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LA MONETA RACCONTA...


giuseppe ballauri

Risposte migliori

Un evento, quello del maresciallo Lapaglia detto sergente Garcia, che sembra uscito da un film di Totò e a suo modo sottolinea bene certi aspetti della "realtà profonda" della società.

Mi ha impressionato parecchio sapere che sei stato vittima di un furto. Se capitasse a me (e ottimista come sono credo proprio che un giorno mi capiterà) sarebbe certamente la fine dell'aspetto collezionistico della mia attività di numismatico. Questo più che altro per un motivo "tecnico". Fin da piccolo sono sempre stato appassionato di storia e geografia, passioni che in seguito si sono evolute anche nell'interesse per la geopolitica, la macroeconomia e le questioni militari di tutto il mondo, di conseguenza le mie collezioni di monete e banconote sono relativamente vaste perchè coprono nei limiti del possibile tutte le epoche e tutto il mondo, anche se con particolare attenzione ai paesi e i periodi che più mi affascinano: dover rimettere in piedi tutto partendo da zero sarebbe un'impresa titanica sia in termini di tempo che di soldi, quindi non mi rimarrebbe che accettarlo e smettere.

Giusto per sdrammatizzare un po', ecco un piccolo aneddoto recente.

 

La moneta prigioniera.

Se non fosse che pagano bene non penso proprio che mi smazzerei ben sessanta kilometri al giorno in auto per andare e tornare a lavoro. Dalla mia città 31 km - così dichiarano i cartelli per la precisione - in cui attraverso vari comuni di tre province su una strada che pare un'allegoria della vita: a volte fila liscia e bella larga, a volte sembra di correre su una gigantesca grattugia che cambia come per magia in gruyère ogni volta che piove, il tutto integrato in certi periodi da una nebbia che nei tratti dove le strisce sulla carreggiata sono stinte (o non sono state direttamente mai dipinte) crea la combinazione perfetta per rischiare un bel volo fuori strada, se non all'altro mondo. Comunque, per chi avesse la curiosità, di mestiere prendo pile di documenti e le smisto fra vari cassetti o le porto in giro fra le varie stanze di un grande ufficio. Sì, lo so, è un lavoro massacrante ma sono fortunato perchè nel mio caso ben remunerato.

Fatto positivo è che lungo la strada statale in questione ci sono diversi supermarket di varie marche in cui posso fare un salto all'uscita da lavoro, per la spesa o anche solo per comprare qualcosa da bere o sgranocchiare strada facendo. Giusto questo venerdì mi fermavo a festeggiare il sacro giorno dell'Avvento del Week-end al supermercato del primo paese dopo quello in cui lavoro, comprando un po' di cose utili più un pacchetto di biscotti al cacao con le gocce di cioccolato e una spremuta d'arance, che consumo nel parcheggio ascoltando la radio. Proseguo sulla lunga via di casa e decido di fermarmi in un altro supermarket circa a metà strada, perchè in quello hanno delle mozzarelle e formaggio vario più buoni che nel primo. Mi fermo al parcheggio e scendendo dalla macchina prendo con me le confezioni vuote dei biscotti e dell'aranciata per buttarle nel cestino dei rifiuti vicino all'ingresso, quando posato sulla cupola di ferro dello stesso vedo una cosa molto strana: uno degli apparati in cui s'inseriscono le monete per prendere i carrelli è stato divelto e giace là sopra con una moneta infilata dentro. Lo prendo in mano e osservo bene. La moneta, inserita per tre quarti nella fessura, è una 10 lire conservata bene: stupito dall'isolito ritrovamento la rimetto dove l'avevo trovata e vado a comprare quello che devo, poi all'uscita riprendo il tutto e me lo porto in auto. Provo a levarla ma la 10 è incastrata saldamente e non c'è verso di liberarla, quindi non c'è altro da fare che tornare a casa e provare in qualche altro modo.

Esaminando la situazione constato che il congegno mangia-monete è assemblato forse volutamente in modo da renderne difficile lo smontaggio, con strane viti incassate che non saprei come far girare. Non rimane che provare con una pinza, anche se non si dovrebbe farlo per non infierire... d'altronde qualche graffio dovrà già averlo visto che è stata forzata dentro fino a qul punto. Afferro l'estremità e tiro, con un po' di fatica riesco ad estrarla. Come previsto ha diversi segni ma è tenuta relativamente bene, con tutta evidenza non ha mai circolato. Una 10 lire del 1980 che invocava aiuto piangendo, ignorata da tutti, ora è al sicuro fra molte sue simili da 5 e 10 in un cassettina di ferro.    

Modificato da ART
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20 minuti fa, ART dice:

Una 10 lire del 1980 che invocava aiuto piangendo, ignorata da tutti, ora è al sicuro fra molte sue simili da 5 e 10 in un cassettina di ferro.

Avrà sempre la sua storia e ti comunicherà sempre qualcosa, anche se non ha un valore commerciale. E' questo che dovrebbero capire le tante "meteore" che intasano il Forum con la fatidica domanda "Quanto vale?" La moneta vale se tu l'apprezzi, se significa qualcosa per te. 

Ciao e complimenti ART. 

Beppe 

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  • 2 settimane dopo...

Buonasera a tutti,
premesso che amo molto questa discussione di Fratello Beppe,  @giuseppe ballauri, osservavo le foto (è ancora in viaggio) del mio ultimo 9 cavalli di Ferdinando IV anno 1791, cercavo di ricostruire la sua storia, il perché di alcuni particolari così evidenti ad occhio nudo e altri ad occhi più esperti o solo più curiosi come i miei ed ecco che la moneta ha iniziato a raccontare la sua storia.
Correva l'anno 1791, e più precisamente era il 17 Gennaio, festa grande per le vie di Napoli, si fremeva per i preparativi per il grande falò in onore di Sant Antuono protettore degli animali e non solo, festa molto sentita a Napoli e nei dintorni.
Faccio una piccola premessa.. ?
(O cippo ‘e Sant’Antuono.
Fu Carlo III di Borbone ad ufficializzare i mestieri ad essa legati e a distanza di anni la festa del cippo di Sant'Antuono si ripete puntuale ogni anno.

Le Origini
Si narra che in tempi passati Sant'Antonio scese agli inferi con il suo maialino per rubare il fuoco e regalarlo agli uomini, la fiamma ha, infatti, potere purificatorio e scaccia via malattie e malocchi dell'anno appena iniziato. Ma il Santo non ricevette una buona accoglienza, i demoni riconoscendolo gli presero il bastone e non lo fecero entrare. Ma il maialino si infilò di corsa mettendo tutto a soqquadro e i diavoli ebbero un bel da fare a riordinare. Fu così che Sant'Antonio disse ai diavoli "se volete che lo faccia star buono, dovete ridarmi il mio bastone" . Una volta restituito il bastone al padrone, il maialino si tranquillizzò. Ma non si trattava di un bastone qualunque, si trattava del bastone di ferula dal midollo spugnoso e se una scintilla entra nel midollo il legno continua ad ardere ma da fuori non si vede nulla. Così diavoli ignari che Sant'Antonio avesse il fuoco nel bastone lo lasciarono andar via. Solo una volta fuori, il Santo alzò il bastone infuocato in segno di benedizione cantando: "Fuoco, fuoco, per ogni loco; per mondo fuoco giocondo!". Da quel momento, donò agli uomini il fuoco sulla Terra).

Riprendiamo il racconto..
Tutto avveniva nel Buvero di Sant'Antuono, dove si trova la chiesa dedicata al Santo. Qui in questo quartiere popolare di Napoli, si svolgeva il 17 gennaio la processione in onore del Santo, al termine della quale venivano benedetti gli animali. A questo momento seguiva l'immancabile rito del "fuocarazzo", ovvero si preparavano grandi cataste di legno per darvi fuoco, un modo per simboleggiare la potenza del Santo in grado di spegnere le forze del Male ma anche un modo per disfarsi del vecchio. Infatti era usanza lanciare dai balconi tutti gli oggetti inutilizzati in legno per contribuire al cippo.
Ecco il momento fatidico in cui entra in scena la nostra monetina, poverina era rimasta nel fondo di un vecchio cassetto malconcio , cassetto di cui il proprietario ne ignorava il contenuto, lo credeva o ricordava vuoto, eccolo prendere parte all'allegro fuocherello.. ?
Sentiva le urla di gioia della folla, il fervore nel disfarsi del vecchio, dell'esorcizzare il passato, le grida dei ragazzini in festa, che si rincorrevano per la piazza e le viuzze vicine, ecco che uno di loro, Sasa'(Salvatore) un ragazzino di 11 anni con tanti riccioletti e una lunga camicia bianca solo nel nome, si ferma all'improvviso, rapito da un qualcosa che ha attirato la sua attenzione, ai suoi piedi, tra la cenere e i tizzoni ancora ardenti, eccolo un dischetto marrone, un viso familiare(riconosciuto tramite i racconti e i soprannomi sentiti in casa e per le viuzze fra queste ''Re Nasone''). ?
Con fare disinvolto, e con abilità da gran maestro il piccolo Sasa' aiutandosi con un rametto scosta la moneta liberandola dal rogo, per fortuna era alla base del fuoco nel perimetro più esterno, dove la temperatura era più bassa e la cenere ormai tiepida. Ormai era fatta, la monetina annerita ma quasi intatta finisce nelle tacche di Sasa' che si allontana fischiettando e saltellando dalla gioia.
Sasa' non si separò per tantissimo tempo da quella moneta, perché la riteneva magica, un dono di Sant Antuono, un dono ardente, un talismano un porta fortuna. Fino a quando la moneta ha ripreso il suo viaggio nel tempo e nella Storia fino ad arrivare nelle mie mani..
Spero che vi sia piaciuto il racconto.
E mi raccomando, fate raccontare anche voi le vostre monete, non aspettano altro.
Saluti
Alberto

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Bravissimo Fratel Alberto! Bella Storia con rivisitazione Napoletana del mito di Prometeo. Non la conoscevo. A Napoli festeggiano ancora il 17 Gennaio oppure la tradizione si è persa? 

Ciao e continua a scrivere, mi raccomando!

Beppe 

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Buonasera a tutti, mio caro Fratello Beppe, @giuseppe ballauri, è una bella tradizione che ha radici storiche profonde.

Per risponderti ed integrare il racconto, riporto altre note prese dal web. 

In Italia esiste una vera e propria venerazione per Sant’Antonio Abate (da non confondere con Antonio patrono di Padova): basta passare in rassegna le decine di eventi organizzati in suo onore il 17 gennaio, data della sua morte, dalla Lombardia fino alla Sicilia. Eppure leggendo qualche cenno della sua biografia si scopre che il santo non ha alcun legame con il nostro Paese: Antonio fu un eremita egiziano, vissuto nel IV secolo dopo Cristo, cui si deve l’inizio del cosiddetto “monachesimo cristiano”, ovvero della scelta di passare la vita in solitudine per ricercare una comunione più intensa con Dio. Evidentemente bastò questo “primato” per diffondere il culto in tutta Europa, cui si aggiunsero, nel tempo, molti tratti popolari.

Fin da epoca medievale, Sant’Antonio viene infatti invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; questo, forse, perché dal maiale gli antoniani (i seguaci di Antonio) ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe. Antonio, dice la tradizione, era anche un taumaturgo capace di guarire le malattie più tremende. E poi, c’è la credenza popolare che vuole che il Santo aiuti a trovare le cose perdute. Al nord si dice "Sant'Antoni dala barba bianca fam trua quel ca ma manca” e al sud - dove viene spesso chiamato Sant’Antuono, per distinguerlo da Antonio da Padova - "Sant'Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”.
È veramente straordinario l'infinito coinvolgimento che può darti una moneta, soprattutto quando comincia a raccontare, le cose che si possono imparare, ragazzi diamoci da fare, prendete anche voi i vostri vassoi, dai quali si libra sicuramente un vocio, sono le vostre monete, hanno voglia di raccontarsi, non lasciatele sole e insoddisfatte, lasciate che siano loro a raccontare attraverso voi. ? 
Saluti 
Alberto 
Modificato da Litra68
Corretto vicino con vocio
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Per una fortunata coincidenza, grazie a  @giuseppe ballauri , sto scoprendo aspetti inediti di questo forum.
Forse non ho molto girovagato ma tra i tanti post che leggo ed ho letto, pieni di asettiche identificazioni o scarne valutazioni, non mi aspettavo di trovare qui anche questi tipi di contenuti, così intimi e ricchi di sensibilità; ed è una bella sorpresa. 
Leggo che tanti attributi sono già stati spesi per commentare queste bellissime storie brevi (le sue ma anche quelle di altri che hanno accolto il suo invito a raccontarsi), bellissime perchè è evidente che sono state scritte col cuore e con tanta nostalgia, probabilmente custodite gelosamente per tanto tempo prima di renderle pubbliche.
Potrei aggiungere tanti altri aggettivi: racconti avvolgenti e coinvolgenti, storie confidenziali ed interiori, aneddoti carini ed affettuosi... 
Mi limito invece ad una sola parola: grazie!
Grazie Beppe perchè trovare tanta sensibilità dove meno te lo aspetti non può che fare bene allo spirito e di conseguenza all'umore: e ce n'è sempre bisogno!
Giovanni

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Quel giorno che pensai di essere stato fregato dal gelataio.

Era quel periodo in cui ancora non capivo perché, andando in gelateria le domeniche pomeriggio con le mie due cugine più grandi di qualche anno, i ragazzetti ci giravano intorno tentando un approccio, fischiando o facendo battutine sceme.
Era quel periodo in cui ancora, d'estate, attraversare l'ombra della frescura donata dalle foglie dei tanti alberi posti ai lati di quel viale mi regalava sensazioni di benessere, paragonabili solo alla fantastica brioche col gelato nocciola e panna che solevo gustare ogni volta, seduto su un piccolo tavolino rosso a tre gambe posto sul ciglio della strada dove, di rado, passava qualche 850 o una Dyane 6.
Appena finito di gustare quelle prelibatezze, la responsabilità di pagare la consumazione spettava quasi sempre a me: "Due brioches con gelato ed
un cono!", dichiaravo fiero! 
Mi piaceva far finta di essere grande; sgomitavo per arrivare primo quando giungeva il momento del genitore che elargiva, per pagare i gelati, la
banconota grigia da mille lire, quella con l'arpa e il signor Verdi austero ed elegantissimo col suo papillon. 
Ogni volta, con fare professionale, facevo finta di contare il resto (si, c'era anche il resto) e lo lasciavo scivolare velocemente nella tasca davanti dei pantaloncini che mi arrivavano al ginocchio, contento di sapere che nessuno dei grandi, al ritorno, ne avrebbe preteso la restituzione. 
I giorni seguenti spendevo il prezioso resto in figurine dei calciatori, caramelle o, se riuscivo a tenere da parte tutte le 150 lire, anche in un Topolino: ma non ero così forte da riuscirci spesso.
Quella volta, tornato a casa e riconsegnate sane e salve le cugine, mi diressi in terrazzo per far vincere, come sempre, i cowboys sugli indiani; erano battaglie che duravano pochi secondi, la maggior parte del tempo lo dedicavo a posizionare i soldatini di plastica tutti intorno a me, per terra; poi era tutto un: bang, pum, swish, argh, augh, caricaaa!! 
Prima però tolsi dalla tasca il resto di prima e, avendo tutto il tempo che mi serviva, lentamente cominciai a contare, avido, quelle monete per
programmare gli acquisti della settimana: "Cinquanta, cento, centoventi, centoquaranta, centocinquanta... Centocinquantuno?".  
Ehi! Cos'era quella piccola monetina che non avevo mai visto prima, con il numero 1 da un lato e accanto la figura di uno stranissimo gatto, mentre
dall'altro una bella signora incoronata, con il collo troppo lungo, osservava la scritta poco di fianco a lei?
Corsi dai grandi pensando, nella mia ingenuità, di essere stato fregato dal gelataio, senza nemmeno riflettere che le 150 lire di resto c'erano tutte. Naturalmente fui tranquillizzato e, dalle successive spiegazioni, appresi che c'era tutto un mondo, a me sconosciuto, che dovevo scoprire ad ogni costo. Fu quasi come essere colpito da un fulmine, lì nacque una delle mie più grandi passioni.
Adesso gli alberi in quel viale non ci sono più, al loro posto tanti palazzi ed un centro commerciale. Neppure la gelateria ha resistito, troppe automobili transitano da quella strada sporcando l'aria; la frescura dell'estate, uccisa dall'afa, è solo un nostalgico ricordo.
Però mi rimane lei, quel centesimo piccolo piccolo, niente di raro o prezioso, muta testimonianza di un'epoca spensierata e felice. Ogni tanto lo esco dalla capsula di plastica in cui lo conservo gelosamente e, per fargli prendere aria, me lo passo tra le dita, lo faccio girare come una trottola un paio di volte; poi, prima di rimetterlo a posto, lo mischio con qualche centesimo di euro e comincio a contare: "venti, quaranta, sessanta, settanta, settantuno!". 
Così, per passare un po di tempo con un vecchio amico!
Giovanni

austalia_1_c_1966.jpg

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Bellissimo racconto con note di "colore" veramente apprezzabili, che ci rimandano ai tempi felici della nostra infanzia.

Complimenti. 

Adesso che hai iniziato mi raccomando... non smettere! Sarebbe un peccato non leggere i tuoi racconti. 

P.S. la tua "numero Uno" che moneta è ? Non la conosco proprio. 

Ciao 

Beppe 

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6 ore fa, giuseppe ballauri dice:

Bellissimo racconto con note di "colore" veramente apprezzabili, che ci rimandano ai tempi felici della nostra infanzia.

Complimenti. 

Adesso che hai iniziato mi raccomando... non smettere! Sarebbe un peccato non leggere i tuoi racconti. 

P.S. la tua "numero Uno" che moneta è ? Non la conosco proprio. 

Ciao 

Beppe 

Grazie Beppe, sei troppo gentile.
Attento che ti prendo in parola!  ?
Qualche tempo fa il web era inondato dai miei scritti più o meno farneticanti, ma da semplice hobby qual era cominciò ad essere tutto troppo impegnativo (ed anche costoso!), quasi un secondo lavoro, fino a quando ho deciso di chiudere parecchi blog e siti lasciandone in vita giusto qualcuno (soprattutto di fotografia), senza più aggiornarlo con assiduità o addirittura svuotandolo dei contenuti.
Purtroppo per me e per gli altri, mi piace tantissimo scrivere quindi (non la prendere come una minaccia!?) qualche altra cosa mi permetterò di aggiungere anche qui.
La monetina è un comune centesimo australiano del 1966, niente di che ma per me preziosissimo, ogni tanto mi chiedo come possa essere finito in quella piccola gelateria fuori mano.
Ciao
Giovanni

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Questa storia è un po' romanzata, ma racconta di un fatto realmente accaduto, l'ho intitolata: "Un favore che andava fatto subito". 

Metà maggio di qualche anno fa, sabato sera, in pizzeria, con amici.
Aldo - "Compà, se te la offre come autentica puoi crederci. Conosciamo Giacomo da tanto tempo, e poi siamo anche partiti insieme con le fidanzate
l'anno scorso, ti ricordi?".
Io - "Certo che mi ricordo. quella volta ha tentato di venderti un Nautilis in acciaio della Patek Philippe di un suo collega in difficoltà finanziarie, diceva lui. Ringrazia che c'era con noi pure Pierangelo che questi strappapeli li vende, altrimenti quelle cinquecentomila lire non le avresti più riviste, chissà che scusa si sarebbe inventato quando ti accorgevi che era una patacca!".
Aldo - "Ma no, poveraccio, alla fine si è pure scusato. Ricordati che nello stesso periodo mi ha venduto la F3 col 50 1.4 per pochi spiccioli ed è ancora lì, non sbaglia uno scatto. Comunque, visto il prezzo ridicolo, almeno un'occhiata io gliela darei: così, per scrupolo."
Io - "Si, ma mi porterò appresso tutto l'armamentario: bilancia, calibro, acido, pietra e cane antidroga, non si può mai sapere!".
Domenica mattina, al telefono.
Aldo - "Mi ha chiamato Giacomo. Se stamattina ti fa piacere possiamo prenderci un aperitivo insieme a Mondello, verso le 11. Lui è già li con Marina, la sua zita, quella che inizia sempre le frasi con 'ma', ti ricordi?".
Io - "Va bene, richiamalo e ci leviamo il pensiero. Tanto stamattina non mi andava di passarla al mare, incontriamoli che ci facciamo pure quattro risate con loro due, litigano sempre. Ti passo a prendere fra mezz'ora." 
Domenica, verso le 12.30, Piazza di Mondello, seduto all'Antico Chiosco con Aldo, Giacomo e Marina.
Giacomo - "Non so che dire, il mio collega mi aveva detto che era autentica ed io ci avevo creduto. Non ne capisco niente di monete. Che ne so di pesi e misure? Mi ha fatto vedere una rivista dove la stessa moneta era quotata una cifra e l'immagine era uguale, i disegni precisi!".
Marina - "Giacomo, la devi smettere! Ma tutta questa voglia che hai di fare il sensale da dove ti è venuta? Ma manco capisci che giorno è oggi, sei ridicolo!".
Giacomo - "Veramente io..."
Marina - "Ma zittuti, statti zitto! Ma sei proprio un locco! Ma hai il coraggio di parlare ancora? Ma andiamo a mangiare, che ho fame! Anzi no, lasciami a casa ca mi passò u pitittu, puru u gelato mi fece male".
Aldo - "Giacomo, Ha ragione, ti fidi troppo delle persone. Adesso ci salutiamo e porti Marina a mangiare in un bel posto che così fate pace!".
Giacomo - "Marina, scusami. Ti prometto che questa è l'ultima volta che faccio favori ai colleghi. Prima di andare a casa mia andiamo a mangiare del pesce fresco a Porticello?".
Marina - "Ma sei sordo? Ma quale casa tua? Ma portami a casa mia che mi è venuto pure mal di testa!".
Lunedì mattina, in ufficio, mi squilla il telefono.
Io - "Pronto?".
Giacomo - "Ciao Giò. Me lo dovevo aspettare, Marina oggi ha litigato per telefono col mio collega e lo ha abbanniato di brutto, non voleva più che lui mi frequentasse fuori dal lavoro, lo ha pure minacciato di andarlo a trovare a casa. E' venuto a raccontarmelo lui poco fa nella mia stanza, sembrava un cane bastonato."
Io - "Minchia! E come è finita?".
Giacomo - "Mi ha chiesto di scusarsi con te, perché pure lui non ne capisce niente di monete e pensava solo, visto che tu le collezioni, di favorirti cedendotela ad un ottimo prezzo. Mi ha anche detto che, siccome è falsa, te la regala come segno della sua buona fede. La moneta ce l'ho ancora io."
Io - "Non so che farmene, visto che è fasulla. Ringrazialo da parte mia e digli che è tutto a posto!".
Giacomo - "Te lo chiedo come un favore, non so come dirtelo, è stata Marina ad imporgli di regalartela, se tu non la prendi a me finisce male!".
Io - "Vabbè Giacomo, ho capito. Ringrazialo e tranquillizza Marina. Domani pomeriggio passo e me la vengo a prendere."
Giacomo - "Grazie Giò, sei un amico. Scusa la fretta ma te la porto io oggi, appena esco dal lavoro. Di pomeriggio mi vedo con lei a casa mia, mi capisci, vero?".

Nell'immagine sotto il 5 lire (Scudo), del Ducato di Parma del 1832 con Maria Luigia d'Austria, ricevuto in regalo: rigorosamente falso! ☺️
@giuseppe ballauri  fermami quando lo ritieni, non mi offendo! ?

5 lire 1832.jpg

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49 minuti fa, giolvolo dice:

fermami quando lo ritieni, non mi offendo! 

Nooo.... non ti fermo proprio! E' un piacere leggere i tuoi racconti, poi hai la grande capacità di creare, con la scrittura, delle persone che sembrano vive, anzi mi sembra quasi di conoscerle! 

Bravissimo. Alla prossima ! 

Ciao Beppe  

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  • 1 mese dopo...

Buonasera a tutti,
oggi ho ripreso in mano le mie sabaude, mi sentivo un po' in colpa per averle sfrattate dai vassoi dove hanno alloggiato per un quarto di secolo.. Ne ho  osservato a lungo una in particolare,  la protagonista, ispiratrice e narratrice del racconto.
'' Adda Veni Baffone ''
Estate del 1976 casa dei nonni paterni, in un afosa campagna Calabra, interminabili giornate che io da piccolo  trascorrevo in giro con la Nonna al mattino, per botteghe a far la spesa, le soste nella masseria della comare per un saluto e una limonata fresca sulla strada del ritorno, intorno il canto delle cicale che ancora mi sembra di  sentire ritornando ai ricordi dell'infanzia, poi si arrivava a casa e si metteva  a posto la spesa e iniziava il rito della cucina.
Pomeriggio trascorso rigorosamente ascoltando i racconti della mia bisnonna, una graziosa nonnina che a malapena sfiorava il metro e 50 per 45 kg. tanto esile e tanto forte, vedova di guerra, che aveva tirato su mio nonno tutta da sola  nella Calabria durante ben due conflitti mondiali.
L'appuntamento però che mi dava tanta trepidazione era quando il nonno mi portava con sé al dopo lavoro ferroviario, qualche tavolino e qualche sedia sgangherata, i ferrovieri tra cui mio nonno si facevano la partitella a carte dopo il lavoro, premetto che il nonno viveva in uno di quei caselli ferroviari di una volta, lontano dal centro abitato ma per fortuna vicinissimo ad una piccolissima stazione ferroviaria di un tempo, mi piaceva molto andare con lui, ci guadagnavo sempre un dolcetto, o un gelato o una semplice gazzosa, che gustavo mentre loro giocavano a carte, si parlava di politica, di sport, di lavoro, qualcuno si infervorava, uno in particolare, un simpatico signore che veniva da Napoli, esordiva sempre con la stessa frase, che anch'essa mi è rimasta stampata in testa, diceva '' Adda Veni Baffone '' queste parole mi incutevano un certo timore, le sentivo come una sorta di avvertimento, ero curioso di saperne il significato ma avevo paura di chiederlo.
Spesso al ritorno a casa, il nonno mi permetteva di entrare nel suo studio, dove la facevano da padrone degli orologi a cucu' e una scrivania che era per me come la grotta del tesoro dei 40 ladroni, nei cassetti il nonno custodiva i suoi orologi, li aggiustava come hobby ma anche per i conoscenti ed amici, penne stilografiche, matite, gomme per cancellare giganti, a me ragazzino sembrava veramente un tesoro, ma ecco che all'improvviso il mio sguardo fu rapito da un qualcosa di meraviglioso e al tempo stesso come la rivelazione di un mistero, la mia esclamazione fu '' Ecco qua a Baffone'' e mentre lo gridavo mi brillavano gli occhi, il nonno si giro' di scatto verso di me, e dopo  una grossa risata mi disse.. Non è Baffone è Re Umberto I.
Era una moneta d'argento da 2 Lire  di Umberto I.
Allora presi coraggio e chiesi al Nonno maggiori spiegazioni a proposito dell'esclamazione 'Adda' veni Baffone '' e se aveva a che fare con la moneta, allora mi spiegò con parole semplici, quello che poi ho meglio capito e approfondito negli anni, che si usava dire per Auspicare la venuta di un qualcuno che avrebbe messo a posto le cose, una sorta di monito.
Ecco vi presento il mio Baffone.
Spero vi sia piaciuto questo racconto.
Saluti
Alberto
 

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Quella strana moneta che non era una moneta.

 

Ho imparato a conoscere le monete e le banconote come quasi tutti i bambini di città facevano a quell'epoca, con mamma o papà che ti affidavano il malloppo e ti mandavano a fare una commissione al negozietto di fronte. E all'inizio prendevo quel compito molto sul serio: dovevo compiere la "missione" senza intoppi, senza che il denaro mi venisse magari rubato da qualche giovinastro più grande o senza perderlo. Ricordo ancora quando attraversavo la strada per andare nella letteria gestita da quella simpatica signora col camice e compravo mezzo litro di latte con 550 lire, il biglietto Mercurio e la 50 Vulcano. Oppure andavo alla sala giochi per un magnifico pomeriggio di svago, infilando le 100 Minerva nel coin-op a cui giocavo a Juno First o a Choplifter, sullo sfondo del juke box impegnato nella magistrale esecuzione di successi come Wild Boys dei Duran Duran. Ogni tanto capitava che al posto delle 200 lire qualcuno mi desse di resto gettoni del telefono, e in un certo periodo nientemeno che caramelle (evviva!), scatole di cerini (che me ne faccio?) o francobolli (carini, ma non mi piace scrivere). Non erano monete ma funzionavano come le monete, quindi andavano bene lo stesso, l'importante era avere la dovuta grana. Anzi, erano pure più comodi: oltre che per pagare potevi usarli in quei simpatici telefoni pubblici grigi a disco combinatore, col tasto rosso per la restituzione dei gettoni incastrati dentro e la finestrella con lo sportello di plastica, in cui ogni tanto qualcuno piazzava un petardo per far saltare il serbatoio e rubare i gettoni.

Ricordo che un giorno, durante un giro con mia nonna in una delle vie principali della città, quella pseudomoneta è stata protagonista di un episodio bizzarro. A un certo punto vediamo un assembramento e ci dirigiamo da quella parte. Facendomi strada nella ressa di persone tutte più alte di me sbuco su uno spiazzo libero dove un artista di strada sta disegnando per terra con dei gessetti colorati. Non mi sovviene il soggetto, ma era fatto molto bene e tutti osservavamo con ammirazione. Monete di ogni taglio venivano lanciate ogni tanto da lontano dentro due scatolette piazzate davanti all'opera, con la scritta "grazie" tracciata in bianco davanti ad ognuna, ma spesso cadevano fuori fermandosi lì nei pressi o rotolando direttamente sul dipinto. Anch'io voglio dare il mio contributo, quindi chiedo a mia nonna una moneta e lei mi consegna un gettone. Va bene lo stesso, penso fra me e me: sono come 200 lire, e in più una volta finito il suo capolavoro il disegnatore potrà usarlo per chiamare a casa. Lo prendo e cerco di lanciarlo in una delle scatole, mancandola. Niente di grave, si fermerà comunque lì per lì... e invece con mio disappunto quel disgraziato del tondello scanalato comincia a rotolare, attraversando parte dell'opera e allontanandosi verso il lato opposto della folla. Finisce la sua corsa contro la scarpa di un distinto signore in camicia e giacca che come nulla fosse si piega, lo raccoglie e lo infila in tasca. Rimango interdetto, senza avere il coraggio di guardare mia nonna. Mi sento in colpa perchè ho sbagliato così clamorosamente il lancio, io che mi vantavo di essere così bravo ai giochi con le biglie, permettendo a quel maleducato di rubare la dimostrazione tangibile del mio apprezzamento per il lavoro dall'artista (che in pratica ebbe la faccia di rubare l'elemosina a un poveraccio). Niente più soldi, niente più telefonata.

Ancora oggi non so se mia nonna si accorse di quell'incidente, chiamiamolo così, ma in caso affermativo evidentemente ritenne che non valesse la pena di andare a protestare col farabutto in questione e continuammo per la nostra strada.

Ogni tanto mi torna in mente questa cosa, all'apparenza insignificante ma in realtà densa di metaforici significati che compresi solo molti anni dopo.

 

 Gettone Telefonico - Benvenuti su cosmikservicescigliano!      $_59.JPG

Modificato da ART
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Complimenti Alberto @Litra68 e @ART per le vostre belle storie testimonianza di periodi che tutti abbiamo vissuto. 

Alberto mi ha fatto ricordare il Nonno che aveva delle cantine pieni di macchinari e oggetti meravigliosi e sapeva fare di tutto. 

ART mi ha riportato agli anni '70 periodo nel quale si verificò un improvvisa mancanza di circolante ed i negozianti ( i miei avevano una Tabaccheria ) si ingegnavano a dare il resto con caramelle, francobolli incapsulati, gettoni telefonici. In effetti questa carenza di spiccioli non è mai stata spiegata bene e sono fioriti degli aneddoti e delle storie non sempre verosimili. Poi arrivarono i Miniassegni e tutti cominciarono a collezionarli, ma questa è un'altra storia. 

Ciao e grazie per i vostri racconti.

Beppe

 

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Buon pomeriggio e buona domenica, Beppe, @giuseppe ballauri, trovo veramente stimolante questa discussione che hai aperto, e devo frenarmi molto per non riempirla delle mie storie, ma ogni tanto mi piace farlo, il racconto che segue mi riaffiorava spesso alla mente e nella mia quotidiana visita alle mie monete, ho trovato l'ispirazione per farvela raccontare, è una storia che conosco a memoria ed è veramente bella, spero piaccia anche a voi che la leggerete. ?

Questa è la Storia di Giovanni e  Taliana (il vero nome era Giuseppina).
Tutto ha inizio in un assolata giornata di Luglio dell'anno 1907 era da qualche giorno passata la festa della Madonna del Carmelo e il piccolo Carmine aveva da poco compiuto 3 mesi.
Giovanni stava imbarcandosi sulla Nave che lo avrebbe portato in America, si, era uno dei tanti emigranti che in quegli anni lasciavano il nostro meridione, per andare a cercare la fortuna, il programma era quello di trovare un lavoro e una sistemazione e poi richiamare moglie e figli.
Un bel viaggio di 6 giorni per mare, un mare che in alcuni momenti metteva paura, per le improvvise tempeste, e per il continuo ondeggiare, molti pregavano, anche Giovanni lo faceva, pensava alla giovane moglie, ai cinque figlioletti di cui il più grande non aveva più di 11 anni e il piccolo appena 3 mesi, pensava a quanto gli mancassero e gli sarebbero mancati, e pensava al futuro che voleva regalargli.
Lo rincuorava il fatto che Giuseppina e i figli non erano completamente soli, avevano una grande e numerosa famiglia intorno.
I giorni di viaggio passarono in questo modo e fu un sollievo scorgere la terraferma, il primo avamposto Americano si chiamava '' Ellis Island'' un piccolo isolotto artificiale nella Baia di Manhattan, adibito allo “smaltimento”  immigrati,  dal 1892 al 1954.
Una volta sceso subì la trafila alla quale  chiunque arrivasse in America doveva sottoporsi, visite mediche, psicologiche, interrogatori sulla loro posizione nei confronti della legalità, e se avevano un posto dove stare, Giovanni andava a stare con un vecchio Zio che viveva a New York già da una 20 di anni, e che gestiva uno Store, tipo un emporio nella Little Italy.
I primi tempi furono abbastanza duri, non tanto per il lavoro (aveva trovato un impiego per una ditta delle ferrovie) ma per la lingua, l'avere a che fare con tante persone di posti diversi, per fortuna aveva legato con dei '' paesani'' di Milano.. ?
La sera dopo il lavoro ed aver cenato era un altro momento particolare, era il momento che passava in rassegna le foto che ritraevano la moglie e i 4 figli più grandi, per il piccolo Carmine non avevano fatto in tempo, allora i fotografi oltre ad essere un lusso avevano la loro tempistica, e benché avesse fatto le foto al Battesimo proprio qualche giorno prima della partenza, non aveva fatto in tempo ad averle con tutta la famiglia al completo, aveva però portato con sé e conservato a posta una moneta del 1907 che in un certo qual modo gli facesse ricordare del Piccolo.
Nei mesi che seguirono amava scrivere almeno ogni 15gg una lettera alla sua Giuseppina, che ormai chiamava affettuosamente '' Taliana che stava per Italiana''.
Per una serie di motivi ed accadimenti familiari e di salute di Giovanni  passarono 5 anni senza riuscire a realizzare il sogno di ricongiungere la famiglia li a New York, il suo fisico era compromesso da dei malanni e si rese necessario il suo rientro in patria, intanto Giuseppina con l'aiuto di alcuni familiari riuscì a mettere in piedi una piccola attività artigianale, e la mandava avanti con l'aiuto dei 4 figli maggiori.
L'arrivo di Giovanni a casa in Italia fu una festa, fu commovente, le prime parole che disse alla moglie furono..'' Taliana.. sono qui''.
Mentre tutti facevano un gran baccano, spunto' da dietro le vesti di Giuseppina il piccolo Carmine un ometto di quasi sei anni, che guardava con timore il papà, grande commozione per entrambi, un abbraccio intenso, poi Giovanni mette le mani in tasca e tira fuori 1 Lira di Vittorio Emanuele III del 1907 e la mette nelle mani e di Carmine. Ormai a Giovanni non serviva più.. ?
Eccola
Saluti
Alberto

Ps. Scusatemi in anticipo per qualche eventuale piccola incongruenza, sono accadimenti di oltre 100 anni fa. ? 

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Caro Alberto, storia molto commovente che ho letto tutto di un fiato! L'emigrazione in America è comune a tutte le nostre Regioni perchè la miseria era una "malattia" che colpiva buona parte della popolazione. Mi ha fatto sorridere che Giovanni considerasse "compaesani" dei milanesi, segno che l'Unità aveva cominciato ad essere "vissuta". 

Nel mio racconto "La Cassaforte Inviolabile" avevo descritto la storia del "Bughèr" ( fratello di mia nonna ) che era riuscito a fare una fortuna in America, però penso sia stato uno dei pochi fortunati. 

Se hai la "penna calda" continua a scrivere, è sempre un piacere leggerti. 

Penso che ne prossimi giorni, se riuscirò a riemergere da questa tristezza che comporta vivere in un periodo come questo, scriverò una storia che è molto tempo che vorrei raccontare...

Ciao, Complimenti per il tuo scritto

Beppe 

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  • 2 settimane dopo...

L' AMICO FRITZ

Una vecchia foto ingiallita dal tempo e piegata in metà, una serie di bambini schierati su una scalinata, con varie espressioni, quelli imbronciati che guardano in giù, quelli birichini che accennano ad un sorrisetto, tutti vestiti con una giacchetta nera sgualcita, quasi tutti con ai piedi gli zoccoli di legno, pochi con una parvenza di scarpe nere ed un fiocchetto girocollo. Alla sinistra un prete allampanato che li guarda severo. Giro la foto: i nomi di tutti i compagni scritti con lapis viola e calligrafia incerta e senza cognomi, solo qualcosa che li identifichi, il lavoro svolto dal loro Padre: “Carlìn Minisiè” ( Carlino Falegname ) “ Cesco Panatè” ( Francesco Panettiere ) “Giuanin Frè” (Giovannino Fabbro) etc...

Questa è la I° Elementare di “Cesco”, mio padre, nel 1933, Anno XI° dell'Era Fascista e da questa foto inizia la storia di un'amicizia.

                                                                                                                                                  ----§-----

 

Il Maestro, nonché Parroco del Paese, era Don Umberto, un uomo alto e segaligno con degli occhi grigi pungenti con i quali squadrava severamente sia i parrocchiani, sia la scolaresca. A rendere più inquietante la sua figura era la canna di bambù onnipresente nella sua mano destra, che serviva, sia ad indicare gli scritti sulla lavagna, sia come arma impropria per punire gli alunni più indisciplinati. Quel mattino di Novembre ogni cosa era avvolta dalla nebbia, gli spifferi di vento si insinuavano nelle finestre sgangherate ed i bambini erano così intirizziti nei loro vestiti troppo leggeri, che erano stranamente disciplinati. Proprio per questo motivo, il ticchettio incessante sulla porta dell'aula, fece trasalire Don Umberto che si precipitò a vedere chi era il disturbatore. Uscì con fare deciso e dallo spiraglio della porta si stagliò l'immagine di una giovane donna bionda e di un bambino ben vestito che sporgeva il testone per vedere con quali compagni avrebbe dovuto condividere le sue giornate.

Il Maestro entrò nell'aula seguìto dal nuovo alunno, ingrugnito e con lo sguardo basso: “ Ecco il vostro nuovo amico. Come ti chiami?” “ Frrankesko..” con pronuncia inequivocabilmente tedesca. La scolaresca rumoreggiò e tutti si voltarono verso gli altri 3 “Franceschi” che popolavano la classe, chiamati per distinguerli Francesco, Franco e “Cesco” mio padre. Don Umberto comprese la situazione conflittuale e con fare assorto esclamò: “ Come lo chiamiamo...?” Mio padre si alzò dal banco: “Fritz !! L'amico Fritz!!!” Aveva preso l'ispirazione dall'Opera di Mascagni “L'amico Fritz”, che il nonno sentiva alla sera su un grammofono con una tromba enorme.

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La scelta del nome non fu presa bene dal nuovo arrivato, che durante l'ora di ricreazione si azzuffò ferocemente con mio padre. Ma ormai era stato battezzato Fritz e Fritz rimase per sempre. La situazione ormai si era chiarita e la baruffa sancì un'amicizia che sarebbe durata una vita.

Fritz era un bambino di un'intelligenza prodigiosa, soprattutto in Matematica e mio padre, che invece zoppicava parecchio in questa materia, cominciò a copiare i suoi compiti ed a invitarlo a casa sua per avere delle “ripetizioni”. Praticamente il bambino venne adottato dai miei nonni. Fritz in effetti aveva una situazione familiare particolare: il padre era Dirigente della Banca d'Italia, di religione ebraica e viveva a Torino separato dalla moglie, una “svizzerotta” ricca di famiglia, con le guanciotte perennemente rosee ed i biondi capelli raccolti in due trecce di cui andava particolarmente orgogliosa. Praticamente una Heidi “ante litteram”. Era un donnone pieno di vita che ad ogni battuta scoppiava in una fragorosa risata, contagiando tutti i presenti, ma ahimè... era totalmente negata in cucina. Quando Fritz scoprì che mia nonna ogni giorno proponeva un piatto prelibato e dei dolcini meravigliosi, cotti nel forno della Panetteria, praticamente non si schiodò più da casa nostra.

Gli anni passavano e Cesco e Fritz crescevano assieme, giocando, bisticciando e scoprendo nuovi posti che diventavano immediatamente il teatro delle loro avventure. Un bosco particolarmente selvaggio diventava “L'Antro dei Lupi”, una casa di legno diroccata era il “Vascello dei Pirati”, un palo conficcato nel terreno un “Totem degli Indiani”. Ma quando mio padre portò Fritz nelle cantine di casa nostra, questo diventò il “set cinematografico” preferito per loro. Erano un dedalo di camere, corridoi, anfratti, “infernotti”, dove il nonno teneva i propri attrezzi e macchinari, perchè non era mai fermo un istante ed, oltre a svolgere l'attività di Panettiere, era anche falegname, meccanico, elettricista, muratore. La parte più intrigante era un piccolo locale sbarrato da una porta di legno massiccio con chiodi a testa larga e chiusa da un gigantesco lucchetto. Per i bimbi era lo “Scrigno dei Tesori”, per mio nonno il posto dove metteva le vecchie monete che trovava girando per i Paesi vicini. Un giorno il nonno aprì la porta e mio padre e Fritz contemplarono una serie di cassette di legno ( costruite con i suoi macchinari ) ripiene “alla rinfusa” di monete antiche. Fritz era come ipnotizzato, come fosse davanti al Tesoro dei Pirati. Il nonno, notando il suo interesse, prese una moneta d'argento e disse: “ Ti regalo questa moneta e spero che sia la prima di una collezione, poi ti farò anche una cassetta come ho fatto per mio figlio Cesco”.

Gli anni dei giochi e della spensieratezza, finirono presto. Il Governo Fascista promulgò le inique “Leggi razziali” e Fritz con la sua famiglia dovettero riparare in Svizzera dai parenti della mamma.

L'addio fu straziante per tutti perchè Fritz era ormai diventato un fratello per mio padre ed un figlio per i miei nonni ed il commiato fu allietato solo dal regalo di una cassettina ripiena di monete che mio nonno aveva costruito per lui, come da promessa.

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Passarono anni terribili, la Guerra, la Guerra Civile, la lenta ripresa del dopoguerra.  Nonostante le ricerche di mio padre, Fritz e la sua famiglia sembravano spariti nel nulla.                                                                                                                                                                                                       ----§-------

Metà Anni '50

Nel paese non si era mai vista un'auto come quella: linee sinuose, color grigio argento, motore rombante che emanava l'inconfondibile profumo della ricchezza. I bambini vocianti si avvicinarono all'uomo distinto che era alla guida e lui li ricompensò con qualche caramella. I vecchi seduti sulle panchine di pietra si ammutolirono e lo guardarono sottecchi e curiosi. L'uomo scese dalla macchina, si sgranchì le gambe, respirò profondo per sentire i vecchi profumi e lentamente si incamminò. L'andatura era decisa ma lenta, ogni tanto si fermava ed i suoi occhi si riempivano di quegli scorci che tante volta aveva visto da bambino. Entrò nella Panetteria dove mia nonna Sunta era al bancone indaffarata con altri clienti. “ Signora Sunta i mie omaggi! Per favore mezzo chilo di quei fantastici grissini “rubatà”, un pezzo di quella focaccia straordinaria e...” A mia Nonna quasi prese un coccolone: “Ma...ma... Tu sei Fritz! Il mio Fritz!!!”. Seguirono abbracci, baci e lacrime da parte di tutta la famiglia. Mio padre trattenne a stento la commozione, poi prevalse il suo carattere rude e sbottò: “ Ti abbiamo cercato per anni.. e Tu niente! Mai una lettera, una cartolina...”. Gli anni della guerra erano stati duri anche per Fritz, in seguito spiegò che aveva quasi rimosso il suo passato, aveva cercato di mettersi in contatto con loro, ma ogni cosa era cambiata ed infine aveva dedicato tutte le sue energie per diventare “qualcuno” (a 30 anni era diventato un'alto Dirigente della Banca Nazionale Svizzera), sacrificando la propria vita ed i sentimenti. La cena che seguì fu memorabile ed al termine Fritz si assentò un momento per parcheggiare la splendida auto nel cortile. Ritornò con un mazzo di fiori ed un valigione. “ I fiori sono per Mamma Sunta...ti posso chiamare Mamma, vero?” Lei rispose con un cenno del capo perchè non riusciva a parlare ed aveva le guance rigate dalle lacrime. “ E questo è per gli uomini di famiglia!” Posò il valigione sul tavolo, lo aprì lentamente e comparve la cassetta. L'interno era a scomparti, ripiena di monete Svizzere. “La cassetta la riporto a casa...ma le monete sono un modesto regalo per tutto quello che avete fatto per me, soprattutto perchè mi avete fatto conoscere la passione per la Storia e le monete che mi sono state di grande conforto in questi anni”.

EPILOGO

Fritz, anche grazie al suo lavoro ed alle conoscenze, era diventato un collezionista di alto livello e non mancava mai di ritornare in paese un paio di volte all'anno. Portava sempre delle monete notevoli e qualcuna le regalava a mio padre che, senza volerlo, si ritrovò dopo un po' di tempo ad avere una bella collezione di monete Svizzere. Le ritrovai in cantina, in una delle tante cassette di legno costruite dal nonno.

Posto una moneta della Collezione: 5 Franchi 1926, anno di nascita di Cesco e Fritz.

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Buon pomeriggio, bellissimo racconto Beppe, @giuseppe ballauri, uno spaccato di vita raccontato con dovizia di particolari, coinvolgente al punto da sentirsi parte del racconto, improvvisamente mi sono ritrovato con Cecco e l'amico Fritz davanti alla porta della stanza dei tesori del Nonno. ?

Per anni dalle mie parti, nei ragionamenti si nominava l'amico Fritz, ora so due cose, la prima che era l'amico Fraterno di tuo padre e la seconda che era un opera.. 

Ecco che viene fuori anche la divulgazione parallela, oltre alle monete si aggiunge altro, fosse esso un avvenimento o piuttosto una curiosità. 

Grazie Beppe

Saluti 

Alberto 

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Grazie mille Alberto, era un pò che pensavo alla storia di Fritz, ma in questo periodo depressivo, ero come bloccato.

Speriamo di ritornare un pò più sereni e di riuscire a vivere la realtà con gli occhi di un bambino. In effetti noi collezionisti siamo tutti dei bambini un pò cresciutelli...no?

Ciao Beppe 

 

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3 minuti fa, giuseppe ballauri dice:

Grazie mille Alberto, era un pò che pensavo alla storia di Fritz, ma in questo periodo depressivo, ero come bloccato.

Speriamo di ritornare un pò più sereni e di riuscire a vivere la realtà con gli occhi di un bambino. In effetti noi collezionisti siamo tutti dei bambini un pò cresciutelli...no?

Ciao Beppe 

 

La serenità, questa parola che suona così strana in questo periodo, per fortuna che il bambino che è in noi, e anche il sognatore che alberga in noi, prendono il sopravvento, e per un attimo tutto il resto rimane sospeso, per fortuna queste nostre monete, questa comune passione, sono un oasi rinfrescante e corroborante per noi. ? 

Un abbraccio in attesa di rileggerti presto, ovviamente anche gli altri Fratelli che vorranno far raccontare le proprie monete. 

Saluti 

Alberto 

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E’ una gran bella discussione questa, di quelle che mi piacciono molto perché raccontano storie numismatiche, credo e ho sempre pensato che ci voglia anche questo oltre al lato tecnico nella nostra numismatica, guardare, osservare e poi riportare, narrare, va raccontato anche il variegato mondo che circonda la numismatica con persone e annedoti, in fondo e’ poi l’uomo sempre il protagonista ...

  • Grazie 1
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  • 3 mesi dopo...

LA QUADRATURA DEL CIRCOLO – parte I°

 

Ciccì si presentò a casa nostra una Domenica mattina, subito dopo la “Messa Grande”, che iniziava alle 11 e non si sapeva mai a che ora finiva, perchè tra Canti, Predica del Parroco e Letture delle Sacre Scritture, anche S. Francesco avrebbe cambiato religione. In questa occasione il barbiere si presentava al meglio: completo grigio a righine di moda nel dopoguerra, scarpe nere lucidassime, ma che avevano visto giorni migliori, ed un misto di effluvi che sapevano di Brillantina Linetti, Borotalco Johnson e Dopobarba Palmolive...Sai mai che questo cocktail impressionasse qualche “bella madamina” poco assorta dalle litanie della Messa!

Cesco, Cesco, ho scovato delle monetine al mercatino!” Mio padre che si stagliava con la sua figura imponente sulla porta della cucina, diede un rapido sguardo alle monetine e notò che gli occhi da furetto di Ciccì cercavano insistentemente i fornelli, dai quali proveniva un profumo celestiale di ragù. Alla fine, con uno scatto repentino si introdusse in cucina:         “ I miei Omaggi e Complimenti signora Mariannina, come cucina lei..solo in Paradiso!! “ A mia madre quell'ometto segaligno e con modi di fare cortesi era simpatico. Era piombato non si sa perchè dalla lontana Sicilia nel nostro paese, era solo, sempre impeccabile e amava smisuratamente le monete, passione che era anche la nostra. “Vieni e accomodati Ciccì, adesso apparecchio, i Tajarin non sono ancora pronti, ma c'è un bel piatto di Vitello Tonnato!”. Mio padre, che era un burbero, lanciò delle occhiate penetranti a tutti e continuò a girare attorno al tavolo con le monetine in mano: “ Queste le butto nel cesso, perchè è il loro posto” “ Cesco ehhh era 'na facezia, 'na scusa ehh...” e attaccò il vitello tonnato come fosse il suo ultimo pasto. “ In realtà caro il mio Cesco, ho un'idea che mi frulla in testa...” Vuotò il terzo bicchiere di Dolcetto e mio padre pensò, conoscendolo, che fino al quinto diventava geniale e simpatico, poi lamentoso ed instanbile e cominciò a preccuparsi. “ Sai che quasi tutti passano nella Barberia e guardano la vetrinetta con le monete in esposizione e tutti a dirmi – anch'io colleziono, ho le monete di mio padre e...” Mio padre, severo, alzò le sopracciglia e lo squadrò: “ Ma sono tutti falsi, riconi e medagliette della Madonna e di Santa Rosalia!!” “ Vabbè fanno lo stesso effetto e se me le fottono chissssennefrega!!” Era arrivato al quinto bicchiere ed una bottiglia giaceva sulla tovaglia ormai morta, quella nuova venne spostata, ad arte, lontano da lui. “ E... quindi invece di trovarci al Bar R*** la sera, dove ci sono solo zoccole, vecchi rincitrulliti eee...” Mia madre lo fulminò con gli occhi, indicandogli il sottoscritto, che di tutto il discorso aveva solo capito che Ciccì si era scofanato mezzo vitello tonnato ed una porzione di Tajarin quasi pari al suo peso, lasciando a noi i rimasugli. “ Cesco, qui bisogna fondare un Circolo Numismatico! Bisogna brindare!” E con un balzo felino si appropriò della bottiglia.

Il Barbiere fu portato a casa praticamente in braccio da mio padre. La manciata di monete “da ciotola” fu messa in una scatola di latta e mai rivendicata dal proprietario.

L'idea di Ciccì, nata sotto i fumi dell'alcool e condita da un ottimo pranzo ebbe successo. Il Circolo fu attivo per molti anni, gli attori e gli aneddoti, se avrete la compiacenza di seguirmi, li conosceremo in seguito.

Posto il timbro del Circolo Filatelico - Numismatico ( per motivi di privacy ho oscurato il nome del Paese )

Un Caro Saluto a Tutti, Beppe 

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