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Genova - Grosso Tomaso Campofregoso, Doge XIX


fra crasellame

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Dopo questa... basta per qualche tempo. Ho dovuto lottare per averla ma ne è valsa la pena anche se il tondello è un po' ondulato.

Genova – Tomaso di Capofregoso, Doge XIX (1415-1421)

Ag, 21x22mm; 2,50 grammi

D/ : + T ✿ d ✿ C ✿ DVX ✿ IANVENS : XVIII – t C ai lati del castello y sotto

R/ : + ✿ CONRADVS ✿ REX ✿ ROMAN (O) ✿ K ✿

Rif: Lunardi 65; MIR 66

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Mi piacerebbe farvi conoscere un po' meglio questo Doge (anche se agli amici corsi non deve stare molto simpatico... poi vedremo perché), prima di parlare di alcune caratteristiche della moneta come ad esempio il peso ridotto, la t minuscola...

Mi aiuto con qualche passaggio di un documento della Prof. Petti Balbi

Dopo una fortunata carriera politica e militare e dopo taluni tentativi per impadronirsi del potere, Tommaso viene eletto all’unanimità doge il 4 luglio 1415 con prerogative inusuali: si presenta come «preses qui regulis non sit subditus et preses potens qui timeatur a cunctis».

E il contemporaneo cronista Giovanni Stella inquadra l’elezione e le prime azioni del doge in un’atmosfera eccezionale per la città, in un clima di consenso generale che lo colloca al disopra delle fazioni e lo sottrae alle leggi che ne limitano i poteri.

E come si conviene in presenza di una personalità eccezionale, subito il cronista ne traccia un breve profilo, partendo dall’origine della famiglia, dallo stipite e dalla sua veneranda propago:

e penso che non esista termine più appropriato per designare l’ampia casata di origine popolare-mercantile dei Campofregoso che lo Stella fa iniziare non da Domenico, il primo assurto al dogato tra il 1370 e ‘78, amato e apprezzato dai genovesi, ma dal fratello Pietro, il padre di Tommaso, ammiraglio vittorioso nell’impresa di Cipro del 1383 contro i veneziani.

Di questa operazione dinastica, che viene recepita e divulgata dagli estimatori della famiglia, è artefice e abile regista Tommaso stesso. Domenico, che pure era stato il primo doge della famiglia, viene dimenticato, sia perché i suoi figli non avevano appoggiato Tommaso al momento della conquista del potere, ma soprattutto perché il doge vuole fare chiarezza, vuole operare una selezione all’interno della famiglia e imporre la discendenza di Pietro e dei suoi numerosi figli che, dopo la scomparsa del primogenito Orlando e Rolando, si coagulano più o meno spontaneamente attorno a lui, che diventa capo indiscusso del casato per oltre cinquanta anni.

E per rendere in un certo senso visibile ed esternare questo progetto genealogico-dinastico Tommaso non esita a ricorrere al linguaggio pittorico, facendo affrescare l’impresa paterna sulle pareti esterne del palazzo di San Tommaso, l’edifico diventato residenza dei Fregoso, da quando il padre lo aveva avuto in dono dal Comune insieme con l’esenzione fiscale per sé e per il primogenito, in segno di riconoscenza per il successo dell’impresa di Cipro.

Il doge sfrutta così abilmente e anticipa la consuetudine tipicamente rinascimentale e cortigiana di ricorrere alle facciate dipinte e a programmi didattici edificanti per esaltare il proprio casato, una moda che a Genova attecchisce solo dopo Andrea Doria.

Giovanna Petti Balbi

Governare la città.

Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale

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Tommaso si propone sulla scena cittadina come munifico e prodigo governante, sollecito del bene pubblico, perché una precisa conoscenza dello spirito genovese lo induce ad organizzare il suo predominio senza modificare le istituzioni. Dona al pubblico erario 60.000 ducati d’oro per ammortizzare il debito pubblico, con un gesto che ripeterà qualche anno dopo quando, per armare nel 1420 la flotta contro i ribelli corsi sobillati da Alfonso d’Aragona, non esiterà ad impegnare beni e gioielli propri presso taluni banchieri lucchesi. Questi gesti non possono che attirargli generali simpatie e consensi, mentre gli splendidi apparati e le suntuose cerimonie allestite per ospitare il fratello del re di Cipro o Giovanni XXIII testimoniano l’esistenza di un nuovo stile di vita: una corte allietata da musici e cortigiane, costumi e manifestazioni sfarzose adeguate a quelle delle piccole dinastie della penisola, in particolare quella di Paolo Guinigi, che il doge aveva frequentato e che potrebbe essere stato il suo modello di signoria.

Ma è soprattutto il nepotismo, la distribuzione delle più importanti cariche militari e amministrative tra fratelli e parenti che evidenziano quest’evoluzione, questo tendere ad una signoria, pur con un linguaggio e un assetto istituzionale formalmente immutato: «magnanimi patent ipse dux urbis eiusque germani et in multo honore, vestibus, equis, ministris ac apparatu splendido strenuoque regimine micant». E non si deve trascurare la politica dinastica avviata dal doge che sceglie abilmente le consorti di fratelli e nipoti, pescando non più tra la nobiltà genovese, ma tra Guinigi, Manfredi, Malatesta, Ordelaffi, per mettersi al livello dei signori che costellano l’Italia centro-settentrionale, a Lucca, Forli, Rimini, Faenza.

A questi tasselli e queste strategie di affermazione signorile manca però un elemento fondamentale, il successore, l’erede maschio che Tommaso non riuscì ad avere da due mogli diverse. E proprio la mancanza di un erede diretto, l’inevitabile scelta tra i molti fratelli e nipoti apre vistose crepe nella coesione familiare, scatena smodate ambizioni e invidie, spinge taluni a ribellarsi, altri ad allontanarsi dalla città, contribuendo a mio parere, ora e soprattutto durante il secondo dogato, alla caduta di Tommaso e al fallimento del progetto dinastico. La scelta del successore cade su di un nipote, figlio del fratello Bartolomeo e di Caterina Ordelaffi: la stessa adozione del nome Giano, inusuale all’interno del casato, ma altamente significativo e allusivo al mitico fondatore della città e quindi beneaugurante, credo debba attribuirsi a Tommaso più che al padre, come pure l’educazione culturale e militare che lo zio riserva del resto ad altri nipoti.

Giovanna Petti Balbi

Governare la città.

Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale

Spero di non essere stato noioso con questi passi ma Tomaso è stato un personaggio di spicco e meriterebbe qualche attenzione in più.

Per farmi perdonare ecco una foto di famiglia... toujours pour le plasir des yeux ;)

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Bellissima e grazie per la descrizione del periodo allegata che non conoscevo.

Una curiosità: la tua ha la sigla Y sotto al castello e K a fine legenda del R/ mentre la mia (che è nel catalogo a fianco della tua http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-GEV15/2 ) K sotto al castello e Y a fine legenda del R/ ... è la prima volta che mi accordo dell'inversione delle sigle ...

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Io non ne ho la più pallida idea, (comunque la cosa mi incuriosisce anche perchè troviamo anche in altre Dogi che nella stessa moneta vengono scritte le stesse lettere con caratteri diversi ... mi pare, ma in quei casi credevo fosse perchè quella che cambiava era la sigla dello zecchiere - tipo la A "antica" quando le altre A erano "moderne" ed è evidente che non è questo il caso).

Mi viene da azzardare che essendo il soldino più piccolo la T maiuscola era più facile da fare? Più leggibile? mentre sul grosso, che è più accurato nell'esecuzione, abbiano voluto fare una "finezza"... ma capisco che è banale e poi quelli erano artisti che riuscivano a scrivere in spazi ancora più stretti.

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chissà forse proprio per il fatto che tra il soldino e il grosso non c'è molta differenza di diametro e peso era un aiuto per poterle riconoscere ?... considerando infatti che i grossi spesso venivano tosati penso che in un "mucchietto" di grossi e soldini non fosse proprio facile riconoscerli come lo si può fare tra le monete da 1 e da 2 euro

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Domandona...

perché la t nel campo è minuscola mentre in legenda è maiuscola ?

E perché nei soldini è maiuscola ?

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Secondo me è maiuscola in tutti i casi, solo che nel campo del grosso è di fattura/forma leggermente diversa...forse per darle maggiore rilievo vista la posizione.

Saluti MB

Modificato da monbalda
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Sì, potrebbe anche essere onciale maiuscolo, ma non spiega il perché sia diversa in legenda e che nei soldini e nei successivi grossi (come doge XXI) la T sia sempre uguale, mentre spariscono le lettere ai lati del "castello"

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Supporter

Sì, potrebbe anche essere onciale maiuscolo, ma non spiega il perché sia diversa in legenda e che nei soldini e nei successivi grossi (come doge XXI) la T sia sempre uguale, mentre spariscono le lettere ai lati del "castello"

In realtà la T in campo nei doge XXI di un certo tipo c'è (se ho ben interpretato ciò che hai scritto :unsure: ), ed anche se di morfologia più simile a quella in legenda, è di fatto un poco più grande e con le terminazioni dei prolungamenti del "cappello" più arricciolate, quindi differenziata.

Mi parrebbero per ciò variazioni legate alla posizione di queste lettere, più che ad altra recondita motivazione.

Sentiamo comunque anche i pareri dei diversi utenti, magari - se ne avessero - anche con altre immagini di queste monete da postare, per verificare meglio la morfologia delle lettere in discussione.

Un caro saluto MB

Modificato da monbalda
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Ecco un bell'esempio di "t" nel campo (la fotografia è tratta da Wikipedia) ... a me sembra una t minuscola, io mi sono fatto l'idea che potrebbe essere stata scritta minuscola per distinguerlo dai precedenti grossi di Teodoro Marchese di Monferrato.

Mentre per il Soldino non 'era questo problema perchè nel Soldo di Teodoro non ci sono lettere nel campo (se poi era suo quel soldo: il CNI dice che era noto un solo esemplare di soldo/soldino).

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Modificato da dizzeta
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