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Ricostruite società longobarde tra Italia e Ungheria grazie al Dna


ARES III

Risposte migliori

"L’analisi dei resti rinvenuti tra Collegno e il suolo ungherese mostra una struttura sociale con mescolanza di diversi gruppi europei e tradizioni funerarie ben definite 


L’analisi genetica continua a confermarsi un mezzo cruciale per tracciare profili sempre più precisi delle popolazioni che abitavano la Terra in passato. A partire dai resti di numerosi individui distribuiti tra due cimiteri in Italia e Ungheria è stato infatti possibile, grazie al loro Dna, ottenere preziose informazioni riguardanti le società longobarde che abitavano in questi territori tra il quinto e il sesto secolo dopo Cristo. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications, e ha coinvolto un team internazionale coordinato dalla Stony Brook University di New York, supportato da ricercatori dell’Università di Firenze oltre che da storici, archeologi e genetisti.

Tra Collegno e Szólád

Il dominio dei Longobardi in Italia durò oltre 200 anni, a partire dalla prima invasione avvenuta nel 568. Le informazioni riguardanti la popolazione germanica, e il loro passaggio sul territorio italiano, erano state ottenibili esclusivamente attraverso i resti archeologici. La ricerca è partita proprio da questa base, aggiungendo il supporto decisivo della ricerca genetica. Gli studiosi hanno infatti analizzato il Dna dei resti di 63 individui rinvenuti nel cimitero di Collegno, in provincia di Torino, e in quello ungherese di Szólád, riuscendo a ricostruire la struttura sociale delle famiglie a cui appartenevano.

Famiglie allargate e antenati nordeuropei

I dati ricavati dalle analisi del Dna hanno permesso ai ricercatori di constatare come entrambi i cimiteri contenessero resti di soggetti appartenenti a una famiglia piuttosto allargata, pur mostrando l’esistenza di due differenti gruppi di antenati. Tuttavia, non mancano le differenze tra i due luoghi presi in considerazione: gli individui rinvenuti a Collegno sarebbero appartenuti a una comunità che si era stabilita sul suolo italiano da diverse generazioni; al contrario, la struttura sociale dei longobardi di Szólád farebbe riferimento a un circolo famigliare di tre generazioni illustri e con la presenza di maschi che avrebbero avuto antenati provenienti dal nord e dal centro Europa. Gli elementi in comune tra i resti dei due diversi siti sarebbero invece delle precise tradizioni funerarie e una mescolanza di gruppi provenienti da più parti del territorio europeo, dalla parte settentrionale, fino a quella meridionale". 

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Sempre piu' convinto che quella longobarda non sia stata un' etnia propriamente detta , ma piuttosto una facies culturale che , come un' onda ,attraverso' l'Europa trascinando con se' Il genoma delle popolazioni che incontrava cosi come ad ogni tappa della loro migrazione acquisiva retaggi culturali locali.

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Un ottimo testo sui Longobardi , scritto da un "Longobardo" inglese , e' : I Longobardi , Storia e Archeologia di un Popolo .

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  • 1 anno dopo...

La ricerca conferma: i “primi” Longobardi di Povegliano Veronese provenivano dalla Pannonia

Un nuovo studio coordinato dal Laboratorio di Paleoantropologia e bioarcheologia della Sapienza, in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Università di Parma e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha ricostruito le dinamiche con cui i Longobardi arrivarono nella nostra penisola dopo la caduta dell’Impero Romano e si stanziarono sul territorio. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, sono stati ottenuti attraverso analisi biomolecolari su denti e ossa di individui rinvenuti nella necropoli longobarda di Povegliano Veronese (VR): una necropoli ben nota e studiata, celebre per le sepolture di cavalli e cani e che di recente ha rivelato altri particolari interessanti, come  l’attestazione, in uno scheletro maschile,  di un coltello come protesi al posto di una mano amputata.

La grande marcia dei Longobardi in Italia comincia nel 568 d.C., quando i guerrieri dalle lunghe barbe cominciarono a premere imponentemente alle porte delle Alpi alla conquista di nuove terre. Seguendo l’antica via Postumia, si insediarono sul territorio in vari centri tra i quali Povegliano Veronese (VR), la cui area sepolcrale – come detto – è stata oggetto di numerose indagini durante gli scavi archeologici condotti fra gli anni ’80 e ’90.

INTERROGATI GLI ISOTOPI  – Oggi, un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports, risultato di una missione coordinata da Mary Anne Tafuri del Laboratorio di Paleoantropologia e bioarcheologia della Sapienza, ha ricostruito le dinamiche con cui i Longobardi arrivarono nella nostra penisola e si stanziarono sul territorio.
Il lavoro, svolto in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Università di Parma e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è basato su analisi biomolecolari effettuate sui fossili di alcuni individui rinvenuti nella necropoli longobarda di Povegliano Veronese, con l’obiettivo di indagare la mobilità della popolazione germanica e gli aspetti socioculturali che ne sono conseguiti. Nello specifico, Mary Anne Tafuri e il suo team hanno esaminato la concentrazione di stronzio e ossigeno e dei loro isotopi stabili (atomi con numero di massa variabile) all’interno di ossa e denti di un “campione” di 39 individui inumati e 14 animali, selezionati fra i reperti emersi dalla necropoli.
L’ossigeno e lo stronzio, come tutti gli elementi naturali, hanno una distribuzione isotopica ben precisa che può però essere alterata da fattori biochimici e ambientali. L’aspetto interessante è che i valori relativi tali alterazioni risultano caratterizzanti per una determinata area geografica piuttosto che per un’altra.

I RISULTATI DELLA RICERCA  – “Rilevando questi dati biomolecolari – spiega Mary Anne Tafuri – abbiamo potuto evidenziare all’interno del campione una eterogeneità di valori ed effettuare una suddivisione statistica in tre “sotto-popolazioni”, distinte da firme geochimiche differenti: gli autoctoni, ovvero coloro che hanno trascorso a Povegliano Veronese tutta la vita; gli alloctoni, che arrivano nel Veronese nel corso della vita e gli outliers, individui con valori al di fuori della variabilità osservata nei primi due gruppi”.
I ricercatori hanno poi approfondito la provenienza e le dinamiche di mobilità di quella parte di comunità, circa il 26%, che non nacque a Povegliano ma vi migrò nel corso della vita, comparando i dati isotopici di questo gruppo con quelli di individui provenienti da altre necropoli longobarde.

valori isotopici degli alloctoni di Povegliano sono risultati compatibili con quelli dei Longobardi sepolti nella necropoli ungherese di Szólád, una delle ultime località occupate dai Longobardi prima del loro arrivo in Italia, confermando la ricostruzione effettuata dagli studiosi (analoghi risultati sono stati rilevati per un’altra necropoli italiana, quella di Collegno, in Piemonte).

Inoltre, grazie alle datazioni fornite dalle strutture tombali in cui sono rinvenuti gli individui e dagli oggetti di corredo, è stato possibile distinguere tra sepolture ascrivibili alla più antica fase d’uso della necropoli (fine VI – inizio VII secolo d.C.) e a quelle più recenti (prima metà VII – prima metà VIII secolo d.C.), cioè fra individui appartenenti alle prime generazioni di coloni e a quelle successive.

“Abbiamo dimostrato che tutti gli individui alloctoni rinvenuti nell’area sepolcrale di Povegliano Veronese appartenevano alle prime generazioni – aggiunge Mary Anne Tafuri – in quanto accompagnati da un corredo databile alla prima fase d’uso della necropoli, mentre quelli autoctoni, dunque nati e morti a Povegliano, sono caratterizzati da corredi più tardi”.

I risultati dello studio, che combina dati archeologici e isotopici, costituiscono un tassello importante nella ricostruzione delle dinamiche di insediamento e di mobilità dei Longobardi nel loro insieme, ma anche sulle modalità con cui questo popolo di guerrieri si è integrato nel contesto di una civiltà, dando vita a una cultura nuova, capace di coniugare la tradizione germanica con quella classica e romano-cristiana.

STUDI IMPORTANTI PER LA STORIA DEI LONGOBARDI –  “Lo studio appena pubblicato – commenta Elena Percivaldi,  medievista e autrice del recentissimo  volume I Longobardi, Un popolo alle radici della nostra Storia, Diarkos (2020)  – si aggiunge ai primi risultati relativi al Dna degli individui sepolti nella necropoli di Collegno, in Piemonte (VI secolo), anch’essi confrontati con i resti di Szólád. Questa indagine sembra mostrare che i Longobardi abbiano mantenuto una preminenza sociale sulle popolazioni locali senza dar vita a quel mescolamento “precoce” tra alloctoni e autoctoni che, in base a quanto sostenuto in alcuni recenti studi, ci si potrebbe  forse aspettare”.  In entrambi i cimiteri – si legge nel volume, che cita i risultati della ricerca discussa nella miscellanea  Migrazioni, clan, culture: archeologia, genetica e isotopi stabili. III Incontro per l’Archeologia  Barbarica (Milano, 18 maggio 2018) a cura di Caterina Giostra  – “una parte degli inumati, imparentati fra loro, possedeva un genoma molto simile a quello delle popolazioni dell’Europa centro-settentrionale; l’altra parte, invece, presentava un patrimonio genetico accostabile a quello delle genti originarie della parte meridionale del Continente: nel primo caso quindi si trattava con ogni probabilità di immigrati, nel secondo di autoctoni. In entrambi i cimiteri gli individui con genoma centro-nordeuropeo erano stati sepolti in un’area diversa della necropoli rispetto agli altri e presentavano quasi tutti un corredo funerario di tipo “barbarico”, caratterizzato da armi per gli uomini e gioielli per le donne. L’analisi degli isotopi ha inoltre rivelato che in vita avevano seguito una dieta molto più ricca di proteine animali in confronto agli altri: tutti segni, insomma, che sembrano indicare che tali gruppi di individui occupassero una posizione dominante nell’insediamento, che tale condizione coincidesse con il loro essere alloctoni e che, nel caso di Collegno, la loro predominanza perdurasse ancora intorno al 630, il limite temporale più recente a cui risale il campione esaminato”.

Lo studio internazionale in corso – commenta Francesco M. Galassi, paleopatologo e professore associato presso la Flinders University (Australia) – si va a collocare nel contesto più ampio degli  studi relativi alla storia delle migrazioni dei popoli antichi,  studi che finora hanno dato risposte rilevanti, contribuendo a chiarire le spesso vaghe informazioni derivate dalle fonti storico-letterarie . In questo caso  si ha una prova concreta di come le migrazioni avvenivano e di come elementi alloctoni riuscissero effettivamente a integrarsi in contesti preesistenti. Ciò contribuisce senz’altro ad aumentare la nostra conoscenza su un popolo, quello longobardo, che ha segnato la storia d’Italia ma di cui si hanno ancora informazioni abbastanza frammentarie”.

Bibliografia:

- Strontium and oxygen isotopes as indicators of Longobards mobility in Italy: an investigation at Povegliano Veronese – Guendalina Francisci, Ileana Micarelli, Paola Iacumin, Francesca Castorina, Fabio Di Vincenzo, Martina Di Matteo, Caterina Giostra, Giorgio Manzi & Mary Anne Tafuri – Scientific Reports volume 10, Article number: 11678 (2020)
DOI https://doi.org/10.1038/s41598-020-67480-x

– Migrazioni, clan, culture:archeologia, genetica e isotopi stabili. III Incontro per l’Archeologia  Barbarica. Milano, 18 maggio 2018, a cura di Caterina Giostra. Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano, Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte, in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli, SAP, Mantova (2019). 

- E. Percivaldi, I Longobardi, Un popolo alle radici della nostra Storia, Diarkos (2020), pp. 98-99.

https://percevalasnotizie.wordpress.com/2020/08/21/longobardi-povegliano-veronese/amp/

 

Archeologia: secondo uno studio biomolecolare, i Longobardi raggiunsero l'Italia dall'Ungheria

Longobardi raggiunsero l'Italia settentrionale dall'Ungheria e si insediarono progressivamente nei nuovi territori. A rileggere e a supportare le conoscenze storiche sulla migrazione della popolazione germanica in Italia è un nuovo studio coordinato dal Laboratorio di Paleoantropologia e bioarcheologia della Sapienza, in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'Università di Parma e quella Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 

Durante la ricerca sono state ricostruite le dinamiche con cui i Longobardi arrivarono nella nostra penisola dopo la caduta dell'Impero Romano e si stanziarono sul territorio. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, sono stati ottenuti attraverso analisi biomolecolari su denti e ossa di individui rinvenuti nella necropoli di Povegliano Veronese (VR). Nello specifico, la docente della Sapienza, Mary Anne Tafuri e il suo team hanno esaminato la concentrazione di stronzio e ossigeno e dei loro isotopi stabili (atomi con numero di massa variabile) in 39 individui inumati e 14 animali. I due elementi come tutti quelli naturali, hanno una distribuzione ben precisa che può però essere alterata da fattori biochimici e ambientali. “Rilevando questi dati molecolari abbiamo potuto evidenziare all'interno del campione una eterogeneità di valori ed effettuare una suddivisione statistica in tre sotto-popolazioni, distinte da firme geochimiche differenti: gli autoctoni, ovvero coloro che hanno trascorso a Povegliano Veronese tutta la vita; gli alloctoni, che vi arrivano nel corso della vita e gli outliers, individui con valori al di fuori della variabilità osservata nei primi due gruppi” ha dichiarato Tafuri. I ricercatori hanno poi approfondito la provenienza e le dinamiche di mobilità di quella parte di comunità, circa il 26%, che non nacque a Povegliano, ma vi migrò nel corso della vita, comparando i dati isotopici di questo gruppo con quelli di individui provenienti da altre necropoli longobarde. Alcuni valori degli alloctoni della penisola sono risultati compatibili con quelli dei Longobardi sepolti nella necropoli ungherese di Szo'la'd, una delle ultime località 

occupate prima del loro arrivo in Italia, confermando così la ricostruzione effettuata dagli studiosi. 

Inoltre, grazie alle datazioni fornite dalle strutture tombali in cui sono rinvenuti gli individui e dagli oggetti di corredo, è stato possibile distinguere tra sepolture ascrivibili alla più antica fase d'uso della necropoli (fine VI - inizio VII secolo d.C.) e a quelle più recenti (prima metà VII - prima metà VIII secolo d.C.), cioè fra individui appartenenti alle prime generazioni di coloni e a quelle successive. “Abbiamo dimostrato che tutti gli individui alloctoni rinvenuti nell'area sepolcrale di Povegliano Veronese appartenevano alle prime generazioni - aggiunge la docente- in quanto accompagnati da un corredo databile alla prima fase d'uso della necropoli”. 

I risultati dello studio, che combina dati archeologici e isotopici, costituiscono un tassello importante nella ricostruzione delle dinamiche di insediamento e di mobilità dei Longobardi nel loro insieme, ma anche sulle modalità con cui questo popolo di guerrieri si è integrato nel contesto di una civiltà, dando vita a una cultura nuova, capace di coniugare la tradizione germanica con quella classica e romano-cristiana.

https://www.qaeditoria.it/details.aspx?idarticle=129227

Modificato da ARES III
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Recipiente_in_ceramicaWEB.jpg

Recipiente in ceramica stampigliato. I Longobardi utilizzavano recipienti di questo tipo, di tipologia “pannonica”, nella prima fase di occupazione dell’Italia

 

pavia_mostra-longobardi_tomba-cavallo-ca

Lo scheletro del cavallo accompagnato da cani trovato a Povegliano ed esposto nella recente mostra pavese dedicata ai Longobardi

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Piccola divagazione:

5 minuti fa, ARES III dice:

nella necropoli longobarda di Povegliano Veronese (VR): una necropoli ben nota e studiata, celebre per le sepolture di cavalli e cani e che di recente ha rivelato altri particolari interessanti, come  l’attestazione, in uno scheletro maschile,  di un coltello come protesi al posto di una mano amputata.

 

Un Coltello al posto della mano

VERONA – [E.P.] Aveva un’età compresa, al momento del decesso, tra i 40 e i 50 anni e un coltello a mo’ di protesi al posto dell’avambraccio destro, proprio come una specie di “Capitan Uncino”: l’uomo, sepolto nella vasta necropoli (164 tombe) di Povegliano Veronese (VI e l’VIII secolo d.C.) era già ben nota ai cultori in quanto scavata in due campagne tra il 1985-86 e il 1992-93. Ma ora un’èquipe di ricercatori delle Università La Sapienza di Roma e Cattolica di Milano, insieme ai loro colleghi della  Scuola di Paleoantropologia di Perugia e del Policlinico Umberto I, ha pubblicato sul “Journal of Anthropological Sciences” (Vol. 96 – 2018) un dettagliato studio che esamina lo scheletro dell’uomo, trovato con un coltello posizionato in orizzontale all’altezza del bacino, mentre di solito armi di questo tipo sono dislocate in verticale e sul fianco del cadavere. La tesi degli studiosi è che si trattasse di una protesi. In linea con il coltello si trovava infatti ciò che restava del braccio destro, amputato con un’incisione netta –  ben cicatrizzata e senza tracce di infezioni, segno che la medicazione dopo il trauma era stata realizzata in maniera molto accurata -,  piegato a 90° tanto che il coltello ne sembra costituire la “naturale” prosecuzione.

long1

La sepoltura: le frecce indicano la posizione del braccio e del coltello (da  JAS, 96-2018, p. 4).

 

ossa

I particolari delle ossa del braccio con i segni dell’amputazione (da  JAS, 96-2018, p. 5)

Le ossa conservavano inoltre ancora tracce organiche di pelle e cuoio che molto probabilmente facevano parte del sistema con cui la protesi era fissata all’avambraccio. Ad avvalorare ulteriormente la tesi dei ricercatori c’è anche l’esame dei denti dello scheletro,  che presentavano segni  notevolissimi di usura soprattutto nella parte destra: lesioni compatibili, secondo gli studiosi, con l’impiego della dentatura per stringere e tirare le stringhe di cuoio che tenevano legata la protesi. L’uomo, 

evidentemente,  se la legava egli stesso al braccio, aiutandosi con la mano sinistra.

denti

I segni di usura dei denti ( da  JAS, 96-2018, p. 9).

Le cause dell’amputazione non sono note: l’uomo potrebbe essersela procurata durante un combattimento, oppure gli potrebbe essere stata inflitta come pena a seguito di qualche delitto  – l’Editto di Rotari (643) prevedeva ad esempio l’amputazione della mano per i falsari -, o ancora, potrebbe esser il risultato di un intervento chirurgico.

 dei ritrovamenti di Povegliano Veronese (a cominciare dalla fossa contenente un cavallo decapitato e due cani integri, di recente esposta  anche alla mostra di Pavia e Napoli “Longobardi. Un popolo che cambia la storia”) sono già stati pubblicati e sono ben noti agli studiosi. Ora arriva questo studio a fornire nuovi e interessanti dettagli sulla storia della comunità longobarda che abitava la zona quasi un millennio e mezzo fa.

Fonte: Ileana Micarelli, Robert Paine, Caterina Giostra, Mary Anne Tafuri,
Antonio Profico, Marco Boggioni, Fabio Di Vincenzo, Danilo Massani,
Andrea Papini & Giorgio Manzi, Survival to amputation in pre-antibiotic era: a case study from a Longobard necropolis (6th-8th centuries AD), in “Journal of  Anthropological Sciences”, Vol. 96 (2018), pp. 1-16

https://percevalasnotizie.wordpress.com/2018/04/15/un-coltello-al-posto-della-mano-dal-veneto-ecco-il-capitan-uncino-longobardo-foto/

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  • 2 anni dopo...
Supporter
Il 11/9/2018 alle 20:42, adelchi dice:

Sempre piu' convinto che quella longobarda non sia stata un' etnia propriamente detta , ma piuttosto una facies culturale che , come un' onda ,attraverso' l'Europa trascinando con se' Il genoma delle popolazioni che incontrava cosi come ad ogni tappa della loro migrazione acquisiva retaggi culturali locali.

È la situazione tipica di un popolo nomade che si sposta, se poi vincente ancor meglio.

trattasi di un comune fenomeno di agglutinazione di piccoli (ma anche considerevoli) gruppi ad altri ritenuti superiori o con i quali si trova una comune convenienza. Quindi è assolutamente possibile che alle fare si unissero gruppi differenti.

lo stesso fenomeno si è riscontrato con i vandali, i goti, gli alamanni, gli unni, etc etc

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Supporter
Il 6/9/2020 alle 15:36, ARES III dice:

Un Coltello al posto della mano

Bellissima, perché non solo interessante ma anche suggestiva, la "divagazione" di @ARES III
Rilancio con la tomba, credo la nr. 2, di Trezzo sull'Adda riportata alla luce nel '76. In tale tomba è stato rinvenuto, tra l'altro, un anello sigillo in oro massiccio che non solo riporta l’effigie di un uomo barbuto con i capelli divisi da una scriminatura centrale (secondo moda etnica maschile) ma all’interno del castone corre l’iscrizione al negativo RODCHIS V(ir) IL(lustris), “Rodchis uomo illustre”, che permetteva l’impressione del simbolo del notabile su cera o altro materiale. Il gesto del personaggio invece si rifà, con una malcelata contaminazione culturale,  al tipico segnale degli imperatori e dei comandanti romani quando chiedevano il silenzio per parlare all'esercito.  

Il resto del corredo, cui apparteneva il sigillo, comprendeva armi (una spatha, un coltello da combattimento, coltelli e una punta di lancia), guarnizioni da cintura reggispada, una croce in lamina d’oro, elementi di uno scudo, speroni e frammenti di un morso di cavallo. 

La sepoltura è datata alla metà del VII secolo d.C. e circa un secolo dopo la migrazione in Italia nel 568-569.

Le campagne e gli studi portarono alla luce altre quattro tombe del clan regale, la cui presenza potrebbe trovar riscontro nell’Historia Longobardorum di Paolo Diacono che parla di una battaglia di Coronate - la confinante Cornate d’Adda - nel 698.

Anello con Sigillo

Ma la cosa "singolare" è che il buon Rodchis era... un gigante. In una delle vetrine delle sale del museo di Trezzo sull'Adda, si può notare la disposizione dello scheletro del tutto singolare poiché le gambe sembra fossero state piegate, per farlo stare nella lunghezza del sarcofago. Dalle analisi antropometriche, si è dedotto che quest’uomo, Rodchis, vir illustris, dovesse avere un’altezza di circa 2 metri e 20. Il sarcofago infatti sarebbe stato lungo circa due metri e quaranta e se il defunto fu posto all’interno con le gambe piegate…

 

 

Cfr. Wilhelm Kurze: Anelli a sigillo dell'Italia come fonti per la storia longobarda, in I signori degli anelli, Un aggiornamento sugli anelli-sigillo longobardi, S. Lusuardi Siena cur., Milano 2001

e, più facile: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/castano-e-con-la-barba-ecco-il-volto-del-gigante-1.8146690

 

Modificato da Vel Saties
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Supporter

Prima ancora della prova fondamentale e definitiva del DNA che rapporta nuclei di longobardi di prima generazione alla Pannonia distinguendoli dai Longobardi d'Italia (quindi nati e cresciuti qui) vi sono anche gli indizi culturali che saltano subito agli occhi degli archeologi (Parlo anche per esperienza diretta avendo scavato in necropoli longobarde). Questi permettono, al netto degli inevitabili attardamenti, di individuare a quale momento dell'arco temporale della storia longobarda in Italia posizionare una / una serie di deposizioni.
Gli indizi culturali sono certamente dati dai corredi nei quali si rinvengono doni funebri di diverso tipo. La collocazione topografica di tali rinvenimenti ci permette anche di individuare le direttrici del flusso migratorio. Il discorso è estremamente complesso e variegato quindi mi siano permesse abbondanti semplificazioni.
In prima fase i guerrieri erano seppelliti con le armi individuali che connotavano il rango dell’uomo libero quando la popolazione longobarda era ancora stanziata nelle aree pannoniche (Ungheria) prima della migrazione in Italia nel 568-569, quindi con spathe , coltelli, fibbie da cintura in bronzo, cuspidi di lancia, punte di freccia ed umboni. Tali manufatti trovano riscontri molto precisi sia nei contesti funerari ungheresi che nelle numerose necropoli di primo periodo ad esempio di Friuli, Veneto, Lombardia e Piemonte. Del costume tradizionale delle donne longobarde, relativo quindi alla prima fase di immigrazione, fa parte, per es,  la fibula a "S".
Vi è un particolare rituale nomadico di origine euro-asiatica, caratterizzato invece dalla inumazione nella medesima tomba del cavallo e del cavaliere (in Italia è attestato nella necropoli di Campochiaro nel Molise), che nacque nelle aree europee centrali tra III e V secolo e si diffuse successivamente nei territori estesi ad est del Reno fra le popolazioni germaniche che comprendevano Franchi orientali, Alemanni, Longobardi e Turingi.
Alla tradizione longobarda extra-italica fanno riferimento anche le ceramiche che accompagnano indifferentemente sia le deposizioni maschili che femminili. Generalmente si tratta di bicchieri e di bottiglie, realizzati al tornio lento e decorati con la tecnica «a stralucido» e «a stampiglia» con motivi geometrici semplici o compositi.

 

[scusate la tardiva risposta ma ero in ospedale]

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