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IGNORED

Denario con Apollo / Roma e Vittoria


L. Licinio Lucullo

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Emissione congiunta di tre monetarî, L. Caecilius Metellus, A. Postumius Sp. F. Albinus e C. Publicius Malleolus C. F.

Lucio Cecilio Metello fu pretore nel 71, governatore in Sicilia nel 70 console nel 68.

Gli insorti emisero un denario simile (Campana, 104-115) nell’89, con il busto di Italia al D/ e l’Italia incoronata al R/. Se proposta da Crawford per questa moneta è corretta, gli Italici copiarono dai Romani; Babelon riteneva il contrario, collocando questa emissione nell’88

Nella variante RRC 335/1b, come in numerosi altri denarî raffiguranti la testa di Apollo (vedansi ad esempio RRC 410/8, 444/1 e 474/1-3), compare una stella. Spesso è parte integrante dell'iconografia del dritto, con una frequenza maggiore rispetto a tutti gli altri attributi del dio (ad eccezione della corona d'alloro). Eratostene ci illustra le vicende di Orfeo, il cantore che ricevette in dono da Apollo la divina lira e che, in seguito alla vana discesa negli inferi in cerca dell'amata Euridice, sprofondò nel dolore e nella tristezza per poi morire per mano dell'oltraggiato Dioniso e dei suoi seguaci. Secondo Ovidio invece morì per mano di alcune donne, indignate dall'indifferenza del cantore. Sempre dalle Metamorfosi è sappiamo che la lira, un guscio di tartaruga con sette corde costruito da Ermes, fu gettata nel fiume Ebro ma continuò a suonare; Zeus, che non restò indifferente, la recuperò e la portò tra le stelle. Altri narrano che furono le Muse, Zeus consenziente, a recuperarla. Anche il mito di Arione, musico di Lesbo, ci fornisce una mitica spiegazione riguardante la nascita della costellazione della Lira, ed in questo caso fu lo stesso Apollo a tramutare in stelle sia lo strumento musicale che il delfino che salvò il musico. Considerato che per gli antichi si chiamava Lira tanto la costellazione quanto la sua stella più luminosa, oggi denominata (con termine arabo) Vega, un legame tra Apollo e Vega esiste ed appare quindi probabile che proprio essa sia raffigurata sulle monete repubblicane. Essendo Apollo una divinità dalle molteplici caratteristiche, tale attributo potrebbe riassumere, in un solo simbolo, due positivi volti del dio: Febo (splendente) e Citaredo o Musagete (ispiratore, protettore e dio della arti).

Apollo in persona aveva eletto i più grandi saggi dell'antichità e li aveva riuniti nel numero a lui sacro, il sette. Secondo il vaticinio dell'oracolo delfico, un tripode d'oro rinvenuto in mare durante la pesca doveva andare al più saggio dei Sette; fu assegnato a Talete di Mileto che, essendo di indole umile, lo donò ad un altro dei Saggi, ma nemmeno questo si ritenne degno e così passò da uno all'altro finché non fu consacrato ad Apollo stesso, vero maestro di saggezza. Il tripode, quindi, è simbolo di Apollo.

Alla fine della Repubblica, Ottaviano assunse Apollo come una delle sue divinità di riferimento. Era consuetudine dell'aristocrazia romana far risalire la propria dinastia ad eroi o divinità greche; contrapponendosi ad Antonio, che aveva preferito le mollezze dionisiache, Augusto interpretò il ruolo del favorito di Apollo e fu proprio la competizione con l'amante di Cleopatra a metterlo nella condizione di questa scelta che celava messaggi politici ben precisi: fin dall'epoca di Silla, infatti, Apollo ed i suoi simboli (il tripode, la Sibilla, la cetra, la sfinge) erano stati incisi sulle monete come auspicio di un futuro migliore. Il tempio di Apollo fu fatto costruire proprio accanto alla residenza di Ottaviano, che poteva accedervi direttamente attraverso una rampa esclusiva. Sempre allo stesso messaggio apollineo è da ricondursi la corona d'alloro che Augusto introdurrà fra i simboli imperiali.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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