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Brexit, Boris Johnson sta per finire in una trappola. Come ne uscirà?

Sembra ormai inevitabile che alla fine di luglio Boris Johnson verrà eletto primo ministro dai membri del partito conservatore. Boris vincerà perché il partito conservatore è per il 90 per cento sicuro che il Regno Unito debba guardare a ovest, verso l’Atlantico, e mettersi dietro le spalle la pessima esperienza con il Vecchio Continente, tutto ciò nonostante soltanto il 48 per cento dell’elettorato del Regno Unito molto probabilmente è a favore dell’uscita dall’Europa mentre il 52 per cento è contro. La scollatura tra politica istituzionale e politica vera è evidente.
La vittoria di Boris, comunque, non sarà un grosso problema dal momento che non cambierà proprio nulla né per la Brexit, né per la politica del Regno Unito. Lo stallo continuerà come pure l’erosione dei partiti tradizionali, quello conservatore e quello laburista. In primis è estremamente improbabile che il nuovo primo ministro riuscirà ad assicurarsi una maggioranza parlamentare sufficientemente solida da far passare ciò che vuole riguardo alla Brexit (ancora nessuno ha capito bene di cosa si tratti). Ma anche tra i parlamentari conservatori a favore della Brexit sarà difficile trovare consensi, ce ne sono molti che lo detestano e che saranno ben felici di vederlo fallire. Non dimentichiamo che regnare sulla nazione di Shakespeare significa guardarsi le spalle ogni istante dai coltelli pronti per essere conficcati nella schiena dei primi ministri, che spesso periscono per mano dei propri amici o colleghi. Michael Gove, ad esempio, è un ex grande amico e collega di Boris, ha già fatto capire a tutti che se quest’ultimo verrà eletto primo ministro sarà suo compito perseguitarlo.

Altro motivo per il quale il regno di Boris Johnson non cambierà proprio nulla è l’atteggiamento ostile di Bruxelles. Il centro del potere dell’Unione Europea non lascerà che l’uomo che ha appoggiato apertamente il movimento Brexit durante il referendum abbia alcuno spazio per rinegoziare gli accordi sottoscritti da Theresa May. Anche a Bruxelles l’ex sindaco di Londra ha molti, forse anche troppi nemici, quindi non ci sarà alcuna rinegoziazione. Non si prenderanno in considerazione i nuovi piani da lui suggeriti per il confine irlandese né i commenti sul libero scambio entrambi eccessivamente vaghi e poco chiari, si pensi solo al prolungamento del processo della Brexit fino alla fine del 2021.

In conclusione Boris sta per finire in una bella trappola politica. E come ne uscirà? Certo non può suggerire un nuovo referendum, se lo facesse la sua testa rotolerebbe lungo i corridoi del parlamento ed a tagliarla sarebbero proprio i membri del suo partito. Probabilmente finirà per fare quello che ha fatto Theresa May, indirà nuove elezioni politiche. Secondo lui, naturalmente, si tratterebbe di un plebiscito popolare a suo favore, plebiscito che dovrebbe confermare la decisione del partito conservatore a nominarlo primo ministro. Ma affinché ciò avvenga, il partito conservatore dovrebbe essere l’indiscusso vincitore delle elezioni. Peccato che questo sia un sogno difficilmente realizzabile. Le elezioni, come quelle europee, non avranno nulla a che fare con la politica o le scelte del partito conservatore o degli altri partiti, ma saranno sulla Brexit, un nuovo referendum mascherato, dunque. A quel punto Boris, se sopravvive alle perdite di consensi, dovrà fare i conti con Nigel Farage e i
Liberal Democrats, e, chissà, forse anche con i verdi

 

Morale: la Brexit rimarrà disordinata, confusa e destabilizzante con Boris Johnson come lo fu con Theresa May perché il Paese è spaccato in due e i partiti sono di parte, non esiste un vero consenso di maggioranza. Tuttavia, a lungo termine la Brexit è solo un altro ostacolo, non una catastrofe. Certo, il Regno Unito ci inciamperà di nuovo sopra e farà altri bei capitomboli ma si riprenderà, e reinventandosi forse riuscirà ad inserirsi meglio nella nuova economia globale. Naturalmente con un primo ministro diverso da Johnson e un partito nuovo, né conservatore né laburista.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/23/brexit-boris-johnson-sta-per-finire-in-una-trappola-come-ne-uscira/5274626/

Modificato da ARES III
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Personalmente sono contrario a un nuovo negoziato. E starò volentieri a guardare il nuovo posto della Gran Bretagna nell'economia globale...

Arka

Diligite iustitiam

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Il 22/6/2019 alle 19:55, ARES III dice:

Comunque @ART un minimo di autocritica dei vari "capoccia di Bruxelles" servirebbe: ad es. nel 2009-2010 l'Islanda fa domanda di adesione e la tirano per le lunghe fino al 2013 quando arriva un nuovo governo euroscettico (quello stesso della crisi bancaria di 4 anni prima) che blocca tutto e nel 2015 ritira pure la domanda. Mi domando l'Islanda aveva quasi tutte le carte in regola, anche perché fa parte del SEE, quindi il processo di adesione sarebbe dovuto durare al massimo 1 anno o 2, allora perché tirare il tempo ? Forse per dare peso ed importanza a qualche personaggio? Quella è stata un'occasione mancata per l'UE per allargarsi e per farsi che i Paesi europei siano più coesi e contino di più.

I negoziati d'adesione richiedono patecchi anni: anche se l'Islanda in alcuni settori era già allineata in altri era complesso venirne a capo.

Ma non è questo il problema, è che capoccioni o non capoccioni è evidente che di questo passo di unità seria non se ne parla nemmeno. A molti va bene così, tanto fare gli schiavi illudendosi si essere liberi è facile.

 

13 ore fa, ARES III dice:

Tuttavia, a lungo termine la Brexit è solo un altro ostacolo, non una catastrofe. Certo, il Regno Unito ci inciamperà di nuovo sopra e farà altri bei capitomboli ma si riprenderà, e reinventandosi forse riuscirà ad inserirsi meglio nella nuova economia globale.

... certo, ben inserito nella dipendenza di fatto dagli USA non sarà certo una catastrofe. Rimarranno sempre la regina e la forza nucleare e le due portaerei con cui si potrà far bene finta di essere indipendenti. Allora perchè non farlo anche noi, salta già ora a dire qualche gran genio in Italia? Usciamo dalla UE cattiva e andiamo a fare gli schiavi dei russi e dei cinesi, tanto rimarremo con il "70% del patrimonio artistico mondiale", il cibo, i monumenti, la "settima potenza industriale" e tutto il resto delle caxxxte che nella retorica odierna rappresentano la sostanza unica di questo paese. Poi lo faranno anche tutti gli altri e l'Europa sarà definitivamente divisa e schiava... ma ognuno contento della sua bella illusione di paese libero e potente. QUESTA è la catastrofe, amico autore dell'articolo sul tabloid linkato.

Modificato da ART
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Le vie del Signore sono infinite: adesso il più grande sostenitore della Brexit (non è un britannico naturalmente !) ci ripensa, non so per convinzione o per convenienza…….

Trump ci ripensa sulla Brexit: Meglio una Ue unita per contrastare Pechino

Il presidente Usa non ha mai fatto mistero di tifare per la Brexit. Ma davanti alla sfida cinese preferirebbe avere una Ue unita

Ad Osaka, sede del G20, l'attenzione dei leader delle maggiori economie del mondo é catalizzata dallo scontro tra Stati Uniti e Cina. Scontro che avviene su piú livelli, da quello tecnologico, con la diatriba Huawei, a quello diplomatico e militare. Fino al capitolo piú sensibile per Trump: il commercio estero e la bilancia commerciale Usa sproporzionatamente inclinata verso Pechino.

SCONTRO TRA USA E CINA

I leader dei Paesi del G20 hanno chiesto ai presidenti di Cina e Stati Uniti una soluzione alla disputa commerciale che potrebbe causare nuovi rallentamenti all’economia globale, nel primo giorno di summit del G20 a Osaka, su cui gravano anche i timori per le tensioni con l’Iran. Mentre cresce l’attesa per l’incontro di oggi tra il presidente Usa, Donald Trump, e il presidente cinese, Xi Jinping, ieri i mercati hanno mandato segnali di nervosismo, con le piazze asiatiche tutte con segno meno.

TRUMP DIALOGANTE CON LA CONTROPARTE CINESE

Trump ha voluto precisare di non avere promesso sospensioni alle tariffe alla Cina, in vista dell’incontro con Xi, che, ha commentato senza sbilanciarsi, “come minimo, sarà produttivo”. Risolvere la disputa tariffaria tra Cina e Stati Uniti per evitare un “impatto dannoso” all’economia mondiale è auspicio anche del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ma le divergenze tra Cina e Stati Uniti sono emerse già nel primo giorno di summit.

XI SI PONE COME DIFENSORE DEL LIBERO MERCATO

Pechino, ha detto Xi, non vuole uno sviluppo “a porte chiuse”, ma uno sviluppo integrato di economia digitale e reale. Trump ha, invece, sottolineato l’importanza della sicurezza delle reti 5G, in quello che appare un riferimento al gigante delle telecomunicazioni Huawei, nel mirino di Washington per i timori di spionaggio informatico, e vero nodo da sciogliere nelle tensioni con Pechino.

Il dialogo tra Cina e Stati Uniti appare impostato su due piani diversi: mentre Trump ammorbidisce i toni, parlando di “grandi accordi” nel commercio con India e Giappone, e descrivendo la cancelliera tedesca Angela Merkel come una “donna fantastica” e “una grande amica”, Xi ha fatto ricorso a un linguaggio forte contro i rischi del protezionismo e dell’unilateralismo, fonti di “grande preoccupazione” a livello internazionale.

Il presidente cinese ha puntato il dito contro i Paesi sviluppati, accusandoli di mettere in atto pratiche protezionistiche che stanno “distruggendo l’ordine del commercio globale” gettando un ombra anche “sulla pace e la stabilità globale”, in quello che appare un chiaro riferimento agli Stati Uniti.

LA BREXIT E L'EUROPA UNITA

Nello scontro tra Cina e Stati Uniti le faccende europee sembrano quasi passare in secondo piano, anche se in Gran Bretagna il governo é alle prese con la scelta del nuovo leader dei Tory e con la Brexit. Ebbene, se Trump é sempre stato fortemente favorevole all'uscita del Regno Unito dalla Ue, le cose sembrano essere cambiate. L'ambasciatore Usa presso l'Unione europea, Gordon Sondland, ha infatti sottolineato come una Unione europea unita sarebbe un alleato strategico nel contrasto alla Cina.

Nel vecchio Continente infatti i Paesi si stanno muovendo in ordine sparso. Se la Gran Bretagna sembra aver seguito l'alleato sulla strada del cordone sanitario intorno a Pechino, l'Italia ha invece firmato il memorandum d'intesa con il Gigante asiatico. Mentre Francia e Germania continuano a collaborare con Xi Jinping pur guardandosi le spalle. Insomma, non é detto che dopo la nomina di Boris Johnson a leader dei Tory e poi a premier, il presidente Trump non faccia una telefonata per cercare di mediare tra Londra e Bruxelles.

http://www.affaritaliani.it/affari-europei/trump-ci-ripensa-sulla-brexit-meglio-una-ue-unita-per-contrastare-pechino-613103.html

 
 
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Sembra un ciclo di ricorso storico: nel dopoguerra gli USA appoggiavano la ricostruzione e l'unità europea in funzione antisovietica, adesso anche Trump o chi per lui arriva almeno temporaneamente alla stessa (elementare) conclusione. Facciamo comodo disuniti ma non crollati, il che paradossalmente contrasta con la tipica aspirazione estremista-paranoide di un'Europa di stati completamente sconnessi.

Modificato da ART
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Non so se fargli i complimenti per la scaltrezza o indignarmi per il disgusto (però essendo di stomaco debole, penso proprio di essere costretto a scegliere la seconda opzione):

La Brexit paga: Farage guadagna 27mila sterline al mese per attaccare l'Europa

Il leader dei brexiter ha ammesso di incassare soltanto per le sue apparizioni tv - a Fox News o Russia Today - circa 27mila sterline al mese

LONDRA. Anche se sul Regno Unito incombe il pericolosissimo No Deal (cioè l'uscita senza accordo di Londra dall'Ue con probabili gravi conseguenze economiche), la Brexit pare essere davvero un mestiere redditizio, almeno per Nigel Farage. Il leader del neonato Brexit Party - che ha stravinto le ultime elezioni europee in Regno Unito - ha ammesso infatti di guadagnare soltanto per le sue apparizioni e invettive pubbliche contro l'Ue circa 27mila sterline al mese.

Una cifra enorme, che, come racconta il Times, gli arriva tramite la sua società di media e pubbliche relazioni "The Torn in the Side", ossia "spina nel fianco", nome che ricorda una canzone degli Smiths ma che in realtà gestisce tutte le sue partecipazioni pubbliche nei vari programmi tv e radio, negli Stati Uniti e in Inghilterra, di cui è spesso ospite.

Già: perché Farage innanzitutto ha un programma fisso settimanale alla radio inglese Lbc, e poi partecipa attivamente a Fox News, la tv di destra americana di proprietà di Rupert Murdoch, dove fa il commentatore ed è spesso ospite di programmi che lodano il presidente Donald Trump e attaccano la sinistra e l'Unione Europea.

Inoltre Farage, uno dei principali protagonisti nella Brexit e protagonista dell'euroscetticismo britannico da decenni, appare anche in altri controversi palcoscenici, come quello del canale Russia Today, legato al Cremlino. In tutto, in busta paga, a fine mese arrivano circa 30mila sterline per questa sua "esposizione mediatica" contro la Brexit.

Proprio Farage, insieme agli altri 28 neo-eletti del Brexit Party, l'altro giorno al Parlamento europeo ha voltato le spalle all'Inno alla Gioia, la colonna sonora dell'Ue, in segno di protesta. Un gesto che  molti suoi critici hanno definito una pagliacciata, esortandolo a rinunciare allo stipendio da europarlamentare, visto che l'Europa lo irrita così tanto. Ma Farage, grazie al seggio di Strasburgo, prende "soltanto" 6mila euro circa, e visti i guadagni che raccoglie attaccando l'Ue in tv e radio probabilmente ne potrebbe fare a meno.

Inoltre, c'è sempre il suo munifico benefattore Arron Banks, finanziatore principe della campagna per la Brexit e sospettato di aver usato fondi neri per sostenere i gruppi a favore dell'uscita dell'Ue, come il "Leave.eu" suo e di Farage. Di recente, si è scoperto che Banks ha finanziato Farage con milioni di sterline, incluso un lussuoso appartamento a Chelsea. Perché? Farage ha sempre risposto così: "Siamo amici".

 

https://www.repubblica.it/esteri/2019/07/04/news/la_brexit_paga_farage_guadagna_27mila_sterline_al_mese_per_attaccare_l_europa-230371473/

C'è da chiedersi quindi se altri politici di altri Paesi abbiano degli introiti simili per posizioni assimilabili. Mi offro subito se in Italia non c'è nessuno!?

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Ore decisive (si fa per dire) per la Brexit ……. dopo il grande sbilanciamento (è qui sottolineo tardivo) di Corbyn, adesso si deve attendere chi sarà la suprema mente illuminata che dovrà traghettare fuori lo UK dall'UE e la scelta (ipotizzo) sarà più per i demeriti che per i meriti:

Brexit, ultima chiamata per evitare il “no deal”

Boris Johnson è il favorito per la leadership del partito conservatore. Dopo cosa succederà? Difficile che si arrivi a elezioni generali perché tory e laburisti ne uscirebbero sconfitti. E la Brexit si farà sulla base dell’accordo siglato da Theresa May.

Più brexitisti di Farage

Con l’umiliante fine della residenza di Theresa May al numero 10 di Downing Street, si è aperta la gara per succederle. I deputati tory hanno scelto due candidati: l’ex-sindaco di Londra ed ex-ministro degli Esteri Boris Johnson, un irriducibile bugiardo, capace quanto Donald Trump e Matteo Salvini nel far leva sui sentimenti più beceri e vili di una parte sostanziale della popolazione, e Jeremy Hunt, detestato ministro della Sanità e poi grigio successore di Johnson al ministero degli Esteri. La scelta finale spetta ora agli iscritti al partito. Sono 160 mila, di età mediana vicina ai 60, ferocemente anti-europei, anche per le infiltrazioni coordinate da gruppi anti-europei, al punto che il 59 per cento ha votato per il Brexit party alle recenti elezioni europee. Vogliono la Brexit a ogni costo: disoccupazione, seri danni economici, la fine del Regno Unito, con l’annessione dell’Irlanda del Nord all’Eire e l’indipendenza scozzese, e perfino la distruzione del loro stesso partito non contano nulla di fronte all’uscita dall’odiata Ue.

Oltre a far promesse che sanno di non poter mantenere – come riduzioni delle tasse e aumento della spesa finanziate, si suppone, dall’albero degli zecchini d’oro, cose a cui nemmeno Madam May faceva finta di credere – i due candidati sono impegnati in una furiosa corsa verso un populismo ogni giorno più fanatico. Il favorito è Johnson, in parte perché molti iscritti non perdonano a Hunt la campagna anti-Brexit nel referendum del 2016. Così, oggi l’ex ministro della Sanità, è ridotto a promettere churchilliane “lacrime, sudore e sangue”, necessarie non per salvare il paese dal giogo del nazismo, ma per liberarlo dall’oppressione di Bruxelles: “sì”, ha dichiarato, “guarderei negli occhi chi ha perso il posto di lavoro perché la Nissan ha chiuso la fabbrica o un imprenditore la cui impresa è fallita a causa delle tariffe e dei ritardi imposti dalla Brexit, e con la morte nel cuore direi loro che il sacrificio è giustificato”. Johnson può permettersi di essere più sintetico e meno diplomatico: “fuck business”, ha risposto a chi gli ha fatto notare che, oltre al Financial Times, anche le omologhe britanniche di Confindustria, Confcommercio e Confagricoltura sono unanimi nell’opposizione alla Brexit.

Cosa succederà? Sembra certo che Boris Johnson vincerà la gara per diventare leader dei tory. Anche se qualche costituzionalista sostiene il contrario, verrà anche incaricato di formare il governo. La costituzione inglese non prevede un voto formale di fiducia ed entrambi i candidati non hanno escluso di prorogare (non convocare) il parlamento oltre il 31 ottobre, facendo così scattare automaticamente la Brexit. Giurata fedeltà alla regina, i ministri comincerebbero a lavorare in agosto, il parlamento si riunirebbe solo in novembre, con la Brexit (senza accordo) un fatto ormai compiuto. Teoricamente è possibile, ma ciò creerebbe un terremoto costituzionale, e deputati ed ex-ministri giurano che convocherebbero il parlamento fuori dalla Camera. Nel caso più probabile che la Camera dei comuni sia regolarmente convocata dopo la pausa estiva, il percorso diventa mostruosamente complicato. Ho cercato di semplificarlo in una figura che indica vari scenari, tutti possibili per quanto tortuosi e convoluti. Lo spessore della freccia misura la mia opinione sulla probabilità delle possibili decisioni in ogni punto del percorso: più sottile la freccia, più improbabile la scelta. Ho tralasciato altre possibilità ancor più inverosimili.

 

Brexit-De-fraja-.png

Nota: lo spessore delle frecce indica la probabilità che l’evento indicato si verifichi.

Elezioni lontane

Difficile che si vada a elezioni prima della Brexit. Nei sondaggi, il partito laburista è molto debole: con un misero 18 per cento arranca dietro ai tory, primi con il 24 per cento, al Brexit party e ai liberal-democratici. Per questo, nonostante continui a chiedere il ritorno alle urne, non credo proprio che Jeremy Corbyn voglia davvero un voto che quasi certamente condurrebbe a una catastrofica perdita di parlamentari. E solo il leader dell’opposizione può chiedere un voto di sfiducia.

Il motivo della debolezza dei laburisti, evidente sia nei sondaggi sia nelle elezioni provinciali ed europee di maggio, è il rifiuto di Corbyn di prendere una posizione chiara sulla Brexit: i suoi elettori pro-europei preferiscono i lib-dem che denunciano la Brexit in linguaggio elegante e forbito, e i laburisti anti-europei, che non voterebbero mai il partito di Margaret Thatcher, hanno meno remore a scegliere il Brexit party di Nigel Farage. Oggi, al contrario di un tempo, è molto difficile tradurre percentuali di voti in seggi, sia per la comparsa del partito della Brexit, sia per la crescita dei lib-dem che avviene in collegi diversi da quelli dove avevano avuto successo in passato. Se il patto elettorale tra i lib-dem, i verdi e i nazionalisti gallesi per un seggio in Galles (si voterà il 1° agosto) venisse ripetuto a livello nazionale, i partiti anti-Brexit potrebbero ottenere un gran numero di seggi, diventando indispensabili alla formazione di qualunque governo, al quale imporrebbero certo la condizione della revoca dell’articolo 50 o, quantomeno, un nuovo referendum.

Questa eventualità e la sicura trasmigrazione dei fanatici brexitisti dai tory al Brexit party – una certezza nel caso di elezioni generali con il Regno Unito ancora nell’Ue – porta a escludere che, insediatosi a Downing Street, Johnson voglia rischiare un voto anticipato che molto probabilmente gli imporrebbe un trasloco immediato.

Non certo per la prima volta, la sua smisurata ambizione farà dunque sì che Johnson accantoni le promesse fatte agli elettori, per riproporre ai Comuni l’accordo stipulato da May, magari con qualche modifica cosmetica accettabile alla Ue, sperando che i laburisti pro-Brexit siano sufficienti a compensare le defezioni del suo partito. Il fatto che la maggioranza della coalizione tory-irlandesi sia di soli tre deputati la rende però una strategia estremamente rischiosa.

https://www.lavoce.info/archives/60159/brexit-ultima-chiamata-per-evitare-il-no-deal/

Se qualcuno ha provato a seguire lo schema, si sarà accorto che ad oggi ogni scenario è plausibile, proprio un tocca sana per l'economia (tanto di questi tempi non c'è nessun ossigenato che mette delle turbolenze sui mercati, agitando lo spettro dei dazi e del protezionismo…..)

Modificato da ARES III
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Il 10/7/2019 alle 18:46, ARES III dice:

Vogliono la Brexit a ogni costo: disoccupazione, seri danni economici, la fine del Regno Unito, con l’annessione dell’Irlanda del Nord all’Eire e l’indipendenza scozzese, e perfino la distruzione del loro stesso partito non contano nulla di fronte all’uscita dall’odiata Ue.

Questo è un fatto davvero preoccupante, perchè fa capire bene fino a che livelli può arrivare la psicopatia nazionalista - antieuropeista: letteralmente fino al suicidio.

Chi non ha voglia di essere trascinato nel pozzo con gli psycho che urlano di gioia è avvertito: con l'attuale andazzo in Italia a medio termine rischia di verificarsi qualcosa di molto simile.

Modificato da ART
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Furberie brexitiane :

Brexit, in caso di proroguing pronta azione legale

L’escamotage che permette di bypassare la volontà dei legislatori e ottenere la Brexit, con o senza un accordo

L’attivista Gina Miller ha annunciato che, in caso di proroguing, ovvero della sospensione del Parlamento per una no deal Brexit, porterà il governo britannico in tribunale.

La decisione arriva dopo che Boris Johnson, favorito nella corsa per la leadership Tory, non ha escluso di ricorrere all’escamotage del cosiddetto ‘proroguing’ che permette di bypassare la volontà dei legislatori e ottenere la Brexit, con o senza un accordo.

Il Regno Unito dovrebbe lasciare l’UE il 31 ottobre 2019. Per l’attivista inglese ogni tentativo di aggirare il Parlamento sarebbe illegale.

Brexit, governo in Tribunale in caso di proroguing

Il proroguing avviene di routine ed è una prerogativa della regina, ma viene esercitato su consiglio del primo ministro. Il Parlamento potrà tornare a votare - ancora una volta - sulla Brexit, decidendo di depennarla definitivamente, qualora non si raggiunga un accordo con l’UE. Per aggirare questo ostacolo, il primo ministro potrebbe chiedere alla regina di sospendere il Parlamento e consentire al Regno Unito di uscire ugualmente dall’Ue, anche senza il deal.

In diverse occasioni il Parlamento inglese ha votato contro una Brexit senza accordo. Intenzione di Johnson, che potrebbe subentrare a Theresa May il 23 luglio prossimo, è quella di rinegoziare un nuovo accordo con Bruxelles e farlo approvare dal Parlamento, ma per consegnare la Brexit agli inglesi, ha già avvertito che non esiterà a sospendere la legislatura.

“Siamo pronti ad andare in tribunale per testare la legalità di qualsiasi tentativo di sospendere il Parlamento”,

ha affermato l’attivista. In una lettera indirizzata a Johnson, gli avvocati di Miller hanno avvertito che, nelle attuali circostanze, sarebbe “costituzionalmente discutibile e illegale” chiedere alla regina di sospendere il parlamento.

A Westminster intanto sia i conservatori che i partiti di opposizione stanno già valutando azioni legali per impedire al prossimo primo ministro di mettere in atto questo provvedimento che porterebbe ulteriore confusione nel post Brexit.

https://www.money.it/Brexit-in-caso-di-proroguing-pronta-azione-legale

 

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Si sono accorti solo adesso che:

Ministro britannico: Brexit senza accordo priverà Londra dell'influenza su politica commerciale UE

L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea senza un accordo di cooperazione limiterà significativamente l'influenza di Londra sulla politica commerciale perseguita da Bruxelles. Questa opinione è stata espressa dal capo del ministero delle Finanze britannico Philip Hammond in un'intervista al programma Panorama della BBC.

Nonostante il fatto che le autorità britanniche abbiano speso oltre 4 miliardi di sterline (5 miliardi di dollari) per i preparativi per la Brexit, secondo Hammond, se l'uscita dovesse avvenire senza un accordo, l'influenza del governo sui processi Brexit sarà limitata. "Molte delle leve saranno nelle mani degli altri 27 membri dell'UE, possiamo provare a convincerli, ma non possiamo controllarli", ha detto.

"Ad esempio, possiamo garantire che le merci arrivino attraverso il porto di Dover senza ostacoli, ma non possiamo controllare il flusso esterno nel porto di Calais. I francesi possono aumentarlo o ridurlo, proprio come gli spagnoli hanno aumentato o ridotto negli anni la lunghezza delle code al confine con Gibilterra", ha aggiunto.

Hammond ha detto in precedenza che la Brexit senza accordo con Bruxelles potrebbe costare all'economia britannica fino a 90 miliardi di sterline (113 miliardi di dollari). Lui stesso ha chiarito che non si aspetta di rimanere nel governo dopo l'elezione di un nuovo leader del partito conservatore, che succederà a Teresa May come primo ministro. Secondo Sky News, Hammond ha guidato un gruppo di 30 deputati conservatori il cui obiettivo è impedire che il paese lasci l'Unione Europea senza un accordo sui termini Brexit.

https://it.sputniknews.com/economia/201907147878918-ministro-britannico-brexit-senza-accordo-privera-londra-dellinfluenza-su-politica-commerciale-ue/

Certo la botte piena e la moglie ubriaca è un po' difficile da realizzare oggi giorno …..

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A chi conviene la Brexit: a tutti tranne che ai Britannici e agli Europei, poco ma sicuro.

Vi allego un interessante articolo che ne tratta in concreto ed anche in soldoni:

Brexit no deal: perché alcuni Paesi sono a favore e altri contro? Queste tabelle spiegano tutto… follow the money

Brexit—una parola che entrerà nei libri di storia. Molto probabilmente in futuro si parlerà della Brexit come la prima manifestazione di quel nazionalismo/populismo che ha portato Trump alla Casa Bianca e molti altri leader europei in posizioni di potere, come Salvini. Oppure la Brexit potrà anche essere vista come il definitivo allontanamento del Regno Unito dal sogno europeo di costruire un’Eurozona unita sotto il profilo economico e politico capace di far sentire il suo peso ai tavoli internazionali, rivaleggiando addirittura con gli Stati Uniti.

Si è acceso un grande dibattito su quali siano state le cause scatenanti che hanno portato gli inglesi a votare per lasciare l’Unione Europea: si è parlato della volontà da parte dell’élite del paese di fare dei trade agreement con il resto mondo in piena libertà e di liberarsi dal modello di crescita di austerity imposto dalla Germania o ancora della necessità di ribilanciare l’immigrazione verso il Regno Unito, come sottolineano sia Forbes sia Bloomberg.

Un argomento poco discusso ma che dovrebbe catturare la nostra attenzione è il seguente. In caso di no-deal Brexit quali sono i paesi che ci guadagnerebbero di più in termini economici e quali invece ci perderebbero? E, successivamente, può questo fenomeno spiegare la posizione della loro opinione pubblica o dei loro politici sulla Brexit? Le seguenti tabelle forniscono preziose indicazioni a proposito di questo interrogativo:

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<img src="https://cdn.gelestatic.it/businessinsider/it/2019/07/117-1024x838.jpg">
 
La tabella è tratta dal sito HowMuch
 
 

La divisione che balza subito agli occhi nella prima tabella è tra i paesi colorati di verde e rosso. In linea di massima il verde indica un guadagno in termini di esportazioni, mentre il rosso delle perdite. Le tonalità dei rispettivi colori seguono un andamento crescente: più il verde si fa accesso e più l’ammontare delle esportazioni cresce rispetto al proprio PIL (dallo 0%-4,9% del verde acqua fino all’oltre 100% del verde smeraldo); lo stesso ragionamento vale per il rosso che va dal cremisi (0%-4,9%) fino al porpora (10%-49,9%) e che indica una perdita di esportazioni relativa al PIL del paese in questione.

 

27.jpg

<img src="https://cdn.gelestatic.it/businessinsider/it/2019/07/27.jpg">
 
La tabella è parte di un research paper del 2019 delle Nazioni Unite intitolato ‘Brexit. Implications for Developing Countries’ a cura di Alessandro Nicita, Ksenia Koloksova e Mesut Saygili—
 

I numeri in termini assoluti, quelli della seconda tabella, aggiungono un dettaglio non indifferente relativo alla posizione dell’Unione Europa in termini di esportazioni con il Regno Unito. La top 3 dei paesi che ci guadagnerebbero di più da un’uscita del Regno Unito senza aver ratificato un deal con l’Unione Europea sarebbero:

  1. La Cina le cui esportazioni aumenterebbero di 10,2 miliardi $
  2. Gli Stati Uniti con 5,3 miliardi di $ in più
  3. Il Giappone con 4,9 miliardi di $ in più

I tre paesi che vedrebbero un crollo delle loro esportazioni sarebbero:

  1. L’Unione Europea nel suo complesso perderebbe 35 miliardi di $ in esportazioni
  2. La Turchia con 2,4 miliardi di $ in meno
  3. La Corea del Sud con 714 milioni di $ in meno

La posizione dei vari paesi in queste classifiche riflette in maniera quasi sorprendete la loro opinione pubblica sul tema Brexit.

Ad esempio, in linea con la grande perdita che l’uscita no deal avrebbe sull’Europa, il sentimento degli Europei verso la Brexit è profondamente negativo: il 70% degli intervistati lo ha giudicato una ‘brutta faccenda’ (bad thing) (fonte dei dati: Pew Polls).

La virata anti-Erdogan e in favore dei leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu si può leggere come un tentativo da parte dell’opinione pubblica turca (e specialmente dell’élite del paese) di avvicinarsi all’Europa in termini di valori secolari e liberali, in modo da contenere i danni che la Brexit no-deal provocherebbe (fonte: Guardian). Infine, la Corea del Sud è passata dalle parole ai fatti: il suo governo si è subito affrettato tramite i propri rappresentanti, spinti a loro volta dalle aziende coreane, a ratificare un accordo commerciale con il Regno Unito in modo da limitare il crollo dell’export in caso di no-deal (fonte: Guardian).

Lo stesso discorso vale per i paesi che vedrebbero un aumento delle loro esportazioni. La posizione di Beijing è stata da sempre molto favorevole alla Brexit al punto tale che la CNN ritiene che la Cina sia il grande vincitore di questo fenomeno di portata storica (fonte: CNN). In America, Donald Trump ha più volte sottolineato la sua posizione sulla Brexit: recentemente ha dichiarato il suo appoggio incondizionato ad un’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza un accordo (fonte: Politico).

Forse l’eccezione che conferma la regola è il Giappone: Shinzo Abe (il primo ministro giapponese) ha da sempre delle riserve in proposito di un no-deal Brexit e questo nonostante il fatto che il suo paese ci guadagnerebbe in termini di esportazione (fonte: Guardian). Eppure una spiegazione esiste e conferma i dati economici: il Giappone ha recentemente firmato il primo grande ed importante accordo commerciale del mondo (e che copre un terzo del PIL globale) proprio con quell’Unione Europea che sarebbe la più danneggiata da un no-deal.

E forse è proprio questo fatto che ha spinto il governo nipponico a prendere le parti dell’Eurozona in questo dibattito. I numeri infatti parlano da soli: ogni anno il Giappone esporta in Europa 72 miliardi di $ (fonte: Eurostat), contro i soli 4.9 miliardi di $ che questo guadagnerebbe con l’appoggio di un no-deal, il quale certamente farebbe infuriare l’Eurozona. Con tutte le ripercussioni economiche del caso.

 

https://it.businessinsider.com/brexit-no-deal-perche-alcuni-paesi-sono-a-favore-e-altri-contro-queste-tabelle-spiegano-tutto-follow-the-money/

Anche la mi nonna ha detto che se l'Uk esce dall'UE ci guadagnerà pure lei, perché ha fatto una scommessa su questo evento (la scommessa è stata realizzata in un Paese dell'UE dove il gioco d'azzardo è legale e si può scommettere su tutto…… quindi immaginate quale Paese sia) 

 

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"I deputati britannci hanno approvato un emendamento che impedisce al prossimo premier di sospendere i poteri del Parlamento per mettere in opera la Brexit senza un accordo con l'Unione Europea", ma il prossimo PM britannico ne terrà conto ?

Brexit o non Brexit. Qual è il dilemma?

I deputati britannci hanno approvato un emendamento che impedisce al prossimo premier di sospendere i poteri del Parlamento per mettere in opera la Brexit senza un accordo con l'Unione Europea. Approvato con 315 si e 274 no, l'emendamento dovrà passare adesso dalla Camera del Lord per entrare in vigore.

Un messaggio chiaro a Boris Johnson, favorito per il posto di capo del Governo, che non smette di lasciare aperta l'ipotesi di un no deal, mentre si avvicina la data del 31 ottobre quando, accordo o meno, il Regno Unito dovrà lasciare le istituzioni europee.

"Al di la delle scandeze - ha detto Johnson - è importante uscire nella maniera migliore, prima delle prossime elezioni. Bisogna uscire il 31 ottobre, quindi - aggiunge - qualsiasi trattativa sull'accordo di libero scambio non dovrebbe durare piu' di un anno o due, in modo da uscire prima del voto".

Insomma, non è chiaro fino in fondo quale siano le intenzioni di Johnson, vuole davvero lasciare l'Ue?Difficile dirlo, vista la campagna elettorale che impazza. Fatto sta che tanta confusione sotto al cielo della politica britannica è valsa l'uscita, infelice, del primo vicce presidente della Commissione Frans Timmermans che, nel descrivere la classe dirigente pro-brexit dopo il referendum, li ha definiti "idioti".

"La prima volta che ho sentito le dichiarazioni pubbliche di David Davis e non l'ho visto arrivare per negoziare, non essendo stato eletto, ho pensato 'oh mio Dio non hanno un piano'. Scioccante, francamente, anche se sembra evidente perchè il tempo ormai sta per scadere. Un po' come quel personaggio di una serie tv britannica, che, correndo come un idiota, urlava: non farti prendere dal panico".

Frans Timmermans , Vice presidente della Commissione Europea

"La prima volta che ho sentito le dichiarazioni pubbliche di David Davis e non l'ho visto arrivare per negoziare, non essendo stato eletto, ho pensato oh mio Dio non hanno un piano - ha dichiarato Timmermans - Scioccante, francamente, anche se sembra evidente perchè il tempo ormai sta per scadere. Un po' come quel personaggio di una serie tv britannica, che, correndo come un idiota, urlava: non farti prendere dal panico".

Parole che hanno mandato su tutte le furie Londra, alle prese intanto con le fosche previsioni di recessione dell'Ufficio per il Budget in caso di Brexit senza accordo: contrazione dell'economia del 2% nel 2020 e un buco ulteriore di 33 miliardi di euro l'anno nei conti dello Stato. Salatissima Brexit.

https://it.euronews.com/2019/07/19/brexit-o-non-brexit-qual-e-il-dilemma

 

 

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3 ore fa, ARES III dice:

 Fatto sta che tanta confusione sotto al cielo della politica britannica è valsa l'uscita, infelice, del primo vicce presidente della Commissione Frans Timmermans che, nel descrivere la classe dirigente pro-brexit dopo il referendum, li ha definiti "idioti".

Che siano idioti ormai lo pensa tutto il mondo tranne loro, quindi più che "infelice" la definirei ovvia, troppo scontata.

Modificato da ART
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Ecco colei che potrebbe forse un giorno fermare la Brexit (al momento però non ha i numeri)

 

"Londra, una donna di 39 anni guida il popolo degli anti-Brexit

È una donna ed è contro la Brexit: Jo Swinson, 39 anni, è la nuova leader dei Liberaldemocratici britannici, eletta oggi alla guida della storica terza forza del Regno. Swinson ha superato con oltre 47.000 voti degli iscritti contro 28.000 l'unico rivale in lizza, sir Ed Davey, deputato in carica come lei alla Camera dei Comuni ed ex ministro. Prende il posto del veterano sir Vince Cable, 76 anni, fattosi di lato per ringiovanire una partito appena rilanciato, secondo un percorso di dimissioni preannunciato e programmato da mesi.
Entrambi i candidati proponevano una piattaforma europeista, decisi a far campagna per un secondo referendum sul divorzio da Bruxelles, rivolgendosi a un elettorato di riferimento rianimato dal buon risultato delle ultime elezioni Europee, dove i LibDem sono arrivati addirittura secondi con il 20%, dietro il Brexit Party di Nigel Farage, imponendosi come formazione pro Remain senza compromessi dopo una fase di profonda crisi. Ed entrambi promettevano opposizione durissima al brexiteer Boris Johnson, probabile prossimo premier conservatore, oltre che all'ipotesi di un no deal. La più giovane Swinson, scozzese di Glasgow, partiva del resto come favorita, in veste di vice-leader uscente e per la sua immagine più mediatica. Davey, 53 anni, puntava invece, Brexit a parte, sulla fama di paladino dell'ambiente e artefice di varie iniziative per contrastare i cambiamenti climatici. Ma scontava il logorio d'aver fatto parte da ministro dell'Energia del governo di coalizione Tory-Libdem costituito nel 2010 sotto le leadership di David Cameron e Nick Clegg: un'esperienza dimostratasi in seguito disastrosa per le fortune elettorali della terza forza nelle elezioni del 2015. Stando agli ultimi sondaggi, il Partito Liberaldemocratico è accreditato ora in caso di elezioni politiche nazionali di un 18% di consensi, più meno come il Brexit Party dall'altro lato della barricata. Mentre il Labour di Jeremy Corbyn è dato poco sotto il 30% e i Tory poco sopra il 25, in uno scenario che - se confermato - potrebbe rivelarsi quello di un Parlamento frammentato e senza maggioranza chiara (hung Parliament)".
 
 
 
Modificato da ARES III
  • Grazie 1
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  • 2 settimane dopo...

"Brexit, l’Irlanda del Nord potrebbe lasciare l’UK in caso di No Deal

Così come la Scozia, anche il terzo paese del Regno Unito ragiona a un referendum interno in caso Londra non raggiunga un accordo con Bruxelles

Il 31 ottobre prossimo Boris Johnson non si giocherà solo i futuri rapporti con l’Unione Europea ma anche con il resto del Regno Unito. Scozia prima e Irlanda del Nord ora hanno avvisato il premier britannico che in caso di “no deal” i due paesi penseranno seriamente a indire un referendum per chiedere ai propri cittadini se vogliono ancora essere parte dell’UK.

Ricordiamo, infatti, che nel referendum sulla Brexit del giugno 2016 sia la Scozia che il Nord dell’Irlanda votarono per rimanere parte dell’Europa (nel primo caso leave 38% e remain 62.0%, nel secondo leave 44.2% e remain 55.8%) a differenza di Galles e Inghilterra (nel primo caso leave 52.5% e remain 47.5% e nel secondo leave 53,4% e remain 46.6%).

Già ad aprile la Scozia aveva avvisato l’allora primo ministro Theresa May che in caso gli accordi stipulati tra Unione Europea e Regno Unito fossero stati controproducenti per il paese, il primo ministro Nicola Sturgeon avrebbe richiamo alle urne i propri cittadini, così come avvenne nel 2014 quando però il 55% di chi andò a votare decise di rimanere in UK contro il 44% che ne chiedeva invece l’indipendenza.

A minacciare la scissione ora è anche il “Sinn Fein“, il primo partito per numero di seggi nell’assemblea dell’Irlanda del Nord (foto in alto); i celebri accordi del Venerdì Santo del 1998 riconoscono la possibilità per il terzo paese per numero di abitanti del Regno Unito di indire un referendum sul futuro della nazione in qualunque momento.

Ad oggi la volontà di farlo non c’è mai stata, dato che il paese dipende molto economicamente dal Regno Unito. Ma stando a quanto affermato da Mary Lou McDonald, leader del “Sinn Fein”, il no deal potrebbe portare conseguenze disatrose a tutto l’UK, ma non solo.

“Uscire senza un accordo preciso dall’Unione Europea potrebbe anche intaccare i nostri accordi di pace con l’Irlanda – ha detto Mary Lou McDonald – e questo non ce lo possiamo permettere. Meglio lasciare il Regno Unito che tornare in guerra con i nostri vicini di casa”.

http://www.londraitalia.com/cronaca/brexit-in-caso-di-no-deal-lirlanda-del-nord-potrebbe-lasciare-luk/

 

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  • 3 settimane dopo...

La Gran Bretagna sempre più democratica con la richiesta di oggi di sospendere per un mese e mezzo il parlamento... Avanti così, verso il baratro.

Arka

Diligite iustitiam

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Altra cosa che noto è che molti si dimenticano del debito della Gran Bretagna nei confronti dell'Unione. 

Ricordo a tutti che abbiamo pagato tutti noi la distruzione dei capi malati di mucca pazza e il relativo risarcimento agli allevatori inglesi.

Arka

Diligite iustitiam

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