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  1. L. Licinio Lucullo

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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 06/20/25 in tutte le aree

  1. Premettiamo prima di tutto che l'errore può starci, nessuno è perfetto e sbagliare è, ovviamente, umano. Senza fare di tutta l'erba un fascio, è pacifico che ci troviamo in una situazione "poco chiara" per il collezionista che vuol iniziare. La soggettività del grading, unita alla facilità con cui ciascuno può aprire una ditta (non parliamo dei bagarini!) e diventare commerciante anche con poca esperienza, purtroppo, stanno dando i risultati (ovviamente non mi riferisco al commerciante che ha sigillato la moneta). Il mio stringatissimo commento al riguardo, preciso, non voleva alimentare questa diffidenza verso tutti gli addetti ai lavori, ma solo prendere atto del detto, oggi più che mai salvifico: "fidarsi e bene, ma non fidarsi è meglio" (specie se ci sono i soldi dietro, aggiungerei...) e credo sarete tutti concordi con me su questo; non è quindi per fare alcuna polemica. Ci sono Professionisti che oltre alla loro pluridecennale Professionalità, operano e si distinguono per Signorilità, cortesia e disponibilità. Ecco, imparare a capire chi questi siano, offre possibilità di acquistare serenamente nei primi momenti del collezionismo. Anche questo è un saggio consiglio. Imparare da chi ne sa di più è uno dei punti fondamentali. Certe cose si imparano solo osservando e confrontando, e se ti aiuta un Amico (disinteressato), è cosa importantissima e fondamentale. Sono d'accordissimo con te, ma qui parliamo di un due lire quadriga veloce... insomma, è tra le prime monete del Regno che si impara. Sono stati fatti anche dei confronti che... parlano da soli. Ma già anche senza il confronto: lo sguardo nel ritratto del sovrano è da zombie, la spallina (mai vista una decorazione con quegli incusi così brutti e pronunciati), la basetta, son totalmente sbagliati i dettagli. Le fattezza dello stile dell'italia, con lo scudo, i cavalli, l'usura incompatibile (i cavalli sono usurati, e l'orecchio no?), insomma, era già strana al primo sguardo. Poi, in foto si può sbagliare e io sono il primo a dirlo (perchè di sbagli ne ho fatti), e se mi conoscete, sapete che sono molto molto cauto nell'esprimere un parere di autenticità tramite foto; ma qui, insomma, qui le cose sembrerebbero abbastanza palesi: - o mi sono venute le travergole (cosa che non escluderei MAI) - o sto prendendo un granchio talmente colossale... Grazie per la stima. Ma non ti fidare manco di me...
    7 punti
  2. PREMESSA Un amico, del tutto profano in materia numismatica, mi ha chiesto perché la monetazione romana repubblicana mi affascini tanto. Ho deciso allora di scrivere queste poche righe pensando a lui, a come spiegargli la mia passione. Questo non è quindi un trattato di numismatica, e men che meno di storia. Contiene sicuramente approssimazioni, probabilmente imprecisioni, forse errori. La scelta degli eventi narrati e delle monete che li illustrano è del tutto arbitraria e priva di una vera logica. Questo è un racconto, un tentativo di comunicare emozioni: le emozioni che promanano dalle monete repubblicane, per chi ama il ricordo di quei sette secoli in cui la città di Roma creò, dal buio della preistoria italica, la storia stessa dell'Occidente.
    4 punti
  3. Leggere libri non basta,bisogna appoggiarsi a collezionisti esperti, magari che seguono la tua stessa monetazione,ti consiglio di iscriverti ad un circolo numismatico nella tua città o anche di città limitrofe, inoltre dovresti avere la possibilità di maneggiare più monete possibili, guardarle solo da un' immagine serve a poco... Io sono stato fortunato perché tra i miei amici ci sono esperti della monetazione che seguo, mi hanno insegnato tanto e non smetterò mai di ringraziarli,di conseguenza anch'io mi rendo disponibile nei confronti di collezionisti che hanno i miei stessi interessi...
    4 punti
  4. Salve,non è il mio campo però mi piace osservarle,noto che si è passati dal sicuramente buono al sicuramente falso con una bella analisi tecnica anche se solo da foto.questo intendevo in altre discussioni su altre monete.scusate l'intrusione Nino
    4 punti
  5. Moneta tutta “sbagliata”. fidarsi? Ma anche no!
    4 punti
  6. buongiorno a tutti quest'oggi vi chiedo un parere circa la conservazione di questa lira 1915 quadriga briosa, devo dire difficile da fotografare al meglio. grazie a chi vorrà esprimersi, saluti Carlo
    3 punti
  7. Quanto affermato con certezza e (mi si perdoni) una certa arroganza dimostra che leggere libri non basta. L'esperienza diretta, vedere molti esemplari, e soprattutto confrontarsi con altri appassionati, può invece fare davvero al differenza!
    3 punti
  8. Magari leggere con calma le cose evita di scrivere inesattezze che comunque sarebbe meglio correggere.
    3 punti
  9. L’idea che la passione numismatica possa costar poco al momento l’ho proprio accantonata😭
    3 punti
  10. Buona sera, pubblico un aureliano dell'imperatore Tacito, grato come sempre di ogni osservazione, correzione e integrazione. 4,7 gr; diam. max 21,5 mm: asse conio 10h; RIC 84. Diritto: IMP C M CL TACITVS AVG (Imperator Caesar Marcus Claudius Tacitus Augustus). Busto radiato verso dx, drappeggiato sulla spalla sx (se interpreto correttamente l'incisione). Rovescio CLEME-NTIA TEMP/ -I-// XXIZ. Clementia Temporum, stante, rivolta a sx, gamba sx incrociata, gomito sx poggiante su colonna, nella dx un lungo scettro. Il venditore indica (non so in base a quali dati) la zecca di Roma. La “Z” indica la settima officina. Trovo, per l’indicazione in esergo “XXI”, interpretazioni diverse. Per alcuni indicherebbe un rapporto di lega 20:1, corrispondente a un titolo del 5% di argento. Secondo altri indicherebbe invece il rapporto con l’aureo: 20 bronzi argentati per 1 aureo (replicando il rapporto con l’aureo dell’antoniniano originale, per quanto in forma fiduciaria visto la riduzione di fino del titolo). Non so se la questione sia stata definita. Riguardo la conservazione, si nota la parziale sopravvivenza dell’argentatura nelle zone meno esposte al consumo. Navigando in internet ho avuto l’impressione (ma solo di questo si tratta, di una mera impressione) di una frequenza insolitamente alta di esemplari con tracce di conservazione dell’argentatura (?). La monetazione di Tacito segue la riforma di Aureliano, con alcune nuove coniazioni relative anche a bronzi argentati. Non ho disponibilità di fonti specialistiche sull’argomento quindi, limitandomi a testi più divulgativi, trovo ad es. in A. Forzoni (La moneta nella storia, III, p.221). una tabella riassuntiva di rapporti e riferimenti ponderali teorici (i valori reali possono ovviamente variare sensibilmente in zecche ed esemplari diversi). La più vicina ai valori di riferimento sarebbe la zecca di Roma. Comunque, il peso della moneta in discussione è superiore a quello di riferimento: gr. 4,7 rispetto al teorico 3,89. Da Forum Ancien Coins, in un PDF denominato Timeline of Roman Imperial Coinage, per l’Aureliano XXI di Tacito trovo confermato un analogo valore di riferimento, gr. 3,88. Allego qui uno screenshot tratto dal file per evidenziare l’utile (per me) organizzazione grafico-visiva dei dati in questo documento, che copre tutto il periodo imperiale.(https://www.forumancientcoins.com/historia/spread/imperial.pdf?srsltid=AfmBOop0E0kQBqTCCyMKsJwnzwe6UUGNUxpCE5RuaSJIGCB0cj1WYBb6) Il breve regno del 75nne Marco Claudio Tacito (età, se fededegna, eccezionalmente avanzata per l’epoca*), facoltoso senatore ed ex console, si colloca tra la morte di Aureliano – il cui assassinio fu seguito da un interregno di durata discussa con probabile protagonista la vedova Severina - e l’ascesa di Probo, risultato vittorioso contro il tentativo di governo di Floriano, fratellastro di Tacito. Dopo meno di due anni di regno Tacito muore a Tyana, in Cappadocia (Turchia), forse assassinato (così ad es. Zosimo, I, 63), dopo una vittoriosa campagna diplomatica e militare contro alcune popolazioni gote che gli era valsa il cognomen ex virtute di Gothicus Maximus. (Per una riflessione storiografica approfondita mi sento di rimandare ai contenuti della discussione in https://www.lamoneta.it/topic/79589-tacito/ , scusandomi per l’involontaria omissione di altri contributi. * Curioso, nell’HA, Vita Taciti, 4-5, leggere l’elenco di ragioni con le quali il Senato avrebbe esortato Tacito ad accettare la designazione dopo che questi aveva espresso perplessità a ragione della propria età avanzata. Grazie di ogni integrazione e correzione, a presto, Lucius LX
    2 punti
  11. Approvato il bozzetto della prima commemorativa croata del 2025. https://www.hnb.hr/novac/eurokovanice/izdavanje-prigodnih-i-numizmatickih-eurokovanica/plan-izdavanja-eurokovanica
    2 punti
  12. Guardi che sono anch'io un "neofita"😁
    2 punti
  13. Nessun intento polemico da parte mia, mi limito a sottolineare che l'approccio empirico, osservativo e disincantato, del "neofita" gli ha permesso di individuare un errore di giudizio di un perito esperto e di chi, pure esperto, non si era cimentato in un'analisi personale della moneta fidandosi ciecamente dell'expertize. 1-0 per i "neofiti" attenti!
    2 punti
  14. Credo che in questo caso abbia giocato molto la presenza di un expertize (non "perizia" ma expertize!), davanti al quale la mente tende evidentemente a fidarsi acciecando in qualche misura l'occhio. Questo è un rischio che il collezionista deve in tutti i modi cercare di evitare, mantenendo la mente aperta e cercando di capire innanzi tutto da solo!
    2 punti
  15. Mah, in genere concordo con quanto scrivi, ma stavolta proprio no. Non puoi mettere sul piatto della bilancia una medievale con una decimale. E poi il raffronto è talmente chiaro che non serve essere specialisti sulla tipologia.
    2 punti
  16. Ecco un particolare da non sottovalutare, purtroppo molti neofiti vengono mal consigliati o addirittura raggirati dal finto amico esperto di turno...
    2 punti
  17. Buonasera a Tutti i Filatelici, condivido con Voi questo bel esemplare di Napoli come Regno delle due Sicilie. Si tratta di un francobollo rosa-brunastro con annullo, prime emissioni del 1858, valore 10 grana. Presenta uno stemma diviso in tre campi : il cavallo sfrenato che rappresentava Napoli, la Trinacria che rappresentava la Sicilia ed i tre gigli simbolo dei Borbone. Cat. Sassone 10. Questa affrancatura ha una simpatica particolarità : emissione prima tavola, ovvero a destra della cifra 10, nello spazio bianco tra la linea di contorno e il disegno c'è una piccolissima lettera " I " dell'incisore G. MAS I NI. Un segno segreto pare per evitare le frodi. Ho appreso questo, dai cataloghi e quindi come già discusso nei precedenti posts, servono ! Servono soprattutto per studiare gli esemplari ed apprendere in merito. Grazie dell'attenzione.
    2 punti
  18. Grazie, ho notato con piacere che non sono il solo "new-entry appassionato" che colleziona i primi francobolli degli antichi stati preunitari. E contestualmente riconosco ( e ringrazio ) @PostOffice e @fapetri2001 per i vostri consigli, insegnamenti, valutazioni ed opinioni 😊.
    2 punti
  19. Un'altra volta magari chiamala sfera perchè avevo capito tutt'altro....
    2 punti
  20. LA GUERRA CONTRO TARANTO E CONTRO CARTAGINE L’allargamento del dominio romano verso l’Apulia, realizzato proprio con la deduzione della colonia di Luceria, impensierì la più potente città magno-greca, Taranto, unica colonia fondata da Sparta fuori dal Peloponneso. Dopo un primo limitato scontro Roma inviò propri ambasciatori, chiedendo la pace, ma furono apertamente scherniti dalla popolazione; il Senato dichiarò allora guerra e nel 281 a.C. un esercito romano strinse d’assedio la città nemica. Rimasta senza alleati in Italia (Neapolis aveva stretto il foedus di alleanza con Roma, i Sanniti erano stati sconfitti), Taranto chiese l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro, cugino di Alessandro Magno (più esattamente, erano cugini i loro genitori) e famoso generale che aveva già, al suo attivo, numerose vittorie. Pirro sbarcò in Italia 280 a.C. con oltre 30.000 soldati (compresi i rinforzi ricevuti dalla Magna Grecia) e 20 elefanti da guerra, convinto che avrebbe emulato, contro i “barbari” dell’occidente, le epiche gesta con cui suo cugino aveva sottomesso i popoli dell’Asia. Roma, che nel medesimo periodo conduceva anche un’altra guerra contro gli Etruschi, mobilitò circa 72.000 soldati (8 legioni e altrettanti socii), ma solo 18.000 di essi poterono essere mandati contro Pirro. Nel primo scontro, a Eraclea, gli elefanti impaurirono i Romani che subirono così una sconfitta; l’esercito nemico lasciò tuttavia sul campo ben 4.000 morti, talché Pirro commentò amaramente “Un'altra vittoria come questa e sono rovinato”. Il re inviò allora ambasciatori al Senato, proponendo una tregua, ma l’ormai anziano Appio Claudio Cieco convinse i compatrioti a non accettare. Rimasto in gravi difficoltà logistiche, Pirro si spostò in Sicilia, deciso a cacciare dall’isola i Cartaginesi, che tuttavia si arroccarono a Lilybaeum (odierna Marsala); tornò in Italia per aiutare Taranto, nuovamente posta sotto assedio dalle legioni, ma fu pesantemente sconfitto nel 275 a.C. a Maleventum (da allora ribattezzata Beneventum) e decise di tornare in Epiro. All’improvviso, in tutto il Mediterraneo si diffuse la fama di questa remota città “barbara” che aveva sconfitto e umiliato il cugino di Alessandro Magno; nel 273 giunsero a Roma gli ambasciatori di Tolomeo Filadelfo, re d’Egitto e figlio del diadoco, che chiesero e ottennero di stipulare un trattato di amicizia. Taranto fu conquistata nel 272 a.C., dopo tre anni d’assedio; Rhegium (odierna Reggio Calabria), ultima città magno-greca indipendente, nel 271. Roma era padrona dell’Italia. ____________________ Nel 265 a.C. i Mamertini (un gruppo di mercenarî campani impadronitisi del governo di Messana, odierna Messina), minacciati da entrambe le due potenze che si spartivano il governo dell’isola, Cartagine e Siracusa, chiesero l’aiuto di Roma. Il Senato rimise la decisione ai comizî, e il popolo decise di intervenire; nel 264 a.C. le legioni sbarcavano a Messina. Era iniziata la prima guerra punica. Nel 263 a.C. Siracusa, posta sotto assedio, decise di capitolare e firmò un trattato di alleanza con Roma; ne nacque un’amicizia salda e duratura. L’esercito cartaginese, invece, si ritirò sino ad Akragas (odierna Agrigento), che pure fu posta sotto assedio ed espugnata con la forza nel 261 a.C. Una moneta romana, oggi rarissima, è testimone di questi epici avvenimenti: la didracma RRC 22/1 che reca al dritto (forse, per la prima volta nella storia romana) la personificazione di Roma e al rovescio, invece, la Vittoria che offre un ramo di palma. Sappiamo da Livio che l’uso di offrire rami di palma ai vincitori di gare atletiche (come oggi si fa con le coppe) fu introdotto in occasione dei Ludi Romani del 293, per cui possiamo dedurre che questa moneta celebri una grande vittoria di Roma, successiva a tale data, ma ci si domanda quale. Per Breglia essa celebra la vittoria del lago di Sentino; per Amisano, la conquista di Akragas. Per Crawford, che la data al 265-242 a.C., è invece un messaggio propagandistico nell’ambito della Prima Guerra Punica, con il significato di “Roma trionferà!”. Pedroni e Coarelli ritengono invece che essa celebri i due avvenimenti che avevano sancito l’ascesa di Roma a potenza mediterranea, l’accordo d’amicizia con l’Egitto e la presa di Taranto; sarebbero infatti state coniate ad Alessandria, in attuazione di clausole contenute nel trattato, con l’argento depredato alla città Magno-Greca nel 272[1]. ____________________ Vinte le battaglie su terra, la Repubblica doveva riuscire a contrastare il dominio cartaginese sul mare. Accortasi che le quinqueremi puniche erano molto superiori alle proprie, poche navi da guerra, Roma ne individuò una affondata a la recuperò dal fondo del mare, per studiarne la fattura; dopodiché avviò la costruzione delle proprie quinqueremi, mentre in contemporanea addestrava 30.000 futuri rematori (in massima parte contadini non avvezzi al mare) su finte navi realizzate sulla spiaggia. Il primo scontro navale, nel 260 alle isole Lipari, fu un disastro, ma subito dopo Roma prevalse sconfiggendo duramente la flotta cartaginese al largo di Mylae (odierna Milazzo). Fu un evento incredibile: l’Urbe aveva inventato una flotta da guerra praticamente dal nulla, e aveva sopraffatto la più grande potenza navale dell’epoca. Rinvigoriti dai successi, i Romani decisero di attaccare direttamente Cartagine e nel 256 a.C. un esercito di circa 10.000 uomini, al comando di Attilio Regolo, dopo aver forzato il blocco navale cartaginese (vincendo la più grande battaglia sul mare dell’antichità presso Capo Ecnomo, ove si scontrarono oltre 700 navi) sbarcò in Africa. Possiamo solo immaginare lo stato d’animo dei Romani: poco più di 100 anni prima i loro avi combattevano per la sopravvivenza della propria stessa città nella battaglia dell’Aniene, praticamente quindi alle porte di casa; ora essi, conquistata tutta la penisola e la Sicilia, si trovavano sulla spiaggia di un altro continente, decisi ad affrontare un nemico feroce e temuto. Inizialmente la campagna volse a favore delle legioni, che sconfissero i difensori e occuparono Tunisi. A questo punto, la Fortuna voltò le spalle ai Romani: il Senato, convinto che la fine della guerra fosse a portata di mano, fece tornare in Italia parte dell’esercito; Cartagine, dal canto suo, ottenne l’aiuto di Santippo, generale spartano, che prese la guida delle truppe puniche; Regolo, infine, fu precipitoso nello scendere a battaglia, nel timore che un altro generale sarebbe arrivato da Roma a rubargli una vittoria che riteneva ormai prossima. Fu una pesante sconfitta per le legioni, distrutte dai nemici; Attilio Regolo fu fatto prigioniero. Nel frattempo la guerra continuava in Sicilia: non solo i Cartaginesi, guidati da un nuovo e valente generale, Amilcare Barca (futuro padre di Annibale), ottennero numerosi successi, ma Roma perse anche centinaia di navi da guerra in due disastrose tempeste (nel 253 e nel 249). Nel 243 a.C., dopo oltre 20 anni di guerra, le due città erano allo stremo, prive di navi e di risorse. Fu allora che giunse in patria Attilio Regolo, inviato da Cartagine affinché convincesse i compatrioti a pattuire una tregua: davanti al Senato, tuttavia, egli rivelò che le condizioni economiche del nemico erano disperate e consigliò di trovare un modo per proseguire la guerra e abbatterlo; dopo di che, da vero Romano, tornò spontaneamente a Cartagine, affinché lo mettessero a morte per aver violato l’impego di chiedere la pace. Il Senato tentò una mossa disperata: chiese ai cittadini romani di prestare tutte le loro ricchezze per la costruzione di una nuova flotta. I Romani risposero all’appello: si narra di ricchi possidenti che offrivano il loro denaro trasportandolo addirittura con i carri (riferimento implicito, ma chiaro, al fatto che si trattava di aes grave); furono così allestite 219 nuove quinqueremi. Colti di sorpresa da questo ennesimo, incredibile atto di resilienza i cartaginesi furono duramente sconfitti nel 241 a.C. nella battaglia navale delle isole Egadi e si arresero. Ancora oggi, gli archeologi subacquei recuperano rostri di navi puniche e armi cartaginesi dal fondale marino di quelle isole. ____________________ Una delle serie di monete più belle e più rappresentative della storia repubblicana è costituita dall’aes grave con la prora navis al rovescio, RRC 35. Si tratta di una serie di monete che recano tutte, al rovescio, la raffigurazione di una prua di nave da guerra; al dritto, invece, c’è una testa di divinità: Giano (asse), Saturno (semisse), Minerva (triente), Ercole (quadrante), Mercurio (sestante) o Roma (oncia). Esiste anche un unico quincusse, di dubbia autenticità, che reca anch’esso la raffigurazione di Giano. L’impatto culturale di queste monete fu sicuramente enorme: infatti, mentre l’iconografia degli argenti, come già detto, dopo una certa data cominciò a cambiare ogni anno, quella dei bronzi rimase quasi immutata sino alla fine della Repubblica (l’asse RRC 479/1, datato 45 a.C., reca ancora una testa gianiforme al dritto e una prora navis al rovescio). Addirittura, nel V secolo d.C. Macrobio, nei Saturnalia narra ancora che “pueri denarios in sublime iactantes capita aut navia lusu teste vetustatis exclamant” (“i fanciulli, gettando in aria le monete, gridano «teste o nave», essendo il gioco una prova di antichità”). Ma cosa aveva di tanto speciale questa iconografia, per imprimersi tanto nella tradizione romana? Per quanto riguarda il dritto, è probabile la sequenza con cui compaiono gli dei non fosse casuale: non solo Ianus e Saturnus iniziano con la stessa lettera che è simbolo del valore delle rispettive monete, ma esiste forse anche un collegamento con la più antica mitologia romana, secondo la quale i colli del Tevere furono abitati all’origine dei tempi da Giano; in seguito vi avevano vissuto Saturno e, dopo, Ercole (che aveva ucciso, un mostro malvagio là insediatosi, Caco); ultima, era arrivata Roma. Ben più interessante è il rovescio. Perché una potenza terrestre come Roma decise di riportare, su tutti i suoi bronzi, il disegno stilizzato di una prua di nave da guerra? Viene naturale pensare che la Repubblica celebrasse, così, un’importante vittoria sul mare, un evento in seguito al quale la prora navis era divenuta simbolo della consapevolezza che il potere marittimo avrebbe aperto a Roma nuovi orizzonti di conquista e di consolidamento del potere. Tre eventi antichi rispondono a questo requisito e, per conseguenza, tre date si possono proporre per l’adozione di queste monete: battaglia di Anzio del 338 a.C., la battaglia di Mylae del 260 oppure quella delle Egadi del 240[2]. L’ipotesi più probabile sembra essere la battaglia di Mylae, che deve essere sembrata un evento prodigioso: infatti, si scontrarono una potenza marittima contro una terrestre, le migliori navi esistenti contro le copie di un relitto recuperato dal fondo del mare, i marinai più esperti contro contadini addestratisi facendo finta di remare sulla spiaggia; eppure, vinse Roma. Per quella vittoria fu concesso il trionfo a Gaio Duilio, che lo celebrò nel 258 a.C.; nell’occasione (come sappiamo dal suo elogio funebre, che ci è pervenuto), “praedad popolom [donavit]” (“distribuì la preda bellica al popolo”, in Latino arcaico), probabilmente come parziale risarcimento delle ingenti tasse (tributa) che erano state imposte per finanziare la guerra. È probabile che egli abbia distribuito proprio queste monete, fuse (per l’appunto, tra il 260 e il 258) con il bronzo sottratto ai Cartaginesi sconfitti. NOTE [1] Infatti, la didracma presenta che un sistema di simboli di controllo che risultano del tutto identici a quelli adottati, ad Alessandria, per coniare monete dedicate ad Arsinoe II, figlia e sorella di Tolomeo II Filadelfo, che vengono datate proprio al 272 a.C. I simboli di controllo sono piccoli disegni che venivano talvolta inseriti nelle monete, in aggiunta alla loro iconografia standard; si ritiene che fossero diversi per ogni conio e servissero, quindi, a controllare quanti pezzi potevano esser prodotti con ognuno di essi. [2] Propendono per il 338 Hill, Cesano, Breglia, Alteri, Panvini Rosati (Forzoni ritiene che siano addirittura più antiche). Alteri, in particolare, spiega il basso peso medio (circa 273 g per l’asse) ipotizzando che la libra osco-latina da 240 scrupoli sia stata la più antica, introdotta in Campania dai Focesi e utilizzata prima che i Romani “inventassero” quella da 288 scrupoli (che, quindi, Varrone definisce “noster”. Propendono invece per il 260-258 Mattingly, Thomsen, Zehnacker, Pedroni e Coarelli, per il 240 Thurlow e Vecchi. Crawford, convinto che l’aes grave sia più recente, propone la data (che non sembra realistica) del 225 a.C. ILLUSTRAZIONI La didracma RRC 22/1 Rostro punico recuperato alle Egadi nel 2022 L'asse RRC 35/1
    2 punti
  21. LA PRIMA GUERRA SANNITICA E LA MONETAZIONE ROMANO-CAMPANA La monetazione romano-campana nasce da un fatto straordinario: la deditio di Capua. A metà del IV secolo a.C. Roma era una potenza regionale, che controllava a fatica il Lazio, dopo aver inferto una dura sconfitta ai Galli nella battaglia dell’Aniene (360 a.C.). La più popolosa città italica era invece, probabilmente, la ricchissima Capua, fondata dagli Etruschi quando i loro possedimenti si estendevano a sud fino alla Campania. Nel 343 a.C. gli ambasciatori di Capua si presentarono al Senato, chiedendo la protezione di Roma contro le pressioni di un bellicoso popolo che la minacciava, i Sanniti. Il Senato negò questa protezione, in quanto aveva precedentemente stipulato un patto di non aggressione con i Sanniti, e allora accadde l’incredibile: gli ambasciatori “regalarono” Capua - con tutti i suoi beni, i suoi edifici e i suoi cittadini - a Roma, che ne facesse ciò che voleva. Tanta era l’autorità dell’Urbe, che i cittadini della più grande città italica preferirono rischiare di essere fatti schiavi, pur di entrare sotto la sua egida; questa fu la deditio di Capua. Costretti da questa mossa, i Romani entrarono in guerra contro i Sanniti per proteggere la città campana divenuta loro proprietà, e li sconfissero nel 341 a.C. I Latini, erroneamente convinti che la guerra sannitica avesse prostrato Roma, approfittarono per tradirla e nel 340 a.C., alleatisi con i Volsci, la attaccarono; ripetutamente sconfitti, furono debellati nel 338 a.C. Nell’occasione, i Romani vinsero il primo grande scontro navale della loro storia, la battaglia di Anzio (in realtà avvenuta al largo di Astura, ove oggi si erge l’omonima torre); smontarono allora i rostri delle navi nemiche, li portarono nell’Urbe e - a perenne memoria di quello evento - li collocarono come ornamenti ai lati della tribuna del Foro, da cui i magistrati parlavano alla folla. Tale tribuna, da allora, fu chiamata per sineddoche “rostra”. Con l’annessione di Capua, Roma espanse il suo dominio in Campania; ne furono intimorite le altre due città che aspiravano a dominare quella regione, Nola (controllata dai Sanniti) e Taranto (il più importante centro della Magna Grecia). Nel 328 a.C. tutte e tre le città inviarono proprî ambasciatori nell’altro potente centro campano, la magno-greca Neapolis, chiedendone l’alleanza. Una fazione di Napoletani si schierò con i Sanniti, facendo entrare un loro esercito in città; accorsero allora le legioni e cinsero Neapolis d’assedio. Si ribellò la fazione favorevole a Roma e, con uno stratagemma, convinse i Sanniti ad allontanarsi. Fu così che nel 327 o 326 a.C. Roma e Neapolis strinsero un patto di alleanza, il foedus neapolitanum, che diede avvio a una stabile e duratura amicizia fra le due città. Per celebrare questo evento, quell’anno Neapolis emise una propria piccola moneta in bronzo, sostituendo la legenda NEAΠOΛITΩΝ con ΡΩΜΑΙΩΝ (in genitivo plurale); faceva così la sua comparsa una prima moneta coniata “dei Romani”, RRC 1/1, oggi estremamente rara. Pochi anni dopo i Romani sentirono il bisogno di collegare stabilmente i due più grandi centri urbani dello Stato, Roma stessa e Capua. Fu così che nel 312 a.C. il censore Appio Claudio Cieco avviò i lavori per la costruzione della prima strada al mondo, la via Appia, terminata nel 308; per pagare i lavori fu emessa la prima, vera moneta romana coniata, (tenuto conto che RRC 1/1 aveva forse una funzione meramente commemorativa): la RRC 13/1; portava anch’essa la legenda in genitivo plurale, ma in Latino arcaico, ROMANO. Dopo di allora, i Romani cominciarono a usare monete in argento e bronzo, che si ritiene che siano state coniate, per conto dell’Urbe, in zecche campane (molte, forse, proprio a Capua) e sono quindi definite “monete romano-campane”. La loro datazione è discussa, ma dovrebbe comunque risalire agli inizi del III secolo a.C. Queste emissioni assomigliavano a quelle magno-greche per lo stile dei disegni, per il valore nominale (in particolare, le monete in argento erano didracme, ossia valevano due dracme; il valore di quelle in bronzo è invece dubbio, perché anche in ambiente italiota ce n’era una grande varietà) e per l’adozione di una legenda al genitivo maschile plurale (ROMANO; le monete greche erano infatti monete “dei popoli”, non “delle città”). Per quanto riguarda l’iconografia, talvolta essa di chiara ispirazione magno-greca (un bronzo copia, addirittura, una moneta dell’Egitto), ma non mancano tipi prettamente romani, come la lupa che allatta i gemelli sulla didracma RRC 20/1. Particolarmente curioso è, in questo periodo, il bronzo di cui ci sono pervenute le quantità più grandi, RRC 17/1. Anch’esso reca la legenda ROMANO, ma esiste una grande varietà di errori ortografici (ROMAO, ROMAAO, ROMAAC, ROMAAOC, ROMNAO, ROMANC, ROMAAN, etc.); in alcuni casi le lettere latine sono frammiste a quelle greche (ROMΛΛC, ROΛNWO). Questo testimonia che gli incisori non conoscevano bene l’alfabeto latino essendo, probabilmente, di cultura greca; ma forse testimonia anche che, in un’epoca così antica, la scrittura era talmente poco diffusa che il Governo romano non aveva problemi a immettere in circolazione anche le monete “sbagliate”. ILLUSTRAZIONI La moneta di bronzo RRC 1/1, con legenda in Greco. La didracma RRC 13/1. Di questa moneta sono noti 15 conî al dritto e 20 al rovescio; fu quindi, probabilmente, un'emissione abbondante. Babelon e Grueber la datano al 335 a.C., Coarelli al 326-312, Breglia al 320, Pedroni al 275, Crawford inizialmente (nel RRC) al 280 ma poi (in Coinage & Money under the Roman Republic, 1985) al 310, collegandola appunto ai lavori per l’Appia. Sembra quindi realistico datarla a fine IV secolo. È discusso il significato dell’iconografia; potrebbe essere una copia di tipi magno-greci, ma alcuni autori credono che si tratti di una precisa scelta legata alla tradizione di Roma: secondo Coarelli, infatti, la moneta richiama, al dritto, l’immagine dell’ara Martis e rinvia, quindi, al lustrum che concludeva la censura, mentre al rovescio allude la cavalleria e la Campania; complessivamente sarebbe quindi un’allusione a una recognitio equitum (censimento di cavalieri) campani che potrebbe essere avvenuta a seguito della concessione della cittadinanza optimo iure ai Capuani (avvenuta dopo il 338-334). Pedroni ritiene invece che la moneta alluda alla cerimonia, tipicamente romana, dell’October equus. Il bronzo RRC 16/1 La didracma RRC 20/1 Esemplari di RRC 17/1 con differenti legende (corretta la prima, errate le altre)
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  22. Grazie. Quando l'avrò finita, metterò io il file pdf compelto
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  23. IL SIMBOLO DELLA POTENZA DI ROMA: L’AES GRAVE A Roma l'emissione di moneta arrivò seguendo due strade: la cosiddetta “monetazione romano-campana”, di cui si dirà oltre, e l’aes grave. Si definisce aes grave un sistema di monete di bronzo, fuse, a valore intrinseco (cioè, valevano tanto quanto il metallo che contenevano). In sostanza, la nascita della moneta a Roma è simile a quella avvenuta in Asia Minore, con la differenza che là i governanti decisero di garantire il peso dell'elettro, qui quello del bronzo; là fu adottata la punzonatura (che si può ritenere una forma arcaica di coniazione), qui la fusione. Le monete di aes grave sono quasi lingotti circolari: hanno infatti un peso ragguagliato all’unità di misura in uso a Roma, la libra, suddivisa in 12 once. Le monete principali, del peso e del valore di una libra, erano gli asses (“assi librali” in Italiano) nome probabilmente derivante da asser, “palo”, essendo il palo la rappresentazione visiva dell’unità (come per noi, oggi, l’indice alzato); il simbolo del valore impresso su di essi era infatti “I”. Furono inoltre emesse le frazioni dell’asse, ossia semisse (mezzo asse, simbolo “S”), triente (la terza parte dell’asse, ossia 4 once, simbolo “····”), quadrante (“···”), sestante ( “··”) e oncia (“·”). Più raramente fu emessa la semioncia (simbolo “S”) e, ancor più raramente, i multipli dell’asse, ossia dupondium (due assi, “II”), tressis (“III”) e quincussis (“V”); in un solo caso (la moneta RRC 41/1) fu emesso il decussis (“X”). Ma quanto pesava una libra (e, quindi, un asse)? Le monete, proprio per la loro fattura grezza, presentano una grande variabilità (ad esempio, gli esemplari dell’asse RRC 14/1 oggi noti vanno da 240 a 400 g). Tuttavia si ritiene che Roma abbia utilizzato, nel tempo, tre differenti valori di riferimento: la libra propriamente romana da 327 g, la libra italica da 341 g e quella osco-latina da 273 g[1]. Le monete di aes grave sono quindi massicci pezzi di metallo, di fattura grezza, con iconografie assolutamente essenziali: molta sostanza e poca forma. Il loro fascino è proprio quello di simboleggiare la più antica cultura romana, improntata a rusticità, praticità, sobrietà, ben lontana dalla raffinatezza e dal gusto del bello che connotavano, invece, la cultura magno-greca (e che traspaiono anche nell’iconografia della monetazione romano-campana). Scrisse Romolo Calciati nel 1978: “Raramente una moneta riesce a dare una tale impressione di potenza, di realismo, di aderenza storica del soggetto monetario alla realtà sociale e politica della nazione che intende rappresentare. Immaginiamo questo asse poderoso e ponderoso gettato sul piatto della bilancia dello scambio come una spada di Brenno: esso dava la sensazione precisa della potenza di Roma repubblicana. Diremmo, col linguaggio contemporaneo, che questo asse librale era un efficacissimo mezzo di comunicazione, il corrispettivo della stampa, della televisione, delle parate militari”. _____________________________ L’aes grave è sicuramente molto antico ma è difficile oggi, per noi, capire a quando risalga. Vista la fattura grezza e la natura di monete a valore intrinseco (quindi, concettualmente molto vicine al bronzo scambiato a peso), si potrebbe pensare che sia estremamente antico: in effetti, in passato gli studiosi ipotizzavano i Romani avessero iniziato a produrlo tra il VII e il V secolo a.C.[2]; del resto le leggi delle XII tavole, promulgate nel 451-450 a.C., parlano frequentemente di asses, per cui sembra logico che questa moneta dovesse esistere. Tuttavia i rinvenimenti archeologici fanno pensare che le monete di aes grave siano più recenti; fra i numismatici moderni solo Corradi[3] crede ancora in una datazione al V secolo a.C., mentre gli altri autori sono convinti che sia comparso nella seconda metà del III secolo a.C. (più precisamente tra il 338 e il 311 a.C.)[4] oppure addirittura agli inizî del III secolo a.C.[5]. La difficoltà di datare l’aes grave comporta tre problemi interpretativi. Primo problema: capire in che rapporti si pongano aes grave e monetazione romano-campana. Come si vedrà in seguito, le monete romano-campane sono diversissime e (almeno apparentemente) incompatibili l’aes grave: comprendono infatti, oltre al bronzo, anche argento e oro; sono coniate anziché fuse; presentano iconografie estremamente raffinate, anziché grezze; soprattutto, presentano anche quelle di bronzo pesi molto ridotti (fra 2 e 15 g, in un solo caso 19 g) e, quindi, non potevano avere un valore intrinseco. Eppure, sembra che i due sistemi monetarî siano stati in uso in contemporanea, tra la fine dei IV secolo e la metà del III. Per spiegare questa anomalia si è pensato che i Romani usassero l’aes grave per i commerci interni e per quelli con i popoli italici, le monete romano-campane invece per i commerci con i popoli magno-greci (culturalmente più evoluti e, quindi, abituati a monete meno grezze). Secondo problema: capire se l’aes grave sia un’invenzione romana, o meno. Infatti, monete di aes grave (oggi molto rare) furono emesse, oltre che dai Romani, anche da Etruschi e da numerosi altri popoli italici (Umbri, Osci, Apuli e popoli della costa adriatica), ma non si riesce a determinare quali di esse siano le più antiche. Inoltre, molte delle città che emisero aes grave furono assoggettate da Roma proprio tra la fine dei IV secolo e la metà del III, per cui non si riesce a capire se la loro monetazione sia iniziata prima della conquista romana o dopo. Per queste ragioni, alcuni storici pensano che l’aes grave sia stato inventato dai Romani ed essi abbiano esportato tale idea nelle altre città italiche; altri invece ritengono che sia nato in Etruria e poi copiato dai Romani; altri ancora che sia comparso in modo spontaneo e indipendente fra popolazioni differenti, a causa di circostanze economiche comuni. Terzo problema: capire quali siano le emissioni di aes grave più antiche, fra quelle stesse romane. Qui serve un’ulteriore precisazione: nei secoli, il peso medio delle monete romane (soprattutto quelle di bronzo, più limitatamente quelle d’argento) calò progressivamente. Questo successe perché lo Stato, quando non aveva abbastanza metallo prezioso da monetare ma doveva comunque pagare i debiti, cominciava a emettere monete un po’ meno pesanti. È evidente che queste iniziative spingevano i venditori ad alzare i prezzi delle loro merci (per ricevere una stessa quantità di metallo prezioso) e, per questo, tale meccanismo è oggi definito come “svalutazione” (di monete a valore intrinseco), un fenomeno ben conosciuto e che si è manifestato anche in altre culture antiche. Tanto premesso, si è visto che Roma emise assi librali di pesi medi differenti, 341 g, 327 g e 273 g; tuttavia, siccome Varrone afferma che “habet iugerum scripula CCLXXXVIII, quantum as antiquus noster ante bellum Punicum pendebat” (“lo iugero comprende 288 scrupoli[6], tanto quanto pesava il nostro asse prima della Guerra Punica”) molti studiosi[7] ritengono che l’emissione più antica non sia la più pesante, ma quella da 327 g. Le serie di aes grave più antica sarebbe allora la RRC 14 e sarebbe, secondo la testimonianza di Varrone, precedente alla prima della Prima Guerra Punica (“ante bellum Punicum”). Successivamente, l’Urbe sarebbe passata a emettere assi più pesanti, da 341 g, probabilmente perché, ampliando la sua sfera di influenza, avvertiva il bisogno di commerciare non solo con i Romani stessi, ma anche con altre popolazioni italiche (la libra da 341,1 g è infatti ritenuta lo standard italico). Appartengono a questa categoria di peso le serie RRC 18 e RRC 19. Dopo queste due serie, Roma sarebbe passata a emettere aes grave basato su un asse di 273 g. Al riguardo, ci sono due opinioni fra gli studiosi: o fu adottato (sempre per ragioni commerciali) lo standard della libra osco-latina, oppure si era tornati alla libra romana ma ne era stata effettuata la prima svalutazione (è significativo, infatti, che 273 sia i 10/12 di 327: lo Stato, forse, aveva cominciato a produrre assi contenenti solo 10 “once-peso” di metallo, sebbene continuassero essere suddivisi in 12 “once-moneta”). Fra le serie di questo periodo la più interessante è RRC 24, che presenta in tutti i nominali, al rovescio, una ruota a sei raggi: alcuni studiosi ritengono che, per tale ragione, anche queste monete fuse (come la didracma RRC 14/3, di cui si dirà in seguito) siano state emesse in occasione della costruzione della via Appia (312-308 a.C.; Crawford invece data questa serie al periodo tra il 265 e il 242 a.C.). ___________________________________________ Come detto, esistono monete di aes grave anche presso altre popolazioni italiche, oggi abbastanza rare (a testimonianza del fatto che ne furono emesse relativamente poche). Esiste però un gruppo di monete fuse che presenta interessanti peculiarità: la cosiddetta serie ovale, i cui nominali presentano tutti su una faccia una clava (attributo di Ercole), sull’altra il simbolo del valore (“I” per l’asse, “C” - ossia sigma uncinato - per il semisse e i pallini per gli altri nominali, sino all’oncia). Lo standard ponderale di riferimento dell’asse sembrerebbe di circa 151 g (ma non è certo). Le caratteristiche di questa serie sono: - la forma, che non è tonda (unico caso nella penisola) ma ovale e, peraltro, con una grande variabilità (ovali perfetti, rettangoli arrotondati, tronchi di cono, etc.); - la grande distribuzione del sestante, di cui sono stati rinvenuti molti esemplari da Trento a Termoli; - l’estrema variabilità del peso; in particolare, sebbene in teoria i sestanti dovessero pesare 25,17 g, in realtà gli esemplari rimasti vanno da 9 a 51 g. Gli studiosi ritengono, sulla base dei ritrovamenti, che queste monete possano essere state emesse da Tuder (odierna Todi, città umbra), Tarquinia o Velzna (città etrusche; la seconda, ridenominata “Volsinii” in epoca romana, oggi non esiste più). Per la data, tenuto conto del peso, si propone la fine del IV secolo (circa 320 a.C., epoca in cui gli etruschi usavano una libra di circa 150 g, detta appunto “etrusco leggera”) oppure la metà del III (epoca in cui i romani, a seguito di una forte svalutazione, cominciarono a emettere aes grave - cosiddetto “semilibrale” - con un asse di metà libra romana, quindi circa 163 g). Sussiste però, nella mia opinione, un’altra possibilità di interpretazione. Esiste infatti un rarissimo lingotto di aes signatum, coevo o poco più recente del “ramo secco”, che presenta il disegno della clava; è stato quindi ipotizzato un collegamento tra questo lingotto e l’aes grave ovale[8]. Allargando il discorso, potrebbe darsi che le monete ovali siano proprio un elemento di passaggio tra l’aes signatum più antico, con disegni di “ramo secco”, “lisca di pesce” e clava, e le monete tonde; in altri termini potrebbero essere una specie di “lingottini” e ciò spiegherebbe sia la forma (a metà tra il parallelogramma dei lingotti e il disco delle monete) sia la grande variabilità della forma stessa (derivante dal fatto che si trattava, appunto, di un primo tentativo di trasformare i lingotti in monete) e del peso (come appunto i lingotti con “ramo secco” e “lisca di pesce” che, appunto, avevano un peso abbastanza variabile). Infine, credo che dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità che queste monete siano riconducibili a Roma, quanto meno sotto forma di monete “coloniali”: infatti, questa è l’unica serie di aes grave (a parte, ovviamente, quelle romane) ad aver avuto una diffusione così ampia, che si spiegherebbe solo se fosse la moneta di una città capace di intrattenere commercî dal Trentino al Molise, come alla fine del IV secolo poteva essere Roma. Inoltre queste monete sono state rinvenute, nei ripostigli, insieme all’aes grave romano (ma questo accade anche per altri aera grava italici). Del resto, delle tre città proposte come sede della zecca, sappiamo che Velzna fu resa tributaria da Roma dal 294 a.C. e soggiogata nel 280, Tarquinia fu conquistata nel 295 e anche Tuder fu in qualche modo assorbita da Roma nel III secolo. Se la serie ovale fosse attribuita alla Roma arcaica, tuttavia, andrebbe chiarito il problema del peso, troppo leggero per gli standard romani arcaici[9]. NOTE [1] La più piccola unità di misura del peso usata a Roma era lo scrupolo, corrispondente (secondo l’opinione prevalente - non è sicuro) a 1,137 g. Sappiamo, da Varrone, che la libra romana pesava 288 scrupoli (cioè, 12 once da 24 scrupoli ciascuna), quindi appunto 327,45 g. La libra italica doveva pesare 300 scrupoli (341,10 g), quella osco-latina 240 (272,87 g). [2] Nel 630 a.C., secondo Marchi e Tessieri (1839); nel 539, secondo Eckhel (1792); nel 450, secondo Mommsen (1860). [3] Dissertazione sull'aes grave fuso e coniato di Roma e relative riduzioni, in “Nummus et Historia” VII, Formia 2003. [4] Secondo Hill, Cesano, Breglia, Alteri, Panvini Rosati, Babelon, Soutzo, Grueber, Haeberlin, Millingen, Sear. [5] Crawford, in particolare, propone il 280 a.C. [6] I Romani suddividevano in 288 scrupoli sia la libra (12 once da 24 scrupoli), sia il giorno e la notte (12 ore da 24 scrupoli), sia lo iugero; si chiamava quindi allo stesso modo (scrupulum, letteralmente “sassolino”) la più piccola unità di misura sia del peso, sia del tempo, sia della superficie. [7] Sono di questa opinione Thomsen, Crawford e Coarelli. [8] Ambrosini, Le monete della cosiddetta serie ‘ovale’ con il tipo della clava, in “Studi Etruschi”, 1987. [9] Roma, a seguito delle svalutazioni, arrivò a emettere aera grava con assi del peso di mezza libra (detti, perciò, “assi semilibrali”) ma solo alla fine del III secolo. Se le monete ovali fossero così recenti, non potrebbero rappresentare una forma di passaggio fra lingotti e monete tonde. In alternativa si potrebbe pensare che siano monete coloniali, commisurate alla libra etrusca leggera. ILLUSTRAZIONI Asse RRC 14/1 Asse RRC 24/3 Sestanti della serie ovale Pezzi di aes grave esposti nei musei italiani
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  24. QUANDO A ROMA GOVERNAVANO I RE In origine, a Roma si diffuse l’idea che anziché barattare le merci fra loro, fosse più utile scambiarle con un bene prezioso e durevole; nacque così l’idea di barattare il bronzo con le merci. Questa cosa la sappiamo per quattro motivi: perché è stato così in tutte le civiltà di cui si hanno notizie (seppure usando beni-rifugio differenti: argento, conchiglie, etc.); perché ce lo riferisce Plinio (“rudi usos Romae”); perché ne resta memoria nel diritto romano, che prevede una serie di accordi compiuti “per aes et libram” (letteralmente “per mezzo del bronzo e di una bilancia”, ossia quindi “pesando il bronzo ricevuto in cambio”); e, infine, perché ci sono importanti testimonianze archeologiche, dato che sussistono diversi casi in cui i pezzi informi di bronzo sono stati rinvenuti insieme a monete vere e proprie. Interessantissimo, in proposito, è il deposito votivo scoperto nel 1852 a Vicarello e ora parzialmente ricostruito nei sotterranei del Museo Nazionale Romano: infatti, si trattava di un pozzo dove i fedeli gettavano una moneta (come oggi si fa a Fontana di Trevi) e lo strato più basso era composto da pezzi di bronzo informe; subito sopra di essi c’erano monete del tipo “aes grave” (di cui si dirà nel prosieguo), a testimonianza che i pezzi informi avevano effettivamente una funzione di tipo monetale ed erano in uso prima dell’aes grave. Per questo tipo di proto-moneta si usa oggi il termine di aes rude (sulla base del citato passo di Plinio, “rudi …”); il suo utilizzo è attestato in contesti archeologici databili dall’VIII secolo a.C. (forse, addirittura dall’XI) sino al IV. Quando Romolo fondava Roma, gli scambi si facevano con l’aes rude. Fra i pezzi di bronzo rinvenuti in contesti archeologici alcuni non sono informi, ma presentano forme ben precise, di natura geometrica (gocce, barre, lingotti, dischi, etc.) o naturalistica (ghiande, astragali, etc.). Non c’è alcunché di strano: se il bronzo veniva scambiato a peso, ben si poteva utilizzare anche metallo dotato di una forma, magari anche per immagazzinarlo meglio. Peraltro, fra quelli di forma geometrica, molti risultano frammenti, ossia sono stati tagliati (a caldo) per ottenere lo specifico peso di cui c’era bisogno. Alcuni studiosi usano la locuzione (inventata) aes formatum per distinguere queste proto-monete da quelle informi, ma sono solo un tipo di aes rude. È importante fare una precisazione: qualunque pezzo di bronzo poteva essere scambiato a peso, per cui oggi c’è un unico modo per distinguere un vero aes rude o formatum da un qualunque altro pezzo di bronzo, ossia ritrovarlo in un preciso contesto archeologico (come a Vicarello); poiché tuttavia i reperti archeologici non possono essere liberamente venduti, ne consegue che non c’è alcun modo di sapere se i pezzi in bronzo venduti da negozi e case d’asta siano effettivamente aera ruda o meno. Si possono inserire in collezione al fine di “riempire un vuoto”, ma occorre sapere che non c’è alcuna possibilità di avere certezza che siano antichi e, quand’anche lo fossero, di sapere se siano stati veramente scambiati a peso (e quindi effettivamente utilizzati come aera ruda) o fossero solo residui di fonderia. Un discorso a parte deve essere fatto per molti oggetti a forma di conchiglia, spesso in piombo e talvolta in bronzo, che vengono rinvenuti in scavi archeologici (databili ai secoli VI-III a.C.) eseguiti nella Pianura Padana e nell’area governata dagli Etruschi. Alcuni studiosi (ad esempio Franco Pezzi, Conchiglie di piombo, Mantova 2010) ipotizzano che siano proto-monete (e, quindi, aes formatum), ma altri non sono d’accordo e propongono che si tratti di oggetti votivi (spesso presentano un forellino di sospensione; la conchiglia simboleggiava la vulva, quindi la fecondità), oppure proiettili asimmetrici per le fionde o ancora pesi per le bilance. L’ipotesi più probabile è che si trattasse di decorazioni o paracolpi per utensili fittili, cui venivano saldate con mastici, argilla o di piombo fuso (spesso infatti presentano tracce di terracotta sulla faccia piatta), oppure di piedini per pentole metalliche. Comunque sia, nulla esclude che le conchiglie in bronzo venissero anch’esse scambiate a peso, come aes formatum, quando occorreva. ________________________________________ A partire da una certa data, ai pezzi di aes rude e formatum cominciano ad aggiungersi altri, che recano un segno inciso nel metallo. Si parla al riguardo, sulla base del citato brano di Plinio, di aes signatum; sotto questo nome si distinguono, tuttavia, tre categorie di oggetti abbastanza differenti. La prima categoria è composta pezzi di bronzo sostanzialmente informi, che recano tuttavia una o più contromarche (cioè, disegni elementari o lettere incise nel metallo). I più diffusi, rinvenuti sia in varie località dell’Italia centrale sia nei Balcani, presentano due contromarche sulle facce contrapposte, una costituita da un punto centrale e 4 raggi che se ne dipartono, l’altra da un arco di cerchio; si ritiene che raffigurino rispettivamente il sole e la luna. Haeberlin, importante numismatico tedesco del XIX secolo, dopo aver esaminato numerosi esemplari di questa tipologia di aes precisa che su altri pezzi esistono anche le combinazioni sole/nulla, sole/sole e luna/luna. Una seconda categoria, molto interessante, è quella del cosiddetto “ramo secco”. Si tratta di lingotti di bronzo a forma di parallelepipedo schiacciato, di peso variabile e fattura grezza, che recano un'immagine in rilievo somigliante a un ramo privo di foglie (più raramente sono presenti altri segni, altrettanto grezzi: lisca di pesce, clava, delfino, crescente lunare), la cui esatta natura è tuttavia discussa (secondo alcuni autori sono un espediente tecnico per far fuoriuscire i gas durante la fusione, oppure segni utili a facilitarne la frammentazione). I lingotti con “ramo secco” sono stati rinvenuti in tutta la penisola e in Sicilia, interi o (più spesso) tagliati in frammenti; quelli interi hanno pesi compresi fra 0,8 e 2,1 kg. Il fascino del “ramo secco” è quello di costituire un oggetto sicuramente utilizzato a Roma (esemplari sono stati infatti rinvenuti in scavi eseguiti in città) e sicuramente databile all’epoca in cui i re governavano sull’Urbe: infatti, un frammento di 0,425 kg rinvenuto presso il santuario di Bitalemi (Sicilia), in uno strato sigillato databile al periodo 570-540 a.C.[1], dimostra l’esistenza di questi manufatti nel VI secolo a.C. Una terza categoria di aes signatum è costituito da un altro genere di lingotti di bronzo, che si distinguono dai “ramo secco” per una iconografia più varia ed elaborata, una forma più definita, un peso più leggero ma anche più omogeneo (tra i 1,8 e 1,2 kg), definiti correntemente “quadrilateri”. A differenza dei “ramo secco”, sono molto rari. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che siano stati prodotti a Roma (un tipo presenta anche la legenda “ROMANOM”, forma arcaica per Romanorum); Crawford, inoltre, è convinto che avessero funzione monetale, per cui li elenca nel RRC. Giova comunque precisare che altri studiosi non sono così sicuri che i quadrilateri fossero monete, sebbene indubbiamente alcuni siano stati rinvenuti in ripostigli[2] (a Santa Marinella, La Bruna, Ariccia) assieme a esemplari di aes grave. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se uno dei tipi di aes formatum noti possa essere quello di cui parla Plinio, inventato da Servio Tullio (che avrebbe regnato dal 578 al 535 a.C.), e permetta così di affermare che la moneta, a Roma, è nata nel VI secolo a.C.; la risposta, tuttavia, sembra essere negativa. In primo luogo, se quella testimonianza fosse attendibile la prima moneta romana dovrebbe essere stata un lingotto con pecora, ma un simile lingotto non è stato rinvenuto (il che ovviamente rende improbabile, ma non impossibile, che sia esistito). I lingotti romani che ci sono pervenuti - ossia i quadrilateri -, peraltro, sono molto posteriori all’epoca regia, probabilmente dell’epoca compresa fra la fine del IV secolo a.C. e gli inizi del III, come dimostrano i ripostigli[3], la legenda ROMANOM (che, ancorché arcaica, appare molto posteriore al Latino di epoca regia, attestato dal lapis niger e dalla fibula praenestina) e la circostanza che un tipo rechi l’elefante (animale ignoto ai Roma prima della guerra contro Pirro, iniziata nel 280 a.C.). Certo, il “ramo secco” esisteva già all’epoca di Servio Tullio, ma non è affatto sicuro che avesse uno scopo monetale (è stato rinvenuto in contesti votivi a Bitalemi e a Terravecchia di Grammichele, ma qualunque oggetto d'arte o di valore, non solo le monete, può costituire l'offerta a un dio) e comunque la sua ampia diffusione fa ritenere che non fosse un manufatto esclusivamente romano (Roma, ai tempi di Servio Tullio, esercitava la sua influenza politica e commerciale su un territorio molto più piccolo). Il passo di Plinio non può quindi essere accettato alla lettera; probabilmente non è vero che la moneta, in Italia, sia stata inventata da Servio Tullio. ________________________________________ Come detto, varie civiltà arcaiche usavano un sistema proto-monetale consistente nel baratto tra le merci e un metallo prezioso; la moneta vera e propria nacque quando alcune autorità statali decisero di far punzonare questi metalli, per garantirne il peso (e quindi il valore) e velocizzare, così, i commerci (perché diveniva inutile pesare il metallo). Questa evoluzione si verificò dapprima in Cina (tra l’VIII e il VII secolo a.C.), poi, in modo separato e indipendente, in Asia Minore. Qui infatti era tradizione scambiare le merci con palline di elettro (una lega di argento e oro); a un certo punto (secondo la tradizione, nel VI secolo a.C., a opera di Creso re della Lidia; secondo gli studiosi moderni prima, attorno alla metà del VII secolo a.C.) i governanti cominciarono a far punzonare queste palline, che presentavano quindi un segno “in incuso” (cioè incavato, rispetto alla superficie della moneta). Poco dopo si cominciò ad apporre un segno anche sull’incudine e nacque, così, la tecnica della coniazione; inoltre, furono prodotte anche monete d’argento, oltre che di elettro. La moneta ricosse subito un grande successo; tutte le città greche dell’Asia Minore cominciarono a produrla e a diffonderla, attraverso la loro fitta rete di contatti commerciali, in tutto il mediterraneo, occidente compreso. Tornando alla Roma arcaica, sembra strano che all’epoca dei re dentro l'Urbe non si usassero monete (come si vedrà in seguito, le prime monete romane, aes grave e monete romano-campane, sono probabilmente databili alla fine del IV secolo a.C.) e ci si limitasse a ricorrere al baratto fra le merci e il bronzo a peso (aes rude e formatum). Si ritiene, infatti, che il tempio eretto nel Foro Boario nel 495 a.C. (l’Ara massima di Ercole) non fosse altro che la monumentalizzazione di un altare preesistente (e, quindi, risalente all’epoca regia), dedicato a una divinità locale assimilata al fenicio Melqart, protettore dei mercanti; sarebbe quindi questa una testimonianza indiretta che in quel luogo in epoca antichissima, addirittura prima della fondazione di Roma, esistesse un sito di scambio fra merci portate dai mercanti fenici e prodotti locali, ma è tuttavia difficile immaginare l’esistenza di scambi commerciali di portata addirittura internazionale senza l’utilizzo di un qualche genere di moneta. Per queste ragioni, uno studioso[4] ha ipotizzato che la Roma arcaica non abbia emesso proprie monete perché utilizzava proprio monete greche arcaiche; non c’è alcuna prova archeologica al riguardo, però c’è un importante indizio. Infatti, tra il 1862 e il 1867 sono stati rinvenuti una serie di ripostigli di piccole monete di tipo ionico, risalenti al VI-V secolo a.C., a Morella e Pont de Molins (in Spagna), Auriol[5] (presso Marsiglia, città fondata dai Greci) e Volterra, città etrusca; ciò dimostra che gli Etruschi utilizzavano monete greche. Siccome a Roma, nel VI secolo a.C., dominava una stirpe etrusca (i Tarquini), è molto probabile che monete analoghe siano state utilizzate anche nell’Urbe. NOTE [1] Si definisce “sigillato”, in archeologia, uno strato di terreno che appare chiaramente separato dagli strati sovrastanti (generati da eventi o attività successivi), senza interruzioni o intrusioni (causate da riutilizzo del terreno, erosione, contaminazione o distruzione) che potrebbero averne alterato il contesto originario. Gli oggetti rinvenuti in uno strato sigillato sono sicuramente databili all’epoca dello strato. Su questi scavi ha scritto Piero Orlandini in “Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica”, 1965-1967. [2] È molto frequente trovare gruppi di monete duranti gli scavi, perché nell’antichità nasconderle era un modo per conservare i propri risparmi; tali gruppi sono oggi definiti “ripostigli” o “tesoretti”. [3] È bene notare, tuttavia, che i ripostigli, anche quando possono essere datati con relativa sicurezza (come negli strati sigillati), forniscono solo indizi e non certezze sull’epoca di emissione delle monete, perché non si sa per quanto tempo esse abbiano circolato prima di essere state nascoste. [4] Amisano, La storia di Roma antica e le sue monete, vol. 1, 2004. [5] Siccome il rinvenimento di Auriol è il più numeroso (circa 2.130 monete), si parla al riguardo di “monetazione tipo Auriol”. ILLUSTRAZIONI Esposizione di aes del Museo nazionale Romano. Al centro, frammenti di aes rude raccolti in una bilancia. In alto, due quadrilateri, RRC 4/1 (con pegaso e ROMANOM) e RRC 7/1 (con raffigurazione di uno scudo). A destra, un “ramo secco” Ricostruzione del deposito di Vicarello, dal Museo Nazionale Romano Ramosecco del Museo Civico Archeologico "A.C. Simonini" Il "ramosecco" rinvenuto a Bitalemi Monetazione "tipo Auriol" rinvenuta a Volterra
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  25. INTRODUZIONE La storiografia romana antica è carente e contraddittoria in materia di monetazione. L’unico riferimento alle origini è un passo di Plinio[1], in cui si afferma che “Servius rex primus signavit aes. Antea rudi usos Romae Timaeus tradit. Signatum est nota pecudum unde et pecunia appellata” (“Il re Servio [Tullio] per primo segnò il[2] bronzo. Timeo[3] riferisce che a Roma, in precedenza, era in uso il[4] [bronzo] rude[5]. [Il bronzo] fu segnato con un’immagine di pecore e perciò [le monete] furono chiamate «pecunia»”). Questo passo è tuttavia ritenuto attendibile solo in ordine al fatto che venisse usato bronzo rude e poi segnato, mentre il riferimento a Servio Tullio è oggi ritenuto leggendario. La moneta più importante della storia di Roma, che continuò a essere emessa per molti secoli e si diffuse in tutto il mondo antico, fu il denario, moneta in argento. La data di introduzione del denario è molto dibattuta, come si vedrà; anche riguardo a essa abbiamo due testimonianze di Plinio[6], che però non aiutano perché sono molto oscure e parzialmente contraddittorie. La prima testimonianza afferma “Populus Romanus ne argento quidem signato ante Pyrrhum regem devictum usus est” (“Il popolo romano neppure usò argento segnato prima della sconfitta del re Pirro”, avvenuta nel 275 a.C.). La seconda invece riferisce che “Argentum signatum anno urbis CCCCLXXXV Q. Ogulnio C. Fabio coss. quinque annis ante primum Punicum bellum. Et placuit denarium pro X libris aeris valere” (“L’argento [fu] segnato quando erano consoli Quinto Ogulnio e Gaio Fabio, nell’anno 485 della città, cinque anni prima della prima guerra punica. E si decise che il denario avesse valore di 10 libre di bronzo”; l’anno indicato è il 269 a.C.): si noti che le due frasi, quella sull’ “argentum signatum” e quella sul “denarium”, sono giustapposte; considerato che l’opera di Plinio è estremamente sintetica, non è detto che egli parli in entrambre della stessa moneta. A partire da un certo anno in poi si verificò a Roma un fenomeno unico nella storia antica (e forse anche moderna): l’iconografia[7] dei denarî cambiava ogni anno; la città che dominava ormai il mondo poteva infatti permettersi il lusso di emettere migliaia di monete differenti e nessuno, nel suo vasto impero, dubitava che quei dischetti d’argento provenissero dall’Urbe. Questa mutevolezza si spiega con la volontà dei nobili che prestavano la loro opera come monetieri (ossia la magistratura preposta all’emissione delle monete, in Latino “tresviri aere argento auro flando feriundo”, “tre uomini responsabili di fondere e battere bronzo, argento e oro”), di utilizzare le immagini impresse sulle monete per fare pubblicità alla propria gens (e quindi, indirettamente, a sé stessi). Questa situazione ha portato gli studiosi moderni a cercare di indovinare l’anno esatto di emissione di ogni moneta (tenendo conto che in uno stesso anno potevano esserne emesse anche più di una); non c’è alcuna sicurezza su queste datazioni, però sono state ottenute incrociano una serie indizi[8] e pertanto si possono ritenere abbastanza indicative, per il periodo più antico (fine del IV e III secolo a.C.), e sostanzialmente attendibili, per quello più recente (II e I secolo a.C.). Questi sforzi sono stati raccolti e compendiati da Michael Crawford in un’opera fondamentale, Roman Republican Coinage, edito nel 1974, in cui egli elenca tutte le monete note al suo tempo (alcune, rarissime, sono state scoperte dopo[9]), le raccoglie in “serie”, assegna loro un numero di elenco e ne propone la datazione. Quindi, quando si trova scritto nei testi di numismatica “RRC 100/1” oppure “Cr. 100/1” significa “la moneta che Crawford, nel libro «Roman Republican Coinage», elenca come la n. 1 della serie n. 100”. ________________________________________ Esistevano nell’antichità due tecniche per produrre le monete, fusione e coniazione. Nella fusione, l’immagine della moneta viene riprodotta in negativo all’interno di uno stampo (di terracotta o, in epoca moderna, di materiali sintetici), dopo di che viene fatto colare il metallo fuso all’interno dello stampo; quando il metallo si raffredda viene aperto lo stampo e se ne estrae la moneta. I disegni che nell’antichità si potevano ottenere con questa tecnica erano, tuttavia, molto molto grezzi. Nella coniazione, invece, l’immagine della moneta viene riprodotta in negativo sulla faccia di un’incudine e su quella di un martello, detto “martello di conio” o anche solo “conio”. A questo punto si appoggia sull’incudine un dischetto di metallo riscaldato, detto “tondello” (preparato prima, per fusione) e lo si batte con forza con il martello, imprimendovi così il disegno. La coniazione, a differenza della fusione, permette di realizzare monete con disegni piccolissimi e precisissimi. Osservando le differenze nei disegni delle singole monete (dovute al fatto che i conî venivano incisi a mano), si può oggi distinguere quali di esse provengono dallo stesso conio e, quindi, calcolare quanti conî sono stati usati per produrre i pezzi giunti fino a noi. Supponendo che ciascun conio di rovescio venisse sostituito, a causa dell’usura, dopo che erano state battute (secondo le diverse opinioni degli esperti moderni) da 10.000 a 30.000 monete (un po’ meno per quelli di dritto, maggiormente esposti all’usura), si può oggi stimare il volume di emissione di una moneta; talvolta, ammonta a milioni di pezzi. Quando si illustrano le due facce di una moneta, ci si riferisce a esse come “dritto” e “rovescio”. Nelle monete coniate, il dritto è la faccia risultante dal colpo di martello, il rovescio quella appoggiata sull’incudine. Siccome inoltre i Romani avevano l’abitudine di raffigurare spesso, al dritto, la testa di un dio (e in seguito quella dell'imperatore), si parla di “dritto” anche per le monete fuse, con riferimento alla faccia su cui è presente tale testa. ________________________________________ Viene naturale chiedersi, a questo punto, quanto valevano le monete romane? Possiamo farcene un’idea con riferimento alla metà del II secolo a.C. Polibio infatti narra (II, 14, 35) che in Gallia Cisalpina, ove egli si recò fra il 151 e il 150, “un medimno siciliano di frumento costa per lo più 4 oboli, uno d’orzo 1 obolo e un metrete di vino costa quanto un medimno di orzo”; egli stesso riferisce che l’obolo, moneta di tradizione greca, era cambiato per 2 assi romani. Considerato che un medimno (misura di capacità corrispondente a 51,8 l) poteva contenere circa 40 kg di grano mentre il metrete era paro a 39 l, si ricava che con una asse si potevano comprare 5 kg di grano o 20 l di vino. Si capisce tuttavia, dal resoconto di Polibio, che egli riteneva questi prezzi estremamente bassi; supponendo che a Roma essi fossero circa 5 volte più elevati[10], ne consegue che con un asse si potesse comprare 1 kg di grano oppure 4 litri di vino (non pregiato). Si può quindi affermare che a metà del II secolo a.C. un asse valeva circa 4 €[11]; per quanto riguarda il denario, non sappiamo se all’epoca fosse cambiato a 10 o 16 assi (ci fu una riforma, proprio in quegli anni), per cui poteva valere da 40 a 65 €. Ovviamente, prima di tale data l’asse valeva di più, in seguito invece di meno (perché ci fu un costante fenomeno di svalutazione, nei secoli). Sappiamo che un secolo dopo, ossia alla metà del I secolo a.C., i braccianti di Pompeo ricevevano da 5 a 16 assi al giorno. NOTE [1] Naturalis Historia, XXXIII, 3, 13. [2] Nel senso di “fece apporre un segno al”. [3] Storico di cui non ci è pervenuta l’opera. [4] Letteralmente: “riferisce gli utilizzi in precedenza, a Roma, del”. [5] Nel senso di “grezzo”. [6] Naturalis Historia, XXXIII, 42 e XXXIII, 44 [7] In numismatica, per “iconografia” o “tipologia” si intende la scelta dei “tipi”, ossia dei disegni riportati sulle due facce delle monete. [8] Fra cui: i risultati archeologici (se una moneta è rinvenuta nelle rovine di un tempio distrutto nell’anno X a.C., deve essere precedente; se due monete sono rinvenute assieme e una è nuovissima, l’altra molto usurata, è probabile che la seconda sia stata emessa prima); il peso (nei secoli, il peso delle monete è diminuito sempre più); l’identificazione del monetiere (se una moneta è firmata “Pinco Pallo” e sappiamo che un certo Pinco Pallo è stato console nell’anno X, supponendo che sia la medesima persona se ne ricava che possa essere stato monetiere alcuni anni prima di X); il significato delle immagini (una moneta che inneggia alle vittorie di Silla non può essere stata emessa quando a Roma governavano i seguaci di Mario). [9] Tutte le monete repubblicane oggi note possono essere visionate nell’archivio al link https://numismatica-classica.lamoneta.it/. [10] A conferma di questa supposizione rileva la notizia per cui, poco dopo il 124 a.C., la lex frumentaria di Gaio Gracco impose di riabbassare i prezzi del grano (che, nel frattempo, erano aumentati) a 6 assi al modio; considerato che un modio (circa 8,75 litri) poteva contenere circa 7 kg di grano, si ricava che Gracco fece riabbassare i prezzi a 1 asse per 1,15 kg. [11] Solo per dare un’idea, dato che un conto esatto imporrebbe di conoscere il prezzo di un ampio paniere di prodotti.
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  26. piazza Cordusio (e dintorni) è interessata da pesanti lavori fino a metà settembre che daranno un volto nuovo alla zona spero il mercatino possa ripartire a lavori finiti nella stessa zona altre piazze europee hanno mantenuto i propri mercatini, spero Milano faccia lo stesso
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  27. Ciao a tutti, mi reputo tutt altro che esperto e non vorrei mettere in cattiva luce nessuno. Navigando sulla baia ho visto questo annuncio di moneta che mi sembra un falso pacchiano addirittura chiusa da un perito. Ma come è possibile? https://www.ebay.it/itm/156529536482?mkcid=16&mkevt=1&mkrid=711-127632-2357- 0&ssspo=paHBvANCR-K&sssrc=4429486&ssuid=p6UGdH91RcW&stype=1&var=&widget_ver=artemis&media=COPY
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  28. mmah... alcune tematiche sembrano davvero "tanto per..."
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  29. Accessibili ari = accessi biliari. Buona serata!
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  30. Ogni fine... Dopo la fine della guerra nel 1865, l'edificio della Zecca venne usato per circa due anni come posto militare degli Stati Uniti. Nel 1867 fu riaperto come assay office federale. Nel 1873 l'Assemblea Generale del North Carolina chiese al Congresso di riprendere le coniazioni a Charlotte, sebbene fosse evidente che le miniere d'oro della regione si stessero esaurendo. La risposta, quindi, non poteva essere che negativa, e così la Zecca federale di Charlotte non produsse più alcuna moneta I depositi d'oro continuarono a diminuire, e alla fine non ci fu più bisogno nemmeno di un ufficio analisi, che venne definitivamente chiuso nel 1913. Per quattro anni l'edificio rimase vuoto. Fu poi utilizzato come sede della Croce Rossa durante la Prima Guerra Mondiale, e in seguito per le riunioni dello Charlotte Women's Club. Per un breve periodo ospitò anche un tribunale federale, ma più tardi i progetti per trasformarlo in una scuola fallirono. Non fallirono invece quelli per l'ampliamento dell'ufficio postale della città, che avrebbe dovuto sorgere proprio sul luogo della ex Zecca. Per la quale, nel 1932, arrivò l'ordine di demolizione petronius
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  31. Infatti io ho detto che leggere (come qualcuno ha consigliato)non basta, bisogna appoggiarsi a chi ne sa veramente,un perito non può sapere tutto di tutto,un collezionista potrebbe sapere molto di più di un perito nel suo ambito si interesse,e lo dico per esperienza personale, più volte commercianti e periti di mia conoscenza mi hanno chiesto delucidazioni su monete appartenenti al mio campo di interesse... Per allacciarmi al tuo esempio del dottore è come quando ti rompi un braccio ,vai dall'ortopedico e non dal cardiologo,se ho bisogno di un parere su una moneta romana non vado di certo da un collezionista o perito esperto di monete del Regno...
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  32. Credo SPL+ considerando che ci si esprime tramite delle foto. Magari é pure un pochino di piú 🤷‍♂️.
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  33. E' ben di più di un trattato di numismatica: è un manuale di storia romana raccontata attaraverso le monete, particolarmente completo nella sua sinteticità; ed è un manuale di numismatica con gli indispensabili collegamenti storici. Io stavo cercando di fare altrettanto per cercare di capire sia la storia che le monete, in quanto i libri che leggevo erano sempre insoddisfacenti (spesso perché incompleti per chi, partendo da quasi zero, aveva neecessità di integrarli con altri libri); ma non avevo ancora le necessarie competenze. Ora mi trovo, senza sforzo, il lavoro fatto. Certamente un lavoro che con le dovute integrazioni meriterebbe di essere pubblicato.
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  34. La cosa che mi fa specie è che ci sono molti collezionisti (possiamo chiamarli così?) che acquistano solo ed esclusivamente monete periziate perché da soli non sono in grado di stabilire autenticità e conservazione di una moneta,e più di una volta mi è capitato di essere in disaccordo con la perizia del perito,del venditore o della casa d'asta,su monete postate anche qui nel forum con profondo disappunto da parte di chi postava la moneta, questo perché ciò che riportava il cartellino era,per l' acquirente, legge,e qui ritorniamo al discorso di poc'anzi,se io ho bisogno di una consulenza di una determinata moneta chiedo il parere ad un collezionista che segue quella determinata monetazione e che oltre a dirmi se la moneta e buona o meno può darmi tante altre informazioni aggiuntive...
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  35. Infatti, se mi sono accorto io che c'è qualcosa che non va, significa che non serve nemmeno essere collezionisti di monete. Io faccio solo cartamoneta...
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  36. L’ATTACCO DI ANNIBALE Dopo la sconfitta, Cartagine versava in uno stato di prostrazione economica. Amilcare Barca, il generale che aveva combattuto in Sicilia, propose di conquistare l’Hispania (attuale penisola iberica); sebbene non autorizzato, partì comunque di propria iniziativa con un gruppo di mercenari e il figlio Annibale (di 10 anni), percorse in marcia la costa africana, attraversò lo stretto di Gibilterra e, in pochi anni, conquistò gran parte della penisola. I Barca crearono così un nuovo Stato (seppur formalmente vassallo di Cartagine) e ne posero la capitale in una città fortificata da loro stessi fondata, Qart Hadasht (odierna Cartagena). Nel 221 il comando dei territori punici in Hispania fu assunto da Annibale, che aveva solo 26 anni. Prima di lasciare Cartagine il padre l’aveva condotto in un tempio e, al cospetto degli dei, gli aveva fatto giurare odio eterno contro i Romani: il giovane non aveva dimenticato quel giuramento e intendeva onorarlo. Attaccò e distrusse Sagunto, città alleata di Roma; iniziò così nel 219 a.C. la Seconda Guerra Punica. Annibale, con una manovra inaspettata e passata alla storia, aggirò le legioni inviate a combatterlo e, valicate le Alpi, si presentò nel 218 direttamente in Gallia Cisalpina, dove sconfisse l’esercito romano prima sulle sponde del Ticino, poi su quelle della Trebbia. Nel tentativo di tagliare le linee di rifornimento cartaginesi Roma, nel 218 e 217, inviò due eserciti in Hiberia (area settentrionale dell’Hispania), agli ordini di Gneo Cornelio Scipione e di suo fratello Publio. Nel frattempo, tuttavia, in Italia Annibale riportava un’altra grande vittoria, presso il lago Trasimeno. ___________________________ Roma reagì schierando una forza imponente per schiacciare l’invasore, 80.000 fanti contro 40.000. Lo scontro titanico fra i due eserciti avvenne nel 216 a.C., nella pianura di Canne. Fu, come noto, una disfatta totale: morirono 50.000 soldati, un console, due questori, ventinove tribuni e ottanta appartenenti alla classe senatoria; altri 15.000 furono fatti prigionieri. All’improvviso, Roma non aveva più un esercito, né una classe dirigente. Una parte dei sopravvissuti scortarono l’altro console a Roma; altri 10.000 legionarî, invece, si asserragliarono a Canosa. Qui un nobile li convinse dapprima che era necessario abbandonare la Repubblica, ormai condannata a soccombere, per cercare fortuna come mercenarî in Oriente; fu un tribuno, Publio Cornelio Scipione (figlio dell’omonimo[1] inviato a combattere in Hiberia), che aveva solo 20 anni ma aveva già combattuto sia al Ticino sia a Canne, a convincerli a non disertare. Il Senato tuttavia, saputo della loro seppur momentanea mancanza di lealtà, li condannò all’esilio: furono riorganizzati in due legioni (da allora denominate Cannenses) e inviati in Sicilia, dove avrebbero atteso sino alla fine della guerra. La capitolazione di Roma dovette sembrare prossima: negli anni successivi la tradirono molti alleati, fra cui Capua (216 a.C.) e Siracusa (215); entrò in guerra, al fianco di Annibale, anche Filippo V re di Macedonia (215); scoppiò una rivolta in Sardegna (215) e gli eserciti cartaginesi conquistarono Agrigento (213) e Taranto (212). In Hispania, infine, Asdrubale, fratello di Annibale, sconfisse e uccise i due Scipione (212): solo la strenua resistenza opposta dall’esercito romano sul fiume Baetis (odierno Guadalquivir) evitò una disfatta totale. ___________________________ In questi primi, concitati anni di guerra Roma continuò a finanziare lo sforzo bellico con le monete che già possedeva, il quadrigato e l’aes grave, che subirono un costante e accentuato fenomeno di svalutazione. Per quanto riguarda i bronzi, nel 217-215 a.C. Roma emise la serie semilibrale[2] RRC 38 che comprendeva tutti i nominali dall’asse alla quartoncia, ma presentava una particolarità: mentre asse, semisse, triente e quadrante furono realizzati per fusione e costituirono una delle ultime emissioni di aes grave, i nominali più piccoli furono realizzati per coniazione e costituirono, quindi, le prime monete coniate di valuta romana (espresse, cioè, in once). Per quanto riguarda l’iconografia, fu ripetuta la sequenza della serie RRC 35 (Giano, Saturno, Minerva, Ercole, Mercurio e Roma, con la prora navis al rovescio) ma furono aggiunti due nominali più piccoli, semioncia e quartoncia, riproponendo rispettivamente Mercurio e Roma. Peraltro, questa fu l’unica occasione in cui fu emessa la quartoncia. Ma successe anche un fatto peculiare: fu emessa, in contemporanea, un’altra serie interamente coniata, la serie collaterale[3] RRC 39, comprendente i soli nominali dal triente alla semioncia. La particolarità e la bellezza di questa serie consiste nelle iconografie: sul triente, una testa diademata femminile (forse Giunone) al dritto, Ercole che afferra per i capelli un centauro e impugna la clava al rovescio; sul quadrante, la testa di Ercole avvolta nella pelle leonina al dritto, il toro rampante sopra a un serpente al rovescio; sul sestante, la lupa che allatta Romolo e Remo al dritto, un’aquila o corvo con un oggetto nel becco (un fiore? cibo per i gemelli?) al rovescio; sull’oncia, la testa (con vista frontale) del Sole al dritto, il crescente della luna e due stelle al rovescio; sulla semioncia, infine, una testa turrita (forse Roma, oppure Cibele) al dritto, un cavaliere al galoppo con la frusta in mano al rovescio. Tutte portano la legenda “ROMA” al rovescio e tutte (eccetto la semioncia) il simbolo del valore su entrambe le facce. L’interpretazione di queste iconografie resta un mistero; fra l’altro, fu la prima volta in cui Giunone, il Centauro, l’aquila, il toro con il serpente, Cibele e il Sole vennero raffigurati su monete. Un’ipotesi è che le monete, lette in sequenza, narrino una storia mitologica, ma non si capisce quale[4]. Un’altra, è che si tratti simbologie slegate fra loro: “La serie colpisce per l’essere molto curata artisticamente e per la tematica, in parte estranea alla compassata tradizione repubblicana. … Il centauro trova riscontro nelle monete di Larino, la testa del sole ed il crescente nelle monete di Venusia. Per contro la tipologia del sestante è tipicamente romana … . Il quadrante, con il toro cozzante, trova riscontro sia in una precedente tipologia dell’aes grave, che nella monetazione di Arpi, Posidonia e Thurii. Giunone, diademata e con scettro, era venerata a Roma come a Lanuvium. I tipi quindi non sono originali ma sembrano un misto di tipologie dei diversi stati centro italici (principalmente campani) gravitanti su Roma”[5]. Una terza ipotesi, suggestiva, è che questa serie sia stata emessa per stimolare nei Romani il desiderio di rivalsa, dopo la disfatta di Canne, auspicando la sconfitta di Cartagine sui nominali maggiori (dove la vittoria finale sarebbe simboleggiata da Ercole che uccide il centauro sul triente e dal toro che schiaccia il serpente sul quadrante) e parallelamente magnificando la grandezza di Roma su quelli minori; l’oncia, in particolare, potrebbe essere un’allusione alle tradizioni del mondo contadino, legato ai cicli del sole e della luna[6], e al mos maiorum. Per quanto riguarda la semioncia, qualora essa raffiguri Cibele e non Roma, la circostanza potrebbe essere collegato al fatto che anni dopo, nel 204 a.C., per scongiurare proprio il pericolo di Annibale (che ancora spaventava l’Urbe), secondo un consiglio tratto dai Libri Sibillini, una pietra nera, simulacro della dea, fu prelevata a Pessinunte e trasportata a Roma, dapprima nel Foro poi sul Palatino: è forse possibile quindi che un’invocazione alla medesima dea fosse già stata fatta anni prima, e questa moneta la richiami. Resta il grande fascino di questa serie, fascino alimentato anche proprio dal mistero che avvolge il significato celato nelle sue rappresentazioni. ___________________________ Anche se sembrava sull’orlo della disfatta, Roma non si arrese. Schiacciò la rivolta sarda (215 a.C.). Organizzò un nuovo esercito e lo inviò contro Filippo V (214). Assediò e conquistò Siracusa (214-212) e Capua (212-211). ___________________________ Nel 211 a.C. Annibale cominciò a capire che sarebbe stato difficile piegare Roma e decise di tentare una mossa disperata: marciò, a sorpresa, direttamente contro l’Urbe. La sua iniziativa provocò spavento e turbamento, ma i Romani non si persero d’animo; un esercito al comando del proconsole Fulvio Flacco, pur essendo dietro a quello cartaginese, riuscì a marce forzate a superarlo e giunse a Roma prima di esso, apprestandosi a difenderla. Annibale fece allora accampare i suoi soldati vicino alle mura di Roma; l’ostinata determinazione di Roma a non arrendersi doveva aver già provato il suo morale, quando giunse una notizia che, seppur banale, gli fece capire quanto poco i Romani lo temessero: dentro le mura dell’Urbe, il terreno su cui aveva posto il proprio accampamento era stato venduto, e il prezzo non era per nulla diminuito malgrado la sua presenza. Scoraggiato, si ritirò con il suo esercito in Campania. NOTE [1] I nobili romani avevano l’abitudine di dare, ai maschi primogeniti, il medesimo nome del padre. Questo crea a volte (non qui) incertezze sull’esatta identificazione di alcuni personaggi storici. [2] Così denominata perché l’asse aveva un peso teorico di mezzo asse librale (anche se, nella realtà, pesava spesso di meno: gli assi pervenutici vanno da 100 a 160 g circa). [3] Così chiamata perché emessa “a lato” della RRC 38. [4] Ercole e il centauro, ad esempio, sembrano alludere alla lotta fra il semi-dio e Nesso (centauro della Tessaglia), di cui non si conosce alcun collegamento con la leggenda della lupa che allatta i gemelli. [5] Salati e Bassi in “Cronaca Numismatica”, 5/6/2020. [6] Le due stelle potrebbero essere i Dioscuri, o Phosphorus ed Hesperus, rispettivamente stella del mattino e della sera. ILLUSTRAZIONI Asse fuso RRC 38/1 Quartoncia coniata RRC 38/8 Sestante della "serie collaterale" RRC 39/3 Sestante RRC 42/3. Questa moneta, oggi rarissima, fu emessa in Sicilia, forse a Katana (Catania), durante l’assedio di Siracusa; si pensi: era là, quando un legionario uccise, per errore, Archimede.
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  37. Tutti bei pezzi, il 10 di Alan è propio bello la I dell'incisore è al punto esatto e tutto corrisponde, pezzo autentico e bello. Premetto che non tutti i francobolli di Napoli hanno la I dell'incisore; l'1 Grana ha una M a sx 2 Grana una A a dx 5 Grana una S a sx 10 grana una i a dx 20 grana una N quasi al centro un basso 50 grana una i gran bel materiale anche quello postato da Marco1972
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  38. Grazie mille per le risposte! La patina della moneta in basso a sinistra non l'avevo mai vista e mi aveva fatto venire dei dubbi.
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  39. ciao monete confermate - grazie
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  40. Ho la "palla" rotta se riesci a postare una foto te ne siamo tutti grati.🙏🏼
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  41. Quanto rarismo, quanta raritudine, quanta rarefazione nell'aria. Grazie
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  42. Questa discussione è talmente bella, autorevole e di rilievo che andrebbe messa tra le importanti. Da parte mia per comodità di lettura l'ho trasferita in un file pdf, che riesco ad allegare in due parti. Storia di Roma e delle sue monete di L. Licinio Lucullo_Extract 1.pdf Storia di Roma e delle sue monete di L. Licinio Lucullo_Extract 2.pdf
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  43. Su una ricerca molto maldestra fatta sul motore di ricerca. Lo ammetto, sono molto ignorante in materia e, come in questo caso, commetto errori grossolani di valutazione. Ho fatto un'analisi completamente errata e non avrei nemmeno dovuto scrivere "Babilonese" nel titolo. Chiedo scusa a tutti e vi ringrazio ancora una volta per il supporto ricevuto!
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  44. Dall'immagine sembra acmonital prematurato anzichè bronzo con scappellamento a destra
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  45. Io non metto in una busta da lettere 5000 euro. Come minimo deve essere assicurata per il suo valore ma, preferibilmente, spenderei i soldi per il viaggio ed, eventualmente, anche il pernotto. Sia se compro, sia se vendo. Ormai parliamo di pezzi rari, di valore storico.
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  46. La tua domanda è un po' generica, bisognerebbe capire di quali monete parli. Ti do comunque un quadro conoscitivo generale. In primo luogo, dobbiamo distinguere fra monete repubblicane "ufficiali", monete "coloniali" (emesse dalle coloniae per loro esigenze), monete "locali" (emesse da città o comunità sostanzialmente assoggettate a Roma, ma formalmente indipendenti) e monete "non ufficiali" (emesse piccole comunità, di carattere quasi privato). Moltissime monete coloniali, locali e non ufficiali provengono dalla Campania. Presumo però che tu ti riferisca alle "ufficiali" (ossia sostanzialmente, con qualche eccezione, le monete censite da Crawford nel catalogo RRC). Ebbene, anche molte "ufficiali" furono emesse zecche collocate fuori Roma, per tre ragioni diverse: 1) in origine Roma non aveva la capacità tecnica di produrre monete coniate (la zecca dell'Urbe fu inaugurata nel 269 a.C., mentre le prime monete romane coniate risalgono a 50 anni prima), per cui ne appaltava la produzione ad altri popoli italici o italioti; 2) oltre alla zecca urbana, il Governo della Repubblica si servì saltuariamente di zecche site nelle colonie (Luceria, Canusium, Narbo Martius) o nelle capitali delle province (ad esempio, il denario RRC 365/1 è attribuito a Massalia, il 393/1 a una qualche zecca ispanica, il 445/1 ad Apollonia, etc.); 3) i magistrati dotati di imperium avevano anche la potestà di emettere monete e, pertanto, quando le legioni erano in marcia coniavano proprie monete in zecche cosiddette "itineranti". Non si sa dove siano state emesse le monete della categoria (1), ma è estremamente plausibile che molte provengano dalla Campania dove Capua (all'epoca, sembra, la città più popolosa d'Italia) offrì spontaneamente sè stessa a Roma (con la cosiddetta "deditio"), diventandone parte, e portandole in dote una zecca di livello tecnico molto elevato. Non conosco monete della categoria (2) attribuite alla Campania, ma ci sono molte emissioni ritenute provenienti dall'Italia centro-meridionale; è probabile che alcune provengano quindi anche dalla Campania, ove c'erano varie colonie di diritto latino sicuramente dotate di zecca (lo sappiamo, perché coniarono monete "coloniali" per le proprie esigenze). Per quanto infine riguarda la categoria (3) ... le legioni coniavano là dove si trovavano stanziate, sicuramente sarà successo anche in Campania. Detto tutto ciò, ti chiederai su che base una moneta è attribuita a una zecca campana, piuttosto che a quella di Roma o - tanto per dire - a quella di Apollonia. I criteri sono quattro e vengono utilizzati incrociandoli tra loro: 1) i luoghi in cui le monete sono state rinvenute; 2) il loro stile (alcune hanno uno stile dei disegni chiaramente differente da altre, attribuibile alle tradizioni degli incisori - resta da capire, ovviamente, quali "mani" operassero a Roma e quali in altre località); 3) i segni e le legende presenti nell'iconografia (ad esempio, la "L" con grafia osca è attribuita a Luceria, la spiga di grano alla Sicilia); 4) l'abbinamento a fatti storici (ad esempio, RRC 359/2 reca la legenda "L. SVLLA" ed è datata all'84-83 a.C., per cui dovrebbe essere stata emessa ad Atene ove, all'epoca, Silla stazionava). Come vedi, nessuno di questi criteri fornisce risposte tassative; in materia pertanto non ci sono certezze, solo ipotesi più o meno probabili.
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  47. Al di là dell'assurdità di certe emissioni (che potremmo chiamare tranquillamente speculative) e pur rispettando le opinioni di tutti mi permetto di dissentire fortemente su questo punto. Secondo me non c'è nessun male a celebrare/commemorare anche personaggi, eventi o cose non strettamente italiane se riguardano elementi importanti che hanno portato beneficio a tutti, questo specialmente in ambito europeo. Da appassionato di filatelia antartica riporto qui di seguito un bell'esempio di quello che ho appena detto. Francobollo emesso nel 2019 nelle Terre Australi e Antartiche Francesi che commemora Mario Zucchelli, compianto ex-direttore del programma antartico italiano. Noi italiani non abbiamo ritenuto opportuno dedicargli francobolli, i francesi (nostri grandi collaboratori nello studio dell'Antartide) invece sì.
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