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IGNORED

Amministrazione della Giustizia a Venezia


417sonia

Risposte migliori

Supporter

Buona giornata

 

Non è un tema specifico di numismatica, ma lo si può inquadrare senza dubbio nella storia giuridica veneziana, precisamente nel diritto civile.

 

Prima di affrontare l'argomento, è bene dare qualche precisazione su alcuni termini:

 

STAMPA: Si chiamava così l'insieme dei processi civili riguardanti cause simili, che i giudici si facevano stampare e rilegare per buona memoria, affinché potessero giudicare avvedendosi dei precedenti ed a questi fare riferimento.

 

B.I. (BENI INCOLTI): Si chiamava così la “Magistratura ai B.I.” quell'organismo creato nel 1556 e formato da tre Provveditori che avevano la responsabilità di creare le condizioni perché terre non produttive venissero convertite e ripristinate in opere di comune interesse e beneficio di singoli o di una pluralità di individui.

 

AVVOCATI: Qualsiasi cittadino originario veneziano, per nascita o per acquisizione dopo 10 anni di residenza in Venezia o nello Stato, poteva chiedere di svolgere la professione di giureconsulto. Non era quindi una professione limitata alla sola nobiltà.

 

Gli unici che non potevano intraprendere questa professione erano i falsari, i felloni i ladri ed i rei di simili delitti ed altre infamie.

 

Alla categoria sovrintendevano gli Avvogadori di Comune, un gruppo di giudici che gestiva l'albo professionale ed al quale chi voleva intraprendere la carriera di avvocato doveva presentarsi per essere giudicato idoneo.

 

Contrariamente a ciò che avveniva in altri Stati, Venezia rigettò fin dagli albori della sua storia, l'uso del latino nella gestione della Giustizia. Tutti dovevano capire ciò che si diceva e si giudicava, quindi si usava parlare in veneziano, pur usando talvolta termini giuridici latini. Abolite le "Pandette" del Diritto Romano.

 

A similitudine degli antichi fori greci e romani, l'avvocato veneziano esplicava la sua professionalità oralmente e gli era vietato usare, nelle sue esposizioni, termini satirici, offensivi e mordaci; la sua arringa non poteva durare più di 1 ora ½ ed era controllata dai giudici mediante una clessidra.

 

Non poteva portare scritture a difesa dei litiganti, memorandum, testi con citazioni , deduzioni, trattazioni, ecc. ecc. poteva solo esibire documenti spogli che dimostrassero i fatti sui quali i giudici dovevano basare la loro ragionata sentenza.

 

Lo Stato garantiva alle persone indigenti la presenza di avvocati stipendiati, che potessero sostenerli; c'erano anche gli "Avvocati nobili dei prigioni", nobili avvocati che erano obbligati, ad estrazione, a prestare la difesa di chi era in prigione; in caso di rifiuto venivano sospesi per 5 anni dall'esercizio della loro professione.

 

Fatta questa lunga premessa pur riducendola ai minimi termini (spero di non avervi tediato), ecco una copia originale di una STAMPA del Giudice N.H. Ser Almorò (nome corrotto in veneziano di Ermolao) I° Pisani detto Ser Alvise.

 

Inizia sotto il dogato di Pasquale Cicogna e continua fino al 24 agosto 1789, regnante Lodovico Manin.

 

Il tema della STAMPA è l'uso di canali irrigui, la loro deviazione o la creazione di fosse che derivino da corsi d'acqua, per la creazione di risaie o di mulini ad acqua per la lavorazione di cereali o riso …..

 

Qualche pagina .... giusto per dare l'idea

 

post-21005-0-66672900-1465041480_thumb.j

 

segue ....

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Supporter

Segue:

 

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post-21005-0-93674800-1465041736_thumb.j

 

 

saluti

luciano

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Una mentalità lungimirante a protezione del cittadino,non c'è da stupirsi se Venezia è diventata quella che conosciamo,proprio come al giorno d'oggi...ops scusate secondo lo statuto veneziano il sarcasmo non è ammesso.

Saluti e complimenti per il post.

ADELCHI.

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Inviato (modificato)

Carissimo è veramente interessante. Hai detto originale?

Ciao!

 

Originalissimo .... 146 pagine di suppliche e risposte su carta spessa che sembra quella assorbente ed i caratteri della scrittura ben "pressati" nella carta.

 

Rilegato con cordino che ancora tiene .... e speriamo che tenga e con la copertina di grana leggermente più spessa rispetto ai fogli interni; qualche macchiolina, qualche abrasione e strappetti sul bordo, ma non mi posso lamentare.

 

Lo trovai al mercatino dell'antiquariato di Castelleone (CR) a fine anni 90 e lo pagai Lire 50.000.

 

Era un'altro mondo ... :pleasantry:

:rofl: :rofl: :rofl:

 

saluti

luciano

Modificato da 417sonia
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Stupendo!!!! Non solo per il libro in sé (che mi affascina parecchio :D), ma anche per l'interessante spiegazione, che Venezia fosse sempre stata molto avanti non ho mai avuto dubbi, ma a tal punto.... mi colpisce soprattutto il divieto di usare il latino... eccezionale, grazie!

Modificato da Sator
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Ciao!

 

Originalissimo .... 146 pagine di suppliche e risposte su carta spessa che sembra quella assorbente ed i caratteri della scrittura ben "pressati" nella carta.

 

Rilegato con cordino che ancora tiene .... e speriamo che tenga e con la copertina di grana leggermente più spessa rispetto ai fogli interni; qualche macchiolina, qualche abrasione e strappetti sul bordo, ma non mi posso lamentare.

 

Lo trovai al mercatino dell'antiquariato di Castelleone (CR) a fine anni 90 e lo pagai Lire 50.000.

 

Era un'altro mondo ... :pleasantry:

:rofl: :rofl: :rofl:

 

saluti

luciano

 

Zio bon, Castelleone?!??! Di tutti quelli che potevi dire... proprio un altro mondo!!!!!!!!!!!!!!!!

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Zio bon, Castelleone?!??! Di tutti quelli che potevi dire... proprio un altro mondo!!!!!!!!!!!!!!!!

Ciao!

 

Credo che il mercatino di Castelleone di allora fosse molto diverso da quello che sarà ora. L'ultima volta che ci sono andato, circa 7 - 8 anni fa, era già molto diverso e meno "ruspante" di come me lo ricordavo.

 

Riguardo alla Giustizia veneziana, pur con i suoi chiari e scuri, (non dimentichiamoci che, in ogni caso, parliamo di un Governo di secoli fa) era certamente all'avanguardia rispetto a quello che accadeva negli altri Stati.

 

Senza scadere nel "mito", si può senza dubbio parlare di lungimiranza; alcune leggi esistenti a Venezia nel 500/600, in Italia sono state varate solo nel secolo scorso.

 

Aggiungerò magari qualche esempio più avanti, se ti va ...... :pardon: e se potrà interessare  ;)

 

saluti

luciano 

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Ciao!

 

Credo che il mercatino di Castelleone di allora fosse molto diverso da quello che sarà ora. L'ultima volta che ci sono andato, circa 7 - 8 anni fa, era già molto diverso e meno "ruspante" di come me lo ricordavo.

 

Riguardo alla Giustizia veneziana, pur con i suoi chiari e scuri, (non dimentichiamoci che, in ogni caso, parliamo di un Governo di secoli fa) era certamente all'avanguardia rispetto a quello che accadeva negli altri Stati.

 

Senza scadere nel "mito", si può senza dubbio parlare di lungimiranza; alcune leggi esistenti a Venezia nel 500/600, in Italia sono state varate solo nel secolo scorso.

 

Aggiungerò magari qualche esempio più avanti, se ti va ...... :pardon: e se potrà interessare  ;)

 

saluti

luciano 

 

Ciao Luciano,

interessa assai sicuramente, almeno a me!!! Ti seguo più che volentieri  :good:

Per quanto riguarda il mercatino.... credimi, dopo un acquisto di questo calibro (per cui mi devo complimentare... sai la mia passione per i libri vecchi :D...) rimarresti profondamente deluso... 

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Supporter

Buona serata

 

Una delle leggi più innovative, fatte dalla Serenissima nel lontano 25 settembre 1402, riguarda il lavoro minorile.

 

Non sono passati molti anni, giusto prima della riforma della scuola riguardante l'obbligatorietà di frequenza fino a 16 anni, ma prima, in Italia, uno studente poteva smettere dopo la terza media ed andare a lavorare, come garzone o apprendista; negli anni 50 bastava la quinta elementare......

 

A Venezia, prima della legge che segue, venivano accettati al lavoro anche bambini di età inferiore ai 10 anni (in alcune Nazioni, succede ancora oggi) facendo sottoscrivere l'accordo di lavoro non già alla Magistratura incaricata di sovrintendere all'avviamento al lavoro dei fanciulli e delle fanciulle (quest'ultima avrebbe controllato i termini della paga, il tipo di lavoro, gli orari della prestazione e l'età dei fanciulli, salvaguardandoli), ma ad un notaio libero professionista e senza scrupoli.

 

Così facendo venivano sottoscritti ed omologati contratti che ponevano in capo ai fanciulli imposizioni che dire vessatorie è nulla; gli stessi genitori, senza scrupoli anch'essi, si prestavano a questo sotterfugio.

 

Ebbene il Consiglio della Quarantia varò una legge per impedire tutto ciò, ponendo i notai privati sotto il controllo della Giustizia Vecchia, obbligandoli a rogare i contratti in loro presenza:

 

E per altro nessun notaio, in qualunque modo costituto, sia per incarico imperiale che dei Veneziani, osi o presuma di intraprendere o far intraprendere in qualunque modo o stratagemma Parti o comporre Strumento alcuno tra alcun bambino e bambina, tanto piccolo che grande, famigli, servitori, artigiani, e tra familiari di qualunque grado, con maestri, mercanti, funzionari e quante altre condizioni esistano, abitanti nello Stato di Terra e in Quello di Mare della città di Venezia, che comporti un qualsiasi utilizzo dei bambini e delle bambine in attività lavorative, di servizio o di accompagnamento.

Affinché nessuna grazia sia concesso al notaio che contravvenga al dominio della Giustizia Vecchia in questo campo, se i notai vorranno stilare simili contratti, si ordina che scrivano i patti secondo i dettami della Giustizia Vecchia e li convalidino presso i Suoi Uffici. (Da: www.veneziadoc.net)

saluti, luciano

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Ciao.

 

La storia delle Istituzioni veneziane, in particolare di quelle giudiziarie, è caratterizzata da istituti che, se comparati con quelli in vigore in altri Stati nelle stessa epoca, denotano notevoli profili di modernità.

 

Il frutto di queste "conquiste" è probabilmente dovuto a due principali fattori:

 

- il primo è il carattere spiccatamente "laico" e pragmatico della Repubblica veneta e delle sue Istituzioni, che si ritiene essere il prodotto dell'incrocio fra le culture romane e germaniche che a Venezia si incontrano;

 

- il secondo fattore è quello di aver saputo perfettamente armonizzare i tre principali "pilastri" che reggono l'Autorità e cioè la Monarchia, a Venezia rappresentata dalla figura del Doge che più che un sovrano calato dall'Alto e unto dal Signore, è piuttosto un Duce acclamato dal Popolo;, la Democrazia, impersonata dal Maggior Consiglio; e l'Aristocrazia, rappresentata dal Patriziato riunito nel Senato e nel Consiglio dei Dieci, che pur godendo, come accadde per tutte le aristocrazie, di alcuni privilegi, nondimeno a Venezia è spesso trattata alla stregua del Popolo e, soprattutto, viene onerata di responsabilità di governo e  dell'amministrazione della res publica.

 

A proposito di "modernità" della visione giudiziaria veneziana, mi ha colpito molto uno studio che nel 1789 (cioè mentre a Parigi infuriava la Rivoluzione e si tagliavano teste a tutto spiano) tre giuristi veneziani, che erano stati incaricati dal Senato di studiare una "riforma carceraria" che desse più spazio a quelle che oggi si chiamerebbero "pene alternative alla detenzione", presentarono al loro committente.

 

Gli studiosi, tali Francesco Angaran, Giacomo Boldù e Gasparo Geraldini, coordinati da un esperto compilatore (Vincenzo Ricci), considerarono che:

 

"col condannare al carcere (...) non si può conseguire alcuno dei fini ai quali è diretta la sanzione penale: non il fine di frenare i delitti (nel carcere si seppellisce con il condannato la memoria della sua colpa e l'impressione dell'esempio); non il fine di risarcire la società (...); non il fine di emendare i rei, i quali semmai, nella prigione (...) si perfezionano nella malizia criminale".

 

La pena ideale che veniva consigliata era invece quella della "condanna ai lavori pubblici", "temperamento di ragione ed umanità".

 

La modernità di una tale visione "carceraria" è impressionante se non persino, ai nostri occhi, imbarazzante, se si considera che il pensiero di costoro non sfigurerebbe neppure oggi (potendo persino apparire a taluno, addirittura troppo "progressista"), a distanza di quasi 250 anni da quando vennero scritte quelle riflessioni.

 

Riflessioni che erano evidentemente il frutto di una sensibilità e di una lungimiranza non comuni e che solo in un contesto sociale e culturale particolarmente avanzato, come quello veneziano, avrebbero potuto germogliare. 

 

Saluti.

M.

Modificato da bizerba62
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Supporter

Ciao.

 

La storia delle Istituzioni veneziane, in particolare di quelle giudiziarie, è caratterizzata da istituti che, se comparati con quelli in vigore in altri Stati nelle stessa epoca, denotano notevoli profili di modernità.

 

Il frutto di queste "conquiste" è probabilmente dovuto a due principali fattori:

 

- il primo è il carattere spiccatamente "laico" e pragmatico della Repubblica veneta e delle sue Istituzioni, che si ritiene essere il prodotto dell'incrocio fra le culture romane e germaniche che a Venezia si incontrano;

 

- il secondo fattore è quello di aver saputo perfettamente armonizzare i tre principali "pilastri" che reggono l'Autorità e cioè la Monarchia, a Venezia rappresentata dalla figura del Doge che più che un sovrano calato dall'Alto e unto dal Signore, è piuttosto un Duce acclamato dal Popolo;, la Democrazia, impersonata dal Maggior Consiglio; e l'Aristocrazia, rappresentata dal Patriziato riunito nel Senato e nel Consiglio dei Dieci, che pur godendo, come accadde per tutte le aristocrazie, di alcuni privilegi, nondimeno a Venezia è spesso trattata alla stregua del Popolo e, soprattutto, viene onerata di responsabilità di governo e  dell'amministrazione della res publica.

 

A proposito di "modernità" della visione giudiziaria veneziana, mi ha colpito molto uno studio che nel 1789 (cioè mentre a Parigi infuriava la Rivoluzione e si tagliavano teste a tutto spiano) tre giuristi veneziani, che erano stati incaricati dal Senato di studiare una "riforma carceraria" che desse più spazio a quelle che oggi si chiamerebbero "pene alternative alla detenzione", presentarono al loro committente.

 

Gli studiosi, tali Francesco Angaran, Giacomo Boldù e Gasparo Geraldini, coordinati da un esperto compilatore (Vincenzo Ricci), considerarono che:

 

"col condannare al carcere (...) non si può conseguire alcuno dei fini ai quali è diretta la sanzione penale: non il fine di frenare i delitti (nel carcere si seppellisce con il condannato la memoria della sua colpa e l'impressione dell'esempio); non il fine di risarcire la società (...); non il fine di emendare i rei, i quali semmai, nella prigione (...) si perfezionano nella malizia criminale".

 

La pena ideale che veniva consigliata era invece quella della "condanna ai lavori pubblici", "temperamento di ragione ed umanità".

 

La modernità di una tale visione "carceraria" è impressionante se non persino, ai nostri occhi, imbarazzante, se si considera che il pensiero di costoro non sfigurerebbe neppure oggi (potendo persino apparire a taluno, addirittura troppo "progressista"), a distanza di quasi 250 anni da quando vennero scritte quelle riflessioni.

 

Riflessioni che erano evidentemente il frutto di una sensibilità e di una lungimiranza non comuni e che solo in un contesto sociale e culturale particolarmente avanzato, come quello veneziano, avrebbero potuto germogliare. 

 

Saluti.

M.

Buona giornata

 

Assolutamente d'accordo.

 

Certamente Venezia era "figlia del suo tempo"; anche li si condannavano e si giustiziavano criminali, così come avveniva in altri Stati; c'è però da dire che la giustizia, pur con tutte le eccezioni del caso, in laguna funzionava ed era, anche ai suoi tempi, riconosciuta come ben amministrata.

 

Facendo la "tara" di certi sentimentalismi e di quell'aurea mitologica che, da sempre, ha accompagnato la storia della Serenissima, non si può non rilevare che talune scelte innovative, in campo giudiziario, sono nate sotto il Governo della Serenissima.

 

Tu citavi le alternative alla detenzione; io ricordo anche la proposta, forse imbeccata da una richiesta del Granducato di Toscana che voleva tutelare un suo cittadino condannato a morte, di abolire i "tormenti" (credo intorno alla metà del 1700); ricordo che i "tormenti" erano quella pena accessoria che subiva il condannato a morte prima di essere giustiziato tra le colonne di San Marco. Gli si faceva percorrere la strada, da San Marco, via acqua, legato ad un palo su una chiatta, tormentandolo con ferri roventi, fino alla colonna di Santa Croce che stava all'inizio del Canal Grande; li gli si amputava la mano destra e gli veniva legata al collo; veniva poi portato, via terra, sul luogo del delitto e li gli si amputava anche la mano sinistra e finalmente trascinato sul patibolo. Durante tutto il percorso c'era un ufficiale che gridava il delitto commesso.

 

Per contro, soprattutto nei casi di tradimento, la giustizia veneziana è sempre stata molto disinvolta e sbrigativa; quantomeno fino al famoso "errore giudiziario" ai danni di Antonio Foscarini (1622). Il bene dello Stato aveva assoluta preminenza ...... ma questo accadeva ovunque.

 

saluti

luciano

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A proposito di amministrazione della giustizia di Venezia, sul numero di Focus Storia di questo mese c'è un interessante articolo sul ghetto. Se riesco posto delle scansioni :)

Modificato da Gaetano95
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Supporter

Buona serata

 

in attesa dell'intervento di @@Gaetano95 (grazie della dritta; domani vado in edicola e vedo di procurarmelo. Comunque ti informo che qualche informazione la trovi anche in questa discussione http://www.lamoneta.it/topic/145929-io-sono-il-ghetto/?hl=ebrei), aggiungo qualche altro spunto ....

 

E' noto il detto "Parte (cioè legge) veneziana non dura una settimana". In effetti ciò rispecchiava un modus operandi delle magistrature veneziane; l'aggiornamento frequente delle leggi per renderle più rispondenti alle esigenze di un mondo che mutava velocemente, ovvero reiterarne altre che a distanza di tempo erano state disattese.

 

Non a caso le leggi emanate dalla Serenissima erano moltissime e, come abbiamo visto, alcune molto in anticipo sui tempi.

 

Già nel 1290 il Maggior Consiglio aveva vietato ai giudici di infliggere pene corporali ai minori di 14 anni ed ai dementi; anche nei casi di omicidio, nel 1492, sarà disposta la non punibilità dei minori.

 

Vi ricordate dei "nobili avvocati dei prigioni", cioè quegli avvocati che erano obbligati, a turno, a prestare il gratuito patrocinio agli indigenti? Ebbene la loro istituzione è del 1443 ed è una conseguenza di una legge del 1428 quando, a seguito delle lamentele dei carcerati, venne sancita l'obbligatorietà dei capi della Quarantia (la magistratura che sovrintendeva alla giustizia e che si divideva in varie branche a seconda della funzione che doveva svolgere) di visitare mensilmente i carcerati per ascoltarne i reclami e fare istanze per risolvere ingiuste situazioni.

 

Viene quasi da sorridere, ma qualche tempo dopo, a reclamare, saranno i custodi delle prigioni del "Consiglio dei X" perché ingiuriati dai detenuti. :blum:

 

E ... udite, udite .... è del 1433 la legge che decretava l'esenzione doganale per l'importazione di libri. A questo proposito va ribadito che l' "Indice", voluto dallo Stato della Chiesa, per bandire determinati libri che contrastavano con i consolidati dettami religiosi, non ebbe mai vera efficacia a Venezia; potevano così circolare libri riportanti le dottrine luterane, calviniste, anabattiste, ecc. ecc. circolavano perfino le rivoluzionarie teorie giacobine.

 

La prima legge al mondo sui diritti e la tutela delle invenzioni e delle opere di ingegno, è veneziana; del 1474!

 

Non smetterò mai di sottolineare il fatto che Venezia  era la "Serenissima Dominante", a capo di un dominio formato da città suddite; per quanto avanzata sotto molti aspetti, era pur sempre una Repubblica oligarchica di stampo "medioevale" ed il concetto moderno di democrazia e partecipazione non aveva senso.

 

Spesso si è letto che taluni aristocratici stranieri, anche re e principi, erano stati iscritti nel libro d'oro della nobiltà veneziana e gli si era anche dato uno scranno nel Maggior Consiglio, ecco l'archetipo; non permettere la condivisione del potere con gli "altri", ma fare di questi "altri" dei veneziani.

 

Ma ..... erano tutte applicate queste leggi, oppure erano solo belle enunciazioni su un foglio? Probabilmente qualcuna venne disattesa; come sempre succede, anche oggi, si fa la legge, ma poi .....

 

Avendo però letto abbastanza, in proposito, io ritengo che in massima parte non erano disattese; certamente lo erano di più quelle che riguardavano il lusso ed i divieti di ostentarlo, soprattutto nell'ultimo secolo di vita della Repubblica.

 

saluti

luciano

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Buona serata

 

in attesa dell'intervento di @@Gaetano95 (grazie della dritta; domani vado in edicola e vedo di procurarmelo. Comunque ti informo che qualche informazione la trovi anche in questa discussione http://www.lamoneta.it/topic/145929-io-sono-il-ghetto/?hl=ebrei), aggiungo qualche altro spunto ....

 

E' noto il detto "Parte (cioè legge) veneziana non dura una settimana". In effetti ciò rispecchiava un modus operandi delle magistrature veneziane; l'aggiornamento frequente delle leggi per renderle più rispondenti alle esigenze di un mondo che mutava velocemente, ovvero reiterarne altre che a distanza di tempo erano state disattese.

 

Non a caso le leggi emanate dalla Serenissima erano moltissime e, come abbiamo visto, alcune molto in anticipo sui tempi.

 

Già nel 1290 il Maggior Consiglio aveva vietato ai giudici di infliggere pene corporali ai minori di 14 anni ed ai dementi; anche nei casi di omicidio, nel 1492, sarà disposta la non punibilità dei minori.

 

Vi ricordate dei "nobili avvocati dei prigioni", cioè quegli avvocati che erano obbligati, a turno, a prestare il gratuito patrocinio agli indigenti? Ebbene la loro istituzione è del 1443 ed è una conseguenza di una legge del 1428 quando, a seguito delle lamentele dei carcerati, venne sancita l'obbligatorietà dei capi della Quarantia (la magistratura che sovrintendeva alla giustizia e che si divideva in varie branche a seconda della funzione che doveva svolgere) di visitare mensilmente i carcerati per ascoltarne i reclami e fare istanze per risolvere ingiuste situazioni.

 

Viene quasi da sorridere, ma qualche tempo dopo, a reclamare, saranno i custodi delle prigioni del "Consiglio dei X" perché ingiuriati dai detenuti. :blum:

 

E ... udite, udite .... è del 1433 la legge che decretava l'esenzione doganale per l'importazione di libri. A questo proposito va ribadito che l' "Indice", voluto dallo Stato della Chiesa, per bandire determinati libri che contrastavano con i consolidati dettami religiosi, non ebbe mai vera efficacia a Venezia; potevano così circolare libri riportanti le dottrine luterane, calviniste, anabattiste, ecc. ecc. circolavano perfino le rivoluzionarie teorie giacobine.

 

La prima legge al mondo sui diritti e la tutela delle invenzioni e delle opere di ingegno, è veneziana; del 1474!

 

Non smetterò mai di sottolineare il fatto che Venezia  era la "Serenissima Dominante", a capo di un dominio formato da città suddite; per quanto avanzata sotto molti aspetti, era pur sempre una Repubblica oligarchica di stampo "medioevale" ed il concetto moderno di democrazia e partecipazione non aveva senso.

 

Spesso si è letto che taluni aristocratici stranieri, anche re e principi, erano stati iscritti nel libro d'oro della nobiltà veneziana e gli si era anche dato uno scranno nel Maggior Consiglio, ecco l'archetipo; non permettere la condivisione del potere con gli "altri", ma fare di questi "altri" dei veneziani.

 

Ma ..... erano tutte applicate queste leggi, oppure erano solo belle enunciazioni su un foglio? Probabilmente qualcuna venne disattesa; come sempre succede, anche oggi, si fa la legge, ma poi .....

 

Avendo però letto abbastanza, in proposito, io ritengo che in massima parte non erano disattese; certamente lo erano di più quelle che riguardavano il lusso ed i divieti di ostentarlo, soprattutto nell'ultimo secolo di vita della Repubblica.

 

saluti

luciano

Tutto molto interessante, avrei solo una domanda data dalla mia ignoranza in materia. La maggiore età nel XV Secolo quando veniva raggiunta?

 

Gaetano

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Ciao @@Gaetano95 !

 

Se non ricordo male (non ho appunti sotto mano) la maggior età era a 13 anni.

 

Attenzione però a non commettere l'errore di identificare quello che consideriamo noi oggi per maggior età, rispetto al concetto che ne avevano i veneziani allora.

 

Anche da noi, solo quarant'anni fa, la maggior età era di 21 anni.

 

Se è vero che un tredicienne veneziano dei tempi poteva iniziare a lavorare come garzone o apprendista; era anche vero che in talune situazioni della vita sociale/lavorativa, abbisognava ancora di tutele (lo abbiamo visto nel post precedente riguardo al lavoro); certamente non poteva maritarsi (però poteva esserci la promessa di matrimonio, spesso organizzata dai genitori); poteva entrare in seminario, ma certamente non poteva dare i "voti" fino a 16 anni.

 

Se è vero che Giovanni XII fu eletto papa a 18 anni ..... e che San Carlo Borromeo fu eletto Cardinale a 22 anni .... i conti tornano :pleasantry:

 

Per i figli dei nobili c'era qualche "tappa" in più: ad esempio, solo dopo il compimento del 18° anno di età, il ragazzo poteva essere accreditato al Maggior Consiglio per concorrere alla eventuale estrazione della "balla d'oro" (sorta di lotteria che tutti gli anni veniva fatta tra qualche decina di ragazzi iscritti, tramite estrazione - appunto - di una balla d'oro inserita in un contenitore congiuntamente ad altre di diverso colore) che gli garantiva l'accettazione immediata nel consesso; altrimenti il ragazzo doveva aspettare il 20° anno di età.

 

saluti

luciano

Modificato da 417sonia
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Supporter

Spero che si riesca a leggere perché sono delle foto, altrimenti cerco di provvedere con delle scansioni

Ciao Gaetano

 

Grazie! Ho acquistato Focus e mi sono letto l'articolo; un po' superficiale e didattico; speravo emergessero dettagli che generalmente non vengono approfonditi ... certamente è divulgativo e può spingere chi è interessato ad approfondire l'argomento su altri testi.

 

Interessante il rimando a Giuseppe Nasi, alias Joao Miquez, Mendez o Mendes ... ne avevo parlato anche in questa passata discussione:

 

http://www.lamoneta.it/topic/88800-la-moneta-nei-traffici-commerciali-mondiali/page-4

 

Discussione peraltro molto interessante che, forse a causa del periodo "vacanziero", ha avuto una partecipazione piuttosto limitata (pur se letta da quasi 4.000 utenti) ...... sotto l'ombrellone non si smanetta il pc ..... però, mamma mia, sono già passati 4 anni da allora :shok:

 

saluti

luciano

Modificato da 417sonia
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  • 1 mese dopo...
Supporter

Buona serata

Navigando in rete ho trovato, riportato nel sito "Raixe Venete"  ( http://www.raixevenete.com ), una delle edizioni della Promissione al Maleficio; era questo uno dei cardini della giustizia criminale applicata a Venezia ai quali i giudici facevano riferimento per giudicare i rei e comminare le relative pene.

Va detto però che i giudici difficilmente applicavano rigidamente tali disposizioni, avevano infatti ampi margini discrezionali, conformandosi ai precedenti, soprattutto riguardando le sentenze già prodotte da magistrature superiori.

Non solo, va anche considerato che tali norme vennero più volte modificate nel corso dei secoli, dalla Promissione più antica del 1181 alla correzione del 1195, alla successiva del 1232; poi ancora con l'introduzione, nel 1545, della pena all'imbarco forzato sulle galere ….. si sa, col tempo cambia la cultura, la morale, il "comune sentire" e conseguentemente anche le leggi e le pene.

In successione dei singoli capitoli (sono in totale 29), scritti in "venexian", ho provato a fare una libera traduzione; ne posterò un po' per volta, giusto per non tediare con post troppo lunghi; spero piuttosto di non aver interpretato male e scritto sciocchezze (correggetemi pure, il mio veneziano è molto arrugginito)…. alla fine scriverò qualche commento relativo a questa versione.

 

Cap. I.

Statuimo che, se par el avenir na serta nave (cusì de Venethiani, come de Forestieri) in tuto el Distreto de Venethia la gavarà patio on naufragio, kiuncoe el sarà nda a coela nave & gavarà tolto kalkosa de beni o aver, o facoltà da coela nave, o in okaxion de el ajiuto prestà, o ko la forsa, el ga da restituir tuto entro tre xorni a kel omo de cui jera i beni, o darli a la so abitathion, o depoxitarli preso i Procuradori de San Marco. De i beni restituii el gavarà la parte che Nu co el Nostro Consejo ghe asegnaremo. Se no el farà cusì, che el gabia da emendar el dopio de koel che el ga portà via ed el Nostro Bando.

Statuiamo che chiunque, in occasione del naufragio di una nave (sia veneziana, sia forestiera), che fosse avvenuto in tutto il Distretto di Venezia, abbia tolto dei beni in essa contenuti, sia perché ne avesse facoltà perché imbarcato su quella nave o in occasione dell'aiuto che gli si presterà, o con la forza, debba restituire quanto asportato entro 3 giorni, o al possessore di detti beni, ovvero ai suoi familiari, oppure recapitarli ai Procuratori di San Marco. Colui che restituirà detti beni avrà diritto ad una ricompensa che deciderà la Magistratura. Se ciò non avvenisse, colui che si è impossessato di tali beni debba rifondere, a chi di diritto, il doppio del valore che tali beni hanno e venga posto in Bando.


Cap. II.

De i ladri statuimo che se kalkedun el farà on furto da vinti soldi in xoxo el sia frustado, da vinti in fin a sento soldi el sia frustado e bolado e la seconda volta el perda on ocio.

Riguardo ai ladri, statuiamo che se qualcuno farà un furto di cose del valore fino a 20 soldi, sia frustato; se il valore di tali cose sarà superiore a 20 soldi, fino a 100 soldi, sia frustato e marchiato (a fuoco). Se si trattasse del secondo reato dello stesso tipo, al ladro gli venga accecato un occhio.


Cap. III.

Se koalkeduni el gavarà fato on furto da 30 £ire in fin a 40 perda i do oci e la man e se el sarà katà da novo in furto de koela koantità el sia picà.

Se qualcuno farà un furto di cose del valore da 30 lire, fino a 40, debba essere accecato ad entrambi gli occhi, nonché gli venga amputata la mano e se verrà preso una seconda volta in occasione di un furto della medesima entità, debba essere impiccato.


Cap. IV.

Ma in ogni liogo, ndove in sta Carta de Promision se dixe che el Malfator el gabia da esar picà par el maleficio perpetrado, se el Maleficio el sarà perpetrado da na femana, no la sia picada, ma la sia mesa a morte conforme la decixion de i Xudexi.

In tutti i casi statuiti nella presente Promissione, dove la punizione prevista per il reato commesso sia l'impiccagione, qualora detto reato fosse commesso da una femmina, non debba essere impiccata, ma debba essere messa a morte come decideranno i Giudici.

 

Cap.V.

Se pi i sarà i Ladri katai a far el furto, ciaskedun de lori i patisa la pena prevista.

Se a compiere il furto saranno state più persone, una volta catturate, dovranno patire ciascuna la pena prevista (in funzione del ruolo rivestito nell'esecuzione del reato).

 

Segue ....

luciano

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Supporter

Buona serata

 

Cap.V.

Se pi i sarà i Ladri katai a far el furto, ciaskedun de lori i patisa la pena prevista.

Se a compiere il furto saranno state più persone, una volta catturate, dovranno patire ciascuna la pena prevista (in funzione del ruolo rivestito nell'esecuzione del reato).

 

Cap. VI.

Se alcun Ladro el sarà katà in caxa de altri e se el se defendarà ko on cortelo, ghe sia tajada la man dreta & kavai i oci.

Se un ladro sarà scoperto nell'esecuzione del reato e questi si difenderà con un coltello, gli sia tagliata la mano destra (o sinistra se mancino) ed accecato ad entrambi gli occhi.

 

Cap. VII.

Kiuncoe el sarà katà de note in caxa de altri par far furti, el sia frustà & bolado.

Chiunque sarà trovato, di notte, in casa altrui per compiere un furto, che sia frustato e marchiato.


Cap. VIII.

Se koalkedui el sarà katà a far buxi o a xbregar la caxa de altri, ke el perda on ocio.

Chiunque sarà trovato a danneggiare o scassinare la casa altrui, che sia accecato ad un occhio.
 

Cap. IX.

Ancora, kionkoe el farà robaria o preda [rapina o pirateria] in te el Distreto de Venethia, da Grado in fin a Cavarxare, & fora in mar fin a 50 meja da el lido che score da Grado al porto antigo de Loredo, el sia frustà & bolado par la prima volta, se la roba la val da soldi 20 in xoxo e par la seconda volta el gabia da perdar on ocio. Et se dapò fata la robaria el scanparà, ke el sia intromeso da i so beni & che el gabia el Bando Nostro & se el scanparà sensa lasarghene, ke ghe sia tajà la man. Se el gavarà fato sangoe faxendo Robaria o Preda, el sia picà.

Chiunque effettuerà furto, rapina o atto di pirateria nel Distretto di Venezia, da Grado a Cavarzere ed in mare aperto, fino alla distanza di 50 miglia dal lido che scorre da Grado al vecchio porto di Loreo, sia frustato e marchiato se è la prima volta e se le cose asportate valgono fino a 20 soldi; se si trattasse di una seconda volta, al malfattore venga accecato un occhio.

Se il malfattore riuscisse a scappare dopo aver effettuato il reato, ci si potrà rivalere sui suoi beni e gli venga comminato il Bando; se non ci fossero beni sui quali rivalersi, gli venga tagliata una mano. Se il malfattore abbia ferito o ucciso durante il reato, che sia impiccato.

 

Cap. X.

Koeli ke receverà co cosiensa el Furto o la Robaria, ke li sia punidi come koeli ke ga conpiuo el Furto.

Coloro che prenderanno delle cose, coscienti del fatto che si tratta di refurtiva, ricevano la medesima punizione di coloro che hanno compiuto il reato.


Cap. XI.

Koeli ke i metarà le man indoso a i altri co violensa, ke li paga on Bando a Nu, e on Bando a ki ke xe sta batuo, ma se li lo coparà, ke li sia picai.

Coloro che metteranno le mani addosso ad altri con violenza, debbano risarcire la Magistratura e la persona fatta oggetto della violenza del costo del Bando; se la persona oggetto della violenza dovesse morire a seguito della stessa, la pena per il reo sia l'impiccagione.


Cap. XII.

El Malfator ke no gavarà confesado el homisidio, ke el sia punido, se secondo la so cosiensa ai Xudexi ghe pararà ke el sia sta lu.

Se il malfattore non dovesse confessare l'omicidio del quale è accusato, che sia comunque punito a discrezione del giudice se questi, secondo la sua coscienza, ritiene che sia stato lui.

 

Cap. XIII.

Ke valga le testimonianse ke sarà dite da i Testimoni par sacramento e ke sarà mese in scritura.

Devono valere le testimonianze fatte dai testimoni sotto giuramento e messe per iscritto.


Cap. XIV.

Kontro koeli ke sarà stridai de vegnir a defendarse el tal xorno davanti a Nu & a i Xudexi Nostri e ke no i vegnarà, ke valga i diti de i Testimoni ke gavemo da aldir, come se fusse prexenti i acuxadi.

Anche se le persone accusate, che verranno chiamate a difendersi in tribunale nel giorno stabilito, davanti ai giudici, non dovessero presentarsi, varranno le dichiarazioni rese dai testimoni, come se gli accusati fossero presenti.

 

Cap. XV.

De i Malefisi conpiui fora de Venethia da el Venethian contra el Venethian, statuimo ke se el Malfator no el sarà punido fora de Venethia, el sarà menà davanti ai nostri Xudexi.

I reati compiuti fuori Venezia da un veneziano contro un'altro veneziano, se il malfattore non sarà punito nel luogo dell'accadimento, sarà giudicato dai nostri giudici.

 

segue

saluti

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Buon pomeriggio

 

Cap. XV.

De i Malefisi conpiui fora de Venethia da el Venethian contra el Venethian, statuimo ke se el Malfator no el sarà punido fora de Venethia, el sarà menà davanti ai nostri Xudexi.

I reati compiuti fuori Venezia da un veneziano contro un'altro veneziano, se il malfattore non sarà punito nel luogo dell'accadimento, sarà giudicato dai nostri giudici.

 

Cap. XVI.

Se el Malfator Venethian no el sarà punido fora de Venethia e se un Nostro Podestà, Retor o Bailo el ne gavarà mandà de le so letare co acuxe par el Maleficio perpetrado, provandolo par Testimoni o co la confesiòn, ke valga le prove portae co la acuxa co el Malfator el sarà menà davanti ai nostri Xudexi.

Se il malfattore non sarà punito del crimine commesso fuori Venezia e se un nostro Podestà, Rettore o Ambasciatore ci avrà mandato i documenti d'accusa congiuntamente alle dichiarazioni dei testimoni, ovvero della confessione, tali documenti dovranno valere quando il malfattore verrà a trovarsi davanti ai nostri giudici.


Cap. XVII.

Se alcun Homo o Femana ghe darà a kalkeduni da magnar o da bevar Malefisi o Herbarie par farlo morir o farghe perdar el xudisio, ke el sia frustà, & bolà. Se el Malefisio el sarà provà, ke el perda i Oci e la Man, & se kalkeduni morirà par sto fato, ke el Malfator el sia picà o bruxà.

Se un uomo o una donna farà mangiare o bere a qualcuno sostanze avvelenate per procurarne la morte o la perdita di coscienza, che sia frustato e marchiato. Se l'avvelenamento sarà provato, che venga accecato ad entrambi gli occhi e gli venga amputata la mano. Se dall'avvelenamento dovesse derivare la morte, che il reo sia impiccato o bruciato.


Cap. XVIII.

Ke nisun prexuma sensa Licensa Nostra e dei Nostri Xudexi far Pignoranson sora alcun Forestier, & se par prexunsion sua el farà la Pignoranson, ke el Pignorado el gabia libartà de tegnirse la Pignoranson e ke sia pagà el Nostro Bando.

Senza licenza della Magistratura incaricata e dei giudici, nessuno può procedere a pignorazione di beni di un forestiero e se questa verrà comunque fatta, il pignorato abbia libertà di tenersi le cose pignorate e chi avrà proceduto al pignoramento senza aver avuto licenza, dovrà pagare il costo del bando.

 

Cap. XIX.

Ke la persona de el Venethian ke no paga el se gabia da dar a el Forestier, se lu la vorà.

Chiunque lamenti il mancato pagamento di un debito da parte di un veneziano può far ricorso al "Forestier" (il Giudice del Forestier era la Magistratura incaricata anche delle controversie per debiti di modesta entità)

 

 

Cap. XX.

Ki ke falsificarà el Sigilo Nostro, o el Sigilo del Sal, o la Moneda Nostra, ke el gabia da perdar la man.

A colui che falsificherà il nostro sigillo, o il sigillo del sale, o la nostra moneta, sia amputata la mano.

 

saluti

luciano

Cap. XXI.

Ke ki ke sarà ciamà a dir la verità par Sacramento su on Malefisio e recuxarà de dir la verità, el gabia da pagar 50 marche de Arxento.

Chi verrà chiamato a testimoniare sotto giuramento riguardo ad un crimine e si rifiuterà di dire la verità, debba pagare 50 marche d'argento di multa.

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Buona giornata

 

Cap. XXII.

Ki ke torà la Roga de Comun o la Marinaresa de na Nave [le merci], se no farà el servisio par cui el ga tolto la Roga, ke el sia tegnuo in Prexon finkè no el restituisa el dopio de la Roga o Marinaresa, & ke el paga a Nu el Nostro Bando.

Colui che ha percepito uno stipendio dal Comune o dal capitano di una nave mercantile per effettuare un servizio e poi non lo svolge, che sia tenuto in prigione fino a quando non restituirà il doppio del compenso ricevuto e che debba pagare il costo del bando.

 

Cap. XXIII.

Ki ke ofende i amighi de Venethia co na Galea o co naltro Legno, & ki ke ga avuo parte de la Preda, ke i gabia da restituir tuto, & finkè no i darà koanto ke i deve, ke i posa esar tegnui da ki ke i ga ofexo.

Coloro che hanno offeso, con atti di pirateria in mare, gli alleati di Venezia, con una galea o con un qualsiasi altro legno e hanno avuto parte del bottino, debbano restituire tutto e fino a quando non sarà reso il mal tolto possano essere ritenuti da coloro che hanno offeso.


Cap. XXIV.

Ke i Veneti i gabia da far el Aventario e ke ki sarà catà sensa, ke el sia tegnuo a farlo in relathion a el tenpo ke i ghe lo ordenarà o a el tenpo ke el doveva esar fato, come ghe pararà al Nostro Fisco.

I veneziani che vengano trovati senza inventario (merci di carico) saranno tenuti a farlo in relazione al periodo richiesto o al periodo che doveva essere inventariato, come verrà deciso dal nostro fisco.


Cap. XXV.

Ki ke falsificarà le Mercandansie, ke el perda esse Mercandansie, ke le sarà dae sensa pagamento a ki ke le ga cronpae, e ke el paga el Nostro Bando.

Chi falsificherà le merci, sarà punito con la requisizione delle stesse, che verranno date senza alcun corrispettivo a colui che le aveva comperate; il contraffattore dovrà pagare anche le spese del bando.


Cap. XXVI.

Ki ke xura de no vendar la so Nave contra el Nostro Statudo, & po la vende, ke ghe sia confiscà i so beni e ke el sia stridà come sprexuro in scala.

Colui che giura sul nostro statuto di non vendere la propria nave e poi la vende, gli siano confiscati i propri beni e che il suo nome sia gridato, come spergiuro, nello scalo portuale.


Cap. XXVII.

Ke nisuni el se intrometa ad aver le Posesion de Tore, Tor Nova, Tor de le Bebe & Carone, na volta finio el tenpo che ghe sarà concese e, anca se altra persona ke gavarà la Nostra Concesion no le torà.

Nessuno possa avere la proprietà di "Tore", "Tor Nova", "Tor de le Bebe" e "Carone" una volta terminato il periodo di concessione avuta. Tale divieto vale in qualsiasi tempo e per qualsiasi concessione.

 

Cap. XXVIII.

Ki ke dexverxenarà na Xovena par forsa o ke gavarà da uxar violensa a na Dona Maridada o a na Femana corota ke el sia subito casà in Prexon, & ke ghe sia cavà tuti do i Oci, se drento oto xorni no el ghe gavarà pagà la Dota ke i nostri Xudexi i gavarà dito, & a la Maridada la Repromisa.

Colui che sverginerà una giovane con la forza, o avrà usato violenza ad una donna maritata o a una donna corrotta, sia subito messo in prigione e gli siano accecati entrambi gli occhi se entro 8 giorni non avrà risarcito la giovane con la dote che i nostri giudici avranno determinato e alla donna maritata la ripetizione della sua dote.


Cap. XXIX.

Poiké podaria senpre darse altri Malefisi ke no se pol prevedar, sia in discrethion de i Xudexi la Sentensa contra i Malefisi ke no xe sta spesificadi.

Poiché potrebbero insorgere altri crimini che oggi non si possono prevedere, sarà discrezione dei giudici emettere la sentenza contro tali crimini che non sono stati contemplati.

 

L'esposizione dei capitoli è finita. Mi riprometto di aggiungere qualche commento in proposito ..... congiuntamente a quelli che verranno riportati da coloro che desiderano aggiungersi.

 

saluti

luciano

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