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La monetazione delle colonie


L. Licinio Lucullo

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Molti "imperi" si erano succeduti sul teatro mediterraneo prima dell'imposizione di Roma.

Il vicino oriente fu unificato prima dagli Assiri (la cui memoria storica risale persino al XV secolo), poi dai Babilonesi, dai Persiani e infine dagli eserciti greci di Alessandro Magno, che assoggettò tutto il mondo conosciuto dalle coste dell'Epiro alla valle dell'Indo.

In Occidente piantarono colonie prima i Fenici, poi i Greci, e ogni polis fossero a tutti gli effetti uno Stato indipendente alcune di esse (Cartagine, Marsiglia, Siracusa, Taranto) riuscirono, in tempi diversi, a dominare su vasti territorî.

Nella terraferma fu esemplare l'espansione dei Celti che, seppur anch'essi divisi in tribù indipendenti, dominarono nella penisola iberica, sulle isole britanniche, in Gallia (comprendente Francia, Belgio, Svizzera e Italia centro-settentrionale), Pannonia (attuali Austria ed Ungheria) e perfino in Galazia (nell'attuale Turchia).

Perdonate se ne ho dimenticato alcuni.

Tutte queste entità, tuttavia, erano frammentate. Quelle omogenee per cultura (Fenici, Greci, Celti) mancavano di unità politica; quelle invece accentrate sul piano politico (gli imperi orientali e quello di Cartagine) manifestavano una estrema frammentazione socio-culturale. In termini moderni, possiamo dire che dove c'era la nazione non c'era lo Stato, e dove invece c'era lo Stato era frammentato dalle tensioni fra nazionalità diverse.

L'impero di Roma fu invece, com'è ben noto, assolutamente differente. L'Urbe lasciò, nei territori dominati, un'impronta culturale profonda; la sua forza d'assimilazione era grande giungeva fin negli strati più umili della popolazione, come dimostrano ancor oggi la diffusione del Cristianesimo (religione ufficiale del basso Impero) e delle lingue derivate dal Latino (particolarmente significative queste, in quanto emergono alla fine del Medio Evo come lingue dei poveri). Basta considerare che i discendenti delle popolazioni della Dacia, il cui territorio è stato assoggettato per soli 170 anni, parlano ancor oggi una lingua latina.

La coesione culturale (e in parte sociale) dell'impero romano deriva direttamente le sue radici dall'unificazione dell'Italia, in cui Roma riuscì a creare una nazione partendo da un territorio frammentato in decine di etnie diverse, alcune indigene, altre indoeuropee, fagocitando peraltro due forti nazionalità preesistenti, Etruschi e Magnogreci.

La base di questa omogeneizzazione culturale culmina, al termine del bellum sociale, nell'assimilazione giuridica, ma ha le sue radici, secondo l'acuta analisi del Mommsen, nella politica coloniale attuata da Roma fra la fine del IV secolo a.C. e la prima metà del III, che ebbe l'effetto (seppur indiretto) di "romanizzare" i popoli italici.

Il fenomeno coloniale ebbe manifestazioni diverse, prima di Roma.

I Fenici impiantavano fattorie fortificate, alcune delle quali cresciute in borghi, a presidio delle località che meglio si prestavano all'attività mercantile. Alcuni di questi siti, secondo Andrè Piganiol, si possono identificare per la persistenza di un'ara dedicata a Eracle/Ercole, sovrappostosi alla corrispondente divinità punica, e quindi una si sarebbe trovata proprio nel cuore della futura Roma, nella stupefacente area di Sant'Omobono (http://it.wikipedia.org/wiki/Area_di_Sant'Omobono)

Le popolazioni elleniche invece usarono, sin dai tempi più antichi, allestire spedizioni navali verso l'ignoto Occidente, soprattutto per dare sfogo alla pressione demografica. I coloni, ottenuta la benedizione della città-madre (metropoli), partivano all'avventura, cercando di crearsi una nuova vita contendendo duramente i migliori siti geografici alle popolazioni indigene. Quelli che sopravvivevano fondavano così una nuova città-Stato, stretta da forti legami culturali alla metropoli, ma assolutamente indipendente.

Non dissimile dalla colonizzazione greca è quella attuata dagli Umbri, e da altri popoli italici da essi derivati, con l'istituto del ver sacrum (http://it.wikipedia.org/wiki/Ver_sacrum).

Alessandro Magno invece applicò, su scala sistematica, la pratica dell'installazione di forti comunità militari (le infinite "Alessandria" da lui fatte fondare) a presidio degli snodi stradali strategici del suo vasto dominio.

La politica coloniale di Roma fu invece diversa, e conobbe in epoca repubblicana tre fasi, come appunto evidenziato dal Mommsen: la deduzione delle coloniae civium Romanorum, quella delle coloniae iuris Latini e infine la fondazione, a partire da Mario (fine II secolo a.C.), di colonie militari, destinate a stanziare i soldati congedati (di questa ultima tipologia non discorreremo).

La prima idea di "distaccare" una comunità romana a presidio di una località strategica, che in quell'epoca remotissima era niente meno che il porto di Roma, sarebbe venuta ad Anco Marzio nel 620 a.C.. Lo stesso modello sarebbe stato adottato per presidiare posizioni dominanti nell'entroterra: tradizioni meno attendibili attribuiscono all'età regia anche la deduzione di colonie a Fidenae (a opera, nientemeno, di Romolo, secondo Plutarco) e Signia (a opera di Tarquinio il Superbo).

In epoca più sicuramente documentata, la deduzione di coloniae civium Romanorum fu uno strumento utilizzato per porre piccoli presidi (normalmente 300 cittadini, con relativi familiari) a tutela degli sbocchi marittimi della Repubblica, come ad Antium (338 a.C.) e Terracina (329).

Le coloniae civium Romanorum, propaggini della città-Stato (enclave, le definiremmo noi oggi), non batterono moneta.

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Dopo questa lunga premessa, che spero non vi abbia stufato, arriviamo finalmente a quel che ci interessa direttamente: la deduzione di coloniae iuris Latini.

Mommsen ha evidenziato come la penetrazione romana verso la Campania sia stata garantita, sul piano militare, dall'installazione di forti presìdi militari in località fortificata lungo la dorsale appenninica che fu, così, progressivamente trasformata in una "spina nel fianco" delle popolazioni sabelliche. Queste piazzeforti permettevano di controllare le vie di comunicazione (la via Latina e, dopo la sua costruzione, la via Appia), separare le popolazioni non ancora assoggettate (secondo il noto modello del divide et impera) e intimidire quelle alleate e più o meno assoggettate.

Il modello fu probabilmente trovato nelle città di Cora (Cori) e Norba (Norma), collocate in posizione dominante sulle pendici appenniniche. Erano due città "autenticamente latine", città dei Prisci Latini; forse erano state esse stesse, in un'epoca di cui ormai si è persa memoria, piazzeforti avanzate della nazione latina. Fatto sta che quando, nel 334, Roma decise di installare una piazzaforte a Cales (Calvi Risorta), per controllare l'espansione sannita e l'insicura fedeltà dei Capuani (consegnatisi spontaneamente a Roma con la deditio del 343), oltre che per vigilare sull'Appia, dopo la sua realizzazione, attuò il modello delle cosiddette "colonie latine postume". 6.000 uomini armati (con le rispettive famiglie) furono installati in un abitato fortificato, sul suolo sottratto a una comunità preesistente e assoggettata (Cales, in particolare, era un antico centro degli Ausoni, conquistato da Roma nel 335). Poiché tuttavia la loro nuova collocazione geografica appariva inconciliabile con i limiti posti alla vita pubblica dalla struttura di città-Stato che ancora Roma conservava; fu così piegato (con tipica mentalità romana) all'esigenza del momento uno strumento giuridico nato in epoca più remota per fini diversi, e si finse che Cales fosse una colonia dedotta dalla Lega latina, sebbene questa fosse stata sciolta 4 anni prima (nel 338). Era nato il modello della colonia iuris Latini, come detto, "postuma".

La genialità dell'insediamento di Cales è dimostrata dal fatto che esso fu la vera causa, per parte Sannita, della guerra che ne seguì contro Roma. Sia dopo la nota sconfitta delle forche caudine (321) che nel prosieguo della guerra i Sanniti offrirono la pace a Roma, in cambio (fra l'altro) dello smantellamento della piazzaforte di Cales (oltre ad altre condizioni), ma Roma, com'è noto, rifiutò.

L'espediente fu reiterato a Suessa Aurunca, centro degli Aurunci annesso da Roma con la sconfitta della Pentapoli aurunca, nel 313, con la deduzione di circa 3.000 coloni.

Veniamo finalmente al terreno strettamente numismatico.

Vi mostro ora una serie di monete di bronzo correntemente classificate come "oboli", di cui si è già parlato nel forum, con un tecnicismo ben maggiore del mio, in questa discussione: http://www.lamoneta.it/topic/81113-la-monetazione-di-suessa/page__hl__suessa__st__15

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CALENO, "dei cittadini di Cales". 18-20 mm di diametro (gli esemplari che io ho censito nei passaggi in asta), 5,24-7,27 g di peso

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TIANO, "dei cittadini di Teanum Sidicinum" (capitale della popolazione osca dei Sidicini, alleatisi nel 340 con i Latini contro Roma, fu conquistata forse nel 334), 19-21 mm, 6,36-7,99 g

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CAIATINO "degli abitanti di Caiatia" (città osco-sannita espugnata dal console Giunio Bubulco durante la Seconda Guerra Sannitica del 326-304), 20,5 mm, 4,97 g

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Altre due monete analoghe (HN Italy 457 e HN Italy 2661), di cui non ho trovato la foto, sono attribuite, seppur dubitativamente, a Telesia e Venafrum, città sannite assoggetate da Roma in epoca incerta.

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E' interessante vedere queste località su una cartina (perdonatemi se ho utilizzato una moderna, per semplicità, anziché una dell'Italia preromana): li ho riportati in ordine alfabetico (1 - Aquinum, 2 - Caiatia, 3 - Cales, 4 - Suessa, 5 - Teanum, 6 - Telesia, 7 - Venafrum).

Si rende visivamente la politica, già detta, sottesa alla deduzione delle colonie

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Queste monete rientrano in una monetazione più ampia, una nuova serie monetale composta di nominali simili (per tipologia, stile, simboli e segni) fra loro e a quelli di Roma e Neapolis, insieme a cui furono tesaurizzati. La serie era composta da didracma di piede focese-campano (g 7,2 circa), con tipi differenti differenti a seconda della città; bronzo recante al dritto Apollo e al retro il toro androposopo (ispirato ai bronzi di Neapolis); i bronzi già illustrati, Minerva/gallo sovrastato da stella, con peso medio di 6,33 g a Cales e 6 a Teanum e due diverse fasce ponderali a Suessa, da 6,9 a 6 g la prima, da 5 a 4 g la seconda; altri tipi di bronzi locali.

Non tutte le zecche coniarono tutti i nominali; inoltre, a Cales era presente anche una dracma Apollo/gallo (sempre che effettivamente, come si ritiene, dei sei esemplari noti almeno tre siano autentici). Vi allego uno schema delle emissioni.

Molti studiosi ritengono che queste monete dimostrino l'esistenza di un'autorità di controllo e di un sistema di circolazione comuni. Il ricorso a etnici in lettere latine e le aree di circolazione, che toccano territori di precoce influenza romana, permettono di escludere l’ipotesi di una convenzione o lega in chiave antiromana, ma piuttosto di una produzione monetaria curata da alleati filoromani poi diffusasi presso altre popolazioni (Sanniti, Volsci, Etruschi e persino popolazioni della Sicilia). Secondo Garrucci, ripreso da Head, queste monete sono il frutto di un trattato di alleanza con Roma, che consentiva ai socii di battere moneta a nome proprio.

La datazione di queste monete è solitamente posta, seguendo il Rutter, al 268-240 circa, ma il termine post quem deriva da un'antica opinione secondo cui Roma, con l'emissione del denario, impose un'articolata riforma monetaria anche nelle comunità soggette. Questa teoria andrebbe quindi oggi completamente rivista, alla luce della rivisitazione della data di introduzione del denario (Amisano). Valente, per esempio, colloca il bronzo Atena/gallo di Suessa al 270.

didracma.pdf

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In quegli anni Roma emette il bronzo RRC 17/1: http://numismatica-c...t/moneta/R-RC/7.

Le somiglianze sono stupefacenti. Il dritto è lo stesso di quello della monetazione delle colonie; solo che i cataloghi parlano di Minerva per Roma, e talvolta di Atena per le colonie, due divinità che peraltro nei secoli vennero a identificarsi. La legenda è, notoriamente, ROMANO.

Per la moneta di Roma si parla di "litra" (le monete delle colonie vengono invece solitamente qualificate come "oboli"), ma è notoriamente una denominazione moderna. L'ampiezza dei dati ponderali noti (2,64-8,57 g) include quello delle monete delle colonie. Il diametro è invece generalmente inferiore (16-18 mm), ma McCabe censisce un esemplare di 21 mm.

Il retro è invece diverso: a Roma compare la protome equina, ripresa dalla didracma RRC 13/1 e mantenuta sulla successiva serie enea (RRC 25/3).

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Queste monete sono correntemente catalogate come "greche", in ossequio alla fattura (esistono incroci di conii con le monete di Neapolis) e al dato, formale, che le coloniae iuris Latini non erano, giuridicamente parlando, parti integranti della città-Stato di Roma. Tuttavia, mi sembra più corretto vedervi (almeno per quanto riguarda i bronzi Atena/gallo) una monetazione "militare", che doveva sostenere il radicarsi delle piazzeforti nel territorio, e quindi in fin dei conti una monetazione "romano-campana" latu sensu.

Gnecchi osserva che il gallo è simbolo di solerzia, vigilanza, industria e di combattività, sacro ad Apollo, a Mercurio, a Luni e a Marte. Comparette concorda sul fatto che il gallo simbolizzi la vigilanza costante (anche notturna, da cui la stella) che gli alleati di Roma si impegnarono a mantenere. Nella monetazione della metropoli, se non sbaglio, il gallo non compare, a parte la sua limitata apparizione sull'aes signatum (http://numismatica-c...oneta/R-AESS/10).

E' come se l'Urbe avesse schierato, oltre alle piazzeforti, il loro corrispettivo numismatico.

Il retro distingue la moneta coloniale da quella metropolitana.

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Il fenomeno della monetazione "militare" delle colonie trova un corrispettivo interesante in una colonia dedotta invece a nord di Roma, nel cuore dell'Etruria, nell'anno 273, Cosa Volcientium.

La colonia emise una serie militare bronzea che, a parte la legenda, è proprio indistinguibile dalla RRC 17/1. Per un motivo che non sappiamo, agli abitanti di Cosa, a differenza di quelli di Cales e Suessa, fu concesso di adottare il retro della metropoli, con la protome equina.

COZANO, 16-18 mm, 4,5-5,08 g (ma ho letto che i pesi esistenti arrivano fino a 8 grammi e si addensano attorno a uno standard teorico di 6,75, ovvero una quartoncia librale). Una moneta che trovo particolarmente affascinante ma, aihmè, cara

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Il modello è quello dell'euro: una faccia identica, l'altra variabile, per comunità fra loro federate.

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Molto interessante la ricostruzione generale delle emissioni coloniali.

Da quanto si evince da tale ricostruzione, mi sembra di capire che preferisci spostare le emissioni con testa di Atena/Gallo e astro agli anni immediatamente successivi alla sconfitta di Pirro (275 a.C.), che videro anche un notevole riposizionamento delle forze romane verso l'interno della Campania e del Sannio, fin verso l'Apulia, piuttosto che per la cronologia maggiormente seguita (come attestato dal Rutter su H.N.), 265-240 a.C., ossia agli anni della prima guerra punica che in realtà si svolse più a sud.

C'è da rilevare che tale gruppo di emissioni federate attende ancora una soddisfacente collocazione storica e la tua ipotesi di anticipare di alcuni anni (circa un decennio) non appare peregrina.

Complimenti per l'attenta disamina ed è sempre molto importante creare confronti e paralleli con altre emissioni, comprese quelle urbane di Roma.

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Sì, mi sembra una deduzione accettabile e consequenziale. Quantomeno, se la riduzione ponderale deve essere intesa come sequenza cronologica anche per queste monete, potremmo affermare che le prime (quelled a 8 g) apparvero verso il 275. Questa data sarebbe confermata dall'emissione di Cosa, che è lecito supporre contemporanea alla deduzione della colonia, o di poco posteriore.

Considerare queste emissioni come un tutt'uno permette anche di riprendere in esame il problema del loro valore nominale. Certo, non mi sembra ammissibile l'affermazione secondo cui l'emissione romana e quella cosana siano "litre" (termine peraltro sussunto dalla monetazione siciliana, se non sbaglio) e le altre "oboli": anche ammesso, in ipotesi, che non siano emissioni facenti parte di un'unica "serie", come l'euro appunto (il che mi sembra ben difficile), erano comunque palesemente monete destinate a circolare assieme, e ho letto che i ritrovamenti nei ripostigli lo confermano.

Purtroppo, non ricordo dove ho letto l'ipotesi che la moneta di Cosa e quella di Roma fossero quartonce librali. L'ipotesi è suggestiva, e concorda con l'ipotesi di datazione alle guerre pirriche. Potrebbe essere lo stesso per le monete con il gallo? In effetti, si ritiene che le colonie abbiano adottato due diversi bronzi "standardizzati" proprio per destinarlia due mercati diversi: quello col toro androposopo al mercato magnogerco, quello col gallo al mercato latino. Potrebbe allora quest'ultimo essere una quartoncia?

Certo, questa ipotesi implica che esistessero, già con le emissioni librali, monete coniate. Ma perché no?

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E così arriviamo al problema della zecca.

Si ritiene correntemente che le monete a legenda ROMANO provengano da zecca magnogreca, e si propende, per lo più, per Napoli o Capua (ma sono state chiamate in causa anche Metaponto, per il didracma Marte/protome equina, e Messina, per il bronzo con l'aquila).

Ma consideriamo tutto l'insieme delle emissioni coloniali.

Indubbiamente, il bronzo con il toro androposopo è opera di artigiani magnogreci, come attestano incroci di conio con le monete di Neapolis (esistono persino due esemplari forse oggetto di errori, Sambon 693 e 694, che recano al dritto NEOPOLITON e al retro SVESANO); facile dedurne che, almeno in parte, siano stati emessi a Napoli.

Ma vi chiedo: vi sembra realistico che i coloni di Cosa si facessero coniare le monete in Campania?

Capua si può scartare: se la ricostruzione cronologica delle emissioni capuane è corretta, nel 275-250 Roma riservava l'uso della zecca di Capua, quanto alle monete coniate (discorso diverso per quelle fuse), alle emissioni a legenda ROMANO. Perché mai Roma avrebbe fatto un'eccezione per la minuscola città-Stato di Cosa?

Del resto, anche pensare che il bronzo partisse da Cosa per essere monetato a Napoli mi sembra improbabile; i Cosani sarebbero potuti andare più facilmente in una delle numerose (e oggi poco conosciute) zecche dell'area umbro-etrusca già assoggettata da Roma. A Tuder per esempio (conquistata da Roma nel IV secolo) è attribuita anche una serie coniata (oltre a quelle fuse), che Rutter data proprio al 280-240 (ma Sambon al 250-200).

Si potrebbe allora pensare che la moneta di Cosa provenga dalla zecca di Roma; del resto, anche il compianto Russo riteneva che il corrispondente bronzo romano, RRC 17/1, fosse stato emesso nell'Urbe. Si potrebbe immaginare che Roma sostenesse il radicamento della sua colonia anche mediante la somministrazione di moneta, almeno nella sua prima fase. Ma allora, perché non dotare i coloni con monete a legenda ROMANO? Oppure direttamente con l'aes grave, visto che in Etruria era una forma di moneta largamente diffusa?

Con questi dubbi alle spalle, osserviamo ora i bronzi Atena/gallo (ma preferirei definirli Minerva/gallo).

Ha senso attribuirli alla zecca di Napoli?

Certo, mi sembra improbabile che provenissero tutti da quella di Roma. Nè credo che si possa pensare a zecche preesistenti in loco: solo per Cales è stato supposto che sia possibile attribuirle una serie fusa (dall'asse all'oncia) priva di etnico, caratterizzata dalla presenza costante del kantharos al retro (forse un'allusione all'industria cittadina del commercio del vino o della produzione della ceramica), basata sull'asse di 273 g, la cui emissione sarebbe iniziata verso il 275 e terminata proprio con l'inizio di quella coniata (268?). L'attribuzione tuttavia non è scontata, e anche la cronologia mi pare dubbia.

E così concludo le mie elucubrazioni e vi chiedo: potrebbe essere che che già in quest'epoca (275, secondo me) Roma non solo fosse già padrona delle tecniche di coniazione (sia pure, magari, ricorrendo ad artisti magnogerci per la realizzazione degli intagli), ma fosse anche in grado di predisporre zecche più o meno "mobili" (sul modello di quelle che due secoli dopo accompagneranno le legioni) con cui equipaggiare i propri coloni (che, in fin dei conti, erano soldati?)

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Correntemente, si ritiene che le prime emissioni romane itineranti siano iniziate con le Guerre Puniche, per evitare i pericoli connessi con il trasporto del metallo già monetato. Si tratta delle serie RRC 59-111 e 125-131, datate a decorrere dal 211 (la serie 63, ad esempio). Esemplare la serie 65 che riporterebbe, prima fra tutte, il monogramma del magistrato cum imperio emittente (AVR, per Aurunculeius).

La capacità tecnica di predisporre una zecca itinerante, tuttavia, non s'improvvisa; e potrebbe ben risalire a prime esperienze compiute, per le medesime esigenze di sicurezza, durante le Guerre Pirriche.

Forse, durante le Guerre Puniche Roma fu in grado di fornire una zecca alle proprie truppe (se non proprio alle legioni in movimento, quanto meno ai loro quartier generali) grazie al fatto che, 65 anni prima, era già in grado di farlo a favore delle colonie (che erano, in un certo senso, legioni acquartierate in piazzaforti): la stanzialità dell'insediamento coloniale consentiva sicuramente di affrontare problemi minori, ai fini della messa in opera della zecca. Gli incroci di conio si spiegherebbero allora con la natura comunque militare (romana) dell'organizzazione, , senza escludere il ricorso a manodopera qualificata magnogreca.

Tiro le fila del discorso e vi propongo le tre deduzioni dell'intero discorso.

Primo, le emissioni coloniali iniziano verso il 275.

Secondo, sono a tutti gli effetti (salvo che per il dato formale-giuridico del ius Latinum concesso alle città-Stato) emissioni militari romane.

Terzo, attestano che già in quell'epoca relativamente remota Roma era in grado non solo di coniare (oltre che di fondere) monete, ma persino di predisporre efficacemente una versione parzialmente itinerante della tecnologia di coniazione.

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Pensavate di esservi scampati il mio esemplare, questa volta? :blum:

E invece no! :nono:

SVESANO, InAsta 45 lotto 41. Stato di conservazione basso ... ma prezzo adeguato :pleasantry: ! Ø mm 20 - peso g 4,37

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Staff

Per prima cosa mi complimento vivamente con Lucullo, questa discussione è molto molto interessante ed al tempo stesso ben articolata. Gli spunti di approfondimento sono numerosi e le ipotesi formulate meritano tutti gli approfondimenti del caso.

Inizio col dare la mia opinione su uno degli interrogativi messi in evidenza.

Si potrebbe immaginare che Roma sostenesse il radicamento della sua colonia anche mediante la somministrazione di moneta, almeno nella sua prima fase. Ma allora, perché non dotare i coloni con monete a legenda ROMANO?

In questo caso una risposta a mio avviso ci sarebbe ed è insita nella valenza stessa della legenda. Non godendo del diritto pieno (civis optimo iures), i coloni di diritto latino non potevano essere equiparati ai cittadini romani in quanto, giuridicamente, non lo erano.

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Awards

Si potrebbe immaginare che Roma sostenesse il radicamento della sua colonia anche mediante la somministrazione di moneta, almeno nella sua prima fase. Ma allora, perché non dotare i coloni con monete a legenda ROMANO?

In questo caso una risposta a mio avviso ci sarebbe ed è insita nella valenza stessa della legenda. Non godendo del diritto pieno (civis optimo iures), i coloni di diritto latino non potevano essere equiparati ai cittadini romani in quanto, giuridicamente, non lo erano.

Giusto. Provo a spiegarmi meglio, tenendo conto che quella frase era mirata a "dimostrare" che i bronzi di Cosa non possono essere stati emessi a Roma.

Roma invia 3.000 famiglie a presidiare l'agro di Cosa. Siccome la struttura di diritto pubblico è ancora quella della città-Stato, gli interesati devono accettare di rinunciare alla cittadinanza. In cambio avranno terra, casa, lavoro ... un futuro, insomma.

Però ovviamente, appena arrivano nel nuovo insediamento, hanno bisogno di moneta per commerciare fra di loro e con i paesi limitrofi. Attenzione però: hanno bisogno di CREDITO (materializzato nella moneta), non necessariamente di UNO STRUMENTO MONETALE PROPRIO. Anzi, visto che all'inizio dovranno commerciare con i propri vicini (perché certo impiantandosi una nuova colonia non è che un mercato interno si sviluppi dall'oggi al domani, prima bisogna costruire le case, fortificare il sito, dissodare la terra ...), ai coloni farebbe più comodo avere moneta altrui ("valuta pregiata", diremmo noi oggi), anziché propria. Mutatis mutandis, com'è avvenuto con il Montenegro che, resosi indipendente, ha adottato l'euro, sebbene non faccia parte degli Stati emittenti.

In questo contesto, si può ragionevolmente supporre che la moneta per i primi commerci sia stata fornita proprio da Roma, che ha inviato i coloni a presidiare quel territorio. Lo riterrei quasi sicuro, ma ritengo anche che Roma abbia fornito le proprie monete, a legenda ROMANO appunto, nonché probabilmente aes grave. A maggior ragione nella considerazione che gran parte di quelle monete sarebbe stata spesa nuovamente a Roma stessa (i primi commerci di una colonia sono necessariamente con la metropoli, se la geografia lo permette).

Quindi, le monete recanti COSANO non sono state sicuramente emesse a Roma, PRIMA della deduzione della colonia, per fornirle ai coloni in partenza. Ma non ha neanche senso pensare che siano state emesse a Roma DOPO la deduzione.

Perché mai Roma avrebbe dovuto "piegare" la propria zecca per soddisfare l'esigenza nazionalista dei Cosani? Mi pare che non abbia senso, soprattutto alla luce della mentalità tradizionalista che imperava nell'Urbe a quell'epoca. Il Senato, infatti, era ben conscio del fatto che la coniazione di monete (con proprio etnico) costituiva un rilevante privilegio di diritto pubblico, come dimostrano i provvedimenti con cui tale ius fu sottratto ad alleati rivelatisi infedeli.

Si dirà: in fin dei conti, a Napoli sono state emesse monete per popoli estranei, fra cui gli stessi Romani. Ma non è la stessa cosa: il rapporto fra Roma e Napoli si può immaginare un rapporto fra pari, mentre Cosa era una emanazione di Roma, e inoltre la mentalità magnogreca non includeva il conservatorismo ferreo di quella romana; questo spiega perché i Partenopei potessero più facilmente ammettere intrusioni nella propria zecca che non i Romani. Eppoi, è probabile che Roma non abbia mai chiesto a Neapolis di coniare: il bronzo RRC 1/1 è verosimilmente una sorta di "medaglietta commemorativa", probabilmente un "regalo" per i Romani, e le altre emissioni romano-campane potrebbero ben provenire da Capua (che formalmente, dopo la deditio, era divenuta una costola di Roma).

Gli stessi Cosani, del resto, anziché "affittare" la zecca di Roma per coniare monete a legenda COSANO, avrebbero fatto prima a "pagare" la "valuta pregiata" a legenda ROMANO.

Mi rendo conto che è una catena di deduzioni prive di appigli materiali, ma mi sembrano attendibili.

E ne concludo: sicuramente le monete a legenda COSANO non provengono dalla zecca di Roma.

Correggo quindi la mia errata affermazione citata da rapax:

Si può ben immaginare che Roma sostenesse il radicamento della sua colonia anche mediante la somministrazione di moneta, almeno nella sua prima fase. Ma questo non ci aiuta a supporre che le monete di Cosa fossero emesse a Roma, perché verosimilmente la metropoli dotava i coloni con le proprie monete, a legenda ROMANO.
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Per curiosità extra-numismatica, due ricostruzioni della piazzaforte di Cales reperite su internet

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Ribadisco che quanto fin qui emerso mi pare decisamente sensato ed è proprio per questo che vale la pena muovere delle costruttive osservazioni ;).

Siccome la struttura di diritto pubblico è ancora quella della città-Stato, gli interessati devono accettare di rinunciare alla cittadinanza. In cambio avranno terra, casa, lavoro ... un futuro, insomma.

Non conoscendo bene l'argomento specifico, premetto che potrei tranquillamente sbagliarmi, ma dubito che il meccanismo fosse proprio questo, o meglio, nutro dei dubbi soprattutto sullo status delle figure coinvolte. Un abitante di Roma non era necessariamente un cittadino romano ed essere cittadino romano rappresentava un privilegio di non poco conto. Penso sia plausibile ipotizzare che la rinuncia a tale privilegio, nella mente di un cittadino nel senso pieno del termine, rappresentasse l'extrema ratio. Rinuncia imposta? Ho dei dubbi anche su questo in quanto, essendo in gioco la fedeltà della colonia, penso sia più logico pensare ad un approccio atto a fornire ai coloni una prospettiva migliorativa della propria condizione sociale, non peggiorativa. Ma questo è un dettaglio che possiamo anche far cadere, almeno per il momento, in secondo piano.

A mio avviso è ora fondamentale partire con un'analisi dettagliata dei tipi fino ad ora citati e, a tal fine, partirei con il bronzo romano-campano Testa di Minerva / Protome equina a legenda ROMANO (RRC 17).

Lo studio più esaustivo che ho fino ad oggi trovato è quello di Marina Taliercio Mensitieri, contenuto negli Atti del X convegno del Centro Internazionale di Studi Numismatici (Napoli, 18-19 giugno 1993).

La serie RRC 17, per posizione dei tipi, è suddivisibile in 4 gruppi:

A) Dritto a sinistra; Rovescio a destra - Peso medio 5,42 g, calcolato su 1216 esemplari dei 1231 noti

B) Dritto a destra; Rovescio a sinistra - Peso medio 5,48 g, calcolato su 187 esemplari dei 193 noti

C) Dritto a sinistra; Rovescio a sinistra - Peso medio 5,01 g, calcolato su 52 esemplari dei 54 noti

D) Dritto a destra; Rovescio a destra - Peso medio 4,98 g, calcolato su 82 esemplari

Dal grafico 2 di pagina 129:

Tra le emissioni del gruppo A, ben 936 esemplari (circa il 77%), presentano un peso compreso tra i 6,00 ed i 4,50 g, 81 (circa il 6,5%) si attestano sui 6,50 g e 112 (circa il 9%) sui 4,00 g.

Tra le emissioni del gruppo B, 97 (circa il 52%) presentano un peso compreso tra 5,5 e 5,00 g, 23 (circa il 12%) si attestano sui 6 g e 25 (circa il 13%) sui 4,5 g.

Tra le emissioni del gruppo C, l'esigua campionatura evidenzia, per 38 esemplari (circa il 73%), una pressoché omogenea distribuzione compresa tra i 5,50 ed i 3,50 g.

Tra le emissioni del gruppo D, 25 esemplari si attestano a 4,50 g (circa il 30,5%), 25 hanno un peso compreso tra 5,5 e 5,00 g (circa il 30,5%) e 10 si attestano a 4,00 g (circa il 12%).

Le emissioni dei gruppi A e B paiono quindi caratterizzate da un livello ponderale assai simile, quelle dei gruppi C e D invece presentano un peso medio lievemente inferiore rispetto ai due gruppi precedenti.

Per il tipo Testa di Minerva / Protome equina a legenda ROMANO le cronologie proposte sono suddivisibili in due gruppi, una che la lega al didrammo con medesimo rovescio, l'altra che svincola il bronzo dall'argento con medesimo tipo al rovescio.

Grueber, Breglia e Mitchell, prediligendo il legame con il didrammo, propongono una datazione alta entro la fine del IV secolo, mentre una cronologia bassa al 269-243 è proposta da Mattingly-Sydenham. Sempre rapportando bronzo ed argento, Thomsen data le emissioni al 280, specificando "che il bronzo deriverebbe dalla riconiazione su un bronzo di Siracusa con Zeus Hellanios riferibile al regno di Iceta e si accorderebbe con l'imitazione tipologica di Cosa, colonia latina del 273. Medesima interpretazione per il Pedroni, che inquadra sia l'argento che il bronzo romano nel 275.

Sganciando il bronzo dall'argento il Crawford, nel 1974, sostiene il Thomsen per quanto riguarda la datazione del didrammo al 280, ma sposta il bronzo romano collocandolo dopo la fondazione di Cosa ma prima del 269, rilevando delle differenze rispetto al didrammo con la lupa.

Il Burnett rileva anch'egli analogie con la serie cosana, proponendo per le due serie enee medesima zecca e periodo, ribassando però la datazione al 260 e mettendola in relazione alla Prima Guerra Punica. Quest'ultimo inquadramento è quello che riscuote, attualmente, i maggiori consensi (fu poi condiviso dal Crawford nel 1985) ma, spingendosi oltre, il Mattingly, correlando il bronzo con protome equina a quello con l'aquila, lo aggancia al didrammo con Vittoria, proponendo un ulteriore ribassamento al 250-240.

Rispetto alla teoria del Thomsen non riesco sinceramente a trovare un legame, ponderale soprattutto, tra il tipo RRC 17 ed il bronzo siracusano ma, sorvolando su tale questione, il legame con la serie di Cosa pare unanimemente riconosciuto.

Sempre dallo studio della Taliercio Mensitieri, tale legame trova ulteriori conferme in quanto la seconda serie cosana presenterebbe, oltre alle analogie iconografiche, anche la medesima suddivisione nei 4 tipi, pur riscontrando differenze nelle sequenze degli orientamenti. Sia nella serie RRC 17 che nelle emissioni di Cosa sono poi presenti varianti ove compare il simbolo stella, se pur con variazioni nella posizione dei tipi. L'elemento più importante emerge però dalle caratteristiche ponderali: la prima serie di Cosa, con al dritto la testa di Marte, presenta il medesimo livello ponderale dei gruppi A e B del tipo RRC 17, mentre la seconda serie, con testa di Cosa, parrebbe presentare un peso medio lievemente inferiore, come per gli esemplari dei gruppi C e D dell'emissione con testa di Minerva.

Pare che due gruppi ponderali siano rintracciabili anche nelle serie gallo ed astro di Suessa. Sembra tuttavia esserci un peso superiore per il primo gruppo (che, sommariamente, parrebbe accomunare le emissioni con il gallo coniate dalle citate colonie), mentre i livelli parrebbero riequilibrarsi negli addensamenti più leggeri (da quanto ho letto, caratteristici di Suessa ed Aquinum).

Potrebbero essere semplici coincidenze... e non si tratta certo di una conclusione ma, potenzialmente, di un inizio...

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Vorrei aggiungere alcune considerazioni generali al problema delle prime emissioni coloniali romane.

Cosa fu una colonia di diritto latino fondata nel 273 a.C. Diversamente dalle colonie di diritto romano, per cui i cittadini erano a tutti gli effetti cittadini romani e soggetti alle leggi romane, gli abitanti delle colonie latine non erano Cives Romani Optimo Jure, ossia non avevano piena cittadinanza romana (che era una prerogativa molto ristretta e ambita e che due secoli dopo determinerà una grave crisi sociale fino a sfociare nella famosa Guerra Sociale, che finirà con la concessione molto più ampia della cittadinanza romana).

Tuttavia i coloni latini avevano non pochi diritti e privilegi, fra cui lo ius connubi, ossia libertà di matrimonio tra diverse classi sociali e lo ius commercii, cioè potevano ricorrere al magistrato per la tutela dei propri atti negoziali.

Appare evidente che i coloni che erano andati a popolare la nuova città Cosa, presso l’attuale Ansedonia, a spese dei territori già etruschi di Vulci e Volsinii, non dovevano subire una degradazione, ossia essere romani diventati solo latini (salvo forse rari casi di cittadini romani degradati a causa ad esempio di forti debiti non onorati).

Non dimentichiamo che Roma aveva già ampliato le sue conquiste, grazie anche al fondamentale aiuto di alleati, per lo più Latini e altre popolazioni vicine. Molti di questi però erano poveri contadini o braccianti e artigiani senza negozi. Ad essi si devono aggiungere anche vecchi soldati che avevano combattuto a fianco dei Romani e andavano in qualche modo compensati, dopo anni di sacrifici.

Quindi erano specie di emigranti che erano disponibili ad essere inviati verso nuove terre fertili e di interesse strategico e commerciale, mantenendo o acquisendo i diritti latini, ovviamente a scapito di indigeni che non avevano voluto seguire una politica filoromana.

Avendo tutto l’interesse a rendere produttiva una nuova colonia latina filoromana, gli stessi Romani hanno probabilmente aiutato questi nuovi coloni a dotarsi di alcuni mezzi, come strumenti agricoli e i primi capi di bestiame da allevare poi. E’ anche possibile che abbiano concesso a loro un certo quantitativo di metallo (bronzo) per essere coniato al nome della nuova colonia, seguendo chiaramente alcune caratteristiche generali che dovevano ricondursi a un orientamento comunque filoromano.

E’ evidente che la coniazione dei bronzi di Cosa con Protome equina non può essere avvenuta contestualmente alla sua fondazione, col rito del pomerio. Bisognava prima costruire almeno le prime infrastutture come case e strade e poi in fondo bastava poco per avviare una propria zecca. Bastava una piccola fonderia, per fondere il bronzo per ricavare tondelli e allestire i conii e i punzoni per stampare i tondelli, utilizzando il conio fisso di incudine (diritto, che ospita generalmente la testa della divinità) e il conio mobile di martello (rovescio, con la rappresentazione di significato politico).

Ovviamente servivano operai e artisti specializzati, ma la squadra era composta da poche persone (forse non più di 3 – 4 persone per una piccola zecca) che magari hanno fornito i loro servizi in più colonie, sotto il controllo romano.

Quindi mi sembra logico che i primi bronzi di Cosa non siano stati battuti prima di pochi anni dopo la fondazione, a partire dal 270 a.C. circa.

Manca ancora un vero ed esaustivo Corpus dei bronzi di Cosa, ma resta fondamentale lo studio di T. Buttrey “The Cosa. The Coins”, MAAR 34, 1980, p. 11-153, che ha analizzato anche le numerose monete varie trovate durante gli scavi archeologici di Cosa, che hanno appunto evidenziato una certa durata dell’emissione, anche se non in grande quantità, andando a finire in piena prima guerra punica (e non dimentichiamo che gli alleati latini, avevano tra i loro obblighi, anche quello di fornire aiuti militari ai legionari romani).

Non ho da aggiungere a quanto puntualmente esposto dal bravo Rapax, che ha evidenziato un notevole parallelismo tra le serie cosane e quelle romane con gli stessi tipi (appare evidente che i bronzi con ROMANO erano destinati originariamente ai cittadini romani, che hanno poi liberamente scambiato e alla pari con simili bronzi a nome delle colonie, rispettando la libertà di commercio che esisteva appunto tra i Romani e i Latini).

La testa di Minerva si ritrova in maniera molto simile anche sui bronzi con il Gallo e astro, che formano chiaramente una monetazione federale.

Tuttavia ci sono alcuni dubbi che pure essi debbano risalire fino alla guerra pirrica.

Quello che emerge chiaramente è che i bronzi con Minerva-Atena/Gallo e astro hanno circolato contemporaneamente con i bronzi di tipo neapolitano con Apollo/Toro androprosopo e Nike della III fase (270-250 a.C.).

Allego una cartina che mostra chiaramente come nella Campania e nel Sannio nella prima metà del III secolo a.C. ambedue i tipi di bronzo abbiano circolato insieme e quindi sono stati trovati insieme nei ripostigli dell’epoca (la cartina è tratta dalla pagina 155 del bel volume di R. Cantilena, “Monete della Campania antica”, Banco di Napoli 1988, quindi un volume fuori commercio e non di facile reperimento):

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Già la Taliercio, nella sua ampia trattazione sul bronzo di Neapolis (Atti dei Convegni del Centro Internazionale di Studi Numismatici, VII, 1980, Napoli 1986), a pagine 242-243 accenna che i comuni bronzi con Toro androprosopo a nome di Cales, Suessa e Teanum sono stati utilizzati come tondelli per la riconiatura di bronzi di Neapolis con gli stessi tipi, della III fase ma anche di bronzi romani con Protome di cavallo e ROMANO (Cr. 17/1, come ad esempio sul Garrucci p. 60, tav. LXXVII, n. 22). Al British Museum esiste un esemplare di Aquinum con Minerva-Atena/Gallo e astro che è risultato essere riconiato sopra un bronzo di Neapolis con Apollo/Toro androprosopo e Nike della terza fase…..

Per tutte queste ragioni e grazie anche al grande ripostiglio di Pietrabbondante 1900, sepolto intorno al 260 e conservato al Museo Archeologico di Napoli, resta assai probabile una datazione ai primi anni della prima guerra punica, che ha visto anche una forte mobilitazione di forze militari ed economiche degli alleati a fianco di Roma.

Appare evidente che la sovrapposizione di due tipi di monete, con Minerva-Atena/Gallo e astro e con Apollo/Toro androprosopo e Nike della III fase, non ha senso se parliamo di un unico vero centro produttore di monete, come Neapolis.

I bronzi con Toro androprosopo erano di competenza neapolitana, fedele alleata di Roma e con importante porto, mentre invece i coevi bronzi con il Gallo (prevalentemente verso la Campania) e con la Protome equina (verso l’Etruria) erano emissioni di coloni latini e quindi con diversa autonomia e comunque sempre in senso filo-romano.

Non ha alcuna ragione di ritenere le emissioni col Gallo e astro come una monetazione federata in funzione antiromana (forse comprensibile solo retrocedendo di almeno mezzo secolo, una ipotesi che appare difficile da sostenere alla luce dei ripostig

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