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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 07/19/22 in tutte le aree

  1. La scoperta di un eccezionale tesoro di bratteate alto-medioevali in oro del VI, di eccezionale finezza e importanza che stanno rivoluzionando la storia medioevale danese ah dimenticavo .. la scoperta e’ avvenuta grazie ad un appassionato di metaldetector che ha subito segnsalato quanto trovato al museo locale . Il deposito era rimasto sepolto per 1500 anni e senza l’intervento di questo appassionato chissa’ quando o se sarebbe nai stato trovato… The treasure rewriting Danish history https://www.bbc.com/reel/video/p0cjd7kw/the-ancient-golden-treasure-rewriting-danish-history?utm_source=taboola&utm_medium=exchange&tblci=GiCwAWG4LU_n1GkAS3TIKTjEKR0ajth0fraYNRK70PgkwCCMjFQomaqg_dHAvqdS#tblciGiCwAWG4LU_n1GkAS3TIKTjEKR0ajth0fraYNRK70PgkwCCMjFQomaqg_dHAvqdS
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  2. Buonasera, moneta di Costanzo II da Antiochia, nell'insieme abbastanza rientrante nei canoni stilistici della zecca emittente. Con zecca SMANBI dovrebbe essere riferibile a RIC VIII, Antiochia 54, Sear 18003. Il ritratto è diademato, differisce dal questo RIC per la presenza del simbolo X nello stendardo (dovrebbe essere un "dot"). Emissione comune se confermata l'identificazione. Buona serata Illyricum
    2 punti
  3. Cari amici condivido una delle ultime acquisizioni in collezione, proveniente dall’asta Nomisma 65 di giugno, un bel Filippo 1686 di Retegno, coniato sotto Antonio Gaetano Gallio Trivulzio, pesa 27,59 grammi ed è censito dal MIR con due gradi di rarità al n. 910. Gaetano Gallio nacque a Milano il 20 novembre 1658, figlio di Tolomeo II Gallio, IV duca di Alvito, e di sua moglie, la nobildonna milanese Ottavia Trivulzio, figlia di Giangiacomo, principe di Musocco e discendente del celebre condottiero. Gaetano era inoltre discendente diretto di papa Paolo III Farnese e dei Grimaldi signori del futuro principato di Monaco. Era imparentato con San Carlo Borromeo ed era cognato di Gregorio Boncompagni, V duca di Sora e principe di Piombino. Nel 1678, a soli vent'anni, si ritrovò erede universale di suo cugino di primo grado Antonio Teodoro Trivulzio il quale, morto senza eredi, gli lasciò in eredità il titolo di principe della Val Mesolcina e tutti i suoi copiosi possedimenti a patto che questi ne assumesse il cognome e proseguisse la casata. Gaetano assunse, oltre all'arme dei Trivulzio, anche i due nomi del cugino così da cementare ancor di più i suoi diritti di successione. Quel che ha attirato la mia attenzione, oltre alla particolare tipologia, è anche come sempre la conservazione, molto difficile da trovarsi in SPL per tutta la monetazione di Retegno. L’assenza di colpi o graffi, la patina da antica raccolta, il flan regolare anche se un po’ tosato, mi hanno stregato, oltre ovviamente alla rilevanza del pezzo sotto il puro punto di vista numismatico, storico e iconografico. Il ritratto del regnante e i suoi boccoli parlano da soli ? e il rovescio costituisce un unicum nella monetazione italiana del XVII secolo. Buona serata
    2 punti
  4. I testi antichi sono sempre fonte di informazioni utili, anche a distanza di secoli. Magnan in Bruttia Numismatica nel 1773, tavola 87, ne illustrava un esemplare… Ciao Skuby
    2 punti
  5. Buongiorno, Argomento di notevole interesse e di cui aspetto con curiosità di leggere l’esito finale @dracma. Un’osservazione che mi sento di fare leggendo l’articolo di cui al post 15 riguarda il parallelo operato dall’autrice con la monetazione selinuntina alla pagina 91. Se è vero che il tipo del rovescio riprende piuttosto fedelmente quello dei didrammi sicelioti con la rappresentazione di Hypsas, non si può non evidenziare che la tipologia più affine alla raffigurazione del rovescio dell’emissione di Pandosia sia quella dell’ultima o delle più tarde produzioni di didrammi a Selinunte (410-409 a.C.), in alternativa a quella del dio Selinos su alcuni tetradrammi. In entrambe i casi il ramo rituale impugnato nella mano sinistra ha una posizione e forma che corrisponderebbe pienamente. A questo punto però l’emissione di Pandosia verrebbe ad essere precedente al didrammo, al massimo coeva nel caso dei tetradrammi con figurazione del ramo più “fronzuta”. Sulla datazione dello statere presente al British potrebbero venire proposte ipotesi ribassiste? Quello che più mi incuriosisce è cosa sia rappresentato sotto la patera. Si parla sempre di un pesce, ma potrebbe essere la testa di un animale (offerta votiva?), una pira (?) o altro. La raffigurazione di un pesce che guizza verso la patera a me lascia molto perplesso, anche perché si nota a destra del “pesce” un ulteriore rilievo, comunque piuttosto ben definito, che potrebbe fare parte della figura. Da tenere in massima considerazione inoltre che raffigurazioni umane stanti con il ramo rituale (alloro o ulivo che sia) sono ben attestate anche tra le emissioni metapontine,le prime a doppio rilievo della zecca, senza dover necessariamente varcare lo stretto.
    2 punti
  6. Il 17 corrente mese il Consiglio dell'Unione Europea ha adottato ufficialmente la decisione sull'accettazione dell'euro in Croazia, l'emendamento al regolamento secondo il quale la Croazia diventa il ventesimo membro della zona euro e il regolamento che conferma il tasso di conversione. Ieri è iniziata la coniazione delle monete croate in euro presso la Zecca di Sveta Nedelja, alla presenza del Primo Ministro Andrej Plenković e del Governatore della Banca Nazionale Croata Boris Vujčić. Sono al lavoro una settantina di dipendenti con sei presse per una capacità giornaliera di quattro milioni di monete. La Banca Nazionale Croata rifornirà di monete le banche a partire da ottobre e saranno disponibili al pubblico dal 1° dicembre.
    2 punti
  7. Un non comune esemplare di dracma, o 4 litre, di Tauromenio, con testa di Apollo/tripode . Sarà a fine mese in vendita Naville 75 al n. 71 . Unisco di questa tipologia, un esemplare a suo tempo, 2001, passato in vendita Nac .
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  8. La siccità, il grande fiume e le Atlantidi del Po: viaggio nella storia Quando si percorre, a piedi, uno spaggione del Po, è normale incontrare resti di coppi, di mattoni, di vasellame e quant’altro. In apparenza, per chi li “incontra” con superficialità, solo poche e povere macerie. In realtà, anche il più piccolo di quei pezzi è una traccia del nostro passato Il Grande fiume va sempre più giù e le quote che sta arrivando a toccare sono da record. A Cremona (fonte Aipo), all’idrometro già da ieri è arrivato a toccare gli 8 metri e 40 centimetri sotto lo zero idrometrico ed è ormai ridotto ad un rigagnolo, con tutta una serie di problemi che, salvo “miracoli” sono destinati a peggiorare. In queste condizioni di secca, il Po non finisce di regalare sorprese e di mettere di nuovo in luce ricordi del passato che erano sepolti da tempo. Un “libro di storia” a cielo aperto, da leggere, da studiare e da percorrere, sull’una e sull’altra riva, per conoscere pagine in più del nostro passato. In questi giorni all’altezza dello spiaggione che si trova di fronte a Isola Giarola, in territorio di Stagno Lombardo (nella zona compresa tra Gerre del Pesce, casotti e Gerra Bassa, a poca distanza da Brancere), il fiume ha restituito resti di antiche mura. Con ogni probabilità ulteriori resti dell’antica Polesine di San Vito, uno dei numerosi borghi che, tra Parmense, Cremonese e Piacentino, nel corso dei secoli, sono stati “divorati” dal Po. Pezzi di storia, la nostra storia, custoditi per anni ed anni, dal fiume: oggi tornati a vedere la luce ed a parlarci, quindi, di un passato importante, che non va dimenticato. Sono le “Atlantidi del Po”, così potremmo definirle. Resti di antiche realtà paesane, spazzate via dal fiume, ma non dalla memoria, che oggi seppur ridotte a poche macerie, tornano a vivere. Quando si percorre, a piedi, uno spaggione del Po, è normale incontrare resti di coppi, di mattoni, di vasellame e quant’altro. In apparenza, per chi li “incontra” con superficialità, solo poche e povere macerie. In realtà, anche il più piccolo di quei pezzi è una traccia del nostro passato: e già solo per questo è prezioso e va osservato con rispetto. Il sottoscritto, appassionato di storia, preferirebbe dire con venerazione, e in silenzio. E’ giusto, a questo punto, andare a ripercorrere la storia, e le denominazioni, di queste “Atlantidi del Po”, a partire appunto da Polesine di San Vito. Un tempo, come ricorda anche Dario Soresina nella sua Enciclopedia Diocesana Fidentina, di Polesine ne esistevano di fatto due: Polesine dè Manfredi, situata nei pressi di Stagno Parmense e Polesine di San Vito, situata invece nelle immediate vicinanze dell’attuale Polesine Parmense. La prima (Polesine dè Manfredi) con chiesa dedicata a San Martino sottoposta alla giurisdizione della pieve di San Genesio (San Secondo Parmense) e l’altra con chiesa dedicata ai santi Vito e Modesto, sottoposta alla pieve di Cucullo (Pieveottoville) in diocesi, allora, di Cremona. Polesine dè Manfredi scomparve a causa delle erosioni create dal Po: il Della Torre, in un suo manoscritto del 1564 che elenca le chiese, i monasteri ed i benefici esistenti a quella data nella diocesi di Parma cita la sua chiesa quale “Ecclesia Polesini curata”, da molti anni occupata dai cremonesi aggiungendo la seguente postilla “Quae noncupabatur Polesini Manfredorum et erat in Parmensi, sed Ecclesia et tita villa fluit a flumine Padi consumpta et exportata: ideo de ea nulla est habenda ratio”. L’ultimo atto che faccia esplicito riferimento al paese è del 12 luglio 1219 (L. Astegiano: Codex diplomaticus Cremonae, vo.II, pag.137) e riguarda il pagamento di dazi al vescovo di Cremona, che esercitava nella zona anche potere temporale. Nell’opera dell’Astegiano tanti sono i riferimenti anche a Polesine di San Vito, a partire dal 1186, ma in nessuna delle pergamene comunali pubblicate è citata la sua chiesa, tradizionalmente ritenuta di antica fondazione. Bisogna arrivare alla bolla di Eugenio IV del 9 luglio 1436 che vederla figurare, per la prima volta, accanto alle chiese della diocesi cremonese, che erano sottoposte alla collegiata di Busseto, eretta su istanza di Orlando Pallavicino, feudatario del luogo, e da lui ampiamente beneficiata. La storia informa che la prima chiesa parrocchiale di Polesine di San Vito venne demolita nel 1400 perchè gravemente danneggiata dalle acque del Po. La successiva, costruita intorno al 1400 in sostituzione della precedente, fu a sua volta distrutta dalle acque del Po nel 1720. E’ tra l’altro certo che il Marchesato di Polesine e Santa Franca ebbe un castello, come informa anche Guglielmo Capacchi nel suo libro “Castelli Parmigiani”. Castello ce era posto a difesa di quell’importante porto fluviale che si apriva immediatamente a nord ovest del “Palazzo delle Due Torri” (l’odierna Antica Corte Pallavicina). Fonti storiche alla mano, un duplice ordine di fortificazioni esisteva in Polesine poiché il trattato di pace e di alleanza tra il Duca di Milano Filippo Maria e il Marchese Orlando Pallavicino del 5 gennaio 1431 parla espressamente di “castrum et rocha Polesini” lasciando intendere che l’abitato intorno al porto era cinto di mura e difeso da una piazzaforte. Polesine di San Vito, nel corso dei secoli, di fatto fu due volte spazzato via dalle acque del Po e poi ricostruito. L’attuale paese è, in pratica, il terzo ed è stato realizzato a maggiore distanza dal fiume e, quindi, in un luogo più sicuro. Il tutto grazie all’iniziativa del marchese Vito Modesto Pallavicino, ultimo signore di Polesine, sepolto sotto il presbiterio dell’attuale chiesa dei santi Vito e Modesto. Per entrare maggiormente nelle pieghe della storia va ricordato che agli inizi del XVI secolo il fiume spostò il suo letto più a sud, fino a lambire le fondamenta della rocca, che nel 1547 crollò e la stessa sorte toccò pochi anni dopo anche alla chiesa costruita da Giovan Manfredo nei pressi dello stesso maniero Successivamente il fiume riprese il suo corso e il borgo di Polesine rifiorì, con la costruzione di abitazioni e di due palazzi marchionali; la situazione precipitò ancora agli inizi del XVIII secolo, quando il Po deviò nuovamente verso sud e, straripando, distrusse nel 1720 la cinquecentesca chiesa di San Vito e, alcuni anni dopo, il palazzo delle Fosse, residenza di Vito Modesto Pallavicino. Quest’ultimo finanziò i lavori di costruzione di una nuova chiesa (l’attuale) in una posizione più distante dalla riva, fulcro dello sviluppo successivo del paese. Vito Modesto morì nel 1731, nominando erede universale il “ventre pregnante” della moglie, che tuttavia partorì una femmina, Dorotea e, quindi, il feudo fu assorbito dalla Camera ducale di Parma, che lo assegnò, unitamente a Borgo San Donnino, alla duchessa Enrichetta d’Este, vedova del duca di Parma e Piacenza Antonio Farnese. Il legame tra Polesine e il fiume è sempre stato molto profondo, lo si intuisce fin dal nome stesso del paese, che potrebbe derivare dal latino “Laesus a Pado” , vale a dire “distrutto dal Po”. Scritta, questa, che era stata inserita anche nello stemma dell’ex comune di Polesine Parmense (fuso da alcuni anni con quello di Zibello). Stemma su cui comparivano anche il dio Eridano, personificazione del fiume Po, il castello a rappresentare il Palazzo delle Due Torri (l’odierna Antica Corte Pallavicina) considerato il simbolo del paese; l’aquila e lo scaccato simboli dei Pallavicino, signori del luogo fino al XVI secolo. E’ più che probabile quindi che le mura emerse in questi giorni possano appartenere a una delle due chiese, a al vecchio castello, sommersi dalle acque del Po. A questo proposito va ricordato che, negli anni Ottanta del Novecento, un palombaro venne inviato a far esplodere, in acqua, i resti degli antichi edifici che ostruivano il passaggio delle bettoline. Parte di questi resti si trovano tuttora dietro al vecchio municipio di Polesine Parmense; altri compongono invece la massicciata che delimita il corso del Po in territorio di Stagno Lombardo e sono ben visibili specie nei periodi di magra, come quello attuale. Non è comunque escluso che i resti possano appartenere all’antico centro di Vacomare che, a sua volta, sorgeva nei pressi dell’odierna Polesine Parmense. Per quanto riguarda invece Polesine dè Manfredi, come già anticipato, questo sorgeva nelle vicinanze dell’attuale Stagno Parmense, del grande e leggendario bosco detto “del Vajro” (in larga parte spazzato via dalle piene del Po) e di altri due luoghi di cui non resta che la memoria storica: Tolarolo e Rezinoldo (o Rezzenoldo o Arzenoldo). Tolarolo sorgeva tra Roccabianca e Stagno e tuttora, a poche centinaia di metri dal centro di Roccabianca, esiste un’arteria comunale denominata “Tolarolo” e si trovano pochi, poveri resti di un antico cimitero. A Tolarolo già nel 1058 sorgeva un castello che Arrigo IV, Re di Germania e d’Italia, concedette ai Borghi (o Da Borgo) di Cremona. Nuove notizie su questo luogo compaiono nel 1316 quando vi trovò rifugio un nerbo di truppe fedeli a Giberto da Correggio (e forse Giberto stesso), appena cacciato dalla Signorìa di Parma. Proprio da Tolarolo, Giberto attendeva aiuti cremonesi proprio per muovere alla riscossa, ma dopo pochi giorni perse anche quella signoria e, furioso, si diede a saccheggiare la campagna parmense, scatenando così la reazione dei cittadini che, alternandosi per “Porte” avvicendarono forze sempre fresche all’assedio di Tolarolo (18 ottobre – 22 novembre 1316. I correggeschi alla fine vennero a patti e, se il Podestà di Parma si era accontentato di presidiare il forte con truppe fedeli alla città, il capitano del Popolo, Guiscardo, della Società dei Crociati, cavalcò a Tolarolo spianandolo fino alle fondamenta e colmando i fossati. Un ultimo documento, che parla del castello di Tolarolo ormai distrutto, è datato 1375. Oggi non resta alcun rudere di quell’edificio come non resta nulla della sua chiesa che era dedicata a San Michele e della vicina fortezza di Rezinoldo (o Rezzenoldo o Arzenoldo), località che per la prima volta compare nell’elenco di ville di cui Federico Barbarosssa infeuda, nel 1189, Oberto Pallavicino ed è opinione di Francesco Luigi Campari, nel suo libro “Un castello del Parmigiano attraverso i secoli” che il nome del luogo derivasse da “argine” (la forma dialettale è “àrzen). A Rezinoldo, di fatto “inglobato” nell’odierna Roccabianca esisteva anche un chiesa dedicata a San Bartolomeo. L’attuale chiesa di Roccabianca, dedicata ai “Santi Bartolomeo e Michele” rappresenta, di fatto, una sintesi, e quindi un ricordo, dei due sacri edifici scomparsi. Altro castello scomparso è quello di Torricella di Sissa Trecasali, anticamente detta San Donnino del Castello di Torricella, per distinguerla da Torricella ultra Padum, vale a dire Torricella del Pizzo, posta sulla sponda casalasca del fiume. E’ probabile che il castello, citato ufficialmente per la prima volta nel 1284, esistesse quando le due “Torricella” erano di fatto una unica località. Il maniero venne distrutto, al termine di una cruenta battaglia fluviale nel 1427. Sempre in terra parmense non resta alcuna traccia di Isola dei Bozardi, località situata tra Gambina e Polesine di San Vito che, nel 1219, figurava come Insula de Committibus e successivamente denominata Ysoleta Domini Bozardi De Burgo nella quale si trovava anche una chiesa, dedicata a San Domenico. Nei presi di Pieveottoville, anticamente, sorgevano invece le località di Caprariola (a sud del paese, nella zona che conduce a Samboseto), Tecledo e Brivisula. In particolare, come si può leggere anche nel Codice Diplomatico della Lombardia Medievale (sec. VIII-XII) Carlo II imperatore, su richiesta di Benedetto, vescovo di Cremona, assunse sotto la sua protezione tutti i beni e i diritti pertinenti alla Chiesa cremonese, confermando i diplomi di immunità e protezione, già emanati da Carlo Magno, Ludovico I, Lotario I e Ludovico II, e ribadisce le concessioni alla Chiesa cremonese, contenute nei citati diplomi di Carlo Magno, Lotario I e Ludovico II relative alle località di Tecledo, Brivisula e Cucullo, al porto sul Po e ai diritti di passaggio, molitura e attracco fino alla confluenza dell’Adda nel Po; conferma infine il diritto della Chiesa cremonese ad esigere le tasse di palifictura e ripaticum senza alcuna contestazione. Anticamente, in epoca longobarda, tra le odierne Pieveottoville e Ragazzola, sorgeva inoltre la località di Carpaneta, di cui non resta tracia alcuna. Passando quindi al territorio cremonese, e in particolare all’area casalasca. i luoghi spazzati via, nel tempo, dall’azione del Po sono Barcello,Cella, Casale dè Ravanesi, Scurdo e Gurgo. Di tutti restano solo documenti in cui vengono menzionati, in gran parte di carattere ecclesiastico. Come nel caso di Cella (sulla cui storia a breve uscirà un libro) che era sottoposto alla giurisdizione del vicariato di Casalmaggiore. Dall’arciprete di Casalmaggiore riceveva l’olio santo e nominava i. reggente della chiesa di Cella stessa. Una carta topografica di Antonio Campi datata 1583 vede Cella situata sulla sponda destra del Po e, pertanto, il suo distacco dalla riva casa lascia va collocato anteriormente a quella data. L’esistenza di Cella coincide dunque con il tempo in cui Casalmaggiore godeva di un più vasto diritto sui territori staccatisi dalla sua sponda. All’inizio del 1600 Cella esisteva ancora e aveva 140 abitanti, oltre ad una piccola chiesa dedicata a San Pietro, composta da una sola navata, con un tetto basso e piuttosto pericolante. La chiesa, tra l’altro, non consacrata, non aveva la sagrestia ed era priva di Sacramento a causa della povertà degli abitanti. Tra i suoi titolari, il benedettino padre Angelo Dè Tei. Le attività principali erano quelle legate all’agricoltura e ai mulini sul Po. Infine, nel terzo volume della “Storia di Casalmaggiore” dell’Abate Giovanni Romani, sono citate anche le località di Casale dè Bellotti che dipendeva dalla curia di Fossacaprara e Casale dè Zani, che dipendeva dal territorio di Cogozzo. Ma le “Atlantidi” del fiume non finiscono qui. Proprio a due passi da Cremona, importanti furono i mutamenti del corso del Po che interessarono, in modo particolare, la dirimpettaia zona del basso piacentino dal 1816-21 fino al 1978, come si può osservare anche dai rilievi che emergono dalla sovrapposizione del primo catasto ordinato da Napoleone Bonaparte (1816-21) con le mappe eseguite dall’Istituto Geografico Militare datate 1974. Tutto è ampiamente e minuziosamente descritto anche nell’Enciclopedia Diocesana Fidentina di Dario Soresina: tre volumi, in tutto, che non possono mancare a coloro che intendono approfondire meglio la storia dei territori, dell’una e dell’altra riva, bagnati dal Po. Per quanto riguarda Monticelli d’Ongina, internandosi con potenza nel torrente Chiavenna, il Po creò un vero e proprio smembramento che interessò soprattutto le località Castelletto o Rottino (che scomparve praticamente del tutto a causa della progressiva erosione culminata nel 1868) e Tinazzo, sommersa con le sue case e la chiesa dedicata alla Beata Vergine del Tinazzo nel medesimo anno. Si formò così un’isola, poi divenuta penisola, detta America del Seminario, posta tra lo scomparso Rottino e la parte rimasta dell’Isola Mezzadra. Determinando inoltre una diversa e più ampia ansa, il Po lasciò in direzione Nord Ovest un ampio arenile entrato a far parte di Isola Serafini. Il nuovo corso del Po, fissandosi lungo l’asse Nord Est partendo dal Tinazzo di Monticelli d’Ongina, sommerse gran parte della frazione di Olza, che unitamente alla chiesa parrocchiale scomparve definitivamente durante l’alluvione dell’autunno 1857. Da evidenziare comunque che, per la costante minaccia delle acque, l’abitato era già andato a spostarsi gradualmente nella zona più interna, quella delle cosiddette Campagne d’Olza. Per l’allargamento dell’ansa in direzione Nord Ovest, nel 1839 il Po tagliò di fatto a metà l’Isola Mezzadra, che faceva parte della parrocchia di Olza nonostante fosse situata nell’Oltrepò e, ridotta notevolmente in ampiezza, nel 1854 passò sotto la giurisdizione della provincia e della diocesi di Cremona. L’esondazione del 1839 creò il presupposto ai mutamenti che si verificarono durante le successive alluvioni per la rottura di argini e l’indebolimento di altre difese. Grazie alle memorie dell’epoca conservate nell’archivio parrocchiale di Olza, è noto che in quell’anno il fiume ruppe gli argini dell’Isola dei Guerci, sommergendola quasi interamente. Dalla stessa Isola dei Guerci le acque strariparono invadendo, ad Olza, le località Mortesino (fino all’argine del Tavello), e Marianne, raggiungendo la vecchia chiesa, difesa dal Tavello e già lambita per la prima volta dalle acque del Grande fiume nel 1801. Proprio davanti alla chiesa il Po creò una grande erosione, successivamente colmata da un bosco detto di Santa Valeria. Tra questo e la riva si formò un canale in cui le acque, raccogliendosi copiosamente, avrebbero poi dilagato durante l’alluvione del 6 ottobre 1868. Dopo il Castelletto, Olza fu il paese che subì i maggiori danni causati dagli straripamenti del Po il quale, oltre a spazzare via ogni traccia di Olzula Vetula, centro attivo di commercio e di vita, ne ridusse considerevolmente il territorio. Da notare che fino ai primi decenni del Novecento il campanile della vecchia chiesa distrutta era visibile sul lato cremonese ed era, di fatto, il solo superstite della furia devastante delle acque. Furono invece di lieve entità i mutamenti nella vicina Fogarole e riguardarono la cessione del fiume di una porzione di terreno a Nord. Passando a Croce Santo Spirito (parte integrante di Castelvetro Piacentino), l’alluvione del 1857, variando il corso del Po, modificò la zona nella parte a Nord e ad Est. Il fiume tagliò in mezzo l’Isola Capelli ed asportò una fascia litoranea di terreno a Mezzano Chitantolo, in località Bondiocca. Castelvetro, San Giuliano Piacentino e Soarza trassero invece vantaggio dai mutamenti che riguardarono il corso del Po. In particolare Castelvetro incorporò parte del territorio di Bosco Ex Parmigiano, San Giuliano l’Isola Boscone mentre Soarza la parte ad Est del suo territorio oltre il Gorrile, comprendente, tra l’altro, Isola Costa. Tornando ad Olza, ecco che la sua chiesa, di remota fondazione, faceva parte della pieve di San Giuliano e, nel secolo XI fu compresa nella giurisdizione della chiesa di Sant’Agata in Cremona che, per un certo raggio, si estendeva anche nell’Oltrepò. Olza era allora un attivo centro di commercio che gravitava ampiamente su Cremona ed il benessere degli abitanti è dimostrato anche dai tanti benefici e legati che furono eretti e fondati nelle sue due chiese. Dalle pergamene cremonesi pubblicate da Lorenzo Astegiano si rileva che la chiesa di Olzula Vetula possedeva, e mantenne, nei secoli X, XI e XII, cospicue proprietà terriere e che ben provvista era anche l’altra chiesa olzanese di San Lorenzo, scomparsa da secoli. Le ampie erosioni operate dal fiume Po sottrassero alla chiesa gran parte del suo patrimonio e quando, nel 1436, fu sottratta alla chiesa cremonese di Sant’Agata per passare alla collegiata di Busseto, la sua importanza era già venuta meno. Nel 1470 passò poi sotto la giurisdizione della collegiata di Monticelli d’Ongina divenendo una semplice chiesa filiale curata, inizialmente retta da sacerdoti incaricati della cura d’anime dal prevosto di Monticelli. Fu con l’erezione della diocesi di Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza), nel 1601, che la parrocchia acquistò la propria autonomia. I maggiori danni al paese, e alla chiesa, furono causati dal fiume nel secolo XIX. Un registro di memorie iniziate dal priore don Antonio Ricci (1773-1826) e proseguite poi dai suoi successori descrive i danni provocati dalle diverse alluvioni che interessarono una vasta fascia di terreno nell’area compresa proprio tra Olza, Castelletto e Tinazzo, con queste ultime due ormai scomparse. Come già evidenziato, gran parte del vecchio abitato di Olza fu sommerso dal fiume rendendo inevitabile il graduale spostamento del paese in una zona più interna e quindi più sicura. Anche per questo, in passato, la chiesa era comunemente definita “delle campagne d’Olza” e non più “di Olza”. Il pericolo di ulteriori e più gravi danni veniva rilevato anche nel 1875 dal parroco don Andrea Sperzagni (nato nella stessa Olza nel 1821) che, nelle sue memorie, annotava che il Po premeva in modo minaccioso contro l’abitato erodendo il terreno per un tratto di quasi tre miglia dal cosiddetto Rottino fino alle case di Olza, internandosi poi con forza nello scolo del Tinazzo e in località Marianne. Questa costante minaccia, motivo continuo di preoccupazione tra la gente, fu poi sventata con il rafforzamento degli argini. Opera, quest’ultima, attuata grazie al concreto interessamento del parroco don Valentino Guzzoni che sollecitò ed ottenne l’intervento dello Stato. Delle varie chiese di Olza coinvolte nell’azione distruttiva del Po non si hanno moltissime notizie. Una chiesa fu demolita nel 1677 e, quindi, riedificata per iniziativa del priore Simone Ferrari e consacrata l’8 giugno 1687 dal vescovo di Fidenza monsignor Nicolò Caranza. Il sacro edificio non durò nemmeno due secoli; fu infatti pesantemente danneggiato dall’azione del fiume e, quindi, raso al suolo nell’agosto del 1858 per essere sostituito dalla chiesa odierna, realizzata tra il 1864 ed il 1866 e dedicata a Santa Valeria Vergine e Martire. Chiesa, quest’ultima, che tra il proprio patrimonio comprende anche l’organo del cremonese Antonio Picenardi (ma in gran parte ricostruito dalla ditta Giovanni Tonelli di Mantova); la Via Crucis con i quadretti eseguiti nel 1828 dal cremonese Giuseppe Pagliari e il coro ligneo i cui scanni settecenteschi in noce intagliato e scolpito furono acquistati dalla chiesa cremonese dei frati Cappuccini (come i due confessionali ed il pulpito) La parrocchia, come anticipato, divenne rettorato nel 1608 e vide ridursi i propri confino quando fu sottratta alla sua giurisdizione l’Isola Mezzadri, che le apparteneva da antica data. Questa faceva parte del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla nonostante si estendesse sulla sponda opposta del Po, per poi essere annessa alla Diocesi di Cremona, e alla provincia di Cremona, con decreto concistoriale del 20 marzo 1854 e civile del 21 agosto del medesimo anno. Tra le località scomparse spicca anche il Castelletto la cui parrocchia era dedicata a San Nicola di Bari. Era detta anche del Rottino e si trovava nell’area compresa tra il Po e Isola Serafini. In una carta topografica diocesana di inizio Ottocento è indicata nella zona monticellese più vicina al fiume. Oggi la località Rottino, di fatto la sola superstite della scomparsa parrocchia di Castelletto, si trova nella zona Sud est di Isola Serafini, mentre Isola Mezzadri, che faceva parte della parrocchia di Castelletto, dipende civilmente ed ecclesiasticamente da Cremona. Nel 1800 la popolazione di castelletto era di 370 persone, scese a 291 nel 1840 ed a 93 nel 1868. Nel 1913 erano appena una trentina. Nel 1723 chiesa e canonica furono demolite dalla furia delle acque ed era, quello, solo l’inizio di una catastrofe che nel secolo successivo aveva poi coinvolto tutta la fascia tra il Rottino e Olza. Da allora, per la costanza dei parroci e della popolazione, furono erette in parrocchia tre altre chiese e quattro oratori. Edifici tutti spazzati via, nel tempo, dal Po. L’ultima chiesa crollò nel 1879 ed un ulteriore progetto di ricostruzione della parrocchiale incontrò l’opposizione dell’autorità pubblica nonostante fosse già stato dato inizio ai lavori. Con decreto regio del 2 luglio 1890 ne fu ordinata la sospensione destinando al prevosto del Castelletto (allora era don Carlo Cavezzali) la cappella e l’altare del Santissimo Sacramento nella collegiata di Monticelli d’Ongina dove avrebbe potuto comunque continuare tutte le funzioni riguardanti la cura delle anime che gli erano state affidate. Proprio per la situazione che si era venuta a creare, don Cavezzali, prevosto di castelletto dal 1882, non risiedette un solo giorno in parrocchia. Stessa scelta la fece il suo successore, don Pio Massari, che gli succedette nel 1901. Formalmente la parrocchia continuò ad esistere e fu solo il 31 dicembre 1904 che l’autorità ecclesiastica diocesana decretò la soppressione. Nel 1913 la parrocchia fu trasferita a Villa Diversi, nuova parrocchia istituita il 6 maggio 1913 e dedicata a San Nicola di Bari e San Giuseppe e durata nemmeno mezzo secolo. Infatti venne a sua volta soppressa nel 1968. Infine, uscendo “un attimo” dall’area cremonese, piacentina e parmense, ecco che il fiume ha restituito resti di antichi villaggi anche nella zona compresa tra le province di Alessandria e di Pavia, un’area che nel Medioevo era densamente popolata. Dal Po, in quella zona, sono stati spazzati via Sparvara, Borgofranco Lomellino, Bric di San Martino, Cambiò Vecchia e Villanova di Cambiò. Pagine di storia che, nel tempo della grande e storica magra, “riemergono” e confermano, se mai ce ne fosse bisogno, quanto il vecchio Eridano sia, da sempre, un protagonista assoluto del cammino delle nostre terre. https://www.oglioponews.it/2022/07/14/la-siccita-il-grande-fiume-e-le-atlantidi-del-po-un-viaggio-nella-storia/
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  9. Ciao a tutti, tempo fa mi sono costruito un bel monetiere, studiato il legno adatto (non resinoso mi raccomando), comprato del velluto di cotone e ho messo le monete a riposare....ora dopo qualche anno volevo condividere con voi i risultati su alcune di esse....sono graditi commenti sulle patine formatesi e sullo stato di conservazione che attribuite alle monete cosa che mi permetterebbe di capire se la patina che si é formata "nasconde" o meno la gradazione originale... Parto con questa che é una delle mie preferite 1 Lira Aquila Sabauda 1901 Grazie a tutti per i commenti
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  10. Ho sostituito recentemente una moneta in collezione, e devo sostituire anche la sua classificazione... Molte monete sono state da sempre discusse se da attribuire a Filiberto I oppure a Filiberto II, ora Sergio Cudazzo ha spostato dal primo al secondo 12 monete tra cui quella classificata sul Mir come Grosso di Filiberto I al numero 200 ed ora diventata un Grosso di Filiberto II al numero 347. Posto le immagini della nuova moneta e quelle della vecchia (veramente sono vecchie entrambe con i loro 5 secoli) per fare un confronto fra le due ...
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  11. L'opera di Goltzius è consultabile in rete: https://dlc.mpg.de/image/khi_tn_foreign_bsb_2_h_ant_34_t/1/ Di seguito la tavola dove illustra la presunta moneta di Pandosia:
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  12. Questo è l’altro problema…. Capitava che le monete raffigurate erano frutto di immaginazione … o sempre di errori tramandati nel tempo ..
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  13. La cinquecento lire bimetallica è stata la prima "prova "di unire due metalli per fare moneta. È abbastanza normale che i primi esperimenti non vengano bene. Quindi datti pace che con queste monete difetti ne troverai tanti anche per gli altri anni. Quella che desta interesse dal lato collezionistico, non economico, è quella del 1983 centenario banca d'Italia dove ci sono le due versioni: una con data 983 e una con data 1983 e anche le firme Cretara sono diverse.
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  14. la moneta da quel che vedo è senza dubbio autentica. probabilmente usura.
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  15. @The Judge Ciao, sono molto felice di vedere la tua risposta, molto professionale.
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  16. Buongiorno a tutti, un bellissimo quadretto di monete repubblicane, un bel colpo d'occhio vederle insieme, il 6 Carlini ruba la scena in mezzo a tutto quel rame. Io ho solo il 6 Tornesi Normale e il 4 Tornesi, il resto mi manca tutto. A proposito di REPUBBLCA se non ricordo male lo accaso' Cristiano @Asclepia?. Saluti Alberto
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  17. Dopo l'esemplare della collezione Santangelo vorrei sottoporre alla vostra attenzione un altro pezzo che mi ha sempre incuriosito. https://gallica.bnf.fr/services/engine/search/sru?operation=searchRetrieve&version=1.2&query=(gallica all "pandosia")&lang=it&suggest=0 L'esemplare viene riprodotto dal Noe nel primo volume del corpus sulla monetazione di Metaponto (tav. 23, E) e nel successivo aggiornamento dell'opera a firma della Johnston (1984). La moneta è nota anche ad Attianese che la illustra nel volume Kroton. Ex nummis historia (1992, p. 56 n. 42). Nessuno tuttavia fornisce informazioni circa la provenienza dell'esemplare che sono invece riuscito a rintracciare attraverso una piccola ricerca in rete. Lo statere è conservato a Parigi (BN, Y 4864 ex coll. Rothschild 2429) e presenta un peso decisamente alto (gr. 9,34) che non corrisponde a quello indicato da Attianese (gr. 7,98). Altro elemento che mi incuriosisce è l'esecuzione stilistica e la resa delle legenda al D/, che si distaccano nettamente dagli esemplari noti, nonché il segno visibile a destra del tripode (lettera? simbolo?). Cosa ne pensate?
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  18. 50 centesimi ad essere generosi. Quasi tutte le monete da 500 lire hanno più o meno questi "difetti".
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  19. Invidio sinceramente. Congratulazioni. È un'acquisizione degna per la collezione.
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  20. Buongiorno a tutti, @caravelle82 una tra le cose più importanti in un hobby, una Passione è l'essere soddisfatti, il resto passa tutto in secondo piano. Saluti Alberto
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  21. Buongiorno Alberto Ho immaginato sempre piú quel che scrisse Rocco. Tutto è partito "stranamente" con quel tornese,giá dall' errata data dichiarata (bonariamente)dal venditore (9con 5 finali). Il resto è tutto qua? e sono molto soddisfatto?
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  22. La Titanomachia è una guerra della mitologia greca combattuta da Zeus e gli altri dei dell’Olimpo (cui si erano uniti i ciclopi e gli ecatonchiri) contro la generazione delle divinità precedenti, quella di Crono e dei titani. L’antefatto riconduce al principio dell'universo quando c'era solo il Caos, e poi apparve Gea, Madre Terra, la quale generò Urano, il Cielo, e si unì a lui dando alla luce la stirpe dei titani, sei maschi e sei femmine (dette titanidi). Oltre a queste Gea diede vita anche ad alcune creature mostruose, tre ciclopi e tre ecatonchiri, che Urano tuttavia odiava e, per liberarsi di loro, le incatenava nel Tartaro non appena nascevano provandone grande piacere. Per vendicarsi di ciò Gea invitò i titani a ribellarsi, ma essi erano tutti intimoriti dal potente padre tranne Crono, il più giovane di essi, che accolse la richiesta. Armatosi di un falcetto creato dalla madre, Crono sorprese il padre mentre desiderava unirsi con Gea e gli tagliò i genitali, gettandoli poi in mare. In questo modo i titani ottennero il dominio sull'universo sotto il comando di Crono, ma questi non si comportò bene con i ciclopi e gli ecatonchiri ricacciandoli nuovamente nel Tartaro dove già li aveva confinati Urano. Crono sposò sua sorella Rea, ma essendo stato profetizzato da Urano morente e da Gea che proprio uno dei suoi figli sarebbe stato colui che lo avrebbe spodestato, ogni volta che Rea dava alla luce un figlio, Crono lo divorava. Fecero questa fine Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Quando fu la volta di Zeus, per evitargli la stessa sorte degli altri, Rea lo partorì di notte e lo affidò a Gea che lo portò a Creta. Per ingannare Crono Rea avvolse una pietra nelle fasce e la consegnò al marito, che la divorò nella convinzione che si trattasse del piccolo Zeus. Zeus crebbe quindi a Creta e quando raggiunse un'età adeguata decise di vendicarsi di Crono. Con l'aiuto della madre Rea chiese e ottenne di diventare coppiere del padre (il quale evidentemente non lo riconobbe), ma approfittando di tale posizione, versò un emetico nelle bevande di Crono. Questi cominciò a vomitare e in questo modo tirò fuori prima la pietra e poi tutti e cinque gli dei olimpici che aveva divorato. Questi uscirono illesi e già adulti, e visto il trattamento subito, non potevano che provare un odio profondo per Crono e gli altri titani, tanto che fu subito chiaro che tra gli dei olimpici e i titani sarebbe scoppiata una guerra. Gli dei per gratitudine offrirono a Zeus di guidarli, mentre i titani scelsero come capo Atlante. La battaglia Il conflitto vedeva gli dei situati sul monte Olimpo e i titani sul monte Otri (con l'eccezione di Prometeo e Stige che appoggiavano gli dei pur essendo figli di titani). La guerra infuriò per dieci anni, ma a un certo punto Gea profetizzò che gli dei avrebbero vinto soltanto se avessero ottenuto l'appoggio dei ciclopi e degli ecatonchiri che erano ancora nel Tartaro, dove li aveva confinati Crono. Zeus allora uccise Campe, l'anziana carceriera, e li liberò, rifocillandoli con nettare e ambrosia. I ciclopi per riconoscenza donarono a Zeus il fulmine, arma molto potente, ad Ade un elmo che rende invisibili e a Poseidone un tridente. I tre dei si introdussero poi nella dimora di Crono e mentre Poseidone lo teneva a bada col tridente, Zeus lo colpì col fulmine e Ade gli rubò le armi. Intanto gli altri titani furono bersagliati di pietre dagli ecatonchiri, che avendo cento braccia e cento mani potevano lanciarne un numero enorme. Intervenne infine un lacerante urlo del dio Pan che mise definitivamente in fuga i titani. La battaglia si concluse dunque con la vittoria degli dei olimpici che confinarono gli sconfitti nel Tartaro, sotto la sorveglianza degli ecatonchiri. Atlante, capo della fazione perdente, fu condannato a reggere la volta del cielo, mentre le titanidi non subirono punizioni, per l'intervento di Rea e Meti. Cominciò così il dominio degli dei olimpici: Zeus divenne padrone del cielo, Poseidone del mare e Ade dell'oltretomba. I titani non ebbero mai più modo di prendersi una rivincita, portando così a una stabilizzazione definitiva delle divinità dominanti. apollonia
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  23. @Rocco68, tranquillo, non credo sia un problema non rispettare un ordine cronologico, magari ognuno lo farà per le sue. A proposito aspetto gli altri tuoi esemplari e anche degli altri. Appena mi sarà possibile posterò il mio secondo esemplare di 15 89. Saluti Alberto
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  24. La realizzazione del decoro nel taglio fu il punto debole sia dei falsari che dei tosatori. Per i primi , dopo aver terminato la moneta (Piastra) , sia per fusione che per coniazione, bisognava ritoccare le imperfezioni dovute alla fusione e ricopiare al meglio il decoro nel taglio. Molti PROVIDENTIA OPTIMI PRINCIPIS nelle mie Piastre falsi d'epoca presentano vistosi errori , quali N speculari o lettere mancanti e stelline a 5 punte in sostituzione del giglio. Il taglio a serpentina poi fu quanto di più difficile da riprodurre, chi lo abbozzo' con due mezze lune coricate e contrapposte, chi ricreando un punzone "modulo" o chi lo bulino' direttamente sul taglio. Alcuni tosatori lasciavano metà taglio con la treccia originale e ne abbozzavano solo il lato su cui avevano tolto il prezioso metallo. Tempo fa mi proposero un gruppo di piastre di Ferdinando IV tutte con metà tondello tosato, e il rimanente con una treccia appena accennata. Nei prossimi post , vi farò vedere tutti i tagli dei miei falsi. Al momento ho in archivio solo i due delle Piastre 1786.
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  25. Concordo con Arka, piccole particelle di scoria o bollicine d'aria presenti nel metallo lasciano la traccia quando si frappongono fra il metallo del tondello e la superficie del conio (vedi anche la lettera Teta) Si tratta di una rottura di conio; peraltro la moneta non pone nessun dubbio circa la sua genuinità. Ciao a tutti!
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  26. DE GREGE EPICURI Per me, in queste condizioni è impossibile esprimere un parere sull'autrenticità. Alcune parti sembrano molto usurate (es. la testa della figura al rovescio, suppongo Atena), mentre le lettere sono al confronto meglio conservate. Dalle foto non è chiaro se abbia una patina autentica. Infine, nelle parti più sporgenti sembra emergere rame (od oricalco?) vivo, il che in genere non è un buon segno.
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  27. appena arrivato l'erasmus slovacco proof, veramente bella!
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  28. Ciao @Lucifugo, a me non piace nemmeno l'orecchio, dove si può vedere un eccesso di metallo che lo riempie totalmente. Anche qui difetto del conio? Attendiamo altri pareri ? ANTONIO
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  29. Non vedo nulla di particolare. Potrebbe essere stata causata da sporco sul conio. Arka Diligite iustitiam
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  30. Ciao @PK., I denari che venivano coniati ai tempi di Alessandro Severo avevano un contenuto di argento sceso al 50% del peso totale o anche meno, il resto era rappresentato quasi principalmente da rame. Ed è proprio dal rame della lega che si generano le effiorescenze di malachite di colore verde(si vedono bene sulla moneta del post). ? ANTONIO
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  31. Ciao, si sono dovute all'emersione dei metalli meno nobili che compongono la lega d'argento che in determinate condizioni ambientali riemergono in superficie sotto forma di malachite (incrostazioni di colore verde) o altro. Il rischio di pulire monete del genere è quello di mettere a nudo i crateri (veri e proprie mancanze di metallo) che si trovano sotto tali incrostazioni, molto più brutte da vedersi sicuramente di come si presenta ora? ANTONIO
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  32. Io ero in Croazia fino all'altro ieri, di conseguenza ho avuto modo di "vivere" le giornate decisive per quanto riguarda l'ammissione della Croazia all'interno della zona euro. Già a partire dall'altro ieri, com'era successo in Italia nel 2001, nei supermercati viene riportato per ogni prodotto in vendita il prezzo in kune ed il prezzo in euro. A partire da settembre dovrebbe iniziare la doppia circolazione in via ufficiale (in realtà gli euro venivano comunque utilizzati in via non ufficiale già da diversi anni, per spese di una certa entità, e mi dicono che anche in Polonia vengono utilizzati frequentemente)... Giacché ero lì, ne ho approfittato per fare incetta di kune croate (metalliche, non cartacee) in vista di scambi futuri con altri collezionisti (prevedo che le kune coniate negli ultimi 3-4 anni, in particolare, diventeranno quasi introvabili anche sul mercato collezionistico, essendo rimaste in circolazione per pochissimo tempo)...
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  33. Per precisione riguardo alla Potestà Tribunicia. La prima il 14 marzo del 222, rinnovata poi annualmente il 10 dicembre. il tuo esemplare @Hazyy mi sembra riporti VI quindi dovremmo essere nel 227/228?. Saluti Alberto
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  34. Carissimi, Posto la mia ‘59. Segue immagine ad alto ingrandimento delle aquile rovesciate con lo schema della possibile ribattitura ricostruita nell’interessante proposta storico-numismatica dell’articolo proposto da @Astericz . Si evince nel mio esemplare la mancanza di ribattitura. Curiosa e storicamente credibile L’ipotesi dell’arma diffamata ma… Come associarla alla zecca di Napoli se i “congiurati” sarebbero stati siculi ? Attendo i vostri graditissimi commenti
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  35. Da commerciante non posso non rispondere, potrebbe essere un nuovo cliente. Arka Diligite iustitiam
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  36. La medaglia distintivo per le Infermiere Volontarie (Regno d'Italia e Repubblica Italiana)
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  37. Grazie Rickkk Appena arrivata! E adesso con calma leviamo sto sarcofago... N.
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  38. Un triemiobolo non comune, di gusto ancora arcaico, da Corinto . Al rovescio, in quadrato incuso, testa di fronte di Medusa, contornata dalle lettere che indicano il valore nominale della moneta . Sarà verso fine mese in vendita RomaNum. 100 al n. 94 .
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  39. moneta che ha fatto abbondantemente il suo dovere. Bassa la conservazione, MB e chiaramente di nessun valore
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  40. Ciao confermo i giudizi precedenti sulla conservazione. Vorrei solo precisare, ma solo per evitare informazioni inesatte ai lettori, che della monetazione eritrea di Umberto la qualifica di “Tallero” è attribuita solo al 5 lire, non ai tagli inferiori. Saluti
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  41. Non l' avrei presa come qFDC ,ti dico la veritá. Qui secondo me,sotto sotto ci sono pesanti hairlines
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  42. vi ringrazio tutti, inizio a capire meglio il modus operandi di una valutazione
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  43. A fine agosto dovrebbero incominciare a inviare le mail per gli ordini, ma chissà, visti i precedenti non ci sarebbe da stupirsi se le scadenze comunicate subissero dei ritardi. petronius
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  44. A inizio settembre, secondo quanto comunicatomi dall'addetto di Santa Marta, sentito qualche giorno fa. petronius
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  45. Però, che fai Francesco ci segui... Mi sento di avallare la tesi del buon Pietro, che attentamente data sempre attraverso le sigle, cosa esssenziale per il vicereame, dove le date latitano. Ma inoltre vi è da considerare l'aspetto tecnico, ho siamo davanti alla classica rottura di conio ( che porterebbe il 5 a mutarsi in un fantomatico 8), altrimenti quando approntarono il conio di questo interessante e piacevole nominale, il punzone usato per comporre l'ultima cifra della unica data nota, e ciò il numero 5, era una lettera e cioè una S, già nota e consueta. Meritevole per conservazione, un rovescio importante con rispettiva data nitida. P.S. Attenzione alle ossidazioni presenti nel campo, questi tondelli sempre molto porosin sono particolarmente soggetti, consiglierei di cautelarsi per il futuro. Eros Eros
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  46. [.....] non vi sembra strano che sotto la direzione del maestro di zecca Fabrizio Biblia (B) troviamo monete siglate fino al 1625 e nessuna moneta per tutte le tipologie coniate sotto Filippo IV con la data 1626-1627 e poi si vede comparire o meglio viene riportata (PR 114) l'unica moneta siglata B nel 1628; Credo che ci sia stata una errata lettura della data infatti credo che sia proprio il carattere della cifra del 5 ad essere così........guardate questo nel nostro catalogo, la prima moneta dell'Artemide Asta.http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-FIV/6
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  47. Ma un 1628 con questa sigla non credo si sia mai visto. Per me è un 5 [.....] se diamo retta alle sigle apposte sulle monete, nel 1628 era presenta in zecca come maestro, Michele Cavo (sigla MC); Fabrizio Biblia sigla B (come in questo caso) oppure FB sulle monete inizia il suo periodo in zecca il 12 giugno del 1623 e termina la sua attività il 22 agosto del 1625. La data 1628 per questa tipologia non è riportata dal Corpus e la moneta presente nel PR al n° 114 (dove gli autori fanno riferimento alla collezione Scacchi n° 1218) andrebbe verificata..............potrebbe darsi che essi si siano sbagliati. Un saluto Pietro
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  48. Ti ringrazio per la risposta. Io faccio riferimento al VARESI (monete italiane regionali) EMILIA ROMAGNA. Si fa riferimento proprio al MARCHESANO PICCOLO D/ NIChOL MAR ; nel campo ChIO a croce. R/ DE FERARIA, grande A Ho visto anche il DENARIO o FERRARINO di OBIZZO III ma con altri simboli. Se riesco provo a mettere foto piu' grandi.
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