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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 06/25/10 in tutte le aree

  1. Ciao a tutti, di seguito presento i dati da me raccolti relativamente a CONSECRATIO, DIVINIZZAZIONE e DAMNATIO MEMORIAE relativa agli imperatori romani. Mi pare sia già così una comunicazione corposa, per la parte numismatica, avendo raccolto molti esemplari... vi prego di pazientare! ;) APOTHEO′SIS, (ἀποθεώσις), l' ascesa di un mortale fra gli dei. Il termine apotheosis, fra i Romani, significava propriamente l' elevazione di un imperatore defunto agli onori divini. Questa pratica, che era comune in occasione della morte di quasi tutti gli imperatori, sembra che fosse originata dall' opinione, generalmente diffusa tra i Romani, che le anime o Mani dei loro antenati diventassero divinità; e come era comune per i fanciulli adorare i Mani dei loro padri, così era naturale che gli onori divini fossero pubblicamente conferiti ad un imperatore defunto, che era considerato come il genitore della patria. Quest' apoteosi dell' imperatore era solitamente chiamata CONSECRATIO; e dell' imperatore che riceveva l' onore dell' apoteosi si diceva in deorum numerum referri, o che era stato consacrato consecrari. Si racconta che, nei tempi più antichi, Romolo sia stato ammesso tra le divinità sotto il nome di Quirino (Plut., Rom. 27, 28; Liv., I, 16; Cic., de Rep., II, 10); ma nessun altro re di Roma sembra aver ricevuto questo privilegio e anche nel periodo repubblicano non leggiamo di alcun esempio di apoteosi. Giulio Cesare fu deificato dopo la sua morte e giochi furono istituiti in suo onore da Augusto (Svet., Iul. Caes., 88); e questo esempio fu seguito nel caso di altri imperatori. L'apoteosi di un imperatore era essenzialmente un atto politico attuato dal successore dell'imperatore. La cerimonia viene descritta dettagliatamente da Erodiano (V, 2) nel seguente passo:— "È costume dei Romani deificare gli imperatori che muoiono lasciando successori; e chiamano questo rito apoteosi. In questa occasione si vedono per la città forme di lutto unite a celebrazioni e riti religiosi. Onorano il corpo del morto secondo il rito degli uomini, con un sontuoso funerale; e dopo aver modellato un' immagine di cera il più possibile somigliante, la espongono nel vestibolo del palazzo, su un alto letto d' avorio di grandi dimensioni, ricoperto da un lenzuolo d' oro. La figura è pallida, come quella di un uomo malato. Durante buona parte della giornata i senatori siedono attorno al letto sul lato sinistro vestiti di nero; e le donne nobili siedono sulla destra, vestite con semplici abiti bianchi, come prefiche, senza ori o collane. Questo cerimoniale continua per sette giorni; e i medici si avvicinano uno ad uno spesso al letto, e guardando l' uomo malato, dicono che peggiora sempre di più. E quando ritengono che sia morto, i più nobili tra i cavalieri e giovani scelti dell' ordine senatoriale tirano su il letto, e lo trasportano lungo la Via Sacra, e lo espongono nel Foro antico. Palchi come gradini vengono costruiti su ogni lato; su uno sta un coro di giovani nobili, e su quello opposto un coro di donne di alto rango, che cantano inni e canzoni di encomio del defunto, modulate in una solenne e dolente melodia. In seguito portano il letto attraverso la città fino al Campus Martius, nella parte più larga del quale viene costruita una catasta quadrata di legname della misura più grande, a forma di camera, riempita di fascine e all' esterno ornata con tende intrecciate con immagini d' oro e d' avorio. Sopra questa una camera simile ma più piccola, con porte e finestre aperte, e sopra ancora, una terza e una quarta, sempre più piccole, così che si può compararla ai Phari. Al primo piano mettono un letto, e raccolgono incenso e ogni sorta di aromi, frutta, erba, succhi; perché tutte le città e le persone eminenti gareggiano nel contribuire con questi ultimi doni ad onorare l' imperatore. E quando è stato radunato un grande cumulo di aromi, c' è una processione di cavalieri e carri attorno alla catasta, con gli aurighi che indossano maschere per assomigliare ai generali e imperatori romani più insigni. Quando è stato fatto tutto questo, gli altri appiccano ad ogni lato il fuoco, che prende facilmente grazie alle fascine e agli aromi; e dal piano più alto e più piccolo, come da un pinnacolo, un' aquila viene lasciata libera di volare in cielo mentre il fuoco sale, aquila che i romani credono porti l' anima dell' imperatore dalla terra ai cieli; e da quel momento viene adorato con gli altri dei." In conformità con questo racconto, è frequente vedere sulle medaglie coniate in occasione di un' apoteosi un altare con del fuoco su di esso, e un' aquila, l' uccello di Giove, prendere il volo nell' aria. Le medaglie con questa raffigurazione sono numerose. Solo da queste medaglie possiamo ricostruire un' apoteosi, dal tempo di Giulio Cesare a quello di Costantino il Grande. Nella maggior parte di esse appare la parola Consecratio e su alcune monete greche la parola ΑΦΙΕΡΩϹΙΣ. Allego foto di un' agata, che si pensa rappresenti l' apoteosi di Germanico (Montfaucon, Ant. Expl. Suppl., vol. V, p137). Nella mano sinistra tiene la cornucopia, e la Vittoria sta posando una corona d' alloro su di lui. L' apoteosi dell' imperatore (o piuttosto del suo busto) si trova in un medaglione sul soffito dell' arco di Tito. Sul rilievo del basamento della Colonna di Antonina è rappresentata l'apoteosi di Antonino Pio e di sua moglie Faustina mentre ascendono verso gli dei sorretti da un genio alato, Aion, simbolo dell'eternità. Il genio regge in mano i simboli del globo celeste e del serpente ed è affiancato da due aquile, che alludono all'apoteosi. Ai due lati, in basso, assistono alla scena la dea Roma, in abito amazzonico e seduta presso una catasta di armi, e la personificazione del Campo Marzio, rappresentato come un giovane che sorregge l'obelisco importato da Augusto da Eliopoli ed utilizzato per la grandiosa meridiana del Campo Marzio. Su un altro lato sono raffigurati i membri del rango equestre intenti a celebrare il decursio o decursius, ovvero la giostra a cavallo durante la cerimonia funebre, coi relativi vessilliferi, all'esterno, e un gruppo di pretoriani all'interno.Questo rito, che doveva aver avuto luogo attorno all'ustrinum dove si era svolta la cerimonia di cremazione, si era svolta in due tempi (prima la processione a piedi, poi la giostra a cavallo), ma nella raffigurazione è usato l'espediente della contemporaneità, collocando una parata dentro l'altra. (segue)
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  2. Purtroppo, spesso anche se non sempre, quando le legende non si leggono completamente (o non si leggono affatto), non è possibile identificare esattamente l'emissione. Questo è il caso perchè la tipologia di Minerva stante a sinistra con una civetta, lancia e scudo, su sesterzio, è stata emessa da Marco Aurelio (sotto Antonino Pio) in diverse occasioni (spero di non averne saltata qualcuna): - 153-154 d.C. (RIC 1314) - 154-155 d.C. (RIC 1321) - 155-156 d.C. (RIC 1325) Si tratta comunque di emissioni classificate come comuni. A questo va aggiunto che potrebbe trattarsi della tipologia in cui Minerva tiene col il braccio disteso una vittoria invece che una civetta, RIC 1301, etc, etc (anche questo dettaglio non riesco a verificarlo dalla foto). Visto quanto hai speso, credo ti possa ritenerere soddisfatto. Luigi
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  3. Una nota a parte, comunque concernente il tema trattato: GLI USTRINUM (tratto da un buon sito che vi consiglio di “sfogliare”: http://www.maquettes-historiques.net) Ustrinum Augustae Domus Il sito della pira funebre dell'imperatore Augusto, l’ustrinum della casa di Augusto, era situata nel Campo Marzio, nei pressi del Mausoleo di Augusto. Strabone la descrive come un recinto in travertino con una grata in metallo (presumibilmente in cima al muro) e pioppi neri piantato al suo interno. Un urna alabastro , e di sei cippi di travertino rettangolare di grandi dimensioni sono stati rinvenuti in scavi nel 1777 a l'angolo del Corso e Via degli Otto Cantonia (ora via dei Pontefici). Questi cippi aveva iscrizioni di vari membri della famiglia imperiale, i tre figli e una figlia di Germanico, Tiberio, il figlio di Druso, e un certo Vespasiano. E’ molto probabile che questi cippi, o almeno i primi tre , che tutti finiscono con la formula 'crematus est hic,' apparteneva alla ustrinum. Ciò posto il ustrinum sul lato est del Mausoleo.In questa ipotesi, i cippi quarta e quinta, che recano la formula hic situs (o SITA) est, possono avere appartenuto al mausoleo. Hirschfeld, tuttavia, esclude questa possibilità, soprattutto a causa del materiale e la forma del cippi. L'Ustrinum della famiglia di Augusto, nel centro dell’immagine allegata, era proprio di fianco al Mausoleo di Augusto, sulla Via Flaminia. Anche se le caratteristiche rimangono le stesse, con quadrati concentrichi, si può notare in questo caso che non ci sono alti recinti, ne portici, che vengono proteggere il crematorio. (segue)
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  4. L'impostazione del rilievo precedente è tipica delle scene di apoteosi (si veda l' Apoteosi di Sabina in un rilievo dal cosiddetto arco di Portogallo - vedi allegato), con la parte inferiore occupata da figure sedute o distese e quella centrale/superiore con una figura alata, che si innalza obliquamente recando in cielo i personaggi da deificare. La tradizione ebbe inizio con la dichiarazione del Senato della divinizzazione di Giulio Cesare dopo la sua uccisione nel 44 a.C., atto che scosse l'opinione pubblica di Roma. Quando Augusto morì 58 anni più tardi, ricevette anche lui onori simili fornendo così un modello per i futuri imperatori. Gli obiettivi dell'atto erano di rinforzare la maestà della carica imperiale e, più immediatamente, di associare l'imperatore in carica ad un illustre predecessore. Per esempio, quando Settimio Severo rovesciò Didio Giuliano per prendere il potere nel 193, favorì l'apoteosi di Pertinace, che aveva regnato prima di Giuliano. Ciò permise a Severo di presentarsi come erede e successore di Pertinace, sebbene i due non fossero imparentati. L'Apoteosi non era un processo automatico, almeno all'inizio dell'era imperiale. Gli imperatori che non erano ricordati con benevolenza o non erano graditi ai loro successori, generalmente non venivano divinizzati. Per esempio, Caligola e Nerone, che erano considerati da molti contemporanei come tiranni e il cui regnò terminò in modo violento, non furono divinizzati dopo la loro morte. (segue)
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  5. La numismatica più che una scienza... è una malattia! Stanotte, dopo aver visto quel bel ducatone non riuscivo a dormire. Ho analizzato le sensazioni che ho provato quando ho visto quel magnifico pezzo e, la prima cosa che ho pensato è stato, che bella moneta di Gaspare Mola. Ma non è possibile! Stiamo parlando di Ozegni! Poi ho guardato la scheda ed ho controllato che effettivamente le sigle erano quelle dell'Ozegni. Non contento, sono andato a controllare il Corpus, ed anche questo l'ha riconfermato. Ma chi era questo Ozegni? Mi son ricordato che aveva lavorato a lungo per i Savoia e mi sono venuti in mente i contemporanei scudi dello “spadino” e del “compasso” che hanno in comune con il cane mantovano la spazialità, il vuoto, il senso d’immenso che c’è dietro il soggetto. Se sono opere dello stesso artista, come sembra a prima vista, questo deve essere riconosciuto come il principe degli incisori. Degno di stare a braccetto col Leoni, col Bernini, col Casalini e coi migliori di tutti i tempi, compresi Eveneto e Cimone. Eppure…, c’è un dubbio che mi tormenta! Scusate, ma devo tornare a far riferimento alla zecca di Piacenza. Sulle monete piacentine le sigle dell’incisore non appaiono mai! E neppure su quelle di Parma, eccezion fatta per il Siliprandi che lavorò per Ferdinando di Borbone negli ultimi anni del 700. Le sigle che appaiono sono sempre e solo quelle dello zecchiere. E’ c’è una ragione, anche se non scritta. Servivano ad individuare i responsabili di emissioni non conformi ai capitoli. Se lo zecchiere commetteva una frode era immediatamente individuabile, la moneta incriminata portava la sua firma. I grandi incisori erano quasi sempre residenti fuori dallo Stato. Il Mola, lo Spiga, ed anche il Casalini incidevano i punzoni a casa loro e non nella zecca. Il Casalini ne preparava alcuni da Urbino mentre lavorava come orefice per i Della Rovere. Solo eccezionalmente gli incisori erano nella zecca. Questo capitava solo quando l’incarico di incisore era affidato allo zecchiere in carica: Casalini dal 1570 al 1571, e Guido Riviera dal 1673 al 1677. Essi apponevano le loro sigle sulle monete non come autori dei coni, ma come zecchieri responsabili delle emissioni. Cosa accadeva nelle altre zecche? Sarebbe interessante rilevare la casistica. Per Genova, Milano, Venezia, Napoli e Firenze mi sentirei di escludere la possibilità che gl’incisori firmassero i coni. Farebbe eccezione solo Roma e le monete moderne dei Savoia. Quando è cominciato questo vezzo? Un altro interrogativo: a Mantova l’Ozegni non avrà esercitato come zecchiere?
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  6. Bellissima la storia di Alypia... mi ha incuriosito e, quindi, sono andato a cercarmi un'immagine del solido di Eufemia. L'ho trovato sul Depeyrot, che nella descrizione del rovescio dice: ''Liempereur et l'impéretrice debout de face''. Ovviamente, in questo caso, è in errore, perchè i due personaggi del rovescio hanno vesti femminili. Ve lo immaginate un'imperatore romano vestito da drag-queen (mi sembra questo il termine giusto) ? Qundi, appurato che le due figure sono femminili e che una è senz'altro Eufemia, il cui ritratto frontale spicca sul dritto, proviamo a cercare di capire chi dei due tra Kent e Grierson ha ragione... Le due donne tengono entrambe una croce e chiaramente la figura sulla destra è più piccola dell'altra. Mi sembra inoltre che, mentre la figura grande è didemata, non così la seconda. Qundi procedendo per ordine abbiamo sul dritto il busto frontale con diadema crucifero di Eufemia. Quindi ovviamente sul rovescio la figura grande diademata corrisponde ad Eufemia, essendo lei il personaggio principale. Ma l'altra è Verina come dice Kent o Alypia come sostiene Grierson... Essendo diventato con il tempo un medioevalista logicamente propendo per il secondo. Ma credo che lo si possa anche provare. Per prima cosa Verina è pure Augusta e conoscendo il carattere delle donne dell'epoca credo che non avrebbe permesso di essere in secondo piano rispetto ad Eufemia. Ma la seconda cosa che mi fa propendere per Grierson è che la moneta è della zecca di Roma, dove avvennero le nozze. Propenderei quindi per Alypia...
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  7. Concordo, è una moneta sempre interessante; per la miriade di tipologie e varianti potrebbe constituire una collezione a se stante, come i testoni "Melivs est..." di papa Innocenzo XI :rolleyes: Ciao, RCAMIL.
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  8. Non direi proprio. A me le assicurate sparivano con frequenza impressionante, in arrivo ed in partenza: attualmente ho un credito di quasi €3000 nei confronti di Poste Italiane. L'amico avvocato che ha in mano la questione si scontra da oltre un anno con un muro di gomma. Ho scritto sparivano perchè da molti mesi non uso più l'assicurata (con busta termosaldata di prammatica e nastro antieffrazione), uso il corriere. Quelle recuperate mi sono state ritrovate solo grazie alla Polizia Postale. Il nucleo di Parma mi ha confermato più volte che i furti si concentrano, tutta Italia, soprattutto sulle assicurate.
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