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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 09/09/25 in tutte le aree
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Buongiorno a tutti, faccio compagnia al testone di Carlo I postato da @Andrea79 e vi presento uno dei miei ultimi acquisti sabaudi. Passata da Ratto nel 1965, da Varesi più recentemente e infine da Kruso questa primavera, dove l’ho acquistata. conservazione piacevole, dal vivo i rilievi sono alti e il metallo brillante, sotto a quella patina che a certe inclinazioni vira al blu. Buona giornata, N.6 punti
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Il primo simbolo del gruppo di Quelli del Cordusio (La scrofa semilanuta è una creatura leggendaria, simbolo della città di Milano prima dell'età comunale, che si riallaccia alla fondazione del capoluogo lombardo, avvenuta ad opera dei Celti. da: Wikipedia) :5 punti
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La presenza del lustro la ascrive alla conservaziuone SPL cui può essere aggiunta la nota che segnala i colpi sul bordo. Rimane, comunque, legata al valore del fino in essa contanuto. Posto per confronto e condivisione due esemplari della stessa in alta conservazione (il colore "opaco" della "prova" è dovuto alla presenza della spessa plastica che la sigilla in confezione originale):3 punti
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Il mio NIP di fiducia mi diede per 10 € un album di monete comunissime di V.E.III dopo che era stato privato degli esemplari più interessanti e visionato dal suo assistente. Di 50 Centesimi 1941 ce ne saranno stati una trentina, ma girando la pagina mi accorsi che uno dei pezzi presentava il D/ in posizione anomala (queste monete presentano solitamente prima il R/ perché è lì che viene riportato il millesimo). Fu facile per me, individuare l'anomalìa e godermi i rimbrotti all'assistente (personaggio in realtà, assai deplorevole), mentre il mio NIP periziava l'esemplare in conservazione SPL-FDC (sì, lui è un po' stretto coi giudizi) e rarità R2 completamente gratis (avevo già pagato per l'intero album). Qual è la morale? Che mai bisogna dar per scontata una moneta, neppure se è passata sotto gli occhi di persone esperte; può esserci sempre il particolare che fa la differenza... 🤩3 punti
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"Che lezione!!!" Ringrazio ancora Fabrizio, perché dall' esperienza che descrissi ne uscii prima con quel 5 lire...poi ebbi la fortuna di aggiudicarmi il 2 lire nell' asta in cui vendette la sua splendida collezione del Regno. Io non sono bravo a fotografare, ma se Fabrizio vuole aggiungere le foto di quella moneta per capirne l'eccezionalità, penso faccia piacere a tutti. In effetti ogni volta che le guardo danno quella sensazione di "wow" che Fabrizio mi ha insegnato a tradurre in osservazione dei dettagli. È veramente una fortuna conoscerlo e seguire tutte le sue descrizioni...a me affascina ogni volta è ribadisce l'essenza di questa passione: studio e condivisione di conoscenza ed emozioni.2 punti
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Carlo Emanuele I - Cavallotto 1630 Carlo Emanuele I (1580-1630) Cavallotto 1630 - MIR Manca MI (g 1,77) RRRRR Nella recente nuova edizione del MIR sulle monete dei Savoia non è censita, tra le tante varianti di questa tipologia, la presenza della data al di sopra dello stemma. Il 1630 è l'anno della morte del duca per cui dovrebbe trattarsi proprio dell'ultima emissione. Pur mancando di argentatura, come gran parte di questi esemplari, trattasi inoltre di un bellissimo esemplare dagli ottimi rilievi. Grading/Stato: SPL Lotto 1736 Asta Nomisma n. 74 5-6/9/2025 Condivido volentieri.2 punti
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Ciao ragazzi, ho provato a prendere qualcosa nell'asta 119 di inAsta. Sapendo perfettamente di essere in mezzo agli squali senza alcuna competenza mi sono concesso 20€ di budget si 20 € così da non dovermi arrabbiare in caso di errori madornali. L'ho fatto perchè per come sono fatto imparo più mettendo le mani in pasta che leggendo. Questo è il risultato: https://inasta.bidinside.com/it/lot/223061/savoia-vittorio-emanuele-iii-1900-1943-/ 1) euro 8: serie 5 Centesimi 1939÷1943 qFDC÷FDC quella del 1943 dovrebbe coprire il mio "INVESTIEMNTO"; https://inasta.bidinside.com/it/lot/222735/savoia-vittorio-emanuele-ii-re-ditalia-/ 2) euro 11: 20 Centesimi 1863 qBB con difetto di conio proprio sulla data (doppia battitura?). Che ne pensate? mi è avanzato anche 1 euro, anzi no perchè ci sono le spese, quindi direi che più o meno avrò speso un 25 euro. Vai, distruggetemi Felice serata a tutti.1 punto
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DE GREGE EPICURI Hieronimus Fracastorius (nato a Verona fra il 1475 e il 1478, morto a Incaffi nel 1553) fu, come spesso nel Rinascimento, medico e filosofo, ma anche cultore di letteratura, geografia e botanica. Studiò all'Università di Padova sotto la guida e l'impulso del medico Girolamo della Torre. Assistette alla guerra fra le truppe francesi e l'esercito dell'imperatore del SRI, che fra l'altro devastò Verona e contribuì alla diffusione della sifilide. Studiò in particolare quest'ultima malattia (" De morbo gallico") e la rabbia. Viene ricordato su questa medaglia in bronzo (circa 32 mm) emessa in occasione delle "Giornate mediche internazionali" tenutesi a Verona nel 1955. Mi pare che manchi dal nostro catalogo. Mi devo scusare però per la qualità delle foto; ora non sono in grado di rifarle.1 punto
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Beh, per ora il 5 lire ed il 50 lire che ha mostrato sono notevoli, effettivamente 😊1 punto
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Concordo assolutamente con @Pontetto. Proprio oggi l'oro ha raggiunto e superato per la prima volta nella sua storia i 100 euro al grammo. Soltanto un anno fa, in questo stesso periodo, era sui 73 euro al grammo... Personalmente, se avessi a disposizione del denaro e lo volessi investire su dell'oro, comprerei tutta la vita delle sterline o dei marenghi, monete conosciute in tutto il mondo ed estremamente facili da poter rivendere se un domani ne avessi bisogno. Considera, inoltre, che i 5000 euro della zecca di Parigi pesano 40 grammi di oro puro. Ciò vuol dire che la richiesta è di 125 euro per ogni grammo di oro puro. In confronto, oggi una sterlina la si può comprare a 750 euro, quindi pagandola circa 102,5 euro per grammo di oro puro. Da un punto di vista meramente economico, mi pare decisamente più conveniente la sterlina. Inutile, poi, pensare ad un eventuale interesse collezionistico per questi 5000 euro in futuro. Quasi certamente finiranno valutati per l'intrinseco.1 punto
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Capisco il tuo ragionamento. Però si investe in oro nel lungo periodo (decenni almeno, in genere). E nel lungo periodo l'Euro si svaluterà (e questa è una certezza), molto improbabile che l'oro cali così tanto da far sì che si verifichi che il facciale sia superiore all'intrinseco.1 punto
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Beh allora significa che dovevi portarti alla pari rispetto alla nostra via dolorosa 😂😂😂1 punto
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In base alla mia percezione — e quindi potrei anche sbagliarmi di molto — mi sembra che il mercato delle monete italiane del periodo 1500-1800 stia attraversando una fase di generale stanchezza, dopo i guizzi post-Covid e soprattutto se confrontato con altri comparti numismatici (monete inglesi, tedesche, scandinave, dell’Est Europa...) che invece continuano a mostrare grande vitalità. Limitandoci all’Italia, noto che le monete del Sud stanno vivendo un buon momento; le pontificie continuano ad avere una platea di collezionisti molto ampia, mentre Savoia e veneziane, se belle/rare, restano sempre molto contese. Vedo poco interesse verso le toscane e le genovesi, salvo alcune eccezioni: sono monete che, in generale, oggi si riesce a comprare bene (ne ho comprate diverse negli ultimi anni sempre alla base o poco piu'). Sulle alte/altissime conservazioni, ho osservato un po' di speculazione: monete acquistate in asta, subito “inscatolate” e riproposte dopo pochi mesi a prezzi molto più alti su altre aste. Spesso però restano invendute. Chi tenta di replicare in Italia dinamiche speculative già viste all’estero, a mio avviso, dovrà presto interrogarsi sull’effettiva sostenibilità di tali operazioni. Per gli esemplari in bassa conservazione il momento è particolarmente difficile, soprattutto per le tipologie più comuni, dove la domanda è molto debole. Per monete rarissime ma di conservazione mediocre: in questo caso i prezzi mi sembrano più bassi rispetto al passato, creando in alcuni casi opportunità interessanti. Ripeto, si tratta solo della mia percezione personale e potrei sbagliarmi.1 punto
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Cha sta facendo vacanza a Fiumicino 😂 fin tanto che ogni giorno viene scansionata, non preoccuparti1 punto
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Si... si tratta di un IV tipo https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-CE1/9 Si vede chiaramente la presenza di due rose e la sigla A al rovescio1 punto
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Ciao @Ale75, se la pulisco ulteriormente diventa proprio da buttare, l'ho già vandalizzata abbastanza! grazie comunque per l'impegno profuso1 punto
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Per ora sono solamente Marchese... Tiro a diventare Duca, ma la strada è ancora lunga!!1 punto
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Ho tolto dal catalogo la data 1630 dal IlI tipo https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-CE1/29 Ed ho creato la nuova tipologia V tipo. https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-CE1/116 Un grazie ad @Oppiano per aver messo a disposizione l'immagine... Se notate qualche imprecisione ditemi pure!1 punto
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La soluzione è mettere gente competente a fare i pacchi. Che abbia un minimo di piacere nel fare il proprio lavoro e che non stia lì solo a prendere lo stipendio o a scaldare la sedia. Sono certo che se un collezionista facesse i pacchi, li farebbe con la diligenza con cui lui stesso vorrebbe ricevere il materiale.1 punto
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io ti posso dire solo notizie di storia postale, le due lettere sono affrancate in tariffa lettera 1° porto cent.50 con francobollo Imperiale viola da cent.50 è una affrancatura comune, ma credo sia più piacevole leggere la lettera, considera che io ho una corrispondenza di un militare 1^ guerra mondiale che per un certo periodo, (ricoverato in ospedale da campo) scriveva 5 cartoline al giorno, nen avendo spazio a sufficenza per scrivere, le cartoline non avevano costi per i militari e viaggiavano in franchigia, forse cara e busta per scrivere lettere non ne avevano1 punto
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Il discorso è ampio.. cerco di semplificarlo. I coni per produrre le monete hanno subito un'evoluzione col tempo e con il progredire della tecnologia. Vi erano due coni per i due lati della moneta che venivano preparati con acciaio che veniva stemperato (ammorbidito) dopo la preparazione per renderli più "teneri" e facilitarne la preparazione delle impronte. Prima venivano utilizzati dei punzoni semplici per incidere il materiale ferroso e produrre le lettere delle legende e i particolari centrali, poi magari rifiniti a bulino, col tempo si preparavano punzoni sempre più complessi già con la forma delle lettere complete per imprimere le legende, mentre per le immagini magari dei busti dei punzoni col busto completo oppure particolari di esso che venivano poi impressi sul conio uno ad uno per poi lasciare la figura completa. Nel periodo della tua moneta il diritto, che era la parte più complicata da preparare, veniva inserito sul conio ad incudine, era quello che sopportava meno stress e durava più a lungo, venivano preparati tre coni a martello per uno ad incudine.1 punto
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Non mi sembra di vedere aloni. Se ti riferisci a quella zona meno brillante che si intuisce dalla foto, potrebbe essere dovuta a una minima usura oppure a un conio non completamente riempitosi col metallo, lasciando così il metallo meno brillante. E' un punto problematico (guancia e zigomo del ritratto) di tutta la serie cinquantenario. E' sia il primo a usurarsi che quello più soggetto a debolezze (oltre alla capigliatura). Lo aveva anche la mia (sulla guancia), ti allego delle foto che feci con la vecchissima compatta digitale. Dalle foto si intuisce la piacevole brunitura del metallo. Ho visto che successivamente è anche stata slabbata con un grading MS63, realizzando 2200€ + diritti, che al giorno d'oggi per questa tipologia è un bel pagare! Beh, l'oro di per se rimane stabile in qualsiasi contesto di conservazione. Semmai dovessero formarsi strane ossidazioni, è sempre dovuto a un'eventuale trattamento ricevuto, anche se questo problema, ripeto, per l'oro non dovrebbe verificarsi. E' molto più presente su argento e rame1 punto
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Manca poco alla manifestazione, importante convegno per i circoli numismatici per fare il punto della situazione e confrontarsi con pareri e azioni per divulgare la numismatica. Un grazie ancora al Circolo Numismatico Valdostano per aver organizzato la manifestazione.1 punto
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Al di là che i volumi di Alfonso Modesti sono ottimi (andrebbero presi in coppia!), tuttavia giungono fino al 2008 e descrivono solo le medaglie annuali (altri sono monografici per pontefice e relativamente costosi). Tutto dipende da quanto si sa e si vuole conoscere. Trovo molto indicata la sezione di medaglistica papale dei cataloghi di lamoneta.it: anni 1800-1903 e anni 1903 - ad oggi Se poi è sufficiente il criterio classificativo ed un prezziario, sempre per quanto riguarda le medaglie annuali, il catalogo Montenegro giunto alla sua 41^ edizione (es. di sito vendita: NL* Catalogo MONTENEGRO 2026 41^ Edizione Manuale di Monete da Collezi | Numismatica Leonessa) presenta una cinquantina di pagine dedicate.1 punto
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é una FDC viaggiata per raccomandata e in arrivo il bollo di Guastalla ( Reggio Emilia) due giorni dopo la spedizione, ottima1 punto
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Buonasera a tutti, siete tutti invitati il 20 settembre, alle ore 11:00, nel salone del Museo Civico Archeologico di Nepi, alla Presentazione dell’ultima fatica letteraria del dott. Fiorenzo Catalli: “Il Mito in tasca” Il volume ci trasporta nell’affascinante mondo della mitologia e della leggenda ma non solo anche della numismatica. Il libro che verrà presentato è una vera e propria guida “tascabile” dei miti e delle leggende dell’era antica. È un delizioso ed utilissimo libro di 156 pagine, pubblicato dalla Casa Editrice DieLLe, di Verona, con ISBN n. 9788899398835, in formato A5, la copertina è 4+4 su carta lucida da gr. 300 plastificata, con allestimento in brossura, il suo costo è di € 18,00. Il giorno della Presentazione del volume, sabato 20 settembre 2025, avremo a disposizione alcune copie, i presenti e i Soci del Circolo potranno usufruire di uno sconto considerevole, al posto di € 18,00 di copertina potranno comprarne una copia al costo di soli € 13,00, fino ad esaurimento scorte. Vi consiglio, quindi, per essere sicuri di trovarne, di prenotarne una copia fin'ora, contattando direttamente via mail il Circolo: [email protected], sarà data precedenza ai Soci del C.N.R.L. ed alle persone che saranno presenti alla Presentazione. Nel volume troviamo alcuni miti conosciutissimi, come quello di Enea e Anchise o il mito delle Dodici Fatiche di Ercole, ed altri meno conosciuti, come il mito di Erittonio o di Frisso e l’ariete. Ogni leggenda narrata è illustrata da dipinti, sculture e monete, dove è rappresentata, che rendono ancora più piacevole la lettura. Il volume è completato dall’Introduzione e dal capitolo iniziale, Mito e leggenda, dove viene spiegata anche l’origine delle due parole, da 41 capitoli, che raccontano altrettanti miti e leggende e, in chiusura, un utilissimo glossario, che racchiude tutte le denominazioni delle monete illustrate e che rende ancora più semplice ed interessante la lettura, anche per chi è digiuno dell’argomento. È un volume sicuramente da non perdere, soprattutto per gli appassionati di Storia e di Numismatica. Il dott. Fiorenzo Catalli non ha bisogno di presentazioni ma ne riporto una breve biografia, a beneficio di tutti noi: Si è laureato nel 1973 in Lettere, con Laura Breglia, presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Vincitore del concorso per Funzionario Direttivo nel ruolo Archeologi con specializzazione in Numismatica presso il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e assunto in servizio di ruolo presso la Soprintendenza Archeologica di Roma dal 16 agosto 1979 fino al 31 maggio 2015, con sede di servizio in Via di Sant’Apollinare. Tra il 1999 e il 2006 ha collaborato con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale per il riscontro inventariale, la catalogazione e la valorizzazione delle rispettive collezioni numismatiche. Dal 2007 al 2015 ha ricoperto la carica di Direttore del Monetiere del Museo Archeologico Nazionale di Firenze della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana dove ha effettuando il riscontro inventariale, la catalogazione, l’edizione a stampa e on line e la valorizzazione della collezione numismatica, attraverso la pubblicazione a stampa e l’allestimento di mostre temporanee. Dal 2015 ne è stato il Direttore Scientifico. Dal giugno 2015 ha collaborato per il riscontro e la schedatura di collezioni numismatiche con il Polo Museale della Toscana con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, con il Museo Nazionale di Arezzo, con il Museo Etrusco “Guarnacci” di Volterra e con il Museo Archeologico di S. Maria della Scala di Siena. Innumerevoli le sue pubblicazioni, tra articoli e volumi, e le conferenze effettuate.1 punto
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Ciao A prescindere da qualsiasi considerazione sui ducati d'oro veneziani falsi (ci sono, soprattutto per taluni Dogi!), mi chiedo perché acquistarne uno negli USA .... lo paghi generalmente di più, vai incontro a ulteriore esborsi in dogana e corri il rischio che si "perda". Scorri in rete l'elenco dei numismatici NIP e chiedi a quello più vicino a te o - meglio ancora - a quelli specializzati in monetazione veneziana. Forse non avranno un ducato di Andrea Contarini (peraltro comune) e potrebbero consigliari di acquistare un ducato a nome di un altro Doge sempre comune. Giudicare da una foto un ducato falso, salvo che per alcuni molto riconoscibili per alcuni dettali, è sempre un'impresa ardua. Sul forum, nella sezione falsi, troverai discussioni dove se ne parla. saluti luciano1 punto
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questa il mio campione dal peso di 47 grammi. poi, da collezionista delle monete napoletane, diversi 10 tornesi, ma la più pesante è la russa.1 punto
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Ciao 34 anni di dogato e 34 anni di guerre, battaglie, conquiste e sconfitte che mandarono le finanze in "sconquasso"; guerre per terra soprattutto e Venezia non aveva eserciti di terra, doveva quindi sopperire con truppe schiavone e mercenari che costavano l'ira di Dio. In tutto questo baillame c'era l'esigenza di trovare metallo prezioso per farne moneta che serviva a pagare i soldati, quindi svalutazioni galoppanti e monete che venivano tosate per ragguaglio e/o frode. saluti luciano1 punto
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IL BELLUM CIVILE Durante la campagna gallica Cesare non fece coniare monete imperatoriali: evidentemente, riceveva un costante flusso di finanziamenti da Roma. Passato in armi il Rubicone, tuttavia, egli divenne un hostis publicus e dovette finanziare la prosecuzione delle operazioni da sé; il metallo prezioso del resto non gli mancava, avendo razziato abbondantemente in Gallia, a titolo di preda bellica. Nel 49 a.C., quindi, le legioni di Cesare realizzarono la prima delle sue monete itineranti, una delle emissioni più abbondanti di tutta la Repubblica, il denario RRC 443/1, divenuto simbolo stesso di Cesare e della guerra civile. Esso raffigura al dritto un elefante che calpesta un animale strisciante (un serpente, un dragone oppure addirittura un carnyx); si tratta di un’allegoria di Cesare stesso che schiaccia i suoi nemici: infatti, una delle etimologie che all’epoca veniva proposta per il cognomen Caesar era “caesai”, che nella lingua della Mauretania significava appunto “elefante”[1]. Per quanto riguarda i nemici calpestati, potrebbero essere i Germani (se è raffigurato un dragone, loro simbolo militare), i Galli (se è un carnyx) o generici avversarî (se è un serpente). Al rovescio, invece, sono raffigurati gli strumenti usati dai pontefici e dagli àuguri: culullus (brocca), aspergillum (aspersorio, ossia un pennello per spruzzare il sangue delle vittime sacrificali), securis (ascia) e apex (berretto cerimoniale); Cesare infatti era il pontifex maximus, e ricordarlo sulla moneta significava rassicurare i soldati sul fatto che stavano agendo secondo il volere degli dei. È interessante notare come questa fosse, formalmente, una moneta illegittima, emessa da un privato: avendo infatti invaso il suolo italico, Cesare aveva perso l’imperium e non deteneva più alcun potere che giustificasse l’emissione di moneta. Negli anni successivi, come si vedrà, le legioni produssero molte altre emissioni itineranti, spesso recanti allusioni alle vittorie in Gallia. Uno solo dei suoi grandi generali lo abbandonò per unirsi a Pompeo, e fu una sorpresa per tutti: Tito Labieno, “amico tra i più intimi e luogotenente di Cesare, che aveva lottato al suo fianco con grande coraggio durante tutte le guerre in Gallia”[2]. Malgrado la defezione, Cesare gli fece portare i suoi bagagli e il suo denaro. _________________ L’azzardo compiuto da Cesare nel passare il Rubicone causò sconcerto, a Roma: non si sapeva quanti soldati avesse portato al seguito e si temeva che fossero molti di più della realtà (in effetti, cinque coorti erano solo mezza legione: altre truppe, convocate da Cesare, stavano sopraggiungendo). Nell’anno precedente i Senatori avevano chiesto a Pompeo perché non organizzasse un esercito idoneo a difendere l’Italia ed egli, con sicumera, aveva risposto che non aveva bisogno di prepararsi in anticipo, perché gli bastava battere un piede per terra affinché ne sorgessero soldati pronti a mettersi ai suoi ordini; adesso, per metterne a nudo l’incapacità, gli chiesero dove fossero tali soldati. Pompeo non poté fare altro che dirigersi a Capua, ove c’erano i centri d’addestramento, per reclutare e preparare in tutta fretta nuove legioni. I preparativi di guerra del Senato furono frenetici, e ce li testimonia un denario: RRC 441/1, che al dritto reca il ritratto di Saturno e la legenda NERI. Q. VRB (Nerius, quaestor urbanus), al rovescio copia l’iconografia militare introdotta da Valerio Flacco e la legenda L. LENT C. MARC COS (Lucius [Cornelius] Lentulus et Gaius [Claudius] Marcellus consules). Questa moneta quindi afferma che Nerio, il questore urbano del 49 a.C., fu incaricato di attingere all’aerarium (ossia il tesoro dello Stato, custodito nel tempio di Saturno che, pertanto, è raffigurato al dritto) per finanziare l’arruolamento di nuove legioni (rappresentate al rovescio). La custodia dell’aerarium era, infatti, una precisa responsabilità del questore urbano. Per quanto riguarda la citazione dei due consoli (assolutamente anomala), Crawford suggerisce che si tratti di una data (sappiamo infatti che i Romani erano soliti individuare gli anni con il nome dei cosiddetti “magistrati eponimi”, ossia i consoli stessi); sembra tuttavia plausibile un’altra spiegazione: essa testimonianza che, in un momento di grave caos istituzionale, i consoli stessi fecero emettere a Roma una moneta imperatoriale (firmata quindi anche dal questore, urbano in questo caso); un caso del tutto eccezionale. Un ultimo cenno merita la rappresentazione, qui particolarmente dettagliata, delle insegne militari. Oltre all’aquila legionaria, infatti, si possono distinguere dall’alto in basso, sui due assi di sostegno laterali, i vexilla (stendardi in stoffa), i cornicula (decorazioni a forma di mezza luna) e le phalerae (decorazioni a forma di disco, simili alle odierne medaglie); infine, come già sull’emissione di Valerio Flacco, le lettere “H” e “P”, rispettivamente per hastati e principes. _________________ Da Ariminum (odierna Rimini), dove si era insediato, Cesare inviò emissarî a Capua (ove erano presenti sia Pompeo sia i consoli in carica) rinnovando la proposta che fossero fatti congedare i soldati di entrambi i condottieri, ma la risposta fu di nuovo negativa e, anzi, Pompeo rifiutò anche di incontrarlo di persona. Ricevuto il diniego, Cesare inviò i proprî soldati a occupare tutte le principali città circostanti e in ben quattro occasioni[3] le truppe del Senato, che avrebbero dovuto contrastarlo, preferirono invece ribellarsi ai proprî comandanti per unirsi a lui, l’eroe che aveva conquistato la Gallia, il popularis che proteggeva i poveri. La defezione delle proprie truppe, più ancora dell’avanzata di Cesare, gettò gli optimates nel panico: Pompeo, i consoli e la gran parte dei senatori scapparono a Brundisium (odierna Brindisi) con l’intenzione di fuggire nella penisola balcanica; saputolo, Cesare (che ormai poteva servirsi di sei legioni, di cui tre reduci dalla campagna gallica e tre costituite con le truppe sottratte ai nemici) si gettò a inseguirlo; a Brundisium cercò di bloccare il porto, facendo costruire un’immensa fortificazione attraverso il mare, ma le navi di Pompeo riuscirono a sfuggire al blocco e trasferirono in Epiro, oltre a lui, i suoi figli Gneo iunior e Sesto, Cicerone, Catone, Bruto, i generali Tito Labieno (cui fu affidata la cavalleria) e Gaio Cassio Longino (che invece fu messo al comando della flotta), i cosoli e gran parte dei senatori e dei magistrati in carica. Il 1° aprile del 49 a.C. Cesare fece ritorno a Roma, da cui mancava ormai da un decennio, e scoprì che nella fretta di scappare i consoli avevano lasciato le risorse dell’aerarium a sua disposizione. Egli riorganizzò il governo della capitale con i pochi senatori che vi erano rimasti, inviò emissarî in tutte le città costiere affinché gli inviassero navi in Puglia (onde usarle, poi, per inseguire Pompeo) e, dopo appena una settimana, si mise in marcia alla volta dell’Hispania, intenzionato a cacciarne i pompeiani prima che vi si rafforzassero. Lungo la strada, lasciò Decimo Giunio Bruto Albino e Gaio Trebonio ad assediare (rispettivamente, su terra e dal mare) Massilia, che si era schierata con Pompeo; giunto in Hispania riuscì a sbaragliare gli eserciti pompeiani e, ottenuta la loro resa, lasciò i soldati liberi di scegliere se passare ai suoi comandi oppure tornare privati cittadini, senza scatenare alcuna vendetta contro di loro. Tornando in Italia ottenne la resa di Massilia e giunse a Roma a dicembre del 49, facendosi nominare dittatore sino a fine anno. Fu poi eletto console per il 48 e avviò immediatamente una serie di riforme, prima fra tutte una legge per alleggerire il peso dei debiti contratti dai cittadini più poveri. _________________ Nel 48 a.C. un monetiere, Lucio Hostilio Saserna, emise una serie di denarî che inneggiavano alle grandi vittorie ottenute da Cesare nella Gallia. Uno di essi, RRC 448/2, è particolarmente interessante: reca infatti al rovescio la rappresentazione di un carro da guerra (strumento bellico in uso a molte popolazioni celtiche), al dritto invece il ritratto di un uomo con lunga barba, palesemente affranto, e l’immagine di uno scudo gallico alle sue spalle: Babelon, Amisano e molti altri autori sono convinti che questo sia l’unico ritratto contemporaneo di Vercingetorige , che all’epoca era incarcerato a Roma. Merita qui una precisazione: sia l’iconografia monetale, sia la scultura dimostrano che, in questo periodo, l’arte a Roma pervenne a un elevato livello di realismo: i ritratti non erano più astratti o edulcorati, ma cercavano di riprodurre con minuzia e precisione le espressioni e gli stessi difetti delle persone. Da un lato, questa tendenza è giustificata dalla volontà di far riconoscere i potenti dai cittadini dello Stato romano (in un’epoca in cui non esistevano le fotografie); dall’altro, è evidente che i nobili e le persone illustri si facevano un vanto di non dover nascondere i proprî difetti, che evidentemente non minavano il loro senso di superiorità. Grazie a questa corrente artistica, le monete ci restituiscono ritratti fedeli (fatti alcuni in vita, altri dopo morte) di Silla, Cesare, Pompeo, Marco Antonio, Ottaviano, Cleopatra e tanti altri, fra cui appunto Vercingetorige. _________________ A gennaio del 48 a.C. Cesare, con le navi inviate dalle città a lui fedeli, poté raggiungere la penisola balcanica con sette legioni, inseguendo Pompeo. I due eserciti si incontrarono a luglio a Dyrrhachium (odierna Durazzo) e ne nacque una guerra di trincea: entrambi gli schieramenti costruivano fortificazioni per tagliare le linee di rifornimento del nemico, mentre lo tempestavano con proiettili scagliati da arcieri e frombolieri (soldati armati di fionda). Pompeo era in posizione di vantaggio: disponeva di 9 legioni contro le 7 dell’avversario e, soprattutto, riceveva costanti rifornimenti di cibo via mare, mentre i soldati di Cesare dovettero abituarsi a mangiare una specie di pane fatto di radici, non avendo altro. Alla fine Cesare fu sconfitto, ma riuscì a ritirarsi senza gravi perdite grazie al valore dei suoi veterani: Marco Cassio Sceva, centurione della VI legione “Ferrata”[4], con la sola I coorte (1.000 uomini) e benché ferito a occhio, coscia e spalla respinse l’assalto di ben 4 legioni nemiche. Muovendosi attraverso la Grecia, Cesare e Pompeo tornarono a fronteggiarsi in Tessaglia: il primo, avendo distaccato parte delle sue truppe per proteggere le vie di rifornimento, disponeva solo di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri, ma tutti veterani; il secondo invece poteva contare su oltre 45.000 fanti e 7.000 cavalieri, ma prevalentemente reclute. Capendo che i suoi uomini non erano all’altezza di quelli avversarî Pompeo optò per una tattica di logoramento, colpendo le linee di rifornimento del nemico senza affrontarlo direttamente; i nobili che lo seguivano, tuttavia, erano convinti che sarebbe stato facile schiacciare Cesare in battaglia e desideravano farlo prima possibile, per cui tacciarono Pompeo di viltà con tanta petulanza da convincerlo, infine, a scendere in battaglia, a Farsalo. La cavalleria pompeiana si scontrò violentemente con la X legione, comandata da Marco Antonio, ma Cesare fece intervenire una riserva appositamente tenuta nascosta per colpire, al momento opportuno, i cavalieri; la manovra riuscì e il combattimento si risolse in una grande vittoria dei cesariani. Terminata la battaglia, Cesare proclamò che qualunque cittadino romano si fosse arresto sarebbe stato perdonato, senza subire punizioni. Questo suo atteggiamento divenne famoso con il nome di clementia Caesaris; in realtà si trattava non di bontà d’animo, ma di uno specifico progetto politico: Cesare sperava di interrompere così la spirale di vendette reciproche che aveva trasformato il confronto fra optimates e populares in una sorta di sanguinosa faida. Alla fine di quell’anno le legioni Cesare emisero pertanto un aureo e un denario (RRC 452/2) che raffiguravano proprio la personificazione della Clemenza (e, al rovescio, un trofeo di armi galliche); particolare curioso, la legenda comprende un misterioso IIT: l’ipotesi più accreditata (poco convincente, ma non ne esistono di migliori) è che sia in realtà , grafia arcaica per LII, e indichi l’età di Cesare. ________________ I soldati di Pompeo approfittarono dell’opportunità loro concessa, arrendendosi in massa a Cesare. Dopo lo scontro di Filippi i capi degli optimates si disgregarono: Bruto, appena terminata la battaglia, corse nella tenda di Cesare a invocarne la clemenza; Cicerone tornò in Italia e là aspettò Cesare, che infine perdonò anche lui; Gaio Cassio Longino rimase per un periodo al comando di quel che rimaneva della flotta, poi anch’egli raggiunse Cesare e ne ottenne il perdono; Catone e Tito Labieno si rifugiarono in Africa, ove potevano contare sull’alleanza di Giuba, re di Numidia; Gneo Pompeo iunior, figlio del Magno, si recò prima in Africa, poi in Hispania, ove ricostituì un esercito. Pompeo Magno e il figlio Sesto fuggirono invece per mare e, dopo alcune peripezie, giunsero in Egitto; qui tuttavia, il 28 settembre del 48, il padre fu ucciso e decapitato su ordine di Potino, potente consigliere del re Tolomeo XIII, che sperava così d’ingraziarsi il benvolere di Cesare; il figlio Sesto fuggì di nuovo, ricongiungendosi con Catone e Labieno in Africa. Tre giorni dopo sbarcò in Egitto Cesare, che inseguiva i fuggitivi insieme alla VI legione. Quando gli offrirono in dono la testa di Pompeo, ne fu rattristato e inferocito, per tante ragioni: perché comunque quell’uomo era stato suo genero; perché desiderava lui stesso perdonarlo, onde mettere fine alle divisioni interne; perché infine riteneva inconcepibile che un grande generale di Roma fosse ucciso, a tradimento, da un barbaro. Si installò allora nel palazzo reale di Alessandria, fece convocare i due fratelli che all’epoca si contendevano il trono - Tolomeo XIII e sua sorella, Cleopatra Tèa Filpàtore - e, nel nome di Roma, ordinò loro di cessare ogni ostilità reciproca e governare insieme. Potino tuttavia non gradì l’ingerenza e, da dentro lo stesso palazzo, ordinò all’esercito egiziano di convergere su Alessandria per cacciarne i Romani; Cesare allora si asserragliò nel palazzo reale, fece uccidere Potino e attese l’arrivo di rinforzi . Le truppe posero quindi l’assedio al palazzo, appoggiate dagli stessi cittadini, ostili ai Cesare; il loro comando fu assunto da Arsinoe, sorella minore di Tolomeo e Cleopatra, poi dallo stesso Tolomeo, che Cesare lasciò libero nella speranza - vana - di placare gli animi. Tra la fine del 48 a.C. e gli inizî del 47 giunsero infine i rinforzi attesi da Cesare: la XXVII legione via mare e le truppe alleate di Pergamo e Giudea via terra. Dopo aver subito una serie di sconfitte, Tolomeo decise di muovere tutte le sue truppe contro gli eserciti che giungevano via terra; tolse allora l’assedio di Alessandria per mettersi in marcia verso oriente ma Cesare ne approfittò e, fatte uscire le legioni dal palazzo, lo raggiunse e lo sconfisse prima ancora che riuscisse a entrare in contatto con gli eserciti di Pergamo e Giudea. Tolomeo morì in battaglia e Cleopatra fu confermata regina d’Egitto (insieme a un altro suo giovanissimo fratello). _________________ Nel frattempo a Roma, nell’ottobre del 48 a.C., Cesare fu nominato dittatore una seconda volta, per la durata di dodici mesi, ed eletto console per il 47. Finché restò fuori dall’Italia non assunse, tuttavia, i poteri di console. Uno dei monetieri del 47 a.C., Lucio Plauzio Planco emise una moneta di grande bellezza, RRC 453/1, che raffigura al dritto la testa di Medusa, al rovescio una dea alata che avanza frontalmente trascinando alcuni cavalli. La legenda, molto piccola, recita L. PLAVTIVS da un lato, PLANCVS dall’altro. Di questa complessa iconografia sono state proposte due spiegazioni. Amisano, Babelon, Borghesi e Grueber vedono al dritto una maschera teatrale, al rovescio la dea Aurora e propongono che sia qui ricordato un evento narrato da Livio e Ovidio: nel 312 a.C. il censore Gaio Plauzio Venox aveva vietato ai tibicines (suonatori di flauto) di mangiare dentro al tempio di Giove Capitolino e quelli, per protesta, si erano trasferiti a Tivoli, lasciando Roma priva dell’accompagnamento musicale (indispensabile per i riti sacri); allora Plauzio Venox aveva ordinato che fossero fatti ubriacare e poi, con i volti coperti da maschere teatrali, riportati furtivamente a Roma, ove giunsero di prima mattina (quindi, appunto, all’aurora). Crawford identifica invece al rovescio la dea Vittoria e ritiene che sia qui riprodotto un famoso quadro di Nicomaco (pittore tebano del IV secolo a.C.) del valore di milioni di sesterzi, che secondo quanto ci riferisce Livio nel 40 a.C. sarà donato a un tempio da Lucio Munazio Planco, fratello del monetiere[5]. In quest’ottica, la scelta di riprodurre la Vittoria (seppur nella forma del quadro) sarebbe un omaggio a Cesare. _________________ Nel 47 a.C. Cesare si fermò sei mesi in Egitto insieme a Cleopatra, di cui si era invaghito e con cui ebbe un figlio, Tolomeo Filpàtore Filomètore Cesare, detto Cesarione; poi, a fine estate, con una rapidissima marcia raggiunse il Ponto, dove il re Farnace (figlio di Mitridate) aveva approfittato della guerra civile romana per invadere i regni circostanti, facendo uccidere un gran numero di cittadini dell’Urbe. Farnace non si aspettava che Cesare potesse presentarsi così presto: fu colto impreparato e rapidamente vinto in battaglia a Zela (odierna Zile, in Turchia). Questo intervento fu tanto rapido e risolutivo che il generale, in una lettera, lo riassunse con la celeberrima frase “veni, vidi, vici”. In autunno Cesare tornò in Italia, ove assunse i poteri di console. Là, la situazione stava degenerando: quattro legioni si erano ribellate al loro comandante, Marco Antonio, pretendendo dopo 15 anni di servizio l’honesta missio (il congedo) e un donativum (un premio in denaro); nelle more, razziavano e distruggevano campagne e abitazioni e ogni sforzo di riportarli alla calma e all’obbedienza era risultato vano. Cesare si presentò da loro senza scorta; ascoltatene le richieste, rispose chiamandoli “cives” anziché “comites” (“cittadini” anziché “commilitoni”, dato che avevano chiesto di essere congedati) e garantendo che avrebbero avuto il donativum, ma solo dopo che egli, con altri soldati, avesse sbaragliato le ultime sacche di resistenza pompeiana. I legionarî ammutolirono: avevano bluffato nel pretendere il congedo[6]; sentire Cesare, che per anni aveva marciato, vissuto e combattuto con loro, trattarli con disprezzo e sufficienza li disorientò. Chiesero quindi subito di essere perdonati e si rimisero a suoi ordini. Nel 47 a.C. Cesare fu nominato dittatore per la terza volta, per un periodo di 10 anni; utilizzò il potere dittatoriale (come già aveva fatto Silla) per scegliere i magistrati e nominò sè stesso console per il 46, il 45 e il 44. Già nel 54 a.C. egli aveva ideato la realizzazione, nel cuore di Roma, di una grande piazza circondata su tre lati da un portico e sul quarto da un tempio, destinata a fungere da ampliamento dello storico Foro (diventato ormai troppo angusto per le esigenze della capitale); sappiamo da Cicerone che solo l’acquisto dei terreni era costato almeno 15 milioni di denarî (forse addirittura 25), pagati dallo stesso Cesare. I lavori erano iniziati nel 51 ma solo nel 47 Cesare rivelò a chi avrebbe dedicato il tempio: Venus Genitrix, Venere “genitrice” di Iulo (figlio di Enea) e quindi - in un certo senso - di tutti i Romani, dato che Romolo era un discendente dello stesso Iulo. Cesare affermò che adempiva a un voto alla dea, fatto prima dello scontro di Farsalo; in realtà, coglieva l’occasione per affermare che egli stesso discendeva dagli dei, dato che Iulo era anche capostipite della gens Iulia. La nuova piazza sarà inaugurata il 26 settembre del 46 e diverrà nota come Foro di Cesare. Riorganizzate le sue forze, a dicembre del 47 a.C. Cesare sbarcò in Africa, determinato a debellare i pompeiani. _________________ In Africa sono stati rinvenuti diversi esemplari di un altro denario imperatoriale, RRC 458/1, che per questa ragione Crawford ritiene essere stato coniato appositamente per finanziare la spedizione contro i pompeiani. Coerentemente con tale datazione, al dritto è raffigurata appunto Venus Genitrix; al rovescio invece è rappresentato Enea che fugge da Troia, portando il padre Anchise in spalla e il Palladio in mano. La raffigurazione al rovescio aveva un triplice scopo: ricordava al popolo che Cesare (tramite Iulo) discendeva da Enea, grande e nobilissimo eroe, e quindi anche - come detto - dalla dea Venere, con cui quegli aveva concepito un figlio; comunicava (con la raffigurazione di un figlio che salva il padre) che Cesare teneva in gran conto la pietas filiale, virtù molto considerata dai Romani; evidenziava che il Palladio, simbolo del potere di governare il mondo, era giunto nell’Urbe grazie agli antenati di Cesare. Il Palladio era infatti uno dei sette pignora imperii (oggetti sacri che gli dei avevano fatto pervenire nelle mani dei Romani quali garanzie - “pignora” - del loro potere; se fossero andati perduti, sarebbe stata la rovina per la Città Eterna); si trattava, secondo la mitologia, di una statua lignea che Atena aveva realizzato in ricordo di Pallade, sua cara amica uccisa per errore, e aveva le sembianze della dea perché ella stessa - per il dolore - si era identificata nella mortale, tanto da essere appunto chiamata Pallade Atena. Il Palladio aveva dapprima ornato il trono di Zeus, divenendo così una potente fonte di protezione divina, invincibilità e potere militare; un giorno tuttavia Atena, infuriata con il padre, l’aveva ripreso e scagliato sulla terra, a Troia. Rimase in questa città sino alla guerra, quando scomparve; secondo i Romani era giunto nell’Urbe ed era custodito dalle Vestali. Sarà da loro bruciato nel 394 d.C., per non farlo cadere nelle mani dei Cristiani. La menzione dei pignora imperii merita una digressione per narrare di uno di essi: la pietra nera ritenuta materializzazione della dea Cibele[7], probabilmente un meteorite, portata a Roma nel 204 a.C. Attorno al 220 d.C. l’imperatore Eliogabalo la collocò nel palazzo imperiale, ove sopravvisse a distruzioni e saccheggi, ma nel 1730 fu rinvenuta da un archeologo incompetente, monsignor Bianchini, che non capì di cosa si trattasse (e quindi, probabilmente, la distrusse)[8]. Per poco, un pignus imperii non è giunto sino a noi. _________________ Lo scontro fra Cesare e i pompeiani, appoggiati dalle truppe numide del re Giuba, si ebbe il 6 aprile del 46 a.C. a Tapso (attuale Ras Dimas, in Tunisia). Fu una netta vittoria di Cesare, a seguito della quale la Numidia venne ridotta a provincia romana; Labieno e Sesto Pompeo fuggirono in Hispania, presso Gneo Pompeo, mentre Catone si uccise a Utica (città costiera, oggi scomparsa) e, da allora, fu ricordato come “l’Uticense”. Il 25 luglio del 46 a.C. Cesare tornò nell’Urbe, ove lo raggiunsero Cleopatra e Cesarione (ma la regina non fu autorizzata a varcare il pomerium, per cui soggiornarono in una villa sul Gianicolo), e celebrò quattro trionfi successivi per le vittorie conseguite contro i Galli, gli Egiziani di Tolomeo XIII, i Pontici di Farnace e i Numidi di Giuba. La cerimonia del trionfo era un onore molto ambìto dai Romani, concesso dal Senato ai comandanti dotati di imperium quando terminavano una campagna bellica contro una popolazione straniera; non era quindi ammesso se gli sconfitti erano schiavi, come Spartaco, oppure Romani stessi, in caso di guerra civile (per questo, Cesare presentò la vittoria di Tapso come una vittoria contro i Numidi). Nell’occasione il comandante - già acclamato imperator - era eccezionalmente autorizzato a entrare con l’esercito in armi dentro al pomerium; adornato come se fosse Giove in persona, sfilava con i soldati lungo la Via Sacra, dal Circo Massimo attraverso il Foro sino al Campidoglio, mostrando ai concittadini esultanti il bottino e i prigionieri ottenuti. In una società guerriera, era la più bella esperienza che un mortale potesse vivere; pertanto, per compensare l’inebriamento che poteva dare, i soldati erano autorizzati a canzonare il proprio generale[9], mentre una persona al suo fianco gli sussurrava costantemente “hominem te memento” (“ricorda che tu sei [solo] un uomo”). Nel 46 a.C. Cesare adottò la più longeva delle sue riforme: il calendario giuliano. Occorre premettere che il più antico calendario romano aveva solo 10 mesi[10]; già in epoca regia era stato portato a 12 mesi, ma con una durata di soli 355 giorni, e per compensare lo scostamento rispetto alle stagioni il pontefice massimo aggiungeva - quando necessario - un tredicesimo mese, “mercedonio”, dopo febbraio. Questo sistema complesso si era tuttavia inceppato durante le guerre civili, quando i pontefici massimi (compreso lo stesso Cesare) avevano trascurato di apportare le modifiche necessarie, tanto che il solstizio d’inverno arrivava ormai a marzo. Cesare dispose che l’anno 46 a.C. durasse ben 445 giorni e che, dal 1° gennaio 45, entrasse in vigore il calendario di 365 giorni, con previsione di anno bisestile, ancora oggi in uso (con una piccola rettifica apportata da papa Gregorio XIII nel 1582). In occasione dei trionfi del 46 a.C. i legionarî ebbero il donativum loro promesso, pari a 6.000 denarî (più un appezzamento di terra da coltivare), mentre i cittadini di Roma ricevettero un munus (dono) di 100 denarî. A tal fine, Cesare assunse l’insolita iniziativa di utilizzare un denario ad hoc, RRC 467/1, che al rovescio reca la lettera D se destinato al donativum, M se al munus. L’iconografia comprende al dritto il ritratto di Cerere (allusione alle iniziative assunte da Cesare per garantire gli approvvigionamenti di grano alla popolazione), al rovescio gli strumenti rituali usati dal pontefice massimo e dagli àuguri (culullus e aspergillum, già visti su RRC 443/1 e brocca e lituus, già visti su RRC 359/2). Particolarmente interessante è la legenda, che enuncia le cariche politiche di Cesare al dritto (DICT. ITER - COS. TERT.), quelle religiose al rovescio (AVGVR - PONT. MAX.). Poiché Cesare - come già detto - fu dittatore “per la seconda volta” (“iterum”) dall’ottobre 48 all’ottobre 47 e assunse i poteri del suo terzo consolato tra settembre e ottobre 47, la produzione di questa moneta (benché sia datata da Crawford al 46, anno dei quattro trionfi) deve essere iniziata nell’autunno del 47: ciò significa che quando Cesare arringava le legioni ammutinatesi, garantendo che avrebbero avuto il donativum, non faceva (come alcuni storici hanno ipotizzato) una promessa a vuoto, avendo già avviato la necessaria emissione di denarî. _________________ In Hispania Gneo Pompeo aveva riorganizzato i sostenitori del defunto padre, instaurando di fatto una repubblica secessionista e organizzando un nuovo, potente esercito. La sua volontà di presentarsi come detentore della legittimità repubblicana, in contrasto con Cesare, presentato come un usurpatore, si riflette sulla monetazione: nella penisola iberica, infatti, circolavano molte monete di bronzo di produzione locale, necessarie a sopperire alla mancanza di contante ufficiale (l’ultimo asse era stato emesso da Silla nell’82 a.C. e, dopo di esso, Roma non aveva più coniato monete di bronzo); Gneo Pompeo fece allora emettere una moneta, RRC 471/1, con l’antica iconografia di Giano al dritto e della prora navis al rovescio (e la legenda CN. MAG IMP), con il chiaro intento di presentarsi come vero rappresentante delle tradizioni della Repubblica. Si tratta di monete molto diverse l’una dall’altra, con peso variabile da 15 a 37 grammi; peraltro, in alcune (ma non in tutte) i profili delle due facce di Giano hanno le sembianze di Pompeo Magno. Benché presentino il segno di valore “I”, come gli antichi assi, Amisano ha supposto che possano essere dupondî o addirittura sesterzî, in analogia alle emissioni cesariane di poco successive (RRC 476/1 e 550/2). _________________ Alla fine del 46 a.C. Cesare partì con otto legioni alla volta della Hispania, determinato a estirpare una volta per tutte la resistenza pompeiana. Si trattò della più difficile e sanguinosa fra tutte le campagne belliche che aveva combattuto: aiutati dal terreno favorevole e da una popolazione che li appoggiava, gli avversarî riuscirono a infliggere pesanti perdite alle sue truppe, mettendolo più volte in difficoltà. Per finanziare la campagna, egli fece produrre un’altra emissione itinerante: il denario RRC 468/1, che raffigura al dritto il ritratto di Venere (con un piccolo Cupido sulla spalla), al rovescio un trofeo di armi galliche sotto cui giacciono una donna in lacrime e un uomo barbuto con le mani legate. Babelon ritiene che la donna sia la personificazione della Gallia, l’uomo invece Vercingetorige; per Crawford sono invece generici prigionieri gallici. La rievocazione della guerra in Gallia aveva uno scopo ben preciso: ricordare ai soldati (molti dei quali, reduci da quella guerra) ciò che erano riusciti a fare sotto il comando dello stesso Cesare, per tenerne alto il morale e infondere loro coraggio e fiducia in un momento di grave difficoltà. Lo scontro decisivo si ebbe a Munda (odierna Osuna), nella primavera del 45 a.C.: Cesare sorprese l’esercito di Gneo Pompeo e Tito Labieno accampato in cima a una collina e, stanco di una serie apparentemente infinita di scontri fratricidi, decise - contro ogni regola tattica - di giocare il tutto per tutto, attaccando in salita e in forte inferiorità numerica (disponeva di 40.000 uomini contro i 70.000 degli avversarî). All’inizio sembrò una disfatta, tanto che lo stesso Cesare arrivò a pensare di suicidarsi; decise comunque di morire in modo onorevole e, sceso da cavallo, raggiunse i ranghi della X legione per combattere insieme ai suoi soldati preferiti. La presenza di cesare galvanizzò tuttavia i legionarî della X, che cominciarono a combattere con tanto ardore da guadagnare terreno; allora Gneo Pompeo tolse una sua legione dal fianco opposto e la mandò contro la X. Fu una mossa falsa: Cesare, pronto a cogliere l’occasione, inviò subito la sua cavalleria ad attaccare nel punto in cui, essendo stata distolta una legione, si era creato un buco nello schieramento avversario; contro ogni aspettativa, vinse così anche questa sua ultima battaglia. Alla vittoria contribuì anche un suo giovane parente, che egli aveva voluto con sé proprio per valutarne le capacità militari: Gaio Ottavio Turino. Labieno morì in combattimento; Gneo Pompeo fu catturato e ucciso poco dopo. Sesto riuscì invece a fuggire in Sicilia, dove continuerà ad agire in quasi totale autonomia, in alcuni anni con il consenso del Senato (che nel 43 a.C. lo nominerà praefectus classis et orae maritimae, comandante supremo delle flotte militari) ma più spesso in conflitto con Roma. _________________ Cesare tornò finalmente a Roma, ove commise un grave errore politico: infrangendo una tradizione plurisecolare, celebrò il trionfo per aver sconfitto i soldati di Gneo Pompeo, ossia dei concittadini. La sanguinosa campagna iberica l’aveva cambiato: era frustrato e inferocito per il fatto che, malgrado la sua politica di clemenza, i pompeiani avessero continuato a osteggiarlo; probabilmente pensò quindi di umiliarne la memoria, trattandoli come barbari debellati. Per il popolo, tuttavia, la guerra civile restava un evento forse necessario, ma sicuramente doloroso ed esecrabile: mostrando di vantarsi di aver ucciso cives Romani, Cesare perse parte del suo consenso. In quel periodo furono emesse due monete in oricalco, una lega di bronzo e zinco, di colore simile all’oro, che a Roma veniva usata per la prima volta. Le due tipologie sono molto simili: la prima, RRC 476/1, reca al dritto il ritratto di Vittoria e al rovescio l’immagine di Minerva che avanza con un trofeo sulla spalla (e un serpente ai piedi); la seconda invece, RRC 550/2 (oggi molto rara) il ritratto di Venere al dritto, l’immagine di Vittoria che avanza con un ramo di palma in spalla al rovescio. La prima è sicuramente databile al 47-44 grazie alla legenda CAESAR DIC TER (Cesare detenne la terza dittatura tra l’ottobre del 47 e il marzo del 44) e C. CLOVI PRAEF: Gaio Clovio, personaggio storico proco noto, fu governatore della Gallia Cisalpina nel 44 a.C. e quindi, probabilmente, prefetto nel 45. La datazione della RRC 550/2 è invece molto discussa: la legenda recita Q. OPPIVS PR. e l’unico Quinto Oppio noto fu governatore della Cilicia nell’88 a.C.; molti numismatici tuttavia (fra cui Alföldi, Woytek e Marta Barbato) ritengono che anche questa moneta, viste le grosse similitudini con la precedenza, sia stata emessa da un un altro dei prefetti (oppure anche da un pretore) del 45. In quest’ottica, è probabile che la prima moneta, e forse anche la seconda, siano state emesse in occasione del trionfo del 45 a.C. per disporre di spiccioli da distribuire al popolo durante la processione. Per quanto riguarda il valore, Grueber ipotizza che fossero assi, McCabe invece dupondî. Nei pochi mesi in cui governò indisturbato, Cesare avviò molte riforme per modernizzare Roma e il suo Stato: fra l’altro, concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della Gallia Cisalpina, elevò da 600 a 900 il numero dei senatori e fece entrare in Senato molti nobili di origine spagnola e gallica. Molti suoi sforzi furono profusi in campo urbanistico, nel tentativo di rendere l’Urbe una vera metropoli: propose una legge (approvata dopo la sua morte) che vietava la circolazione dei carri nelle ore diurne, per rendere più sicuri i pedoni; avviò la realizzazione di molti monumenti, che saranno conclusi dopo la sua morte (il teatro di Marcello, la basilica Giulia, il tempio di Marte Ultore, uno stadio per naumachie), compresa una nuova Curia, per sostituire quella distrutta nel 52; ipotizzò di rettificare il tratto urbano del Tevere (tra l’attuale ponte Cavour e l’isola Tiberina), per ridurre le esondazioni; infine fece razionalizzare la disposizione dei monumenti dell’antico Foro, facendo sostituire la tradizionale pedana dei rostra, che aveva andamento semicircolare, con una di pianta rettangolare. Forse, quindi, fu anche per nostalgia che un monetiere del 45 a.C., tale Palicano, emise il denario RRC 473/1 che immortalava i rostra nella loro vecchia forma semicircolare, con sopra il subsellium (sedile in uso ai tribuni della plebe). Sicuramente, egli voleva anche commemorare un suo parente, Marco Lollio Palicano, tribuno nel 71 a.C., che da quella tribuna aveva ardentemenmte perorato l’abrogazione delle leggi con cui Silla aveva limitato i diritti della plebe. Al dritto è invece raffigurata la Libertà (con didascalia LIBERTATIS), probabilmente in omaggio a Cesare che aveva “liberato” la Repubblica dai pompeiani. _________________ Nel 44 a.C. Cesare, oltre a ricoprire il consolato insieme a Marco Antonio, fu nominato dictator perpetuus (dittatore a vita), una forzatura ancora più grande di quella che era stata fatta per Silla (la cui nomina “a tempo indeterminato” presupponeva che prima o poi si sarebbe dimesso, come effettivamente avvenne): era ormai chiaramente determinato a governare con potere monarchico, seppur nell’interesse del popolo, situazione paradossale che il grande Mommsen ha riassunto con l’ossimoro “monarchia democratica”. Molti temevano che volesse farsi addirittura rex, un azzardo assolutamente inaccettabile per la mentalità romana; gli indizî in tal senso erano tanti (ad esempio, scelse di portare i calzari rossi simbolo degli antichi re di Alba Longa, giustificando che gli competevano quale discendente di Iulo e quindi ultimo erede di quella mitica dinastia), ma quello che fu forse ritenuto eccessivo ebbe natura numismatica. Il dittatore infatti preparò una grande campagna militare contro i Parti, per vendicare la disfatta di Carre, e a tal fine fece coniare una grande quantità di denarî, oggi raccolti nella serie RRC 480 e, con un incredibile strappo alla tradizione, fece apporre il suo ritratto[11], un’iniziativa che richiamava i monarchi ellenistici. Il giorno delle idi di marzo il Senato, essendo indisponibile la vecchia Curia, si riunì in quella che Pompeo aveva fatto realizzare presso il suo teatro; là Cesare fu raggiunto dai congiurati e pugnalato a tradimento. Tentò di difendersi, ma quando si avvide che fra i suoi assassinî c’erano amici (Decimo Bruto Giunio Albino e Gaio Trebonio), avversarî che lui stesso aveva perdonato (Gaio Cassio Longino) e persino Bruto, deluso gli disse “καὶ σὺ, τέκνον” (“anche tu, figlio”)[12]; si coprì volto e ginocchia, per morire in modo decoroso, e cadde trafitto ai piedi della statua di Pompeo. Quella statua esiste ancora: recuperata nel 1553, è ora esposta a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. Particolare numismatico interessante: la produzione delle monete della serie RRC 480 continuò, ma in quelle emesse dopo la sua morte Cesare è rappresentato con un velo sulla testa, in segno di lutto. NOTE [1] Secondo la Historia Augusta (al capitolo “Vita di Elio”, II, 3), testo storiografico redatto nel III secolo d.C., un antenato di Cesare si sarebbe guadagnato questo cognomen per aver ucciso in guerra un elefante cartaginese. Va precisato che esistevano, già all’epoca, altre ipotesi tra cui quella, più realistica, di “nato con parto cesareo” (che veniva praticato in caso di morte della madre). [2] Plutarco, Vita di Cesare, 34. [3] A Iguvium (odierna Gubbio), Osimo, Ausculum (odierna Ascoli Piceno), Firmum (odierna Fermo) e Terracina. [4] Il soprannome derivava dall’armamento pesante, in ferro, dei suoi legionarî. [5] Il monetiere infatti era nato come Gaio Munazio Planco, cambiando poi praenomen e nomen a seguito di adozione. Lucio Plauzio sarà messo a morte con le liste di proscrizione del secondo triumvirato; è possibile che il quadro fosse suo e che, alla sua morte, Lucio Munazio se ne sia appropriato, per poi offrirlo agli dei in memoria dello sventurato fratello. [6] La richiesta di congedo era stata un bluff, perché significava “dateci i soldi o ce ne andiamo”, ma in realtà era interesse degli stessi legionarî restare sino a guerra conclusa (perché i generali vittoriosi elargivano donativa molto più consistenti). Rimasero quindi spiazzati dalla risposta di Cesare, che sostanzialmente significava “bene, andatevene pure; troverò altri soldati”. [7] Gli altri cinque erano: l’ancile, un antichissimo scudo donato da Marte (e di cui esistevano 11 copie identiche, per evitare che l’originale fosse riconosciuto e rubato); lo scettro di Priamo, ultimo re di Troia; il velo di Iliona, sua figlia; le ceneri di Oreste, figlio di Agamennone; la quadriga di Giove Capitolino, collocata sulla sommità del suo tempio. [8] L’episodio è narrato da un altro archeologo, Rodolfo Amedeo Lanciani (nel libro Ancient Rome in the light of recent discoveries del 1890), che l’ha inutilmente cercata un secolo dopo. [9] Sappiamo che i soldati di Cesare, ad esempio, ne dileggiarono la presunta omosessualità cantando “ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem” (“ecco, ora che trionfa Cesare che ha sottomesso la Gallia, [ma] non trionfa Nicomede che ha sottomesso Cesare”). Nicomede era stato l’ultimo re di Bitinia; quando aveva solo 19 anni, nell’81 a.C., Cesare era stato mandato come ambasciatore alla sua corte e si diceva che avesse avuto una relazione con lui. [10] Secondo Carandini, illustre archeologo e antiquario romano, perché l’anno veniva assimilato a un ciclo di fertilità umana: nove mesi di gestazione più uno di infertilità. Di questa antichissima scansione del tempo resta memoria nei nomi degli ultimi mesi dell’anno. [11] Alcuni autori, citando Cassio Dione, sostengono che questo privilegio gli sia stato concesso dai senatori ma lo storico dice solo che “πατέρα τε αὐτὸν τῆς πατρίδος ἐπωνόμασαν” (Storia Romana, 44), “appellarono lui stesso padre della patria e incisero sopra le monete”: chiaramente, significa che fecero apporre su alcune monete il titolo di parens patriae, non il ritratto. [12] Svetonio, Cesare, 82; Cassio Dione, Storia Romana, 44. La versione latina “tu quoque, Brute, fili mi” è un’invenzione moderna. ILLUSTRAZIONI Denario RRC 443/1 Denario RRC 441/1 Denario RRC 448/2 Denario RRC 452/2 Denario RRC 453/1 Denario RRc 458/1 Denario RRC 467/1. Questa moneta è stata usata durante il trionfo di Cesare, per farne dono (“munus”) a un cittadino di Roma. Bronzo RRC 471/1 Denario RRC 468/1. Bronzi RRC 476/1 e 550/2. Denario RRC 473/1 Ricostruzione della tribuna dei “rostra” nella vecchia forma semicircolare Denario RRC 480/9 Statua di Pompeo di Palazzo Spada a Roma1 punto
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Buon Pomeriggio a tutti e buon inizio settimana, oggi condivido con voi questa new entry proveniente da un'asta, moneta per il Regno lombardo-veneto. Si tratta di un 20 kreuzer - Svanzica - in argento 583% del 1837, zecca di Milano - coniata sotto il Regno di Ferdinando I° d'Asburgo Lorena; la moneta è rara R2. Dati ponderali : grammi 6,68 / diametro millimetri 27. Sullo stato di conservazione non mi esprimo, ma se vorreste per cortesia dare un vostro apporto sarebbe molto apprezzato. Grazie. NOTE : La svanzica indicava una moneta d'argento austriaca del valore di 20 kreuzer ( in tedesco zwanzig kreuzer ) quindi svanzica è un italianizzazione della parola tedesca zwanzig. Ricordo bene che, mia nonna che era nata nella Venezia Giulia nel 1916, terre sotto il predominio austriaco dal 1500 al 1918, i soldi li chiamava ancora le svanziche.1 punto
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E' valutato ' tres rare ' un esemplare ( champs leg repolis ) di sesterzio da Lugdunum per Ottaviano Augusto, con al diritto testa laureata dell' imperatore ed al rovescio vista di fronte dell' Altare delle Gallie in Lugdunum. Sarà il 15 Settembre in vendita Patrick Guillard Coll. 14 al n. 7 .1 punto
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Ho acquistato recentemente questo Forte che il Cudazzo classificava nel MIR come di X tipo ed ora sulla nuova pubblicazione di VII tipo. Questi Forti furono probabilmente coniati solo a Torino in cui, all'epoca di Carlo I, furono zecchieri Michele di Bardonecchia, prima col fratello e poi da solo, e Bartolomeo Caccia. Le sigle riscontrate sono CT per Bartolomeo Caccia e una strana M gotica che ultimamente viene attribuita a Michele di Bardonecchia. La mia nuova moneta ha comunque le sigle CT e quindi è di attribuzione certa. Questa moneta si trova normalmente in conservazioni non eccelse, lo conferma anche il Cudazzo, per cui quando ho avuto l'occasione di vedere questo esemplare ben conservato, le immagini non rendono merito, l'ho inserito subito in collezione. Una debolezza nella parte centrale non permette la nitida visione dei particolari, ma in compenso il modulo è largo e le legende sono ben impresse, con i contorni della moneta ancora in rilievo. Ha un peso di 0,90 grammi, alto per questa tipologia, che valeva mezzo quarto e quindi otto per un grosso. Spero che sia gradita la condivisione...1 punto
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No, nessuna circolazione. Della più grande rarità. Pur essendo stato coniato a Roma, fa comunque parte della monetazione del re lazzarone. Allego foto tratta dalla loro vendita: asta nac 16, collezione pannuti, Zurigo, 28 e 29 Ottobre 1999.1 punto
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