento di Papa Niccolò III (1277-1280) che il vicariato non gli fu più concesso a partire dal 1278. A cominciare da quell’anno, l’influenza esercitata fino ad allora da Carlo I sulla Toscana e sugli altri centri dell’Italia settentrionale iniziò gradualmente a declinare, fino a sfuggirgli del tutto in favore di una politica filo-papale. La floridezza registrata nella Firenze della seconda metà del XIII secolo fu opera, soprattutto, dell’intervento carolino, che incentivò lo sviluppo di contatti diplomatici ed economici tra la città, il Regno siciliano, la Roma pontificia e la Francia, suo Paese d’origine.
  12. Salve ragazzi, vi chiedo gentilmente di identificarmi questa monetina, a me sconosciuta. Diametro è circa 17-18 mm. Peso credo poco meno di un grammo. Grazie a tutti.
  13. VENECIAS

    Denaro di Pavia

    Ciao a tutti Ho trovato riferimenti di esemplari simili venduti per cifre che vanno dai 700 euro ma anche superiori a 1000 euro nonostante la conservazione fosse uguale o leggermente peggiore di questo esemplare, attendo vostri consigli grazie
  14. Ciao a tutti. Questa moneta è in vendita come denaro torinese di Carlo d'angiò ma non me trovo analoghi. A me sembra più Carlo II d'angiò. Purtroppo non mi intendo molto di lettere medievali e non riesco a decifrare la scritta. Mi sapete dare una mano? Grazie in anticipo
  15. Salve a tutti, vorrei chiedere il vostro aiuto a catalogare questi denari di Alfonso I d'Aragona che hanno iscrizioni varianti rispetto al PR e al MIR. Nel primo si può leggere, abbastanza bene: Obv: ☩ CICILI • [CITR • VLTR] Rev: ☩ CICIL[IЄ • CITR] • VLTR nel secondo, che ha uno stile parecchio simile al primo, invece, si legge, con un po' di difficoltà: Obv: ☩ C[ICIL]I • CITR [• VLTR] Rev: [☩] ALFONSVS • D [• G • R • A?] Le varianti censite più vicine che ho trovato sono: PR 10: Obv: ALFONSVS D G RЄX; Rev: CICILIЄ CITRA VLTR PR 14: Obv: SICILIE CIT ЄT VLT; Rev: AR SICIL CITR Є VL CNI 278: Obv: ☩ CICILIЄ • CIT • ЄT • VLTR ○; Rev: ☩ AR • CICIL • CITR • ЄT • VL Mi dicono che il primo è anche censito su Vall-Llosera al n. 59 (ma purtroppo non ho il libro, e ho qualche difficoltà col catalano...). Sapete dirmi qualcosa sul secondo? L'accoppiata CICILI al dritto e ALFONSVS al rovescio non l'ho trovata in giro. Qualsiasi notizia e riferimento bibliografico, anche in rete, è benvenuto. Grazie, Luca
  16. Crorien

    Denaro di Lucca?

    Salve a tutti, Vi scrivo perchè vorrei avere la vostra gentile opinione riguardo questa moneta. Sono quasi certo che si tratti di uno Scudo di Lucca ma sicuramente riuscirò ad avere più informazioni da qualcuno di voi. Nel caso si trattasse effettivamente di una moneta lucchese, esiste un modo per datarla in qualche modo? Vi ringrazio in anticipo e aspetto una vostra risposta. Crorien
  17. Buongiorno a tutti e buona Epifania, vorrei aprire una discussione su quella particolare tipologia di denari emessi dalla zecca di Asti, che presentano i due punti nel seguente modo: : + : ASTENSIS : CVNRADVS II Nel CNI ne vengono indicate due varianti che elenco di seguito, la prima che fa riferimento ad una illustrazione del Promis con un sola coppia di puntini (varietà che non ho mai avuto modo di vedere direttamente in moneta ma solo rappresentata in disegno) e la seconda più comune. Nell'immagine seguente ho riportato le due descrizioni del CNI e la tavola del Promis, ricostruendo digitalmente secondo la descrizione del CNI anche la seconda variante. Sulla prima variante nutro forti sospetti che non esista e possa derivare da una mal interpretazione di qualche moneta poco leggibile, per cui spero che qualcuno abbia tale variante per potermi ricredere. Nel lavoro Astensis venne riportato un unico gruppo (Gruppo D, var. I) indicando un unico punto prima di CVNRADVS, penso anche in questo caso perché i due esemplari presi in considerazione non erano ben leggibili... Nel recente MEC 12 Matzke inserisce questa tipologia nella classe E.2 dopo la variante con la spina (CVNR'ADVS), indicando: Two pellets on each side of detached crosslet in the reverse legend senza fare alcune menzione del diritto (con uno o due punti, e della presenza o meno del REX con globetto centrale) e non riportando illustrazione alcuna nella comunque infelice tav. 5 (ed unica per le monete del periodo comunale della zecca di Asti). Ciò detto, vorrei illustrarvi di seguito alcune monete, che ho scovato in questi anni di ricerche... la seconda e la terza sono del tutto analoghe. La N più stretta nella seconda, porta ad avere più spazio per i due globetti tra II e la C di CVNRADVS, che risultano invece schiacciati nella terza dove la N è più larga. Tutte e tre hanno la A con cappello incurvato, il globetto nella traversa della E, REX con punto centrale, la R con ricciolo e la X di REX allineata sotto la C. Anche la terza seppur poco visibili in foto presenta due globetti prima della crocetta. La prima invece sembra presentare punzoni differenti dalle altre due (nelle S e nelle E ad esempio è piuttosto evidente) e presenta, seppur non così evidente in foto... un aspetto molto differente dalle altre, quasi... aureo... possibile?? Mi piacerebbe sentir la vostra opinione su quanto detto fin qua, sperando di poter approfondire ulteriormente... e vorrei chiedere a mario (@dabbene) se potesse rifotografare la sua moneta, o almeno dirci se presenta un globetto nella N di CVNRADVS... dalla foto non ne sono così sicuro. Grazie Saluti a tutti! Luca
  18. Salve a tutti Sono sicuro che gli appassionati della monetazione lucchese conoscono il denaro (esemplare unicum) "attribuibile" a Bonifacio di Canossa 1028-1052 (MIR 106, Bellesia 1 p. 56). Mi chiedevo quali siano le motivazioni storiche, o altro, per cui invece dell'usuale monogramma marchionale, in questo caso, sia utilizzato quello a doppia T introdotto da Corrado II nelle sue emissioni e anche successivamente, come ben sappiamo. Inoltre nelle legende non è specificata alcuna titolatura. Ogni opinione sarà benvenuta. Grazie e cari saluti
  19. Ricevuto foto da un mio amico, diametro 12mm, peso circa 1 gr . Grazie
  20. Buona sera, ho visto in asta questo lotto. Una delle monete è chiaramente un denaro di Boemondo III, non riesco però a classificare la seconda moneta (quella in basso) Ogni aiuto sarà gradito. Saluti A.
  21. Molte volte ho consigliato, ai vari amici, di togliere le monete da slab o perizie, perchè non si potevano vedere e toccare ma poi ho preso una delle monete a cui tenevo ed ora, il dubbio ce l' ho io.....lascio o tolgo? cordialmente Roberto
  22. frisax

    id. moneta

    Buongiorno, vorrei identificare questa moneta dal diametro di 17/19,5mm e 2gr. circa di peso. Grazie
  23. Salve a tutti, dopo che mi avete aiutato con un denaro di Ladislao, vorrei chiedervi una mano nell'interpretare quello che si riesce a leggere su questo denaro di Giovanna II. Io vedo al diritto una ...I..., poi forse ...SЄC.... Al rovescio mi pare che ci sia ...VGARIЄ IЄ... Potrebbe essere CNI n. 8 oppure n. 15: D/: [☩ IhOA • RЄG?]I[N • ]SЄC[NA?] R/: [☩ h]VGARIЄ • IЄ[RL • Є • SIC?] Che ne pensate? Riuscite a vedere qualche altra cosa che non sono riuscito ad interpretare? Lo so che è dura, ma so che c'è gente molto brava che legge Un saluto, Luca
  24. Salve a tutti, vorrei un aiuto a catalogare questo denaro di Ladislao di Durazzo. Sul PR viene riportato al n. 4, mentre sul Giuliani-Fabrizi ai n. 107 e 108 vengono riportate varietà, rispettivamente, con croce patente (CNI 15-27) e croce unghiata (CNI 10-14). Nell'iscrizione di questa monete leggo: D/: [☩ LADISL]AVS DЄI [G]RAC (forse C retrograda, che appare D?) R/: ☩ hV[GAIЄ ] IЄRL Є SICI che mi fa pensare al CNI 14, che riporta GRA D, quindi corrispondente al Giuliani-Fabrizi 108. Come alternativa, sul CNI c'è al n. 22 GRACI, ma al R/ c'è SIC R. In realtà, anche guardando le illustrazioni del Giuliani-Fabrizi, la differenza tra croce patente e croce unghiata non mi sembrano evidenti, ma forse osservo io male. Cosa ne pensate? Un saluto, Luca
  25. Salve a tutti. Quest’oggi volevo approfondire un tema storico, forse ultimamente messo un po’ da parte, che riguarda molto da vicino la politica espansionistica di Carlo I d’Angiò (1282 – 1285, come Re di Napoli). Carlo I era di stirpe reale: era infatti figlio del Re di Francia Luigi VIII, mentre suo fratello sarà il futuro San Luigi IX. I suoi rapporti con l’Oriente erano già molto vivi ancor prima di arrivare ad impossessarsi della corona napoletana: nel 1248, infatti, Carlo, con i titoli di Conte d’Angiò, del Maine, di Provenza e Forcalquier, accompagnò suo fratello, il Re Luigi IX, durante la Settima Crociata, in Egitto, governato all’epoca dalla dinastia araba degli Ayyubidi. Questi ultimi, nel 1245, l’anno prima che Carlo fosse elevato a Conte d’Angiò, avevano conquistato Gerusalemme con i suoi luoghi santi, all’epoca ancora oggetto di numerose contese tra mondo cristiano e mondo musulmano. Il loro potere, poi, si era esteso anche in Egitto, costituendo un serio pericolo per le potenze europee che si affacciavano sul Mediterraneo. Inoltre, questa occasione offriva un ottimo pretesto per ritornare in Oriente e ritagliarsi dei possedimenti personali da assoggettare a dinastie cosiddette franche. Dopo un breve scalo a Cipro, tappa obbligatoria per le flotte che dall’Europa si dirigevano in Oriente, Carlo raggiunse l’Egitto nel 1249, partecipando alla vittoriosa conquista di Damietta. Nel febbraio del 1250, però, fu protagonista, insieme al fratello Luigi e ad altri membri della famiglia reale francese, della disastrosa disfatta di Mansura, a seguito della quale sia Luigi IX che Carlo stesso furono annoverati tra i prigionieri dei musulmani, diventando così molto più preziosi per i nemici di ogni possibile bottino di guerra. Infatti, dopo una breve prigionia, sia il Re di Francia che suo fratello Carlo d’Angiò furono rilasciati dietro pagamento di un pesante riscatto. Carlo decise che la sua avventura crociata nei territori dell’Outremer poteva dirsi conclusa: nel 1251 fece ritorno in Francia, anche a seguito di alcune rivolte che si stavano sviluppando nei suoi territori. Negli anni seguenti, Carlo si dedicò agli sviluppi politici della Francia e degli altri Stati limitrofi, intromettendosi in varie questioni ereditarie da cui uscì spesso con il raggiungimento di un proprio tornaconto personale. Non trascorse però molto tempo che Carlo fu invischiato negli affari italiani: nel 1261 era stato eletto al soglio pontificio Papa Urbano IV che era di origini francesi. La situazione politica in Italia non era delle migliori: Manfredi di Svevia, Re di Sicilia, ambiva a conquistare l’Italia intera, il che equivaleva ad una minaccia seria e preoccupante per il pontefice, il quale tentò di ingraziarsi il sovrano svevo intraprendendo la via diplomatica che, ahimè, non portò a nulla di concreto. Così, Urbano IV reagì pesantemente scomunicando Manfredi, il che comportava la perdita di ogni diritto sul trono di Sicilia. Il Regno dell’Italia Meridionale, per antiche norme di diritto feudale, ritornava nelle mani del Papa che ne disponeva al meglio. In questo caso, Urbano decise di affidarne la corona a Carlo d’Angiò, forse con lo scopo di favorire la casata reale della sua terra d’origine. Mentre Carlo si recava a Roma per essere insignito del titolo di Senatore, Urbano IV morì di lì a poco nel 1264. Gli successe Clemente IV che continuò la politica anti-sveva del suo predecessore: egli accolse Carlo con il suo seguito nel 1265 e lo incoronò a Roma Re di Sicilia. Manfredi, intanto si organizzò per l’imminente scontro, poiché non aveva nessuna intenzione di rinunciare ai suoi diritti sul trono siciliano, nonostante fosse ormai ufficialmente decaduto. Da questo momento in avanti, è risaputo cosa avvenne e come Carlo conquistò la corona dell’Italia Meridionale: il suo esercito, forte di quasi 30.000 uomini provenienti dalla Francia, supportato dai Baroni che si erano ribellati a Manfredi, sbaragliò le forze sveve sul fiume Calore nei pressi di Benevento. Era il 26 febbraio 1266 il giorno esatto in cui lo Stato più esteso della penisola italiana assistette all’ultimo bagliore della gloriosa casata sveva e, nello stesso istante, all’ascesa di un nuovo padrone, la cui discendenza, tra bene e male, contribuì allo sviluppo della parte continentale del Regno impegnandosi con uno sforzo senza precedenti. Fu proprio con Carlo I che Napoli fu scelta come capitale del Regno, soprattutto dopo che, con la rivolta dei Vespri Siciliani, la parte insulare dei suoi nuovi possedimenti si era ribellata, scacciando i Francesi visti come despoti votati al sopruso. Ed in effetti la politica di Carlo I, ancor prima di diventare Re, era stata sempre molto dura e, a tratti, dispotica: nel riorganizzare l’assetto amministrativo del Regno appena conquistato con le armi, il sovrano angioino tolse molte delle antiche prerogative alla nobiltà locale per affidarle invece a membri più o meno illustri provenienti da altre parti d’Italia e d’Europa, favorendo con un occhio di riguardo i mercanti ed i banchieri toscani. Il Regno non fu però pacificato del tutto prima del 1268, anno in cui Carlo sconfisse a Tagliacozzo le ultime truppe rimaste fedeli agli Hohenstaufen nella persona di Corradino, nipote di Manfredi. Con la sconfitta e la decapitazione di Corradino a Napoli, Carlo d’Angiò divenne ancor più ferreo nel suo governo: portò alla rovina molti nobili locali per poi sostituirli con i più fedeli tra i Baroni francesi. Gli Svevi, poi, a differenza degli Angioini, avevano sempre mantenuto ottime relazioni pacifiche con gli Arabi, il che aveva scatenato l’ira di più di un pontefice. Con l’avvento di Carlo I a Napoli le cose cambiarono e fu in questo momento che il Nostro, dopo aver assicurato la stabilità nei suoi nuovi territori, pose rinnovata curiosità verso l’Oriente. Luigi IX, nonostante l’esito estremamente negativo registrato alla fine della Settima Crociata, spinto dalle sue convinzioni religiose e da una fedeltà al Papa quasi fanatica, era già pronto ad intraprendere quella spedizione, questa volta contro la Tunisi del califfo al-Mustansir, che sarebbe passata alla storia come Ottava Crociata. Ed anche questa volta il buon Carlo vi partecipò: i motivi della sua partecipazione, poco entusiasta a causa forse della prigionia subita verso la metà del XIII secolo in Egitto, si devono probabilmente ricercare nel fatto che, da Tunisi, al-Mustansir, vecchio alleato di Manfredi e quindi nemico del nuovo Re Carlo, poteva tenere sotto scacco sia la Sicilia che il Regno di Napoli. Carlo era quindi molto più pragmatico di suo fratello e riuscì a intravedere ottime opportunità per il suo Regno accodandosi alla farsa della Crociata. Infatti, morto nel 1270 Luigi IX per una violenta forma di dissenteria, Carlo, come parente più prossimo, assunse il comando della Crociata che si trasformò più in una guerra personale: alla fine, in quello stesso anno, il sovrano Angioino stipulò un nuovo trattato con il califfo e, ottenuti i rimborsi delle indennità di guerra da parte del nemico, rientrò in Sicilia quello stesso anno. Ma i progetti che più attanagliavano la mente di Carlo I si manifestarono già prima dell’Ottava Crociata. Alleandosi con l’Imperatore latino di Costantinopoli Baldovino II, ormai in esilio, attraverso un’oculata politica matrimoniale (fece infatti sposare sua figlia Beatrice con il figlio di Baldovino nonché suo successore, Filippo di Courtenay), l’Angioino mirava alla conquista graduale del trono costantinopolitano. Questa sua sete di conquiste dovette sfogarsi al di là dei confini nazionali, poiché in Italia non poteva unificare gli altri territori della penisola, rischiando altrimenti di incorrere nell’ira del Papa, rischiando di fare la stessa fine dello scomunicato Manfredi. I regni orientali, invece, facevano ancora gola ai sovrani occidentali, poiché ancora floridi e ricchi, nonostante l’epoca d’oro delle Crociate era finita da un po’. Alla riconquista latina di Costantinopoli e del suo ricco Impero volle partecipare anche il Principe d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin, il quale diede in sposa sua figlia ed erede Isabella al figlio di Carlo, Filippo. Questi divenne Principe d’Acaia a partire dal 1278, quando Guglielmo II morì e Isabella entrò in possesso dei territori paterni come prevedevano gli accordi. Da questo momento in poi, l’Acaia spetterà di diritto agli Angioini. Un primo passo, quindi, per l’espansione angioina in Oriente era già stato compiuto. Attraverso questa politica matrimoniale, Carlo I poteva muovere i fili del potere anche all’estero, senza però essere coinvolto in prima persona, mantenendo apparentemente il controllo del solo Regno di Napoli, di cui era sovrano titolare. Nonostante la conquista di Costantinopoli sembrava per Carlo a un passo dalla realizzazione, i suoi piani furono bloccati a causa dell’alleanza religiosa che Michele VIII Paleologo, Imperatore di Bisanzio, strinse con il nuovo Papa Gregorio X, il che portò ad un arresto temporaneo della campagna intrapresa da Carlo I contro i Bizantini. La situazione precipitò con lo scoppio dei Vespri Siciliani del 1282 che costrinsero il sovrano ad abbandonare l’Albania e a tornare in Sicilia per sedare la rivolta. Mentre era ancora in corso la progettata conquista di Costantinopoli, Carlo non mancò di andare oltre Bisanzio e di mirare ancora più lontano, ovvero alla stessa capitale di quello che era stato il Regno latino omonimo più importante creato dopo la fine della Prima Crociata nel 1099: Gerusalemme. Dopo la morte di Corradino, nel 1268, che era titolare del Regno di Gerusalemme, i diritti al trono di un Regno che era solo l’ombra di quello che era stato in passato furono contesi da varie casate occidentali, tra questi la spuntò alla fine quella dei Lusignano di Cipro. Alla fine del XIII secolo, quando ormai la riscossa musulmana aveva portato all’annientamento uno dopo l’altro di tutti gli Stati che i Crociati avevano fondato in Outremer, il titolo di Re di Gerusalemme, ridotto ad una pura formalità, era stato rivendicato però anche da altre famiglie. Tra queste spiccava la dinastia dei Principi di Antiochia nella persona di Maria, figlia di Boemondo VI, ultimo Principe effettivo di questo Stato crociato. Ella vantava diritti dinastici sul trono di Gerusalemme: infatti, per via paterna, era discendente del Re Baldovino II, in quanto la figlia di questi, Alice, aveva sposato Boemondo II d’Antiochia, antenato in linea diretta di suo padre. Suo nipote, Ugo III di Lusignano, riuscì però ad impadronirsi del titolo, lasciando a mani vuote Maria d’Antiochia, la quale, nel 1277, vedendosi sconfitta, vendette i suoi diritti sul trono gerosolimitano proprio all’ambizioso Carlo I d’Angiò. Da questa acquisizione non furono ricavati però nuovi territori in Oriente per la Corona angioina: molte città costiere che erano sopravvissute agli attacchi dei musulmani avevano giurato fedeltà ad Ugo III. Un tentativo fu comunque intrapreso da Re Carlo per far valere i suoi diritti appena comprati: nel giugno di quello stesso anno 1277 una flotta siciliana comandata da Ruggero Sanseverino approdò nel porto di San Giovanni d’Acri, ultima fortezza rimasta in mani cristiane lungo la costa siro-palestinese (cadrà poi solo nel 1291), chiedendo udienza al comandante della piazzaforte, il Gran Maestro dell’Ordine cavalleresco degli Ospitalieri. Ruggero, con abili mosse diplomatiche, riuscì alla fine di una lunga trattativa a convincere l’Ordine che controllava la città a riconoscere Carlo come legittimo Re di Gerusalemme. Questo fu l’unico successo registrato dall’Angioino a seguito dell’acquisizione del titolo orientale. Proprio per rendere esplicito tale traguardo, nello stemma araldico degli Angioini di Napoli figurò la croce potenziata di Gerusalemme (fig. 1). Fig. 1: Arme di Carlo I d'Angiò dopo il 1277. Di Heralder - Own work, elements by Sodacan & Katepanomegas, CC BY-SA 3.0. Un evento così importante per la storia degli Angioini sovrani di Napoli non poteva non essere commemorato anche con un’apposita serie monetale. In politica economica, almeno in Sicilia e nelle zecche minori dell’Italia Meridionale continentale, Carlo I seguì senza particolari modifiche il sistema monetario svevo, continuando a curare, nel caso di nostro interesse, l’emissione di denari in mistura (che in realtà erano ridotti ad una lega di rame quasi puro). La serie, che ora vedremo, si compone di soli due nominali: il doppio denaro, molto raro, ed il denaro. Entrambi i nominali furono coniati a Messina nel 1278, quindi pochi anni prima della rivolta dei Vespri Siciliani e l’anno successivo all’acquisto del titolo gerosolimitano da Maria d’Antiochia. Forse, prima di rendere la cosa ufficiale, Carlo attese il buon esito della spedizione di Ruggero a San Giovanni d’Acri per assicurarsi che almeno una tra le più importanti città latine d’Oriente l’avesse riconosciuto come sovrano. Questa serie che celebra l’investitura del Re a sovrano titolare di Gerusalemme è una delle poche, se non l’unica, nel vasto panorama dei denari angioini, che si può datare con precisione ed attribuire ad una zecca. Nello stesso anno 1278, Carlo I, su modello di quanto già fatto in Francia da suo fratello Luigi IX, con una riforma monetaria, chiuse tutte le altre zecche regnicole e impose la coniazione del circolante nella sola capitale Napoli. 1. D/ + KAROL • IERVSALEM Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in doppio circolo perlinato. R/ + ET • SICILIE • REX Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in doppio circolo perlinato. SPAHR 1976, p. 236, n° 55 (illustrato alla tav. XXVIII). Doppio denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr: 1,33 g. – 19 mm.). Rarità: RR – RRR. Fig. 2. Fig. 2. Doppio denaro dal peso di un grammo. Ex Artemide XLVI, lotto 548. 2. D/ + KAROL • IERVSALEM Croce ornata con globetti alle estremità di ogni braccio, racchiusa in circolo perlinato. R/ + ET • SICILIE • REX Giglio a tutto campo, circondato da tre globetti e racchiuso in circolo perlinato. SPAHR 1976, p. 236, n° 56. Denaro in mistura (dati ponderali indicati in Spahr: 0,60 g. – 16 mm.). Rarità: C. Fig. 3. Fig. 3. Denaro dal peso di 0,96 g. Ex Artemide XLVI, lotto 549. Letture consigliate per approfondire: · BENIGNO Francesco - GIARRIZZO Giuseppe, Storia della Sicilia, vol. 3, ed. Laterza, Roma-Bari, 1999. · FROUSSARD Giovanni Battista, Osservazioni sulla Storia ed intorno a Pietro Giannone ed a Carlo I d’Angiò, Ducale Tipografia Bertini, Lucca, 1833. · LÉONARD Émile G., Les Angevins de Naples, Presses Universitaires de France, Paris, 1954. · SPHAR Rodolfo, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582 – 1282), Zurich – Graz, 1976. · TRAMONTANA Salvatore, Il Mezzogiorno medievale, Carocci, Roma, 2000. P.S.: Perdonate il tedio e buona lettura!
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