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Monete romane in islanda


coinzh

Risposte migliori

12 minuti fa, coinzh dice:

Si prega di riportare l'intero articolo, in quanto se spirasse il link, poi la discussione non avrebbe più senso. Grazie.

 

I romani in Islanda?

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Il museo nazionale di Islanda è il più grande e il più ricco del paese, e vale assolutamente la pena di dedicarvi una mattinata o un pomeriggio: esso conduce il visitatore attraverso la storia islandese dalle origini all’età contemporanea. Appena saliti nella sala principale sullo scalone, si nota sulla sinistra una piccola bacheca contenente degli oggetti nascosti nella penombra.

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Avvicinandosi si vede che si tratta della pagina di un libro e si intravede un oggetto dal color terra, assieme a qualcosa di piatto dal colore scuro. Basta premere un bottone a lato della teca, che delle luci illuminano gli oggetti.

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Si tratta di una copia del Libellus islandorum, composto all’inizio del 1200, un pezzettino di vaso di ceramica di manifattura mediterranea e delle monete romane. Il pezzo di ceramica proviene dallo scavo archeologico dell’isola di Viðey, ed è possibile che sia giunto in Islanda in tempi relativamente recenti come oggetto di antiquariato. Sulle monete romane invece aleggia tuttora un certo mistero.

Nel IV secolo A.C., un esploratore greco dalla colonia di Marsiglia, viaggia per il Nordeuropa. Il suo resoconto, Intorno all’Oceano (Περὶ τοῦ Ὠκεανοῦ) è andato perduto, ma viene spesso citato da autori successivi, come Strabone, solitamente con tono scettico. Pitea descrive un’isola a nord della Gran Bretagna, a 6 giorni di navigazione, volgendosi verso il punto in cui il mare diventa “gelatinoso” (il mare non ghiaccia immediatamente a lastre, ma pezzi solidi che galleggiano possono dargli un aspetto mucillaginoso). Racconta anche che al solstizio estivo il sole non tramontava, ma si nascondeva dietro a un colle, all’orizzonte. Il problema dell’identificazione con l’Islanda è che Pitea la descrive come abitata. La sua popolazione era dedita all’agricoltura e raccoglieva miele e frutta, produceva latte e una bevanda a base di grano e miele. A parte i dettagli sulla popolazione, però, il nome che lui le diede, Θούλη/Thule fu poi identificato dagli autori medievali come indubbiamente riferito all’Islanda, visto che fu tramandato dal periodo classico a quelli successivi è utilizzato in riferimento all’Islanda. Viene però da chiedersi se gli antichi avessero contezza dell’esistenza di quest’isola, ancor più se si tiene conto del fatto che Pitea era considerato dai contemporanei e dai posteri come un ciarlatano.

Nel 98 d.C, Tacito scrive, nel suo Agricola:

Hanc oram novissimi maris tunc primum Romana classis circumvecta insulam esse Britanniam adfirmavit, ac simul incognitas ad id tempus insulas, quas Orcadas vocant, invenit domuitque. Dispecta est et Thule, quia hactenus iussum, et hiems adpetebat.

Questa costa dell’ultimo mare fu quindi circumnavigata per la prima volta dalla flotta romana, che poté dunque stabilire che la Britannia fosse un’isola, e allo stesso tempo scoprì e sottomise le isole, che allora erano sconosciute, che chiamano Orcadi. Anche Thule fu avvistata, ma fu ordinato ordinato di non andare oltre perché l’inverno si stava avvicinando.

Quale fosse questa terra, però, non è ben chiaro.

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In Islanda, sono state ritrovate in tutto sei monete romane databili alla seconda metà del III secolo d.C. Le prime tre monete ad essere stati trovate, furono rinvenute nei fiordi orientali. Due presso una fattoria di nome Bragðavellir, nel fiordo Hamarsfjörður, presso un sito archeologico della fine del primo millennio, rispettivamente nel 1905 e nel 1933 e furono entrambe coniate intorno al 300 d.C., mentre la terza fu invece rinvenuto presso l’imboccatura della valle Hvaldalur, a poca distanza dal celebre monte Eystrahorn, nel 1923, da un professore inglese, presso Krossnesfjall, sul lato nord della valle. Si tratta di una moneta coniata nei giorni dell’imperatore Diocleziano (284-305 d.C.). Nel 1966, l’allora direttore del museo nazionale islandese ha rinvenuto una moneta antoniana risalente all’anno 275-76 d.C., presso Hvítárholt, nell’ovest dell’Islanda. Queste quattro monete sono in bronzo.

La quinta e la sesta moneta, entrambe in argento, risalgono invece alla metà del III secolo ma sono state rinvenute in resti archeologici risalenti al 1600 e al 1700, uno di questi nelle isole Vestmannaeyjar nel 1991 e l’altro sulla collina di Arnarhóll a Reykjavik nel 1993. Queste ultime è possibile che siano state piantate da qualcuno. Se escludiamo il dolo, è anche possibile che esse fossero state acquisite da qualche abitante islandese in età moderna dopo che il Rinascimento aveva scatenato un interesse per il mondo romano.

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Questa possibilità è però più difficilmente contemplabile per le prime quattro monete. Anche se due di esse provengono indubbiamente da un contesto archeologico dell’età vichinga (mentre per una terza ciò non è indubbio, anche se rimane molto probabile), non è detto che siano state portate in Islanda dalle stesse persone che sono state i loro ultimi proprietari. Effettivamente, un argomento archeologico pesante contro la teoria del trasporto in Islanda da parte di colonizzatori norreni è il fatto che si tratta di oggetti praticamente sconosciuti nei siti archeologici del periodo in altri luoghi della Scandinavia. Si trovano pochissime monete romane nei siti dell’età cosiddetta “vichinga”, e quando le si trovano sono perlopiù monete in argento, dunque con un certo valore, ma queste quattro monete rinvenute in Islanda non hanno alcun metallo prezioso al loro interno, e diventa difficile spiegare per quale ragione un antico norvegese debba averle preservate. Si tratta inoltre di un conio che non si rinviene di frequente nel nordovest europeo.queste monete provengono con tutta probabilità da Roma e dal Mediterraneo orientale, e la moneta usata dall’esercito in Britannia o in Germania intorno al 300 d.C. era di tipo diverso.

Potrebbe essere che siano state acquisite nelle isole britanniche e trasportate dopo, per poi venire disperse, potrebbero essere state perse da un cittadino romano approdato casualmente in Islanda e poi rivenute più tardi e conservate da qualche islandese… del resto sappiamo dalle saghe che Groenlandia e America sono state avvistate da islandesi spinti fuori rotta dalle tempeste. Non è in plausibile che una nave di cittadini romani partita dalla Britannia sia stata spinta in mare aperto e abbia avvistato le coste islandesi, magari scendendo pure a dare un’occhiata. Ma è altrettanto possibile che le monete siano semplicemente arrivate dopo, anche se questa spiegazione si scontra pure con dei problemi, come abbiamo visto.

Purtroppo sono domande destinate a rimanere senza risposta per mancanza di prove convincenti. È dunque opportuno non farsi un’idea di cosa si ritenga più probabile “di pancia”, ma prendere atto della loro presenza e delle difficoltà relative a fornirci una spiegazione definitiva.

Per completezza, riporto anche che menzione di una terra chinata Thule si ha nel capitolo XV del libro VI della Guerra gotica di Procopio di Cesarea (vissuto tra V e VI secolo). Qui la terra viene descritta come a nord della Danimarca, grande dieci volte la Britannia, e abitata da diverse tribù. Viene detto che in estate il sole non tramonta per 40 giorni e in inverno non sorge per 40 notti. Si parla di una tribù nomade che vive di caccia in grandi foreste, e di altre tribù abbastanza simili ad altre dell’Europa settentrionale, ma dedite a sacrifici umani. Da questa descrizione sembra più plausibile che si tratti della Scandinavia e non dell’Islanda.

 

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6 ore fa, coinzh dice:

riportare l’articolo intero non possono esserci problemi di copyright ?

Andrebbe almeno detto che l’autore dell’articolo e’ roberto luigi pagani.

Se si aggiunge il link non ci sono problemi perché si indica la fonte, e se per scrupolo si mette anche l'autore ancora meglio.

Quando si riporta un articolo, non per scopi commerciali (ed è il nostro caso), non si fa altro che dare maggiore visibilità allo stesso e naturalmente al suo autore, gratuitamente.

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I Vichinghi, validi pirati e saccheggiatori, arrembatori di navi ed incursori a terra, nelle loro necessariamente rapide operazioni non potevano avere molto tempo per una cernita accurata tra il rapinato, da rinviare probabilmente a luoghi più sicuri e calmi .

Nel loro instancabile andare per quei mari, hanno portato i loro legni in Islanda, Groenlandia ed alla terra di Vinland .

Se qualcuno di quei marinai aveva con sé oggetti, magari anche ritenuti privi di valore ma residui di vecchie operazioni, potrebbe benissimo averli dispersi o solo persi, in qualsiasi dei suoi approdi .

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