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Genovino o Fiorino?


Risposte migliori

Mi sa che prima dell'apertura (leggasi scoperta) delle miniere transilvane oro a Venezia non se ne vedeva moltissimo.

Ed il rischio di un flop come fu per Enrico III e Luigi IX era grande.

Ad Oriente arrivava quello dell'Africa dell'Ovest. Dal 1204 fino al 1261 Venezia era sì favorita nei commerci ma non nel mediterraneo occidentale (naturale sbocco delle vie carrovaniere dell'oro). Dal trattato di Ninfeo (1261) Venezia subì un duro contraccolpo perché quasi del tutto estromessa dai commerci nel Mar Nero (a favore dei genovesi). Inoltre verso la fine del XIII la guerra con Genova toccò l'apice (se non vado errato) con la battaglia di Curzola.

Aggiungerò qualche informazione in più. Le miniere d'oro di Kremnica (oggi Repubblica Ceca ma allora Ungheria) erano note già nel XIII sec., ma svilupparono notevolmente la loro attività estrattiva solo a partire dal 1320, e quindi solo a partire da quella data Venezia riuscì a trovare un rifornimento certo e continuo d'oro. Si noti anche che Venezia era l'emporio di referenza per gli ungheresi per l'acquisto di beni di lusso e d'importazione dal Mediterraneo, quindi il flusso d'oro verso sud era compensato da un flusso in senso contrario di merci. Questo stesso oro continuava poi verso oriente e, per via delle città dell'Italia del nord e del centro, verso le Fiandre. Giustamente Numma Numma dice che l'oro non mancava a Venezia: questo è assolutamente vero a partire dal secondo quarto del XIV sec.; Venezia era difatti a partire da quel momento una delle città in cui scorreva più oro in tutta Europa, e di qui l'abbondanza della produzione di ducati ed altre denominazione auree.

Quanto sopra è incontestabile. La questione però è un'altra: la situazione dev'essere stata drasticamente diversa perché Genova e Firenze fossero gli iniziatori della coniazione di monete d'oro di peso attorno ai 3,53 grammi nel 1256: perché Venezia ebbe un clamoroso ritardo, e quando introdusse il ducato fece riferimento esplicito al fiorino di Firenze come modello?

Peter Spufford offre una lettura molto interessante dei flussi economici e monetari nel Mediterraneo nel XIII sec., e riassumo in poche parole quel che riferisce nelle pagine 176-178 del suo "Money and its use in medieval Europe".

A causa della carenza d'oro in Europa e d'argento in Africa c'era una differenza di prezzo che rendeva conveniente esportare argento verso l'Africa in cambio d'oro d'origine sub-sahariana. Il principale porto di arrivo dell'oro era Genova, che a partire dal 1248 era in fase commerciale particolarmente espansiva. Nel 1252 la quantità di oro accumulata in, o di passaggio per Genova e per Firenze (anche via Pisa) divenne sufficiente per poter iniziare a coniare monete d'oro. Il genovino da 8 soldi genovesi pesava 3,53 grammi di oro puro, il fiorino da 20 soldi fiorentini pesava 3,54 grammi di oro puro. Non c'è traccia documentale di un accordo fra le due zecche, ma è quantomeno singolare che due zecche vicine decidessero nello stesso anno ed in maniera del tutto indipendente di introdurre queste due monete praticamente identiche. Venezia non aveva accesso diretto a questo flusso d'oro, che le giungeva indirettamente per via dell'Italia meridionale e la Sicilia, ed in quantità minori. La quantità di oro disponibile nondimeno cresceva continuamente, tanto che nel 1269 fu decretato che in Venezia non si commerciasse oro di fino inferiore a 0.979, e aprì presso Rialto un centro ufficiale di affinamento del metallo; presumibilmente le verghe risultanti erano stampigliate con un marchio della zecca, così come già lo erano state quelle prodotte dalla zecca di Genova vent'anni prima, e così come era prassi fossero le verghe ed i lingotti d'argento di ogni zecca. Nel 1284 fu decretata la produzione dei ducati d'oro, ma continuò comunque per qualche tempo anche la produzione di verghe bollate dalla zecca.

Il peso del ducato d'oro di Venezia era essenzialmente lo stesso del fiorino e del genovino, ma il taglio della nuova moneta non era un multiplo pratico di alcuna moneta esistente: 18 grossi oppure 39 soldi a grossi. E' evidente quindi che si trattava di una moneta nata per il commercio estero e non per uso interno; a prova di ciò nel 1285 il Gran Consiglio diede esplicita preferenza alla coniazione di ducati per coloro che desiderassero impiegarli nel commercio con la Puglia (fonte di molto del grano consumato a Venezia) o fuori dall'Adriatico.

Trovo la ricostruzione storico-economica di Spufford molto ben documentata e consiglio anzi la lettura del suo volume a chiunque desideri approfondire i temi economico-monetari del medioevo.

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A pag 178 dello Spufford ci sono alcuni interessanti paragrafi riguardanti Venezia. Sto traducendo e domani posto tutto.

In sintesi la gran parte d'oro dalla metà alla fine del XIII secolo arrivava dal Sud Italia e dalla Sicilia. Già nel 1269 il Gran Consiglio stabilì la bontà delle verghe d'oro che precedettero i ducati.

Domani sarò più preciso con la traduzione.

Precisamente. E da dove arrivava l'oro siciliano ?

Che primieramente era stato arabo (secc. IX e X) e successivamente, nell'ordine : normanno, svevo, angoino e inseguito aragonese ?

Parimenti per le zecche di Amalfi, Salerno : ancora arabi e soprattutto Normanni e Svevi (i longobardi li lasciamo da parte perche' ben precedenti, ma in pratica coniarono quasi solo oro) :

Mansone, Giovanni, Guaimario, Sergio..Gisulfo..Roberto il Guiscardo..Ruggero Borsa..Guglielmo II..

Ruggero II.. Tancredi..

alcuni di questi duchi di Amalfi e Salerno ci hanno lasciato monete d'oro a caratteri arabi, oggi rarissime (non so se siano presenti nemmeno nella collezione della Banca d'Italia, mentre lo sono nell'omnicomprensivo CNI).

numa numa

numa numa

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A pag 178 dello Spufford ci sono alcuni interessanti paragrafi riguardanti Venezia. Sto traducendo e domani posto tutto.

In sintesi la gran parte d'oro dalla metà alla fine del XIII secolo arrivava dal Sud Italia e dalla Sicilia. Già nel 1269 il Gran Consiglio stabilì la bontà delle verghe d'oro che precedettero i ducati.

Domani sarò più preciso con la traduzione.

Precisamente. E da dove arrivava l'oro siciliano ?

Che primieramente era stato arabo (secc. IX e X) e successivamente, nell'ordine : normanno, svevo, angoino e inseguito aragonese ?

Parimenti per le zecche di Amalfi, Salerno : ancora arabi e soprattutto Normanni e Svevi (i longobardi li lasciamo da parte perche' ben precedenti, ma in pratica coniarono quasi solo oro) :

Mansone, Giovanni, Guaimario, Sergio..Gisulfo..Roberto il Guiscardo..Ruggero Borsa..Guglielmo II..

Ruggero II.. Tancredi..

alcuni di questi duchi di Amalfi e Salerno ci hanno lasciato monete d'oro a caratteri arabi, oggi rarissime (non so se siano presenti nemmeno nella collezione della Banca d'Italia, mentre lo sono nell'omnicomprensivo CNI).

numa numa

numa numa

Di nuovo è Spufford a darci una risposta (vedi alle pagine 166-170 del volume sopra citato). Si trattava di oro di provenienza sub-sahariana, che attraversava il deserto per raggiungere i porti di Tangeri e Ceuta in Marocco, Oran in Algeria, Tunisi e Mahdia in Tunisia. Questo oro era usato per acquistare argento, merci e derrate alimentari dall'Europa, secondo lo schema che abbiamo già visto in precedenza. A Barcelona (Catalogna) si iniziarono a circolare dinari arabi d'oro già nel 981, e nella seconda decade dell' XI sec. la zecca locale iniziò a battere propri dinari, che però non circolarono molto oltre i traffici con l'Andalusia. Nello stesso periodo in principi longobardi di Salerno iniziarono a battere tarì, che corrispondevano in peso ai rubā'i o quarti di dinaro arabi: il nome "tarì" viene dalla parola araba che significa "nuovo", in un malinteso linguistico fu adottato l'aggettivo e non il sostantivo. A metà del XI sec. il vicino Ducato di Amalfi iniziò a sua volta a coniare tarì, e quando i duchi normanni di Puglia conquistarono la Sicilia alcuni anni più tardi continuarono a coniare rubā'i seguendo quelli di al-Munstansir. I tarì furono coniati fino al 1278 nelle zecche di Messina e Palermo, con oro che continuava ad arrivare dall'Africa: una parte di esso in forma di tributo dal Maghreb che molti sovrani da Ruggero II a Carlo d'Angiò riuscirono ad ottenere (per esempio Tunisi era tenuta a pagare 34.300 dinari all'anno). Altro ne arrivava per via di commerci: già attorno al 1180 i genovesi avevano stabilito un commercio triangolare in cui vendevano merci europee a Tunisi in cambio d'oro, che utilizzavano in Sicilia per acquistare merci siciliane (grano e olio penso io) da trasportare a Genova.

Più tardi Federico II coniò doppi dinari in forma di augustali d'oro grazie al tributo annuo di 34.330 dinari che gli doveva l'emiro di Tunisi.

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Noto un'assoluta mancanza di ''fiorentini'' in questa discussione e questo mi dispiace. Venezia in effetti in questo caso (anche perchè la conosco meglio) mi interessava solo in quanto potenza commerciale, ma numismaticamente parlando, per vari motivi, fortemente in ritardo sulle emissioni d'oro.

C'è un'altra cosa che mi fa pensare... Il genovino di primo tipo stilisticamente ricorda l'argento dell'epoca di Federico II, il fiorino e poi il ducato sono decisamente più moderni. Un segno dell'epoca di emissione...?

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Secondo me la chiave di lettura è la tradizione iconografica della città: la porta di Genova, raffigurata tal quale sui denari già da parecchio tempo, il giglio di Firenze, San Marco per Venezia.

Nel caso di Genova c'era un "problema" stilistico: l'iconografia, il "logo" della città aveva una forma stilizzata ben precisa e poco modificabile. Posto che ogni moneta genovese doveva riportarla per indicare con estrema chiarezza la sua provenienza, non c'erano grandi alternative. La croce sull'altro lato è effettivamente arcaica nel contesto del XIII sec., rifacendosi sostanzialmente a canoni esistenti da secoli, e include anche parecchi denari di Federico II in questo senso.

Il genovino in allegato viene da un'asta H.D. Rauch (http://www.coinarchives.com/w/lotviewer.ph...15&Lot=1333)

Fra Casellame, cosa puoi dire a riguardo?

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Per quanto riguarda l'iconografia del fiorino non è un argomento che ho mai approfondito, ma sicuramente è molto più "moderna" del coevo genovino. Il giglio è un altro "logo" ben definito e poco modificato dalla sua introduzione, che però è più tarda rispetto alla porta di Genova e quindi meno arcaica già nella sua definizione. San Giovanni sull'altro lato è invece in linea con la raffigurazione artistica della sua epoca, e certamente non risente dell'arcaicità della croce patente genovese.

Immagine da Asta Kuenker (http://www.coinarchives.com/w/lotviewer.ph...25&Lot=3232)

Sarei ben lieto che qualcuno di esperto sulla monetazione fiorentina aggiungesse qualcosa.

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L'iconografia veneziana si rifà ad un altro "logo" statale, vale a dire San Marco. Venezia ha la fortuna qui di avere una persona e non un oggetto per suo simbolo: le possibilità artistiche in questo caso sono ben diverse, ed è molto più facile seguire le tendenze artistiche del momento. La figura umana di San Marco fu raffigurata la prima volta sui denari a nome di Enrico IV di Franconia attorno alla metà dell'XI sec., un mezzo busto molto stilizzato, che rimase più o meno tal quale sui mezzi denari dogali successivi (vedi l'immagine nel catalogo online).

Il grosso coniato dal 1196 era già un salto in avanti, raffigurante San Marco a figura intera, sempre visto di fronte (di nuovo vedi le immagini da catalogo online)

Il ducato diede la possibilità di un'evoluzione stilistica notevole, con una figura del Santo dinamica e fluida, in linea con i nuovi canoni stilistici realistici dell'epoca. Il Cristo in mandorla sul verso è una nuova figura iconografica mai usata prima da Venezia, quindi di nuovo non c'è la necessità di rifarsi a canoni stilistici arcaici.

L'immagine del ducato di Venezia proviene da un'asta Hess-Divo (http://www.coinarchives.com/w/lotviewer.ph...504&Lot=415)

La cosa interessante è che la successiva introduzione dell'iconografia di San Marco in forma di leone alato, una volta stabilizzata in due tipi fondamentali (il leone andante verso sinistra e il leone "in moeca") rimase immobilizzato per secoli con scarse variazioni stilistiche: anche Venezia in questo caso cadde prigioniera del proprio "logo".

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Noto un'assoluta mancanza di ''fiorentini'' in questa discussione e questo mi dispiace. Venezia in effetti in questo caso (anche perchè la conosco meglio) mi interessava solo in quanto potenza commerciale, ma numismaticamente parlando, per vari motivi, fortemente in ritardo sulle emissioni d'oro.

C'è un'altra cosa che mi fa pensare... Il genovino di primo tipo stilisticamente ricorda l'argento dell'epoca di Federico II, il fiorino e poi il ducato sono decisamente più moderni. Un segno dell'epoca di emissione...?

Calma, calma,

con buona pace della monetazione aurea Venezia fu molto innovativa per quella d'argento.

Non dimentichiamoci l'introduzione nell'ultimo quarto del XV secolo della lira Tron, ovvero la prima lira monetata, che inoltre riportava su un nominale importante il busto fisionomico di un doge (ovvero riconoscibile nei suoi tratti somatici e non un semplice ritratto di conevnienza o simbolico).

A Venezia fu battuta anche una delle prime monete con ritratto dell'Italia Rinascimentale, il picciolo diel doge Cristoforo Moro che precede di pochi mesi il ducato d'oro con ritratto di rancesco Sforza, a torto conosciuta dai piu' come la prima moneta con ritratto del Rinascimento.

numa numa

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Ringrazio rob per aver riportato la traduzione che mi apprestavo a fare (lavoro di meno :D).

Per rispondere alla tua domanda... nel XIII secolo Genova conosce ben tre tipi di monete. La serie IANVA, la serie CIVITAS IANVA (dal 1252?) decisamente più innovativa e la serie IANVA QVAM DEVS PROTEGAT (1280).

Ora, se consideriamo le cose solo dal punto di vista stilistico e paleografico parrebbe evidente che l'emissione IANVA sia da spostare più indietro nel tempo, precisamente agli albori del XIII secolo. Con la quartarola (e non dimentichiamo il raro ottavino o soldo d'oro).

Lo stile del genovino CIVITAS IANVA è più consono alla metà del XIII secolo. Quello dello IANVA QDP resterà poi quasi del tutto invariato per secoli coi Dogi a vita.

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CIVITAS IANVA

notare la comparsa degli archetti

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IANVA QVAM DEVS PROTEGAT

Modificato da fra crasellame
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Interessante l'evoluzione stilistica del genovino, grazie fra casellame.

A proposito del giglio di Firenze una nota moderna: il comune di Firenze ha registrato il giglio come proprio logotipo, e c'è una serie di regole molto precise sul suo utilizzo. A chi interessasse la cosa invito alla lettura, anche solo sommaria, del manuale pubblicato dal comune.

Secondo wikipedia il giglio fiorentino è un "gliglio bottonato", vale a dire:

Giglio bottonato o a volte anche Giglio di Firenze è un termine utilizzato in araldica per indicare il giglio sbocciato (fiore dell'iris simile al lilium). Il giglio bottonato ha la « caratteristica prima quella di essere disegnato da cinque petali superiori (tre principali e due stami più sottili e bocciolati) e delle ramificazioni inferiori, tutte disposte in modo simmetrico ».

Il giglio è oggi usato come simbolo della città Firenze. Lo è stato anche nei tempi remoti ma non è conosciuta con certezza la nascita si può supporre che sia dovuto al fatto che nei dintorni di Firenze cresce numerosa e florida la specie Iris germanica var. florentina (Giglio di Firenze o Giaggiolo bianco). Un'altra teoria vede derivare l'abbinamento della città (Florentia) con il fiore perché la sua fondazione da parte dei romani avvenne nell'anno del 59 a.C., durante le celebrazioni romane per l'avvento della primavera, i festeggiamenti in onore alla dea Flora (Ludi Florales o Floralia - giochi e competizioni pubbliche) che si svolgevano dal 28 aprile al 3 maggio. L'associazione tra i festeggiamenti e il nome venne spontanea come accadde successivamente tra il nome e i fiori numerosi che crescevano intorno. Inizialmente il giglio era bianco in campo rosso ma nel XIII secolo i Guelfi scelsero il giglio con i colori invertiti per differenziarsi dai Ghibellini e quando, nel 1251, i primi cacciarono i secondi il simbolo di Firenze divenne quello che conosciamo oggi.

Ai tempi della Repubblica di Firenze, il giglio era il simbolo della città, talvolta rappresentato su uno scudo retto dalla zampa di un leone (il cosiddetto marzocco).

Giglio_Fiorentino.png

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Non vorrei andare fuori tema ma circa il “perché” c’è un libro che avanza una spiegazione interessante : Roberto S. Lopez nella sua “Storia delle colonie genovesi nel mediterraneo” fa risalire il desiderio espansionistico genovese dall’esigenza del problema dell’alimentazione che, con l’aumentare della popolazione e la mancanza di pianure coltivabili, era diventato un problema vitale. Visto che il grano e il sale proveniente dalla Provenza era sempre di più arduo approvvigionamento e scoperti i lidi alternativi con le conquiste della prima crociata i genovesi si adoperarono non a conquistare territori (al contrario dei Franchi che invece ambivano alle terre) ma avere concessioni in territori “amici” con cui collaborare per ottenere quei beni che a loro mancavano. Il Lopez segna la data del 14 luglio 1098 come l’inizio del dominio coloniale genovese: in quella data furono stipulate le concessioni di Boemondo d’Altavilla poi prese a modello al quale s’ispirarono tutte le successive concessioni dei Principi crociati, feudatari in Terrasanta, e i Comuni marinari. La regola generale prevedeva che ai genovesi andasse un terzo delle città conquistate mediante il loro concorso (almeno 20 uomini), con l’esenzione di tutti i tributi e una larga autonomia amministrativa e giurisdizionale, qualcosa di meno dove non avevano cooperato alla conquista; Genova quindi si “prendeva” un quartiere che avesse accesso al mare e vi costruiva il suo “porto”, il suo “mercato” e la sua “dogana” e, nei posti nei quali esistevano zecche, i genovesi coniarono monete dapprima imitazioni di moneta locale (pare anche prima dell’apertura della zecca genovese del 1139) poi sempre più personalizzandola. Genova ben presto capì che era più remunerativo agire quale intermediario fra i mercati d’Oriente che offrivano beni di lusso e i mercanti Europei che aveva ben poche merci da offrire (stoffe di lana, canapa e lino, legname, ferro, pece e un po’ di rame e schiavi slavi e balcanici) per cui dovevano integrare il conto con oro e argento (soprattutto oro). In tal modo la ricchezza che fu “rapinata” in Terrasanta durante la conquista crociata vi ritornò attraverso le “pacifiche” mani dei commercianti ma in tutte queste transazioni ai genovesi restavano i dazi doganali e le spese per i trasporti che ben presto diedero più ricchezza di quella che potevano ricevere i mercanti stessi con le merci trasportate (pare che in molti viaggi gli spagnoli finirono in perdita ma dovettero pagare ugualmente le spese dei trasporti ai genovesi) …. Fin qui siamo nell’anno 1120 e da qui che parte quindi l’esigenza di coniare moneta d’oro per rendere più facili i pagamenti.

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…. Fin qui siamo nell’anno 1120 e da qui che parte quindi l’esigenza di coniare moneta d’oro per rendere più facili i pagamenti.

Molto interessante come informazioni e spiegazioni del processo che avrebbero portato all'esigenza di una monetazione aurea. Pero' le prime monete d'oro comunali in Italia (e si parla del primato di Genova sulle altre citta' anche se non ne abbiamo prove definitive) avviene oltre un secolo dopo, nella prima meta' del XIII. Prima non vi erano state altre emissioni auree ad eccezione degli augustali che pero' traevano diretta ispirazione dagli aurei romani, mentre genovino, fiorino e ducato costituiscono a tutti gli effetti dei tipi innovativi per l'epoca.

numa numa

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…. Fin qui siamo nell’anno 1120 e da qui che parte quindi l’esigenza di coniare moneta d’oro per rendere più facili i pagamenti.

Molto interessante come informazioni e spiegazioni del processo che avrebbero portato all'esigenza di una monetazione aurea. Pero' le prime monete d'oro comunali in Italia (e si parla del primato di Genova sulle altre citta' anche se non ne abbiamo prove definitive) avviene oltre un secolo dopo, nella prima meta' del XIII. Prima non vi erano state altre emissioni auree ad eccezione degli augustali che pero' traevano diretta ispirazione dagli aurei romani, mentre genovino, fiorino e ducato costituiscono a tutti gli effetti dei tipi innovativi per l'epoca.

numa numa

Concordo sul grande interesse degli argomenti portati da dizzeta. nel 1120 Genova sicuramente non coniava moneta d'oro, però sospetto che producesse verghe o lingotti d'oro bollati dalla zecca per garanzia del fino. In quell'epoca non so se fosse oro zecchino, più probabilmente era pagliola (12 carati circa): sarei felice di avere dati però da chi conosce meglio la materia specifica.

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In estrema sintesi, sempre il Lopez, dice che dal 1120 a fine secolo le cose andarono in quel modo perchè c'erano continue guerre, conquiste, perdite e riconquiste. Solo nella "prima metà del 1200" (così indica) segna un relativo rallentamento dell'espansione coloniale ma un periodo di benessere economico, di rinnovamento edilizio e di fioritura letteraria. Si accelera nelle città (ed anche nelle colonie) la graduale sostituzione delle casupole di legno ad un solo piano con edifici di pietra costruiti con gusto e dignità architettonica che prima si riservavano solo alle chiese ed a edifici pubblici. Ecco quindi il terreno fertile per pensare anche ad una moneta che semplificasse i traffici, le confusioni tra mille valute anche poco riconoscibili per i linguaggi differenti.

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Concordo sul grande interesse degli argomenti portati da dizzeta. nel 1120 Genova sicuramente non coniava moneta d'oro, però sospetto che producesse verghe o lingotti d'oro bollati dalla zecca per garanzia del fino. In quell'epoca non so se fosse oro zecchino, più probabilmente era pagliola (12 carati circa): sarei felice di avere dati però da chi conosce meglio la materia specifica.

Ma verghe e lingotti non sono moneta e sono il modo normale di tesaurizzare metallo prezioso da parte di uno Stato, una comunita' una Signoria, una Repubblica. Gia' prima dell'invenzione della moneta gli Stati adottavano i lingotti e le barre per conservare riserve di metallo prezioso. Non vi sarebbe nessuna novita' ne primato di Genova in questo.

numa numa

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Concordo sul grande interesse degli argomenti portati da dizzeta. nel 1120 Genova sicuramente non coniava moneta d'oro, però sospetto che producesse verghe o lingotti d'oro bollati dalla zecca per garanzia del fino. In quell'epoca non so se fosse oro zecchino, più probabilmente era pagliola (12 carati circa): sarei felice di avere dati però da chi conosce meglio la materia specifica.

Ma verghe e lingotti non sono moneta e sono il modo normale di tesaurizzare metallo prezioso da parte di uno Stato, una comunita' una Signoria, una Repubblica. Gia' prima dell'invenzione della moneta gli Stati adottavano i lingotti e le barre per conservare riserve di metallo prezioso. Non vi sarebbe nessuna novita' ne primato di Genova in questo.

numa numa

Nessun primato di Genova, questo mi pare comunque chiaro. Le verghe bollate d'oro e soprattutto d'argento non erano però solo tesaurizzate, anzi erano normalmente usate nel commercio con il Levante per esempio. Era una maniera di trasportare valori importanti senza occupare grande volume con sacchi e sacchi di monetine. Esistevano dei pesi più o meno standardizzati per i lingotti, diversi da zona a zona, quindi immagino che Genova, così come Venezia ed altre zecche di città dedite ai commerci, producessero verghe o lingotti del peso appropriato al mercato verso cui si dirigeva questo o l'altro mercante.

Per tornare al mio post precedente, il mio dubbio era riguardo al fino di queste verghe: non ho dati specifici per Genova nel XI-XII sec. Il fino tipico dell'oro di provenienza africana era ca. 12 carati (dovrei andare a vedere quant'era esattamente, permettetemi un'approssimazione), e in questa composizione era chiamato "pagliola": non so se la zecca di Genova, che era il principale destinatario dell'oro in Italia a quell'epoca, affinasse il metallo per ottenere un fino migliore, o semplicemente lo fondesse tal quale.

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Dubito che esistesse una zecca a Genova prima del 1139. E gli augustali sono anch'essi nei primi decenni del XIII secolo. In mancanza di evidenze documentali le ipotesi della coniazione della quartarola e del soldo d'oro sul finire del XII secolo e del genovino all'alba del XIII sono mere speculazioni (anche se supportate da validi elementi e da evidenze "visive-stilistiche-paleografiche").

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Dubito che esistesse una zecca a Genova prima del 1139. E gli augustali sono anch'essi nei primi decenni del XIII secolo. In mancanza di evidenze documentali le ipotesi della coniazione della quartarola e del soldo d'oro sul finire del XII secolo e del genovino all'alba del XIII sono mere speculazioni (anche se supportate da validi elementi e da evidenze "visive-stilistiche-paleografiche").

Quindi a questo punto penso che l'oro in arrivo a Genova proseguisse verso altre città nella forma in cui era arrivato...

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Per tornare al mio post precedente, il mio dubbio era riguardo al fino di queste verghe: non ho dati specifici per Genova nel XI-XII sec. Il fino tipico dell'oro di provenienza africana era ca. 12 carati (dovrei andare a vedere quant'era esattamente, permettetemi un'approssimazione), e in questa composizione era chiamato "pagliola": non so se la zecca di Genova, che era il principale destinatario dell'oro in Italia a quell'epoca, affinasse il metallo per ottenere un fino migliore, o semplicemente lo fondesse tal quale.

Il fino dell'oro africano è di 20 carati e mezzo - 21, quello degli augustali e tarì. L'oro africano o veniva monetato in zecche islamiche come Sigilmassa, Ceuta, Bugia, Fez, etc etc... (e tutte queste emissioni a meno che non mi sbagli erano a 24 carati, gionata potrebbe darci una mano in merito) oppure viaggiava in pagliuzze.

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Hai ragione, errore mio: mai andare a memoria se non si è sicuri al 110%!! :P

Il fino era in effetti 20.1/2 carati; l'eccezione era lo svilimento dell'ultimo periodo di al-Mutansir fino a 16.1/3 carati, poi emulato dai sui successori cristiani, tanto che questo fino era chiamato "oro da tar'" nel XIII sec. (rif. Spufford e Grierson).

(Non so da quale cappello ho tirato fuori i 12 carati... mah)

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Rob

a mio avviso ti stai un po' incartando nella discussione.

Siamo partiti dall'esame della produzione aurea monetata di Genova e Venezia,

poi siamo passati alla circolazioni di metallo aureo - non monetato - che non e' suffragata da alcun dato certo alcuno (almeno per le monete abbiamo le monete in mncanza di altri documenti) ora si disquisice di tenore di fino. Mi sono perso...

qual'e'il punto della discussione (numismatica s'intende) ? cosa si voleva dimostrare ?

pero non che Genova maneggiasse piu' oro di Venezia...

numa numa

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Rob

a mio avviso ti stai un po' incartando nella discussione.

Siamo partiti dall'esame della produzione aurea monetata di Genova e Venezia,

poi siamo passati alla circolazioni di metallo aureo - non monetato - che non e' suffragata da alcun dato certo alcuno (almeno per le monete abbiamo le monete in mncanza di altri documenti) ora si disquisice di tenore di fino. Mi sono perso...

qual'e'il punto della discussione (numismatica s'intende) ? cosa si voleva dimostrare ?

pero non che Genova maneggiasse piu' oro di Venezia...

numa numa

Il genovino d'oro (ed il fiorino a seguire immediatamente) fu una innovazione monetaria sotto vari aspetti: uno di questi il fatto che fosse di oro praticamente puro. Perché oro a 24 K e non 20.1/2 K come l'augustale? Potrei pensare che fosse per avere il massimo valore per unità di peso, ma non è molto probabile che un bel giorno a Genova qualcuno si sia svegliato pensando "perché non facciamo una moneta d'oro, e visto che ci siamo, la facciamo a 24 K?" Evidentemente c'è stato un percorso che ha portato al genovino, che passa per verghe d'oro bollate dello stesso fino. Mi domando in che epoca migliorò il fino, trovo la questione interessante in termini storici e pure numismatici in senso allargato; l'analisi stilistica è fondamentale, ma trovo limitante non approfondire l'aspetto storico/economico.

Il fatto che la zecca di Genova producesse verghe d'oro a 24 K bollate prima del 1256, e che le verghe di metallo prezioso fossero correntemente usate come mezzo di pagamento, e che molto più oro passasse per Genova che per Venezia prima del XIV sec. non sono tesi mie ma di Peter Spufford: se la vuoi contestare non ho obiezioni di sorta, però sarebbe meglio che portassi qualche argomento per sostenere le tue! ;)

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Non dimentichiamo una cosa, nel medioevo la moneta era coniata per conto dei mercanti, i quali portavano metallo in zecca (monetato o meno) e ne ricavavano monete di quella zecca. Non era certo il Comune (o Repubblica) ad avere un piccolo Fort Knox come riserva aurea per coniare la propria moneta. La zecca era un bell'affare (sempre che le quotazioni del metallo non schizzassero troppo in alto) sia per chi ne avesse l'appalto sia per le casse della Repubblica. Probabile che l'esigenza dei mercanti (sempre più attivi e sempre più lontano) sia stata quella di avere una moneta buona per i commerci in oriente, dove la moneta aurea di Costantinopoli era in piena fase di declino (nel XIII secolo gli iperperi hanno un fino "medio" sui 16 carati).

Nel quadro delle coniazioni auree del XIII secolo sarebbe interessante capire il flop del denaro d'oro allo scudo di Luigi IX.

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Non dimentichiamo una cosa, nel medioevo la moneta era coniata per conto dei mercanti, i quali portavano metallo in zecca (monetato o meno) e ne ricavavano monete di quella zecca. Non era certo il Comune (o Repubblica) ad avere un piccolo Fort Knox come riserva aurea per coniare la propria moneta. La zecca era un bell'affare (sempre che le quotazioni del metallo non schizzassero troppo in alto) sia per chi ne avesse l'appalto sia per le casse della Repubblica.

Appunto, e pensate che se davvero a Venezia nella prima metà del XIII secolo ci fosse stata grande disponibilità d'oro la zecca si sarebbe fatto scappare l'occasione di monetarlo? Anche se non ci fosse stato un interesse commerciale diretto da parte dei mercanti a utilizzare oro monetato al posto dei lingotti (e questo c'era sicuramente quando si cominciò a coniare il ducato), penso che la Repubblica non avrebbe faticato più di tanto a imporre per sua iniziativa la transizione all'oro monetato. Mi pare ragionevole a questo punto pensare che a Venezia ci fosse insufficiente disponibilità d'oro almeno per qualche decennio ancora dopo l'inzio della coniazione del fiorino e del genovino, o per oggettiva difficoltà di approvvigionamento, o perché esisteva qualche ragione indipendente di interesse commerciale per continuare a privilegiare il traffico basato sui pagamenti in argento.

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