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Racconti dal web


nikita_

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Purtroppo non posso fare un copia-incolla integrale del testo, ma posso inserire il link per la lettura, sono solo 10 minuti di passatempo :)

Il numismatico (nano e cannibale)


https://edizioniopen.it/il-numismatico-nano-e-cannibale/

 

 ps: sono citate alcune monete inesistenti, tipo il 10 Tornesi del 1862 e 500 lire d'argento del 1945 :D

 

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Carissimi di La moneta. Ho letto del racconto del Nano : mi è piaciuto, visto che qualsiasi scritto è utile per rilassare le persone che hanno piacere di leggere storie altrui.

Da qualche mese ho inserito per  la vendita un nuovo romanzo intitolato: L'Isola sul portale di Amazon libri con discreto successo di vendita anche se il mio romanzo e gli altri cinque 5 non sono stati corretti da un professionista, con il mio nome fittizio di: Mac Tardinoh Frank, infatti Amazon mi consiglia di tradurre i romanzi in inglese, ma siccome quasi tutti e sei i romanzi sono di oltre seicento pagine, servirebbero la bellezza di cinquemila euro a romanzo che da povero pensionato non posseggo e con l'aria che tira non vedo un miglioramento delle mie finanze. L'ultimo romanzo l'Isola, e un romanzo storino e attuale visto che parte dal 1336 a.C ai tempi della dinastia del faraone Tutankamon fino ai giorni nostri. ovviamente la storia nel romanzo. è di una famiglia egiziana che viene punita per vari motivi alla deportazione in alto mare. Il giudice deportato riesce ad approdare in un'isola che è quella di Sicilia. Da qui il nostro giudice riesce a edificare una città e a portare la sua famiglia e del suo ospite fino ai giorni nostri passando dalle guerre puniche  alle guerre mondiali, alla febbre spagnola, la motivazione,   e i discendenti ad arruolarsi negli eserciti dei Romani e trovarsi come ufficiali Centurioni a fare il trasporto della monetazione coniata alla zecca di Smirne,  quella di Nimes (gallia) per trasportarla a Roma e per il pagamento degli stipendi dei soldati nelle varie terre conquistate. Ora questi centurioni siciliani  per vari motivi che spiego nel romanzo, hanno intenzione di depredare un carico che stanno trasportando dalla zecca di Smirne a Roma .A quel tempo l'imperatore romano era Tito, figlio di Vespasiano. Il centurione siciliano riesce a prendere il tesoro che proteggeva e a portarlo in sicilia per distribuirlo ai propri cittadini di Fawara visto che decenni prima i romani avevano messo a ferro e fuoco la città dal  il discendente Calogero Vizzino discendente del giudice Cicus. Quindi il Vizzino centurione si è vendicato. Ora prima della distribuzione del tesoro ai concittadini doveva trasformare le monete in sesterzi e denarii con l'immagine di Vespasiano, con quelle delle monete con la figura di Tito, visto che le autorità romane sono ancora alla ricerca di chi ha depredato il tesoro di Smirne. Questa operazione nel 79 d.c,( nell'agosto del 79 d.c c'è stato il disastro dell'eruzione del Vesuvio con la conseguente distruzione del litorale campano) è stata fatta con commercianti di preziosi di Catania. Fatta l'operazione il commerciante si insospettisce del motivo per cui gli ex centurioni avevano tanta abbondanza di oro che per camuffare il tutto il Vizzino, aveva fatto sciogliere a forma di pepite. il commerciante di oro  ha avuto il sospetto che il Vizzino abbia fatto come in realtà, ma non era sicuro ed ha fatto esattamente come è stato che ha sciolto alcune monete di sesterzi di oro con l'immagine di Tito in modo parziale per fare vedere al Vizzino dell'imbroglio che gli aveva fatto e quindi lo vuole ricattare. Ora quando il commerciante si reca a Fawara dal Vizzino per fagli vedere le monete di  sesterzi parzialmente sciolte ma con l'immagine chiara dell'imperatore Tito e non di Vespasiano, il Vizzino si accorge dell'imbroglio che gli stava facendo il catanese e lo uccide su due piedi compreso i quattro sgherri al suo seguito. Se vi interessa il file del romanzo lo posso inserire e lo potete leggere, scusandomi sempre per la mancata correzione o editing da parte di un professionista: anche questo vuole 5 euro a pagina, figurati non ho i soldi per fare la spesa! Anche per la traduzione all'inglese vogliono , bontà loro, 8 euro a pagina, per seicento, uguale una mazzata. Spero vi sia piaciuto anche se nel romanzo parlo del periodo di Leliano ed altri imperatori. Brevemente vorrei parlare anche di un episodio avvenuto nel periodo del 138 d.c di un avvenimento che non riguarda la numismatica ma di un fatto storico veramente avvenuto visto che si trovano negli archivi romani  dei papiri che attestano la veridicità di questo episodio. Ovviamente i mie discendenti della dinastia di Fawara dei Vizzino diventano soldati di ventura e si fanno assumere volta per volta dall'esercito romano per fare delle operazione più o meno lecite, ovviamente il periodo del tesoro dii Smirne è passato quasi cento anni e nessuno si ricorda più nulla. Appunto una ventina di soldati di ventura siciliani di Vizzino , storia romanzata,viene assunta da un  tale senatore d Roma Sisinno, storia vera come da archivio. Questo senatore della zona della Mascia è proprietario di centinaia di pecore il cui figlio è Questore romano in Britannia,il quale ha consigliato al padre di mandargli trecento pecore che con i pascoli sempre verdi della Scozia,le pecore marsitane avrebbero prodotto la lana migliore del mondo in modo continuo, non come in Marsia che nel periodo estivo le pecore non producono la lana visto che l'erba è secca, o dovevano transumare in zone verdi con costi enormi.,Così il nostro Vizzino discendente dell'antica famiglia fawarese porta in Scozia dall'Abruzzo,trecento pecore con l'aggiunta di trenta pecorelle. Da lì i soldati  di ventura siciliani si sparpagliano per tutto  il mondo: siamo nel periodo del 140 d.c.       

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John è un collezionista di monete rare, farebbe di tutto pur di poter aggiungere alla sua collezione una specifica moneta.
La numismatica era l'unica materia di cui gli importava qualcosa, quello che stava cercando disperatamente era un penny australiano del 1930, ma finora non ne aveva trovato uno.
La moneta valeva oltre sessantamila dollari, ma il bronzo doveva essere brillante per avere qualche possibilità di raggiungere un prezzo così alto. L'estrema rarità ha reso tali monete il sogno di ogni collezionista australiano, anche se hanno sempre tenuto in conto che forse queste monete non sono mai state coniate.    (esistono)

John doveva soddisfare la sua esigenza, prese un penny del 1980 e lo elaborò, dopo tutto cosa sono solo 50 anni se permette a qualcuno di raggiungere i propri fini?
Guardò attentamente l'otto del 1980 e con degli strumenti appropriati lo modificò creando con estrema precisione il tre, Il 1980 diventò il 1930 tanto agognato.

Alla fine John vince la scommessa fatta con un suo amico collezionista, perchè era di questo che si trattava: "trovare un penny del 1930 entro la fine dell'anno", una volta che nella scommessa non era stato specificato nient'altro portò a casa la vittoria.

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Il 14/3/2020 alle 13:14, nikita_ dice:

Purtroppo non posso fare un copia-incolla integrale del testo, ma posso inserire il link per la lettura, sono solo 10 minuti di passatempo :)

Il numismatico (nano e cannibale)


https://edizioniopen.it/il-numismatico-nano-e-cannibale/

 

 ps: sono citate alcune monete inesistenti, tipo il 10 Tornesi del 1862 e 500 lire d'argento del 1945 :D

 

Il racconto è davvero godibile e chissà perché mi ha fatto venire subito in mente il negozietto di un noto numismatico di Modena che da un po'di tempo ha cessato l'attività e che allora era già molto anziano anche se davvero lucido e in gamba.

Lo conobbi grazie a mia moglie una sera in cui gironzolavamo per il centro di Modena. Sapendo della mi passione giovanile per le monete (abbandonata già al tempo delle medie, dopo essermi quasi intossicato col Sidol), in un momento di soddisfazione emotiva post-shopping, quella sera mi propose incautamente di entrare nel negozio per curiosare. Dico incautamente, perché ella non immaginava che da quel momento avrebbe scatenato in me quella vulcanica passione per la numismatica (in realtà mai realmente sopita) e che soprattutto mi avrebbe dato il pretesto di rintanarmi qualche sera dopo cena a leggere, documentarmi, e soprattutto, ahi lei e ahimè, a fare acquisiti e partecipare alle aste e poi ai congressi, in quei sovraffollati, zozzi, meravigliosi padiglioni...

Le prime monete le acquistai solo affidandomi a lui. Furono un asse di Claudio e una 5 lire del '56, entrambe in modeste condizioni. Monete estremamente diverse tra loro in tutti i sensi, che ebbero come conseguenza quella di gettare il seme della mia diversificata e schizofrenica quanto amata raccolta.

 

 

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La moneta del diavolo

 

Lungo una via ghiacciata dal gelo, un giorno un vecchio mendicante ricevette una moneta da uno sconosciuto. Tintinnava dentro il barattolo vuoto, come a dire: “Ehi! sono qui, prendimi!”

Il vecchio la raccolse. Avrebbe voluto ringraziare quel signore. “Dio ti benedica!”, gli avrebbe detto. Ma ormai quell’uomo era già lontano; così lontano da non sembrare vero.

La moneta, però, era reale, d’oro zecchino gli dicevano i denti. E tintinnava e tintinnava, rotolando dal barattolo fino alle sue dita segnate dalla miseria.

“Con questa moneta mangerò per giorni; mi laverò e dormirò lontano dalla strada”, si diceva il vecchio.

Così strinse nel pugno il suo tesoro, si diresse dal fornaio e disse: “Preparami quanto più pane puoi, ti pagherò con questa moneta”.

Il fornaio si strinse il cappello in mano: non aveva mai visto prima di allora una moneta d’oro. E cominciò a lavorare, ad impastare ed accendere un bel fuoco. Poi, d’un tratto, al vecchio venne in mente una cosa: “E se spendo tutto in pane? a me cosa resta?” E scappò via, senza il suo pane.

Nel pugno aveva ancora il suo oro. E d’improvviso al vecchio venne molto freddo. Così si diresse dall’altra parte della via, dove c’era una calda locanda. Bussò, entrò; l’oste vide un vecchio mendicante con in mano una moneta d’oro zecchino.

“Dammi la tua stanza migliore e un camino acceso. Preparami un bagno caldo ed io ti ripagherò con questa”.

L’oste guardò la moneta appoggiata sulla mano sporca del vecchio. Tintinnava a modo suo, come a dire: “Ehi! sono qui, prendimi!” E stava quasi per afferrargliela, quando il vecchio la ritrasse di scatto, e disse: “Prima la stanza!”

Così l’oste ordinò al garzone di fare tutto ciò che il vecchio chiedeva. E il giovane cominciò a lavorare: prese l’acqua da scaldare, rassettò la stanza e accese un bel fuoco.

E poi, ancora una volta, al vecchio venne in mente che se avesse speso tutto non gli sarebbe rimasto più niente in mano. E se ne andò, lasciando il garzone solo nella stanza.

Il vecchio ritornò lungo la via. In mano stringeva ancora il suo tesoro. E d’un tratto lo sorprese una forte tosse.

Un colpo di tosse, un altro e un altro ancora: il torace gli duoleva. “Mi serve un dottore” si diceva. E si diresse al di là della via ghiacciata. Bussò alla porta e un medico, vedendolo così mal concio, lo fece accomodare in casa.

“Sto male, ma posso pagarti. Guariscimi, ti prego” implorò il mendicante.

Il dottore guardò la moneta, che sembrava dire: “Ehi! sono qui, prendimi!”

Così il dottore fece sdraiare il vecchio sul letto. Lo svestì per pulirlo, gli diede del pane e gli accese un bel fuoco nel camino. Quand’ecco che il vecchio pensò: “E una volta guarito, cosa mi rimane?”

Il vecchio stringeva ancora in mano il suo oro. Ma da quel letto non si sarebbe mai più alzato. Piano piano la sua mano cominciò ad aprirsi, facendo cadere per terra la moneta che tintinnava e tintinnava a suo modo. E mentre cadeva rotolava in mezzo al fuoco che ardeva e sembrava dire: “Ehi! sono qui, prendimi!”

 

(di: Carlo-Maria Negri)

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di Hans Christian Andersen (1805-1875)

Tra le sue opere anche fiabe conosciute in tutto il mondo: La principessa sul pisello - Mignolina - La sirenetta - I vestiti nuovi dell'imperatore - Il soldatino di stagno - Il brutto anatroccolo - La regina delle nevi - La piccola fiammiferaia - ecc.

Tra le meno conosciute del 1861-62 : La monetina d'argento 

C'era una monetina uscita bella lucida dal conio, che saltava e tintinnava: «Evviva! ora me ne andrò per il mondo» e così infatti avvenne.
I bambini la tennero stretta nelle manine calde, gli avari nelle mani gelide e viscide, gli anziani la girarono e la rigirarono molte volte, mentre i giovani la fecero circolare di nuovo immediatamente.La monetina era d'argento, aveva pochissimo rame in sé e era già nel mondo da un anno, o meglio nel paese dove era stata coniata, quando si mise a viaggiare fuori dal paese: era infatti l'ultima monetina di quel paese rimasta nel borsellino di un signore che viaggiava e che non lo seppe finché non gli venne tra le mani.
«Ecco ancora una monetina di casa mia!» esclamò «viaggerà con me!»
La monetina tintinnò e saltò con gioia quando fu rimessa nel borsellino. Si trovò tra molti compagni stranieri che andavano e venivano, uno faceva spazio all'altro, ma quella monetina rimaneva sempre lì, e questa era una distinzione.


Erano passate ormai molte settimane e la monetina era lontano nel mondo, senza sapere bene dove; sentiva dalle altre monete che erano italiane o francesi, una disse che erano in una certa città; un'altra diceva che erano in un'altra; ma la monetina non poteva immaginarsi nulla: non si vede il mondo quando si sta sempre in un sacchettino, e questo era il suo caso. Ma un giorno che si trovava lì come al solito si accorse che il borsellino non era chiuso e così sgusciò fuori dall'apertura per guardarsi un po' intorno; non avrebbe dovuto farlo, ma era così curiosa che poi se ne pentì. Uscì nella tasca dei pantaloni, e quando la sera il borsellino fu messo da parte la monetina rimase lì nella tasca e uscì nel corridoio insieme ai vestiti, cadendo sul pavimento. Nessuno la sentì e nessuno la vide.
Al mattino i vestiti vennero riportati, il padrone se li mise e ripartì.

La monetina non partì con lui, venne trovata e dovette di nuovo rimettersi in circolazione con altre tre monete.
"È bello vedere qualcosa del mondo!" pensò la monetina "conoscere altre persone, altre usanze!"
«Che strana monetina» venne detto proprio in quel momento. «Non è una moneta di questo paese, è falsa! Non vale niente!»
Così cominciò la storia della monetina come lei stessa la raccontò in seguito.
«"Falsa, falsa! non vale nulla!" Queste parole mi trafissero il cuore» disse la monetina. «Io sapevo di essere fatta di buon argento, di buon conio, e con ottime caratteristiche. Sicuramente si sbagliavano, certo non intendevano me, eppure era proprio di me che parlavano. Io venni chiamata falsa, fu detto che non valevo niente! "Devo darla via al buio!" disse l'uomo che mi possedeva, e infatti venni spesa di notte e poi venni di nuovo ingiuriata durante il giorno: "falsa! non vale nulla! dobbiamo cercare di sbarazzarcene!."»
La monetina ogni volta tremava tra le dita di chi voleva darla via di nascosto spacciandola per una moneta del paese.
«Povera me! A che cosa mi serviva l'argento, il mio valore, il mio conio, se qui non avevano nessun significato? Si ha valore nel mondo solo se questo ce ne attribuisce! Deve essere terribile avere una coscienza cattiva, prendere la strada del male, quando io, che ero innocente, ero così turbata solo perché le apparenze erano contro di me. Ogni volta che venivo tirata fuori temevo gli occhi che mi osservavano, sapevo già che sarei stata messa da parte, gettata sul tavolo, come se fossi stata inganno e menzogna.


«Una volta arrivai da una povera donna che mi aveva avuto come paga del faticoso lavoro compiuto, ma lei non riuscì a liberarsi di me, nessuno voleva prendermi: fui proprio una sfortuna per lei.
«"È assolutamente necessario che inganni qualcuno con questa" disse. "Non posso permettermi di conservare una moneta falsa: la darò al ricco fornaio che ne avrà danno meno di altri, ma è comunque disonesto quello che faccio."
"Adesso mi tocca persino gravare sulla coscienza di quella donna!" sospirò la monetina. "È possibile che sia cambiata tanto diventando vecchia?"
«La donna andò dal ricco fornaio, ma lui conosceva fin troppo bene le monete, così io non potei stare da lui, venni gettata in faccia a quella donna, che per colpa mia non ebbe il suo pane; e io mi sentii veramente molto triste per aver causato un dolore a qualcun altro, io che nella mia giovinezza ero stata così sicura e sincera, così consapevole del mio valore e della purezza del mio conio. Divenni malinconica, proprio come una povera monetina può diventare quando nessuno vuole averla ma la donna mi portò a casa, mi osservò attentamente, con dolcezza e affetto. "No, non voglio ingannare nessuno con te!" disse. "Ti farò un buco in mezzo in modo che ognuno possa vedere che sei falsa. Eppure, ora che ci penso forse sei una monetina portafortuna; sì, lo credo proprio! Ti farò un buco nel mezzo, ci infilerò una cordicella, e poi ti metterò al collo della figlia della vicina, come portafortuna."
«Così mi fece un buco; non è mai piacevole essere passati da parte a parte, ma quando l'intenzione è buona si può sopportare tutto; mi infilarono una corda e divenni una specie di medaglia; venni appesa al collo della bambina e questa mi sorrise, mi baciò, e io riposai una notte intera sul caldo e innocente petto della bambina.
«Al mattino la madre mi prese in mano, mi guardò e pensò a qualcosa: me ne accorsi subito. Prese le forbici e tagliò la cordicella.
«"Monetina portafortuna!" esclamò. "Adesso vedremo!" Mi mise nell'aceto in modo che diventassi verde, poi mi chiuse il buco, mi lisciò un po' e se ne andò, quando fu buio, dal venditore dei biglietti della lotteria, per averne uno che portasse fortuna. Come stavo male! Mi sentivo oppressa, come se dovessi scoppiare: sapevo che sarei stata chiamata falsa e gettata via, e questo davanti a una gran quantità di monetine e di altri soldi che avevano le iscrizioni e le figure incise, di cui potevano ben essere fieri. Ma quella volta la scampai, c'era tanta gente dal rivenditore della lotteria, e lui aveva tanto da fare che venni gettata nel cassetto tra le altre monete, se poi il biglietto abbia vinto non lo so, ma so che il giorno dopo venni riconosciuta come falsa, fui messa da parte e poi rimessa in circolazione per ingannare e ancora per ingannare. È insopportabile quando si ha un carattere puro, e di quello sono sicura.


«Per molti anni e molti giorni passai da una mano all'altra, da una casa all'altra, sempre ingiuriata, sempre maltrattata; nessuno credeva in me, neppure io credevo più in me, e neppure nel mondo; furono tempi duri. Un giorno giunse un viaggiatore, e naturalmente venni data a lui che fu tanto ingenuo da prendermi come moneta corrente; ma quando dovette darmi via, sentii di nuovo quelle grida: Non vale niente! è falsa».
«"Io l'ho avuta per buona!" disse l'uomo e mi guardò attentamente, poi sorrise, come non succedeva certo quando mi guardavano con attenzione. "Oh, guarda che cos'è!" esclamò "una moneta del mio paese, una buona onesta moneta di casa mia a cui hanno fatto un buco e che chiamano falsa. È proprio divertente! Ti conserverò e ti riporterò a casa!"
«Fui percorsa da un brivido di gioia quando venni chiamata una buona e onesta moneta e quando seppi che potevo tornare a casa, dove tutti mi avrebbero riconosciuta sapendo che ero fatta di ottimo argento e che avevo il giusto conio. Avrei addirittura sprizzato scintille per la gioia, ma non è nella mia natura fare scintille: è una proprietà dell'acciaio, non dell'argento.

«Venni avvolta in una bella carta bianca per non essere mescolata con le altre monete e partii; solo nelle occasioni importanti, quando incontrava dei connazionali, il mio padrone mi tirava fuori: allora venivo ricoperta di elogi; dicevano che ero interessante; è abbastanza divertente essere interessanti senza dire una parola!
«Così tornai a casa! Tutta la mia miseria era passata, e cominciò la mia gioia: ero fatta di ottimo argento e avevo un buon conio; non era certo una vergogna che mi avessero bucato e trattato come falsa, non fa nulla quando non lo si è! Bisogna resistere: ogni cosa col tempo ottiene giustizia! Questa ora è la mia convinzione!» disse la monetina.

 

 

 

 

ps: Andersen era danese, supponendo che abbia pensato ad una moneta del suo Paese, l'unica monetina di 'buon argento' del periodo di quanto scrisse questa fiaba, escludendo quindi quelle in ag.250 e ag.500, poteva essere solo un 1/2 Rigsdaler in ag.875, i nominali più grandi non erano proprio monetine.

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La moneta e la lenticchia
 
C’era un vecchio comodino, sul quale erano appoggiati una moneta d’oro antica e una lenticchia. Chi avesse messo insieme quei 2 compagni tanto diversi, non chiedetemelo, perché non so rispondere. Quello che so è che la moneta sapeva di essere unica e preziosa e nessuno perdeva mai l’occasione per dire quanto fosse bella e rara; la piccola lenticchia parlava poco, perché temeva di dire cose stupide, rispetto alla sua compagna che avevano avuto una vita molto più avventurosa della sua, per questo motivo, la vita della lenticchia era molto solitaria.

Accadde che un giorno per sbaglio, il padrone di quella casa, fece cadere sul comodino un bicchiere pieno d’acqua: tutto si bagnò. Mentre la moneta si lamentava, la piccola lenticchia restò in silenzio come suo solito. Nel giro di qualche giorno però il suo abito marrone si gonfiò al punto che iniziò ad aprirsi. La moneta al principio non ci fece caso, almeno fino a quando, da sotto al suo cappotto, spuntò un virgulto. A quel punto la moneta prese ad osservare con molto rispetto quella piccola lenticchia, che diversamente da lei aveva un cuore vivo che stava fiorendo. orolent.jpg.061911f2f14ccd85a3c212bcb0c73b5e.jpg
  “Brava lenticchia,” si congratulò la moneta. “Io ho tanti pregi, ma tu con la tua vita sei ancora più preziosa di me.”


(E. Mauti)

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C'era una volta un povero contadino, che un giorno si disse: “Sono stufo di essere povero, devo partire e cercare di fare fortuna.”
Detto questo partì. Camminò a lungo, e ad un tratto scorse per terra cinque monete d'oro.
“Non è certamente un cattivo inizio” - disse ridendo e raccogliendo le monete.
Dopo poco giunse in una città ed entrò in un locale per chiedere un caffè. Il proprietario lo guardò sospettoso e gli disse: “Perché dovrei darti un caffè? Si vede subito che sei uno straccione e non credo proprio che tu abbia i soldi per pagarmelo.”
Il contadino sorrise e mise una moneta d’oro sul tavolo.
“Ma come farò a darti il resto?” Disse sorridente il proprietario della locanda.
“ Tieniti il resto per il tuo disturbo.”
Il proprietario fu stupito di tanta inusuale generosità e si mise a riflettere…
“Questo non è un povero. Sono sicuro che è il figlio del Re, travestito da mendicante.”
E tutti gli altri ospiti del locale furono d'accordo che si trattava sicuramente del figlio del Re travestito da mendicante.
Quando il contadino ebbe finito di bere il suo caffè chiamò il proprietario e chiese: “Chi è l' uomo più ricco di questa città.”
“Il padrone dei bagni, Vostro Onore!”
“Bene, ora andrò nei bagni. Sii così gentile da mandarmi lì a mezzogiorno in punto un caffè e una pipa. Ordina al barbiere che venga a radermi e a tagliarmi i capelli, e all'oste che mi porti un buon pranzo.”
Il padrone della locanda promise di pensare a tutto e il contadino andò ai bagni. Ma sulla soglia dei bagni c'era il proprietario, che non voleva lasciarlo entrare: “I poveri debbono andare al fiume. Questi bagni sono solo per i ricchi, vattene via”. Detto questo rientrò sbattendo la porta.
Il contadino sorrise e sedette sui gradini dell' ingresso.
Poco dopo il custode dei bagni tornò fuori e gridò rudemente. “I mendicanti non possono star qui. Vattene via!”
In quel momento suonò mezzogiorno, ed ecco arrivare di corsa il proprietario della locanda, che portava un vassoio col caffè e la pipa, il barbiere coi suoi strumenti e l'oste con un sontuoso pranzo, e tutti si inchinarono profondamente davanti al contadino.
Il custode spalancò gli occhi e il padrone della locande rapidamente gli sussurrò che il povero contadino era in realtà il figlio del Re travestito.
Udendo ciò il custode invitò il povero contadino a entrare e corse dal suo padrone a raccontargli quel che stava accadendo.
Il proprietario dei bagni fu terribilmente spaventato nell'udire chi fosse colui che aveva scacciato dai bagni: “Oh, povero me! Cosa mi accadrà, ora? Il figlio del Re mi butterà certamente in prigione e forse mi farà tagliare la testa.”
Perciò corse subito a casa, riempì un sacco di monete d’oro e tornò indietro per chiedere perdono al contadino. Questi aveva fatto il bagno, era stato sbarbato, aveva mangiato, ed ora beveva il caffè e fumava la pipa. Essendo di buon umore, disse al proprietario dei bagni che accettava il suo dono, prese il sacco e tornò a casa. Quando arrivò al posto dove al mattino aveva trovato le monete d’oro, ne tolse cinque dal suo sacco e le depose per terra.
Sarebbero servite ad arricchire qualcun altro.
Ognuno al suo villaggio si meravigliò vedendo con quale rapidità il povero contadino era diventato ricco e lui pazientemente spiegò come fare: “È semplice, al mattino uscite dal villaggio, lungo la strada trovate cinque monete d’oro e, se sarete abili, a sera ne avrete un sacco pieno.”
Il giorno dopo tutti i contadini uscirono dal villaggio. Ma nessuno di loro trovò per terra una sola moneta d’oro e perciò rimasero tutti poveri come prima.

 

(fortuna, fatalità ed ingegno non sono elargibili)

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Favola di Jacob Grimm (1785 – 1863) e Wilhelm Grimm (1786 – 1859)

(i fratelli Grimm raffigurati sulla banconota da 1000 marchi pre-euro)

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Il centesimo rubato  (1812-1815)

Una volta, a mezzogiorno, un uomo sedeva a tavola con la moglie, i suoi bambini e un amico che era venuto a trovarli. Mentre se ne stavano là, allo scoccare delle dodici, l'ospite vide la porta aprirsi e entrare un bimbo molto pallido, tutto vestito di bianco. Il bimbo non si guardò attorno e non disse nulla, ma andò dritto filato nella stanza accanto. Poco dopo tornò indietro e uscì dalla porta, sempre in silenzio.

Il secondo e il terzo giorno tornò di nuovo. Alla fine l'ospite domandò al padre di chi fosse quel bel bambino che entrava sempre nella stanza a mezzogiorno.

- Non l'ho visto - rispose il padre - e non saprei dire di chi sia -

Il giorno seguente, quando il bambino tornò, l'ospite lo mostrò al padre che però non lo vide, non lo videro la madre e i bambini. Allora l'ospite si alzò, andò alla porta della stanza, la socchiuse e vi guardò dentro, e vide il bambino, seduto per terra, che frugava e rovistava premurosamente con le dita nelle fessure del pavimento, ma quando scorse l'estraneo scomparve. Questi raccontò quel che aveva visto e descrisse il bambino con esattezza, allora la madre lo riconobbe e disse:

- Ah, è il mio caro bambino che è morto un mese fa -

Scostarono le assi del pavimento, e trovarono due centesimi che una volta il bambino aveva avuto da sua madre, perché li desse a un povero. Ma il bimbo aveva pensato: "Puoi comprarti invece un biscotto!" e si era tenuto i soldi nascondendoli nelle fessure del pavimento. Così non aveva pace nella tomba, e a mezzogiorno veniva sempre a cercarli. I genitori diedero quel denaro a un povero e da allora il bambino non si vide più.

 

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  • 2 settimane dopo...
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Vi invito sempre a leggere (cliccando sul link) il primo racconto inserito nel post iniziale "Il numismatico (nano e cannibale)" è veramente avvincente.

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Fiaba del 1839 di Hans Christian Andersen (1805-1875) 1951143778_baulevol.jpg.63473635203833e482db077799214d5b.jpg

Il baule volante

C'era una volta un commerciante, così ricco che avrebbe potuto ricoprire tutta la strada principale e anche un vicolino laterale di monete d'argento, ma naturalmente non lo fece: sapeva come usare il suo denaro; se dava uno scellino, otteneva un tallero; era proprio un commerciante e come tale morì.
 Il figlio ereditò tutti i suoi soldi e visse spensierato, andava alle feste ogni notte, costruiva aquiloni con le banconote e lanciava monete d'oro sul lago per farle rimbalzare invece di usare le pietre, perché naturalmente i soldi saltavano meglio; alla fine non gli restarono che quattro scellini, non aveva vestiti al di fuori di un paio di pantofole e una vecchia vestaglia. Ai suoi amici non importò più nulla di lui, dato che non potevano più uscire insieme per le strade; solo uno di loro, che era buono, gli mandò un vecchio baule e gli disse: «Fai i bagagli!». Facile a dirsi! ma egli non aveva nulla con cui fare i bagagli, così si mise lui stesso nel baule.
 Era un baule strano. Non appena si premeva la serratura, il baule si sollevava e volava; e infatti si mise a volare attraverso il camino in alto sopra le nuvole, sempre più lontano. Il fondo scricchiolava, e lui temeva che si rompesse, in quel caso avrebbe proprio fatto un bel volo! Il Signore ci protegga! e così arrivò nella terra dei turchi. Nascose il baule nel bosco sotto le foglie secche e se ne andò in città; lì lo poteva fare, perché in Turchia andavano in giro tutti, come lui, con la vestaglia e le pantofole. Così incontrò una balia con un bambinetto. «Ascolta, balia turca!» disse «che cos'è quel grande castello vicino alla città, che ha le finestre così alte?»
 «Ci vive la figlia del re!» fu la risposta «è stato predetto che diventerà molto infelice a causa di un fidanzato, e per questo nessuno può andare da lei, se non ci sono anche il re e la regina.»
 «Grazie!» rispose il figlio del commerciante, e così se ne tornò nel bosco, si mise nel baule, volò sul tetto e poi entrò dalla finestra fino alla principessa.
 La principessa era sdraiata sul divano e dormiva, era così graziosa che il figlio del commerciante dovette baciarla;;lei si svegliò e si spaventò molto, ma lui raccontò di essere il dio dei turchi e di essere sceso dall'aria fino a lei, e lei ne fu molto contenta.
 Così sedettero uno vicino all'altra, lui le narrò fiabe sui suoi occhi: erano laghi bellissimi e scuri, e i pensieri vi nuotavano come sirene; e poi raccontò della fronte, che era una montagna di neve con meravigliose sale e quadri, e poi le narrò della cicogna che porta i cari bambini.
 Erano delle storie bellissime! Allora le chiese di sposarlo e lei subito accettò.
«Ma dovete tornare qui sabato» aggiunse «quando ci saranno da me il re e la regina a prendere il tè. Saranno molto orgogliosi all'idea che io sposerò il dio dei turchi, ma dovete raccontare una bellissima storia, perché a loro piacciono tanto mia mamma vuole che siano classiche e morali, mio padre invece le preferisce divertenti, che facciano ridere.»
 «Sì, non porterò altro in dono alla sposa che una storia!» rispose il ragazzo, e poi si separarono, ma prima la principessa gli donò una sciabola intarsiata di monete d'oro, che gli fecero proprio comodo.
 Volò via, acquistò una nuova vestaglia e sedette nel bosco, pensando a una storia; doveva essere pronta per sabato, e non era facile.
 Alla fine la storia fu pronta, e era proprio sabato.
 Il re e la regina e tutta la corte lo aspettavano bevendo il tè presso la principessa. Come venne ricevuto bene!
«Volete raccontarci una storia?» chiese la regina «ma che sia significativa e istruttiva!»
 «Ma che faccia anche ridere!» aggiunse il re.
«Certamente» rispose lui, e cominciò a raccontare. Ascoltiamola anche noi adesso.
«C'era una volta un mazzetto di fiammiferi, che erano molto fieri di appartenere a una nobile famiglia, il loro albero di origine, il grande pino, di cui erano solo un piccolissimo rametto, era stato un antico e maestoso albero del bosco. Ora i fiammiferi si trovavano su una mensola tra un acciarino e una vecchia pentola di ferro, e per loro si misero a raccontare della loro infanzia. "Al tempo dei nostri anni più verdi," dicevano "ci trovavamo proprio su un albero verde! Ogni mattina e ogni sera avevamo del tè di diamanti, che era la rugiada, e durante il giorno avevamo i raggi del sole, quando il sole splendeva, e tutti gli uccellini ci raccontavano delle storie. Sapevamo di essere anche ricchi, perché gli altri alberi erano vestiti solo d'estate, mentre la nostra famiglia poteva permettersi vestiti verdi sia d'estate che d'inverno. Poi giunsero dei boscaioli che fecero una gran rivoluzione, e la nostra famiglia venne dispersa. Il tronco principale diventò un albero maestoso in una nave bellissima che poteva navigare intorno al mondo, se lo voleva, gli altri rami andarono in luoghi diversi, e noi abbiamo avuto l'incarico di accendere la luce per la gente vile; per questo noi, che siamo gente aristocratica, siamo arrivati fin qui in cucina."
«"A me invece è capitato in un altro modo" disse la pentola di ferro vicino alla quale si trovavano i fiammiferi. "Da quando sono nata sono stata bollita e raschiata moltissime volte! Devo occuparmi di cose concrete e, a dire il vero, sono io la più importante della casa. La mia unica gioia è, dopo il pranzo, stare qui sulla mensola ben pulita a chiacchierare con i compagni; ma noi viviamo sempre in casa, a parte il secchio dell'acqua che ogni tanto è portato nel cortile. Il nostro unico informatore è la borsa della spesa, ma quella si agita sempre nel parlare del governo e del popolo; addirittura l'altro giorno c'era una vecchia pentola che per lo spavento è caduta e s'è rotta! Quella è una liberale, ve lo dico io!"
«"Tu parli troppo" esclamò l'acciarino e batté sulla pietra focaia per far scintille. "Perché non ci divertiamo questa sera?"
«"Sì, vediamo chi di noi è più distinto!" suggerirono i fiammiferi.
«"No, a me non piace parlare di me stessa!" disse la pentola di coccio. "Organizziamo invece una vera serata! Comincio io: vi racconto una storia che noi tutti abbiamo vissuto; così è facile immedesimarvisi, e poi è divertente. Presso i faggi danesi che si trovano lungo il Mar Baltico..."
«"È un inizio bellissimo!" esclamarono tutti i piatti "sarà sicuramente una bella storia."
«"Sì. Là trascorsi la mia giovinezza, presso una famiglia tranquilla. I mobili venivano lucidati, il pavimento veniva lavato e cambiavano le tendine ogni quindici giorni."
«"Com'è interessante quello che raccontate!" disse il piumino per spolverare. "Si sente subito che è una signora quella che racconta! c'è un'aria così pulita nelle sue parole!"
«"Sì, è vero!" disse il secchio dell'acqua, e saltellò di gioia così che l'acqua schizzò sul pavimento.
«E la pentola continuò a raccontare e la fine fu bella come l'inizio.
«Tutti i piatti tintinnavano per la gioia, il piumino prese del prezzemolo dal secchio di sabbia e incoronò la pentola, perché sapeva che avrebbe fatto rabbia agli altri, e "se io la incorono oggi" pensava "domani mi incoronerà lei."
«"Adesso vogliamo ballare!" esclamarono le molle del camino e ballarono. Dio mio! come sollevavano le gambe! La vecchia fodera della sedia nell'angolo rideva a crepapelle nel vederle! "Possiamo essere incoronate anche noi?" chiesero le molle e lo furono.
«"Non è altro che popolino!" pensavano i fiammiferi.
«Adesso doveva cantare la teiera, ma era raffreddata, o almeno così disse, non poteva cantare se non bolliva, ma non era che mania di grandezza: voleva cantare solo quando si trovava a tavola con gli invitati.
«Vicino alla finestra c'era una vecchia penna d'oca, con cui la domestica scriveva; non aveva nulla di strano, eccetto che era stata immersa troppo nel calamaio, ma di questo era orgogliosa. "La teiera non vuole cantare?" esclamò "non fa niente, qui fuori c'è una gabbia con un usignolo, che sa cantare; lei invece non ha mai imparato, ma non parliamo male di lei questa sera!"
«"Io penso che sia molto sconveniente" disse il bollitore, che era il cantante della cucina e il fratellastro della teiera "dover sentire un uccello estraneo. Vi pare patriottico? Lasciamo giudicare dalla borsa della spesa."
«"Sono proprio arrabbiata!" disse la borsa "così arrabbiata che non potete immaginare! è forse un bel modo di trascorrere la serata? non è meglio mettere un po' in ordine la casa? Ognuno dovrebbe tornare al suo posto e io dirigerei il tutto sarebbe diverso!"
«"Sì, facciamo un po' di ordine!" dissero tutti. In quel mentre si aprì la porta. Era la domestica, e tutti rimasero quieti, nessuno fiatò; ma non c'era una sola pentola che non fosse conscia di quello che avrebbe potuto fare e non se ne sentisse orgogliosa. "Sì, se avessi voluto" pensavano "sarebbe stata una serata divertente!"
«La domestica prese i fiammiferi e accese il fuoco. Dio mio! come crepitavano e che fiamma!
«"Adesso ognuno può vedere che noi siamo i più importanti!" pensavano i fiammiferi "e che splendore, che luce abbiamo!" e già erano tutti consumati.»
 «Che bella storia» esclamò la regina «mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia.»
 «Certo!» aggiunse il re. «Sposerai nostra figlia lunedì.» Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
 Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
 "Anch'io devo fare qualcosa!" pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
 Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!
 Tutti i turchi saltavano in aria a ogni scoppio e le pantofole gli arrivavano fino alle orecchie: un tale spettacolo non l'avevano mai visto prima. Adesso capivano che era proprio il dio dei turchi che doveva sposare la principessa.
 Quando il figlio del commerciante ridiscese col suo baule nel bosco pensò: "Voglio andare in città a sentire che cosa dicono di me!," e era naturale che avesse voglia di farlo.
 Quali cose raccontava la gente! ognuno di quelli a cui domandava l'aveva visto in modo differente, ma a tutti era parso straordinario.
«Io ho visto il dio dei turchi in persona!» raccontò uno. «Aveva occhi che splendevano come stelle e una barba come l'acqua spumeggiante!»
 «Volava avvolto in un mantello di fuoco» diceva un altro.
«Bellissimi angioletti spuntavano dalle pieghe.»
Sì, sentì dire delle cose bellissime e il giorno dopo doveva esserci il matrimonio.
 Tornò nel bosco per infilarsi nel baule, ma dov'era finito? Il baule era tutto bruciato. Una scintilla dei fuochi artificiali vi era caduta sopra, aveva appiccato il fuoco, e ora il baule era diventato cenere. Lui non era più in grado di volare, non poteva più raggiungere la sua sposa.
 Lei rimase tutto il giorno sul tetto a aspettare; sta aspettando ancora mentre lui gira per il mondo e racconta storie, che però non sono divertenti come quella che aveva raccontato sui fiammiferi.

 

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  • 2 settimane dopo...
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1606085818_scarpe2.jpg.31833b3fdcbdc891e11d02043278c328.jpg          Le monete nelle scarpe

 

C'era una volta un padre che durante un fine settimana portò il figlio a fare una passeggiata in campagna. Dopo aver camminato per un bel pezzo, i due giunsero in una fattoria dove sull'uscio c'erano un paio di scarpe vecchie e logore, che presumibilmente appartenevano al povero contadino che si stava apprestando a tornare a casa dopo una giornata di duro lavoro nei campi.

Vedendo questo, un'idea balenò nella testa del ragazzo il quale voleva divertirsi alle spalle dell'agricoltore, per cui, disse al padre: "Papà, nascondiamo queste calzature dietro ai cespugli e attendiamo il ritorno del contadino. Sarà uno spasso vedere la sua faccia quando non troverà le sue scarpe."

Il padre guardò il figlio, e con tono serio gli disse: "Figliolo, non è bello prendersi gioco di un poveretto." Poi, dopo averci pensato su per qualche istante, continuò: "Ho un'idea migliore. Perché invece non mettiamo delle monete in ciascuna delle scarpe, poi, noi ci nascondiamo dietro ai cespugli, così potremo osservare la sua reazione quando le troverà?"

E così fecero. Dopo aver messo delle monete in ognuna delle due scarpe, padre e figlio si acquattarono dietro gli arbusti, in attesa di assistere gli effetti del loro gesto. Quando il contadino tornò dal suo lavoro e giunse sull'uscio di casa, si riprese le sue vecchie calzature e cominciò a infilarsele. Messo il primo piede in una delle scarpe, sentì che all'interno c'era qualcosa di duro. Controllando, si accorse che dentro c'erano delle monete.

L'agricoltore rimase visibilmente sorpreso nel vedere quel denaro. Dopo aver preso in mano le monete, le guardò attentamente, quindi, si girò intorno per cercare di capire se ci fosse qualcuno che le stesse reclamando, non vedendo nessuno, se le mise in tasca. Dopo di ciò, prese l'altra scarpa e ci infilò dentro l'altro piede. Ancora una volta sentì di toccare qualcosa di estraneo, e quando controllò di nuovo, trovò le altre monete. Nel vedere tutti quei soldi, una lacrima uscì dai suoi occhi.

Caduto in ginocchio, con le mani giunte, il povero contadino guardò verso il cielo e invocò il Signore, dicendo: "Oh, mio Dio, benedici lo sconosciuto benefattore che mi ha aiutato in questo momento di bisogno. Grazie a questa generosa persona, oggi sono in grado di acquistare le medicine per mia moglie malata e potrò comprare il pane per i miei bambini affamati."

Da dietro al cespuglio, ascoltando le parole del contadino, gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime. Sottovoce, il padre chiese al figlio: "Adesso, dimmi figliolo, pensi che ti avrebbe reso più felice se avessi nascosto le scarpe dietro al cespuglio? Oppure l'averci messo dentro le monete?"

Con gli occhi gonfi di felicità, il giovane rispose: "Grazie, papà, non dimenticherò mai la lezione che mi hai insegnato oggi. Adesso capisco perché la gioia nel dare è molto più grande che nel ricevere."

(anonimo)

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La moneta del destino

Un tempo viveva un grande guerriero stimato ed ammirato da tutti, nonostante tutto il suo esercito iniziò a dubitare di lui. Alla vigilia di una battaglia contro delle truppe numericamente superiori, addirittura dieci volte più numerosi, il guerriero sapeva benissimo di poter avere qualche possibilità di successo, ma non riusciva a motivare adeguatamente i suoi.

Durante la marcia incontrò un tempio, fu così che disse ai suoi: “dopo aver visitato il tempio per pregare lancerò una moneta” - l'esercito non lo capì, e lui continuò: “se esce testa vinciamo noi, se esce croce vincono i nostri avversari, siamo nelle mani del destino”.

Il guerriero entrò così nel tempio, pregò per poco tempo, dopodiché uscì. Il suo esercito timoroso osservò con attenzione il proprio comandante, gettò la moneta in aria e venne testa. I suoi soldati divennero improvvisamente vogliosi di vittoria, affrontarono il nemico e vinsero, a molti sembrò un miracolo.

Dopo la battaglia l’aiutante del guerriero disse: “nessuno può cambiare il suo destino” - “Infatti”, rispose il guerriero, nel dire questo mostrò la moneta, aveva una testa su tutte e due le facce, "spesso una buona motivazione, o un’illusione, ci aiuta a fare quello che solitamente pensiamo sia impossibile".

 

 

 

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