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Tarì del 1798 Tentativo Classificazione Varianti


Risposte migliori

Buongiorno a tutti, affascinato dalle monete di Ferdinando IV, prediligendo il rame, ogni tanto faccio piacevoli incursioni negli argenti, ho pensato di fare compagnia al mio Tarì del 96 con il Fratellino del 98, devo dire la verità, ne sono molto contento, osservandolo e osservando quelli presenti sul Forum e nei cataloghi e manuali, mi è venuta l'idea di aprire questa discussione nel tentativo di catalogarla.. ? 

Riporto quanto appreso dal Magliocca. 

Tarì da 20 grana argento - gr. 4,58 mm25
Taglio treccia in rilievo

Anno 1798 Magliocca 284

D/FERDINAN-IV-SICILIAR-ET  HIER-REX; busto corazzato, a scaglie, rivolto a destra, sotto la lettera P, iniziale del cognome dell'incisione.
R/HISPANIAR  INFANS data; nel campo corona reale tra due rami di alloro, in alto le lettere A e P, divise dalla punta dei rami, inferiore te al lato destro la lettera M, sotto, tra gli steli dei rami stessi, lungo il bordo, il valore G 20. 

Ho pensato di riportare anche interessanti note storiche del 1798, dei soli mesi più cruciali, la fonte è citata in calce, spero l'autore non me ne voglia. 

La moneta è Collezione Litra68. 

Saluti 

Alberto 

 

22 novembre. Napoli. Re Ferdinando dichiara guerra alla Repubblica giacobina romana e si pone alla testa delle truppe. Il suo esercito conta circa settantamila uomini. Il generale austriaco Mack è nominato capo della spedizione. “Questa guerra, alla quale nessuno era preparato, fu praticamente imposta al re dalla regina Carolina e si rivelerà inutile e dannosa. Essa non poteva comportare nessun vantaggio, nemmeno di puro prestigio; accelererà la fine del Regno di Napoli e lo getterà in mano ai francesi e poi agli inglesi, poi di nuovo ad inglesi e francesi insieme per quasi 15 anni” (M. Battaglini, p. 24).

24 novembre. Lo sviluppo della guerra. Le truppe napoletane varcano la frontiera dell’ex Stato pontificio. Il Cuoco immagina un dialogo tra la regina Carolina e il ministro della guerra Ariola. “Che vi pare di questa guerra già risoluta?” –domandò la regina ad un ministro della guerra che non ne sapeva nulla. Il ministro, che avrebbe voluto tacere, spronato a parlare, le disse che da tal guerra vi era più da temere che da sperare. “Il re potrebbe – disse Ariola- sostener con vantaggio una guerra difensiva, ma tutto gli manca per l’offensiva. Egli non combatte ad armi eguali. I francesi, pochi di numero, son tutti soldati avvezzi alla guerra ed alla fatica; l’esercito nostro è per metà composto di reclute strappate appena da un mese dal seno delle loro famiglie, ed il loro numero maggiore non servirà che ad imbarazzare i buoni veterani che son tra loro, ed a rendere più sensibile la mancanza di buoni officiali, il numero de’ quali non abbiam potuto raddoppiare in un momento, come abbiam raddoppiato quello della truppa. Perché non si aspetta che queste truppe si disciplinino?(…) Intanto Mack, quasi potesse terminar la guerra in pochi giorni, si avvia verso un paese desolato, ove è penuria di tutto, senza aver prima pensato a provvedersi, ed in una stagione in cui difficili sono i trasporti ed i generi non abbondanti. Egli si avvia a conquistare il territorio altrui e forse a perdere il proprio” (V. Cuoco, pp. 65-66).

26 novembre. Roma. Il generale francese Championnet e il governo giacobino romano abbandonano la città.

27 novembre. Le truppe napoletane, dopo cinque giorni di avanzata rapidissima, entrano a Roma. Ai francesi rimane solo Castel S. Angelo.

28 novembre. Entra a Roma il generale Mack.

29 novembre. Entra a Roma Ferdinando IV e nomina un governo provvisorio.

Primi giorni di dicembre. Si registrano vittorie francesi nella campagna romana (Civita Castellana e Otricoli). E’ ancora una volta preziosa la testimonianza di Cuoco: “Non si concessero che cinque ore di riposo sotto le armi alla truppa, e fu costretta di nuovo a correre a Civita Castellana. Per la strada i viveri mancarono del tutto: i provvisionieri dell’esercito chiedevano invano a Mack ove dovessero inviarli; i viveri si perdevano inutili per le strade, ed i soldati e i cavalli intanto morivano di fame. Quando giunsero a Civita Castellana, i nostri da tre giorni non avean veduto pane. Essi erano nell’assoluta impossibilità di poter reggere a fronte di un nemico fresco, che conosceva il luogo e che distrusse il nostro esercito, raggirandolo qua e là per siti ove il maggior numero era inutile” (V. Cuoco, p. 68).

8 dicembre. Sabato. L’ala sinistra dell’armata francese, guidata da Duhesme, attacca le terre d’Abruzzo. Un editto di Ferdinando IV invita gli abruzzesi all’insurrezione. “Si pubblicò un proclama, col quale s’invitarono i popoli ad armarsi e difendere contro gl’invasori i loro beni, le loro famiglie, la religione dei padri loro: fu la prima volta che fu udito rammentare ai nostri popoli ch’essi erano sanniti, campani, lucani e greci. Fu commesso ai preti di risvegliare tali sentimenti in nome di Dio” (V. Cuoco, p. 73).

9 dicembre. Domenica. Il generale Mack ordina la ritirata da Roma.

10 dicembre. Lunedì. Abruzzi. La prima insorgenza. “Mossi dall’appello del re, animati da frati e preti, spesso a capo dei popolani, stimolati dal sentimento religioso e nazionale, da desiderio di vendetta e cupidigia di bottino, i montanari si levarono a torme nella caccia feroce contro gli invasori francesi” (A. Franchetti). I francesi occupano Teramo. “Tra le montagne impraticabili della provincia dell’Aquila non si pervenne mai ad estinguere l’insorgenza, e la stessa capitale della provincia non fu che per pochi giorni in poter de’ francesi, ridotti a doversi difendere entro il castello”.

11 dicembre. Martedì. Re Ferdinando IV lascia Roma e va ad Albano. Riparte il giorno successivo per Napoli.

12 dicembre. Mercoledì. Inizia la ritirata dell’esercito napoletano, ritirata che ben presto, tra defezioni e accuse di tradimento ai generali, si trasforma in una rotta. “In meno di un mese, Ferdinando partì, corse, arrivò, conquistò il regno altrui, perdette uno de’ suoi e, poco sicuro dell’altro (la Sicilia), fu quasi sul punto di fuggire fino al terzo suo regno di Gerusalemme per ritrovare un asilo (…) Mack, che nella sua fortuna non avea fatto altro che correre, nella disgrazia non seppe far altro che fuggire: cogli avanzi del suo esercito poteva fermarsi a Velletri oppure al Garigliano, ove potea per lungo tempo contendere il passo; potea salvar Gaeta e salvare il Regno” (V. Cuoco, pp. 69-70). “La monarchia borbonica tentò il colpo di scacciare i francesi da Roma e dar principio alla loro cacciata dall’Italia, ristabilendo i vecchi governi; ma la stolta uscita in guerra, istigata dal Nelson, con un esercito mal congegnato e in gran parte improvvisato e con la guida di un fatuo generale ottenuto in prestito dall’Austria, finì in un disastro e aprì ai francesi e agli esuli giacobini la via del Regno. E i sovrani gridarono allora al tradimento, e quantunque traditori ce ne fossero, perché in quell’esercito abbondavano i giacobini, e quantunque si abbiano ora le prove che in vari scontri di quella campagna essi soppressero ordini o gettarono nelle truppe lo scompiglio, il maggiore tradimento lo aveva compiuto, spontanea o costretta, la monarchia con l’intraprendere la guerra contro il sentimento di tutta la parte migliore della nazione e contro l’avviso di tutti i saggi” (Croce, p. 206).

14 dicembre. Venerdì. I francesi giungono a Fondi, Gaeta, Pescara.

15 dicembre. Sabato. Caserta. Il re convoca d’urgenza il Consiglio del Regno: si fa subito strada l’ipotesi della fuga in Sicilia. Il progetto viene messo a punto nei giorni successivi con l’assistenza dell’ammiraglio inglese Nelson.

16 dicembre. Domenica. Napoli. “Questa mattina doveva farsi il miracolo di S. Gennaro, e non è successo, ma l’ha fatto verso le 22 ore. Nella città si sente un mormorio” (Marinelli).

17-18 dicembre. Napoli. La fuga dei sovrani in Sicilia. “Notte dopo notte andò in scena sui vascelli inglesi un vero e proprio trasloco di tutti i principali beni mobili della corte borbonica: denaro, tesori, opere d’arte, mobilio e biancheria. Dieci milioni e mezzo di ducati, vale a dire tutto il residuo deposito contante del Regno, si prepararono a prendere la via di Palermo. Ben presto la notizia dell’imminente fuga del re si sparse tra il popolo in fermento” (Sani, p. 11). In città si sparge la notizia dell’arresto per ordine del Re del ministro della guerra Arriola. E su quella notizia vera si aggiunsero altre inesistenti di altri arresti di personaggi autorevoli (Marinelli).

19 dicembre. Gli insorti abruzzesi liberano Teramo dall’occupazione francese.

20 dicembre. Giovedì. Napoli. “I reali vogliono scappare perché non hanno più fiducia nell’esercito; molti ufficiali sono sospettati di giacobinismo”. Delegazioni di nobili, di magistrati e del clero si recano alla reggia per scongiurare il re di non partire. Nel dopopranzo ci va anche l’arcivescovo e poi il capo-popolo Sabatiello alla testa di una delegazione di popolani. Viene trucidato dalla folla sotto Palazzo Reale, per un equivoco, Antonio Ferreri, corriere di gabinetto del re. Il re Ferdinando annota nel suo Diario: “Passata un’infame nottata. Alzatomi alle cinque e mezza, vestitomi, intesa la S.ta Messa, dato il buon giorno a mia Moglie, salito su, applicato. Dalle nove e mezza alle undici e mezza tenuto sessione sul modo tenendi di passare in Sicilia e quando. Andati alla Cappella per la novena, alla mezza pranzato e poi salito su, applicato. Alle tre venuto Acton portar alcune risposte di Nelson riguardo al concerto per la partenza e, mentre stavamo parlando, venuto avanti palazzo una quantità di popolo, facendo degli applausi, chiedendo che io non li lasciassi, e volendo essere armati per andar contro i francesi, ma prima di tutto per scannare i cavalieri giacobini(…) Tempo dichiarato di tramontana bello e freddo. Le maniere di mia Moglie sono state buone” (Battaglini, p. 54).

21 dicembre. Venerdì. Napoli. Il re, nell’abbandonare la reggia, nomina Vicario Generale del Regno Francesco Pignatelli, principe di Strongoli, con pieni poteri di rappresentanza, e conferma il barone Mack comandante dell’esercito. “Si disse che la regina, partendo, avesse lasciate al Pignatelli istruzioni segrete di sollevare il popolo, di consegnargli le armi, di produrre l’anarchia, di far incendiare Napoli, di non farvi rimanere anima vivente da notaro in sopra. Sia che queste voci fossero vere, sia che fossero state immaginate, è certo però che queste voci furono da tutti ripetute, da tutti credute” (V. Cuoco, p. 78).

22 dicembre. Sabato. Napoli. Nel cuore della notte precedente, in preda al panico, la famiglia reale era fuggita rifugiandosi sulle navi inglesi. Per tutto il giorno una tempesta infuria nel golfo e blocca la partenza.

23 dicembre. Domenica. Napoli. Finalmente i vascelli inglesi possono prendere il largo alla volta di Palermo.

24 dicembre. Lunedì. Napoli. Si punta ad una repubblica aristocratica?Si riuniscono i rappresentanti della “Città” (cioè l’amministrazione municipale napoletana). La “Città” era espressione della nobiltà napoletana composta da 119 famiglie divise in cinque Piazze (Capuana, Nido, Montagna, Porto, Portanuova) ed era un organismo in continua rivalità con l’autorità regia. “Composto da sette Eletti (la Piazza di Nido ne eleggeva due mentre il settimo che doveva essere eletto dalla Piazza del Popolo era in realtà nominato dal re), godeva del privilegio di potersi sostituire all’organo sovrano ogniqualvolta questi non fosse stato più in grado di esercitare in pieno i propri poteri. Rivendicando quindi per sé la gestione del potere, i nobili della Città entrarono subito in conflitto col Pignatelli costituendosi in Governo Provvisorio e puntando, fra mille incertezze, alla creazione di una repubblica oligarchica di tipo veneziano” (Sani, pp. 12-3). La nomina del vicario Pignatelli era perciò considerata abusiva dalla “Città”, che rivendicava il suo tradizionale diritto di assumere il governo in caso di assenza del re. Il Cuoco commenta con intelligenza: “Tra coloro che reggevano la Città alcuni pendevano per una oligarchia, la quale non avrebbe potuto sostenersi a fronte delle province, dove l’odio contro i baroni era la caratteristica comune di tutte le popolazioni; e, nello stato in cui trovavansi gli animi e le cose, volendo stabilirsi un’oligarchia, sarebbe stato necessario rinunciare alla feudalità” (V. Cuoco, p. 79).

                                               Nota bibliografica

M. Battaglini, “La rivoluzione giacobina del 1799 a Napoli”, D’Anna, Firenze, 1973
B. Croce, “Storia del regno di Napoli”, Bari, Laterza, 1972
G. Cucciniello, “Politica e cultura negli Illuministi meridionali”, Principato, Milano, 1975
V. Cuoco, “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799”, Laterza, Bari, 1976

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Buonasera a tutta la sezione. 

Alberto, per poter classificare i conii dei Tarì bisogna partire dal tipo "base" 

Che dovrebbe essere:

D/  FERDINAN. IV SICILIAR. ET HIE. REX

R/ INFANS  1798  A. P. HISPANIAR  M. 

G. 20

Corona d'alloro con 9 bacche nella fronda di sinistra e 11 in quella di destra. 

Taglio con treccia in rilievo. 

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28 minuti fa, Litra68 dice:

Buonasera, Rocco, @Rocco68 quindi possiamo dire che il mio è il famoso modello base.. ? Punteggiatura base, 9-11 bacche.

Ora vediamo gli altri Amici del Forum cosa hanno, portiamo avanti questa catalogazione varianti.. 

Saluti 

Alberto 

Al tuo Tarì 1798 manca il punto dopo la M al rovescio. 

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2 minuti fa, doppiopunto dice:

Buonasera. Questa come si potrebbe classificare a vostro parere?

 

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Buonasera doppiopunto, 

Al dritto mi sembra che la punteggiatura sia al posto giusto. 

Nel rovescio ( da queste foto) non sembra riportare i punti dopo la A e la P 

Riporta invece un punto in più dopo HISPANIAR. 

Punto che non avevo riscontrato fino ad oggi. 

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Confrontando questi due primi Tarì postati in discussione con il modello base  ci troviamo già davanti alle prime varianti direi.. ? 

1°  Tarì con la M senza punteggiatura 

2° Tarì  senza punteggiatura dopo le sigle A P, e punto dopo HISPANIAR

Saluti 

Alberto 

 

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Buongiorno a tutti, @Rocco68 noto differenti lettere della leggenda tra il mio Tarì e quello di@doppiopunto, la scritta HISPANIAR sul mio Tarì va a ridosso alla M mentre sull'altro è ben distante, tant'è che il punto dopo NIAR. E quello della M. davano l'impressione di essere un doppio punto.. ?

Saluti 

Alberto 

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23 minuti fa, doppiopunto dice:

Davano? Di solito il punto dopo la M si trova più in basso.

Il punto dopo la M dovrebbe sempre esserci, 

E  le posizioni sono varie: alto, centrale o basso.

Oppure vicino o distante. 

Se in questo caso troviamo due punti, uno è della lettera M e uno è di HISPANIAR

Poi ognuno è libero di interpretarli a modo suo. 

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Adesso, Litra68 dice:

Con solo due esemplari postati al momento, abbiamo già delle evidenti varianti, mi piacerebbe molto vedere e confrontare altri.. 

 

Secondo te Alberto, questo punto è della M o di HISPANIAR

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23 minuti fa, Litra68 dice:

sono qui per imparare

Siamo "tutti" qua per imparare, maestri compresi, perché l’apprendimento dura tutta la vita, quindi non c’è proprio nulla da perdonare.

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31 minuti fa, Rocco68 dice:

questo punto è della M

Da quello che vedo il punto è della sigla.. 

Si potrebbero fare delle riflessioni " confrontando " posizione, dimensione e, soprattutto, presenza o meno dei punti dopo le sigle del rovescio.

In questo caso il punto dopo la P mi sembra molto simile (non vedo quello dopo la A )

Mentre nel secondo caso, non essendo presenti punti dopo le sigle A e P, qualche dubbio potrebbe sorgere, anche in considerazione del fatto che, da quello che vedo, probabilmente sono intervenuti sul conio in corrispondenza della M.

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2 ore fa, doppiopunto dice:

In questo caso il punto dopo la P mi sembra molto simile (non vedo quello dopo la A )

Il rovescio per intero. 

E il suo dritto. 

IMG-20200130-WA0058.jpg

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Modificato da Rocco68
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Buonasera, confrontando questi tre  primi Tarì postati in discussione con il modello base  ci troviamo già davanti ad ulteriori varianti. 

1°  Tarì con la M senza punteggiatura 

2° Tarì  senza punteggiatura dopo le sigle A P, e punto dopo HISPANIAR

3° Tarì senza punti dopo la sigla A

Correggetemi se sbaglio per favore 

Saluti 

Alberto 

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