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Tra Liber e Dioniso


Rapax

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Rieccoci con una discussione a carattere numismatico-mitologico che questa volta ha per oggetto Liber, una figura sicuramente popolare ed intrigante ma sulla cui identità le informazioni generalmente reperibili , in ambito repubblicano soprattutto, risultano piuttosto sommarie e quindi insufficienti per comprendere in concreto ciò che questa divinità rappresentò e ciò che intorno a questa figura si sviluppò in termini di fenomenologie religiose e, soprattutto, sociali.

Tenendo in considerazione il periodo repubblicano tutto, partirei fin da subito con lo sfatare un'opinione piuttosto diffusa che, complice una certa ambiguità iconografica, tende ad identificare con una certa superficialità Liber con Dioniso.

Indubbiamente tale processo di assimilazione c'è stato ma ciò non deve distogliere l'attenzione dal contesto storico di nostro interesse ove, come vedremo, saranno proprio le sostanziali differenze tra queste due figure divine ad illuminarci sul corretto inquadramento di Liber, accadimenti ad esso connessi inclusi.

Al fine di non rendere il tutto eccessivamente impegnativo procederemo, come sempre, un passo alla volta, utilizzando la fonte numismatica, in questo caso molto generosa, quale fulcro di ciascun avanzamento.

Venendo al sodo e riallacciandoci alla premessa fatta poco sopra, prenderei ora in esame un'emissione di grande fascino ed in grado di fornirci un primo spunto di approfondimento che reputo molto importante:

L. Cassius Longinus (78 a.C.)

RRC 386/1

post-1800-0-73074500-1336409507_thumb.jp

http://www.acsearch.....html?id=120025

I ritratti di Libero e di Libera occupano dritto e rovescio di questo denario estremamente ricco di significati, che in questa fase introduttiva andremo tuttavia ad analizzare solo in merito ad un aspetto ben preciso, caratterizzante l'unicità del tipo. Siamo infatti di fronte all'esclusiva rappresentazione monetale di Libera, figura divina paredra associata a Liber ed anche, nel culto aventiniano, a Ceres.

Una superficiale riflessione circa questa figura ci suggerisce di inquadrare questa divinità femminile quale compagna di Liber, ma partendo proprio da questa banale conclusione ecco apparire una sostanziale differenza tra l'italico dio ed il greco Dioniso: Liber ha una corrispondente femminile.

A livello funzionale la triade dell'Aventino ci suggerisce poi un evidente legame con la sfera agreste e, in relazione a questo aspetto, è di estremo interesse quanto trasmessoci da Agostino che, nel De civitate Dei, ci informa circa l'identificazione di Liber quale divinità presiedente la fuoriuscita del seme di sesso maschile e Libera di quello di sesso femminile (De civitate Dei - IV, 11; VII, 2; VII, 3; VII, 16; per i puntuali riscontri: http://www.augustinu.../cdd/index2.htm).

Non solo, dalla medesima fonte emerge anche una definizione di Liber per noi estremamente chiarificatrice:

"Preposero Liber ai semi liquidi e per questo non solo alle parti acquose dei frutti, fra cui, in un certo senso, il vino detiene il primato, ma anche ai semi degli animali..."

(De civitate Dei - VII, 21)

La giurisdizione funzionale di Liber è quindi, in quest'ottica, relazionata al vino ed ai succhi della frutta, ai semi prodotti dagli animali e, conseguentemente, da quelli maschili dell'essere umano.

Questa stupefacente teologia è in grado fornire un comune referente religioso sia al vino che all'effusione del seme maschile, Liber presiede ai semi liquidi, non andando tra l'altro ad invadere la sfera di Ceres, presiedente i frumenti e le biade, dal seme secco.

Vino e fecondità fanno indubbiamente parte anche della religiosità dionisiaca ma la sostanziale differenza tra le due figure divine sta proprio nella differente teologia che le ha prodotte. Nella sfera di Dioniso il vino è strumento utile alla liberazione dei sensi, stato che ricongiunge l'uomo con la natura ed il cosmo, sciogliendo vincoli ed inibizioni.

Il culto di Dioniso è finalizzato all'ottenimento di uno stato di similitudine col dio, il culto di Liber è finalizzato invece alla tutela dei semi liquidi, che portano al vino quale stadio finale di un processo e nondimeno alla procreazione.

Tale differenza è al tempo stesso evidente ed enormemente importante, soprattutto per un cittadino della Roma repubblicana... e più avanti vedremo in dettaglio il perchè.

La sessualità che ruota intorno a Dioniso è ambigua, la divisione tra uomo e donna non è contemplata, il dio stesso è con una certa usualità androgino e la sua natura supera la concezione stessa di maschile e femminile.

Liber invece è Pater, al pari di Giove, Giano, Marte e Quirino, la sua sessualità non è minimamente in discussione ed anzi, la virilità è sua prerogativa essenziale.

Tornando in ambito numismatico tale prerogativa emerge con forza anche nel denario di Cassio Longino ed ora, conseguentemente, siamo in grado di apprezzare maggiormente la valenza "romana" di tale iconografia (...che più avanti ci riserverà comunque altre sorprese ;) ). Un eventuale Liber androgino infatti non ammetterebbe l'esistenza di Libera e di questo abbiamo trovato riscontro nei prima citati passi di Agostino d'Ippona. Libera è complementare a Liber in quanto presiede al seme femminile ed è solo dall'unione dei due semi che può attuarsi la generazione di un nuovo essere.

Potremmo sicuramente contestare certe terminologie non certo appropriate, ma una tale elaborazione, proiettata nel mondo antico, assume un grande valore.

L'esistenza del numen di Libera equivale al rifiuto della concezione aristotelica che vedeva il principio costitutivo dell'essere proprio ed esclusivo dell'uomo, che equiparava quindi la donna ad un semplice supporto materiale. In Aristotele l'uomo è il solo a generare attivamente, la donna è al contrario esclusivamente passiva, non avendo in sé alcun principio generativo.

Libera invece presiede proprio al seme femminile che, esistendo, dona alla donna ed alla femmina in generale un ruolo attivo nella costituzione di un nuovo essere vivente, come sostenuto da Epicuro e Democrito ed anche da Ippocrate e Galeno (Micol Perfigli - Indigitamenta, pp. 73-78)

E' quindi emerso, grazie anche al contributo di una bellissima iconografia monetale, uno degli aspetti fondamentali che rendono il nostro Liber ben diverso da Dioniso. Questo è un primo passo e nel corso della discussione, che preannuncio sarà piuttosto corposa ma al tempo stesso spero molto interessante, affioreranno altre caratteristiche di questa divinità che, sempre grazie alla fonte numismatica, ci consentiranno, senza alcuna forzatura, di toccare numerose tematiche religiose, politiche e sociali della Roma repubblicana.

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Complimenti Andrew e grazie per la foto, di certo questa tipologia non si vede tutti i giorni!

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Rieccoci con una discussione a carattere numismatico-mitologico che questa volta ha per oggetto Liber

Il minimo che possa fare è ringraziarti per questi interventi. Da apprendista di questa materia si rivelano una manna dal cielo.

Grazie :)

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Eccoci alla seconda puntata.

Come riportato da molteplici calendari, il 17 marzo si svolgevano in Roma i Liberalia, ovvero delle celebrazioni che avevano per protagonisti sia le sacerdotesse di Libero che, soprattutto, i maschi appena entrati nell’età adulta.

In tale data i giovani aventi 16 anni compiuti abbandonavano la veste infantile e l’apotropaica bulla per indossare la toga virile. Come riportato da Varrone (De lingua Latina – VI,14), tale festività era chiamata Liberalia in quanto, in quel giorno, per tutta la città siedevano delle vecchie che, in funzione di sacerdotesse di Libero, incoronate d’edera, effettuavano per i clienti sacrifici con focacce ed un focherello (cum libis et foculo pro emptore sacrificantes).

Come acutamente sottolineato dal Sabbatucci (La religione di Roma antica - p.127) un dettaglio fondamentale emerge osservando la fattezza stessa della toga abbandonata dai giovani. Questa infatti era chiamata praetexta ed era identica, non solo nel nome ma anche nella fattura, a quella bordata di rosso riservata ai supremi magistrati. L’interpretazione corrente associa proprio al rosso una valenza protettiva, utile sia ai magistrati, che operavano “fuori dallo stato per esserne al di sopra”, che agli infanti, non ancora protetti dagli iura in quanto non ancora cittadini.

L’importantissimo passaggio costituito dall’acquisizione della toga libera e quindi dello status di cittadino romano è posto, come abbiamo visto, proprio sotto la tutela di Liber, per tramite delle sacerdotesse a lui preposte.

Cosa accomuna quindi questa divinità con l’importantissimo passaggio di status messo in evidenza?

Per assonanza Liber richiama alla libertà, concetto di immensa valenza ed inquadrabile secondo differenti prospettive. Parlare di quella libertà che si contrappone alla prigionia o alla schiavitù ha poco senso in questo contesto, parlare invece di quella conquista sociale che fa del cittadino un individuo avente dei diritti nei confronti dell’autorità cui egli stesso ha conferito il potere ci consente di inquadrare correttamente il concetto. Liber è l’istituto romano della libertà civica, il cui cardine è l’uomo quale cittadino, che dal giorno dei Liberalia potrà divenire capofamiglia e quindi, anch’egli, pater.

Tale concezione di libertà, originariamente patrizia ed antimonarchica, ben si sposa però con la causa plebea ed è proprio tale contrapposizione, fonte prima di quegli scontri sociali caratterizzanti buona parte del periodo repubblicano, che portò il dittatore Aulo Postummio a votare, prima della Battaglia del Lago Regillo al fine di incentivare i plebei a partecipare allo scontro, un santuario a Cerere, Libero e Libera, la triade aventiniana che in molti vedono contrapposta a quella capitolina costituita da Giove, Giunone e Minerva. Tale tempio, poi dedicato da Spurio Cassio Vecellino, ufficializzò in un certo senso l’appropriamento plebeo di Libero ed è Ovidio a fornirci un’indicazione per noi piuttosto interessante:

“la gente dei campi veniva nell’Urbe per assistere ai giochi –ma non era per divertimento, bensì per onorare gli dei, e nel suo giorno per il dio scopritore dell’uva si celebravano giochi che ora egli ha in comune con la dea portatrice di torcia”

(I Fasti – III, 783-785)

L’autore sta parlando dei Liberalia, che un tempo prevedevano quindi dei ludi, poi trasferiti ai festeggiamenti dei Cerialia (la dea portatrice di torcia è naturalmente Cerere).

M. Volteius M.f. (78 a.C.)

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http://www.acsearch....d.html?id=83290

Il senso di questa iconografia non è un mistero per nessuno (vedi gli altri "tipi ludici" di M. Volteius) e altro non fa che fornire un bel riscontro monetale al passo di Ovidio. Tuttavia con questo intervento ho tentato di proporre una convincente spiegazione circa l’origine della forte valenza plebea di Liber che, in contesto numismatico, deve essere tenuta bene in considerazione.

Sottolineo che sui Liberalia ho volutamente omesso una parte molto importante della celebrazione, che rappresenterà un elemento centrale dei successi interventi.

Se qualcuno vuole integrare questa mia omissione ne sarei naturalmente felice ;).

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La festa dei Liberalia rientra nel novero di quelle celebrazioni di carattere iniziatico (alla strgua dei Lupercalia, celebrati il 15 febbraio) che nel sistema calendariale romano venivano connesse ai grandi cicli biotici del cittadino romano e, in particolare, al passaggio dallo stato di puer a quello di vir e pertanto “civis”.

La celebrazione avveniva al compimento del 16° anno di età del fanciullo e si teneva il 17 marzo. Il programma rituale si articolava in varie fasi, delle quali la prima, di natura privata, si svolgeva nell’abitazione del giovane, davanti all’edicola votiva consacrata al culto dei numi tutelari della casa (Larii). La cerimonia prevedeva la deposizione sull’altare della bulla - una sorta di pendente in metallo prezioso o vile indossata come collana e in cui erano contenuti oggetti adibiti a proteggere il fanciullo - e della barba ottenuta dalla prima rasatura, per poi procedere alla sostituzione della toga praetexta (decorata con una striscia di porpora) con la toga virilis, il cui apparato decorativo identificava lo status sociale del giovane attraverso la tipologia della striscia di porpora. Una striscia oblunga (laticlavia) designava l’appartenenza al rango senatorio; una riga più stretta (angusticlavia) connotava invece il cetus equestre; negli altri casi si adoperava una toga monocromatica.

La fase successiva del rituale era di natura pubblica e investiva l’intera sfera cittadina. Il giovane insieme alla famiglia procedeva attraverso le strade della città, dove acquistava dalle sacerdotesse di Libero dolci a base di olio e miele sacro (libae) per poi offrirli al dio. Aveva dunque luogo una processione pubblica nella quale altri ragazzi trainavano per le vie cittadine un carro sormontato da un fallo-fascinus (un fallo posto alla sommità di un bastone), accompagnando il giovane al tempio di Giove sul Campidoglio per essere iscritto nelle liste per il tirocinium militiae. Al termine della cerimonia una matrona copriva il fallo con un piccolo covone di grano. Lo stesso giorno le Vestali si recavano in un luogo in cui c'erano ventisette (secondo altre fonti ventiquattro) piccoli edifici sacri dal tetto di giunchi chiamati Argei, mentrei Salii compivano dei giochi chiamati Agonalia, in onore di Marte.

Come sottolinea A. Dosi (Eros: l’amore in Roma antica, Roma 2008, p. 27 s.), il culto del fallo aveva una funzione simbolica di estrema importanza, dal momento che assicurava la prosperità delle sementi e le proteggeva dalla cattiva sorte operando una sorta di fascinatio sugli spiriti maligni. In quest’ottica è particolarmente significativo che i Liberalia venissero celebrati sul finire dell’inverno, nei giorni che preludono all’arrivo della primavera. E’ il momento in cui l’adolescente, rivestendola toga virile, diviene protagonista della cerimonia destinata alla sua iniziazione sessuale, affinché manifesti la sua capacità di procreare invocando il dio della fertilità. E non è casuale che, nel corso della cerimonia pubblica (il traino del carro), venissero pronunciate parole oscene in quanto esse rivestivano lo stesso significato simbolico dell’esposizione del fallo.

L’intero rituale di queste feste era infatti un ludibrium fondato sulla derisione e sul sarcasmo, un gioco scherzoso che drammatizza il rito. Offrendo all’uomo lo specchio di se stesso, il ludibrium lo libera dall’angoscia e apre una breccia nel rigore delle convenzioni sociali lasciando libero sfogo alla spontaneità. L’oscenità rituale di queste celebrazioni si rivela di particolare importanza, in quanto conferisce all’adolescente la forza virile che deve caratterizzare il cittadino romano.

A giudizio di M. Torelli (Riti di passaggio maschili di Roma arcaica, "Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité", CII/1 (1990), p. 93 ss.), infatti, le iniziazioni giovanili, a Roma come altrove, sacralizzano la verifica che la società richiede alla propria componente giovanile per ammetterla nel suo seno a pieno titolo e dunque certificano che i giovani uomini e le giovani donne sottoposti alle prove sono pronti a svolgere i ruoli fondamentali che la società assegna sia agli uni che alle altre. Ora, se il destino attribuito alle donne romane è quello della riproduzione biologica (senza apparente interesse per una particolare pedagogia sociale), il cittadino di Roma arcaica ha invece un compito sociale precipuo, quello della guerra, e i riti di passaggio assegnati ai giovani maschi coerentemente enfatizzano appunto la pedagogia guerriera che culmina nella religione saliare. Tale enfasi è decisamente costante nella storia religiosa dell’urbs tra la protostoria e il IV secolo a.C. Quest'ultima data risulta senz'altro epocale per la trasformazione dell'economia, della politica, della cultura e della mentalità, in una parola la fine della società arcaica: non è un caso perciò che il sacerdozio saliare, in quanto relitto culturale privo di ogni importanza politica, venga dalla lex Ogulnia del 300 a.C. lasciato ai patrizi, e tutto ciò nello stesso momento in cui la documentazione archeologica mostra come i segni dei riti iniziatici- la tonsura prima di ogni altra cosa, ma anche l'antico matrimonio per usus (o per ratto) - tendano progressivamente a scomparire, privi come sono di un'autentica funzione coerente con i comportamenti collettivi e perciò sempre meno compresi da una cultura ormai radicata nelle metropoli dell'area tirrenica.

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Ringrazio moltissimo Bass per il gentile apprezzamento ed Enzo per l’intervento, praticamente perfetto, ove ha illustrato con estrema accuratezza tutta la celebrazione dei Liberalia.

Aveva dunque luogo una processione pubblica nella quale altri ragazzi trainavano per le vie cittadine un carro sormontato da un fallo-fascinus (un fallo posto alla sommità di un bastone), accompagnando il giovane al tempio di Giove sul Campidoglio per essere iscritto nelle liste per il tirocinium militiae.

Questo passo è molto importante poiché, se da un lato conferma quanto detto in precedenza circa il ruolo di Liber quale protettore dei semi umidi, dall’altro ci informa su un aspetto che potrebbe sembrare scontato o addirittura scarsamente significativo. Mi riferisco all’ultima tappa della processione che, come precisato da Dracma, si conclude con la salita al Campidoglio.

Giove è il sommo dio, che medica, modera e governa sullo Stato romano. La religione di Roma è la religione di Giove in quanto, quale re degli dei, dalla fase post-monarchica esso diviene garante supremo della res pubblica.

In tal senso la libertà assoluta diviene un concetto ostile ai fondamenti civici della repubblica stessa in quanto l’esistenza di quest’ultima dipende dal rispetto di leggi, regole e norme civiche. Giove è quindi in opposizione alle ideologie anarcoidi e, nell’ambito di nostro interesse, è ipotizzabile una diretta opposizione a Dioniso stesso, sicuramente conosciuto dai romani almeno dal IV secolo a.C., della quale troviamo ad esempio traccia nella proibizione per il flamen Dialis di passare sotto a vitigni troppo rigogliosi, o di toccare e nominare l’edera o ancora nel divieto, sempre per il sacerdote di Giove, di mangiare carne cruda.

Il Liber romano non è il Dioniso greco ma è pur vero che la sovrapposizione tra queste due figure costituiva un potenziale rischio, soprattutto nell’ambito dei culti privati.

La libertas repubblicana portata da Liber è tuttavia assai diversa dalla libertà dionisiaca, in quanto quest’ultima rappresenta lo scioglimento assoluto da ogni vincolo (Dionysos è lysios), mentre la prima rende il cittadino romano libero in quanto parte integrante e fondamentale di una concezione civica antimonarchica ed antitirannica. A Roma si diviene liberi in quanto si diviene cittadini, ma questo status è comunque sottoposto alla res pubblica e quindi a Giove, il dio che ha dunque anche il compito di moderare Liber al fine di portarlo all'interno della concezione repubblicana stessa.

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La cosiddetta copia del Senatus consultum de Bacchanalibus

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Riproduzione della tavola di Tiriolo (CZ)

Testo latino

[Q]. Marcius L..f. S. Postumius L. f. cos. senatum consoluerunt n(onis) octob(ribus) apud aedem Duelonai . sc(ibundo) arf(uere) M. Claudi. M. f. L. Valeri. P. f. Q. Minuci. C. f. de Bacanalibus , quei foideratei esent, ita exdeicendum censuere : «Neiquis eorum sacanal (errore materiale perbacanal) habuise uelet . sei ques esent quei sibei deicerent necessus ese bacanal habere, eeis utei ad pr urbanum Romam uenirent, deque eeis rebus, ubei eorum utra (errore materiale peruerba) audita esent, utei senatus noster decerneret, dum ne minus senatorbus C adesent [quom (e]a res consoleretur. Bacas uir nequis adiese uelet ceiuis Romanus neue nominus Latini neue socium quisquam nisei pr urbanum adiesent , isque [d]e senatuos sententiad dum ne minus senatoribus C adesent quom ea res cosoleretur iousisent. censuere. Sacerdos nequis uir eset. Magister neque uir neque mulier quisquam eset. Neue pecuniam quisquam eorum comoine[m ha]buise ue[l]et neque magistratum neue pro magistratuo neue uirum [neque mul]ierem quiquam fecise uelet. Neue post hac inter sed conioura[se neu]e comuouise neue conspondise neue conpromesise uelet, neue quisquam fidem inter sed dedise uelet. Sacra in dquoltod (errore materiale per oquoltod) ne quisquam fecise uelet. Neue in poplicod neue in preiuatod neue extrad urbem sacra quisquam fecise uelet, nisei pr urbanum adieset, isque de senatuos sententiad, dum ne minus senatoribus C adesent quom ea res consoleretur, iousisent. Censuere. Homines plous V oinuorsei uirei atque mulieres sacra ne quisquam fecise uelet, neue inter ibei uirei plous duobus, mulieribus plous tribus arfuise uelent, nisei de pr urbani senatuosque sententiad, utei suprad scriptum est. » Haice utei in conventionid exdeicatis ne minus trinum noundinum, senatuosque sententiam utei scientes esetis, eorum sententia ita fuit : « sei ques esent, quei aruorsum ead fecisent, quam suprad scriptum est, eeis rem caputalem faciendam censuere ». atque utei hoce in tabolam aheneam inceideretis, ita senatus aiquom censuit, uteique eam figier ioubeatis ubei facilumed gnoscier potisit, atque utei Bacanalia sei qua sunt, axstrad quam sei quid ibei sacri est ita utei suprad scriptum est, in diebus X quibus uobeis tabelai datai erunt faciatis utei dismota sient.

In agro teurano.

Traduzione

I consoli Q. Marcio figlio di Lucio e S. Postumio figlio di Lucio hanno consultato il senato alle none di Ottobre (7 ottobre) nel tempio di Bellona. Hanno svolto le funzioni di segretari M. Claudio figlio di Marco, L. Valerio figlio di Publio, Q. Minucio figlio di Gaio. Sui Baccanali hanno deciso che bisognasse promulgare agli associati (lett. "a coloro che fossero associati") queste disposizioni (lett. "così"): Nessuno di essi volesse tenere un Baccanale; nel caso vi fossero alcuni che affermassero che fosse necessario tenere un Baccanale, (hanno deciso) che essi venissero a Roma dal pretore urbano e su tali questioni decidesse il senato, dopo aver ascoltato le loro parole, purché fossero presenti non meno di cento senatori, quando tale questione venisse discussa. Nessun uomo volesse partecipare alle riunioni delle baccanti, né un cittadino romano, né uno di nome latino né un alleato, se non si fosse presentato dal pretore urbano ed egli avesse dato l'autorizzazione, conforme al parere del senato, purché fossero presenti non meno di cento senatori, quando tale questione venisse discussa. Nessun uomo fosse sacerdote. Nessun uomo o donna fosse direttore. Nessuno di loro fosse tesoriere di denaro comune né volesse nominare uomo o donna magistrato o vice magistrato. Nessuno da ora in poi volesse vincolarsi con giuramenti, con voti, con promesse, con obblighi, né volesse stabilire rapporti reciproci di fiducia. Nessuno volesse celebrare riti sacri in segreto. Nessuno volesse celebrare riti sacri né in pubblico né in privato né fuori città, se non si fosse presentato dal pretore urbano ed egli avesse dato l'autorizzazione conforme al parere del senato, purché fossero presenti non meno di cento senatori, quando tale questione venisse discussa. Hanno deciso. Nessuno volesse celebrare riti sacri se fossero presenti più di cinque persone, uomini e donne, e tra di essi non volessero essere presenti più di due uomini e più di tre donne, qualora non vi fosse l'autorizzazione del pretore urbano e del senato, come sopra è stato scritto. La loro decisione è stata così che conosceste il parere del senato e rendiate pubbliche in assemblea queste decisioni durante non meno di uno spazio di tre mercati consecutivi: "Se vi fosse qualcuno che agisse in modo contrario a quanto è stato scritto sopra, hanno deciso che bisogna intentare loro un processo capitale". Il senato ha giustamente deciso così che incideste questo decreto su una tavola di bronzo, e che la facciate affiggere dove con molta facilità possa essere conosciuta e che, come sopra è stato scritto, facciate rimuovere, entro dieci giorni dalla consegna della tavola, i Baccanali, se ve ne è qualcuno, tranne quelli in cui c'è qualcosa di venerabile.

Nel territorio dei Teurani

Per approfondimenti sull'argomento:

In particolare:

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Il testo riportato nel precedente intervento si riferisce "all'affare dei bacchanalia" del 186 a.C. che, come noto, bloccò e stroncò con tremenda efficacia l'espansione del culto misterico ed orgiastico di una ben precisa divinità. Pur essendo in abito propriamente romano, sia nella fonte epigrafica del Senatoconsulto de Bacchanalibus che in Livio (Ad Urbe condita - XXXIX, 18) è fondamentale notare la totale assenza di un qualsiasi riferimento a Libero; com'è evidente la repressione puntava infatti ad estirpare il culto di Bacco.

Lo stesso nome Bacchus è sinonimo di grida e di rumore (oggi conservatosi ad esempio in baccano) ed è quindi strettamente connesso ad una componente teologica puramente dionisiaca (Dionysos bacchos) legata alla possessione, condizione estatica di totale e primordiale disinibizione, indotta dal licenzioso dio anche attraverso il vino. Il Liber romano, a differenza di Dioniso e di Bacco, governa sul vino in quanto prodotto liquido di un seme ma non ha competenza sul suo potere e sui suoi effetti (E. Montanari - Fumosae Imagines, p.124).

L'interpretatio romana di Dioniso, filtrata e mitigata dal mos maiorum, ha in Liber una figura teologicamente e cultualmente ben inquadrata. In ambito pubblico la licentia dionisiaca è totalmente bloccata già a livello concettuale ma la situazione è ben diversa in ambito privato, ove il conservatorismo degli ottimati fatica a penetrare e ad imporre i suoi principi di morigeratezza. E' in questa non trascurabile realtà che avviene l'effettiva permeazione del dionisismo, che non limita il suo manifestarsi ai soli culti bacchici, ma penetra e si palesa anche in altri contesti.

L'incontro-scontro religioso tra Liber in Giove e Bacco-Dioniso tende ad assumere i tratti di un conflitto politico e sociale, Libero è la divinità ufficiale e pubblica che, in chiave popolare, funge da maschera per un'entità simbolo di libertà sociale, che può rompere quei vincoli che rendono gli appartenenti ai ceti più bassi dei cittadini praticamente privi di diritti ma sui quali gravano inesorabilmente imposizioni, soprusi e doveri.

Non si prospetta uno scontro tra l'istituzione repubblicana ed una setta di iniziati numericamente limitata:

Multitudinem ingentem, alterum iam prope populum esse

(Tito Livio - Ad Urbe condita - XXXIX, 13)

Stiamo entrando nel vivo... l'aspetto numismatico è passato in secondo piano... ma solo momentaneamente.

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La repressione del 186 a.C. fu senza dubbio vasta, incisiva e profondamente significativa in quanto rappresentò un’azione molto dura e straordinaria, destinata a lasciare un profondo segno nella storia romana, repubblicana in particolare. I culti bacchici subirono sicuramente una massiccia battuta d’arresto ma tale movimento, non rappresentando una religione parallela esclusivamente ritualistica ma bensì animata da profonde ideologie, permeò e riversò parte delle proprie concezioni in ambiti più difficilmente controllabili, divenendo sfuggente e ritagliandosi i propri spazi al limite estremo della liceità.

Le possibilità di intaccare ed alterare l’impianto ritualistico romano, struttura base del culto pubblico, erano, visto il forte potere detenuto dalle istituzioni destinate a gestirlo, piuttosto limitate ma è anche vero che, nella Roma repubblicana, esistevano anche altre forme di aggregazione pubblica sulle quali la scure dei censori riusciva a ricadere con minor efficacia.

Il “dionisismo bacchico” non venne infatti completamente cancellato ma divenne invece immateriale, penetrando nebulosamente, come abbiamo visto, nell’ambito della religione e della politica popolare tramite un Liber portatore di una particolare libertas. Vi è tuttavia un altro particolare contesto ove tracce di permeazione dionisiaca emergono con una certa evidenza, prima e dopo "l'affare dei bacchanali"… qualcuno ha qualche idea?

Si può rispondere anche tramite l’immagine di un particolare denario… ;)

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Ad integrazione dell'ottimo excursus di Rapax, direi che ulteriori testimonianze di reminiscenze "bacchiche" possono trovarsi nella produzione monetaria del secondo triumvirato e, in particolare, sui denari siglati da C. Vibius Varus (RRC 494/36: 42 a.C.) che presentano la seguente tipologia:

D/ Testa coronata di Liber a d.

R/ Altare adorno di ghirlanda, su cui sono posti maschera e thyrsum; a d., una pantera appoggia le zampe anteriori all’altare. In esergo C. VIBIVS, a d. VARVS.

http://www.acsearch.....html?id=195252

Interessante è anche un denarius augusteo del monetiere P. Petronius Turpilianus (RIC 287: 18 a.C.) che presenta al D/ proprio la testa di Bacco coronata da foglie d’edera.

http://www.acsearch....e.html?id=46853

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Inutile dire che dracma ha nuovamente colto nel segno... e molto probabilmente sta "reggendo il gioco" :D.

In effetti è piuttosto ovvio, da profondo conoscitore della monetazione magnogreca Enzo ben sa di cosa stiamo parlando.

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Il denario citato è esattamente quello a cui mi riferivo, ma mi rendo conto che il collegamento ad "un'altra forma di aggregazione pubblica" potrebbe risultare piuttosto criptico.

Al fine di rendere meno enigmatico tale passaggio riporto un passo dell'Alteri a proposito delle maschere che compaiono sui denari di D. Iunius Silanus, C. Vibius C.f. Pansa e C. Vibius Pansa Caetronianus, identiche a quella poggiata sull'altare che compare al rovescio della nostra emissione di Vibius Varus :

"Silenus, Pan e Dionysus ci vengono presentati su queste emissioni con le relative maschere, bene disegnate di profilo e caratterizzate dalla assoluta mancanza del collo: maschere sceniche, quali coprivano il capo dell'attore."

(Tipologia delle monete della Repubblica di Roma - p.162).

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Il divieto di celebrare i Baccanali, sancito col celebre Senatus consultum del 186 a.C., non comportò lo spegnimento dell’interesse verso Liber/Bacchus, né l’estinzione del suo culto. Lo attesta, come ha ben evidenziato Rapax, proprio la documentazione numismatica attraverso il diffuso utilizzo di iconografie attinenti alla sfera dionisiaco/bacchica sulle monete di numerose gentes repubblicane.

Mutano tuttavia i caratteri e l’ideologia del culto, connotato da una certa “formalizzazione” di quell’ “idealtipo dionisiaco” dalla cui forma archetipica tuttavia i Romani si tenevano (almeno pubblicamente) ben lontani.

Tuttavia nel privato le cose andavano diversamente......

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...e non solo nel privato, direi anche, utilizzando un termine in grado di abbracciare un contesto più ampio, nel "popolare".

Vi invito ora a leggere questa breve trattazione:

La libertas tra scena e vita nel teatro comico latino.pdf

(Fonte: http://www.ledonline...o-e-teatro.html)

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